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Morbo di Alzheimer
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INTRODUZIONE |
Patologia degenerativa del cervello, attualmente ritenuta la più comune forma di demenza senile. Si calcola che il morbo di Alzheimer sia attualmente al quarto posto tra le cause di decesso negli adulti.
Descritto per la prima volta nel 1906 dal neurologo tedesco Alois Alzheimer, cui deve il nome, fu inizialmente considerato una rara forma neurodegenerativa di soggetti giovani e indicato come demenza pre-senile. In seguito, si riscontrò che era più diffuso negli anziani (colpisce il 5% dei soggetti oltre 65 anni e il 20-40% di quelli oltre 85 anni). Negli individui fra 30 e 50 anni la malattia è indicata come Alzheimer precoce.
I malati in Italia sono 600.000 circa, cifra che entro il 2020 sembra destinata a raddoppiare.
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CAUSE |
Anche se i pazienti Alzheimer sono principalmente individui in età avanzata, la patologia non sembra essere correlata al processo di invecchiamento fisiologico, che può rallentare alcune funzioni ma non determinare disturbi quali l'incapacità di ricordare azioni appena compiute o di riconoscere i familiari. Non sono noti specifici fattori responsabili della malattia; non si tratta di una patologia ereditaria, anche se si osserva una certa familiarità, cioè la tendenza a presentarsi con maggiore frequenza in alcune famiglie.
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Placche amiloidi e depositi neurofibrillari |
L'esame istologico del tessuto cerebrale nei soggetti deceduti rivela la presenza di due formazioni tipicamente associate all'Alzheimer: le placche amiloidi (o senili o neuritiche, ovvero depositi della proteina ß-amiloide localizzati tra i neuroni) e i depositi neurofibrillari (o grovigli o aggregazioni neurofibrillari, ammassi di fibre proteiche all'interno delle cellule nervose). Le proteine ß-amiloidi derivano da altre proteine chiamate precursori amiloidi e, in condizioni normali, sono soggette a degradazione; nell'Alzheimer, invece, tendono a formare spessi addensamenti insolubili. Le neurofibrille agglomerate nei neuroni sono formate dalla proteina tau, costituente dei microtubuli, essenziali organuli cellulari; nel paziente Alzheimer, l'anomala struttura della proteina tau ne impedisce la polimerizzazione causando, da un lato, il suo addensamento in grovigli insolubili e, dall'altro, la mancata sintesi dei microtubuli e la perdita delle funzioni ad essi legate, in particolare il trasporto di sostanze da una parte all'altra della cellula.
La malattia di Alzheimer è caratterizzata anche da gravi deficit dei neurotrasmettitori cerebrali, e in particolare dell'acetilcolina. Risultano colpite soprattutto alcune zone encefaliche: le aree della corteccia cerebrale associate al linguaggio e alla capacità di ideazione; i gangli della base e l'ippocampo, coinvolti con la memoria e l'apprendimento.
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SINTOMI |
La malattia colpisce le cellule nervose della corteccia cerebrale, ovvero della porzione dell'encefalo che presiede alle funzioni psichiche più complesse, quali la parola, la scrittura e l'elaborazione del pensiero. I sintomi dell'Alzheimer, di conseguenza, comprendono la progressiva perdita delle facoltà che dipendono dalla corteccia: il malato non riesce a coordinare i movimenti, perde la memoria e gran parte delle sue capacità mentali; in fasi più avanzate, vi è una progressiva perdita di autonomia a svolgere le attività quotidiane e possono comparire disorientamento, depressione, irritabilità. La malattia può rimanere silente per anni; al suo esordio, non è possibile prevederne il decorso, ovvero i tempi e la gravità dei sintomi. Non è letale, ma può notevolmente peggiorare la qualità della vita del paziente; si protrae in media per 6-8 anni, anche se si registrano casi di pazienti malati da 20 anni. Il decesso sopraggiunge per complicazioni quali polmonite e altri infezioni.
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DIAGNOSI |
La completa certezza della diagnosi può aversi soltanto da esame post-mortem dei tessuti cerebrali; esistono però alcuni criteri che permettono un'accuratezza della valutazione del 90%. Alla comparsa di segni di demenza, che potrebbero costituire l'indizio di una degenerazione di tipo Alzheimer, si compiono alcune indagini allo scopo di escludere eventuali altre cause di demenza. L'anamnesi del paziente permette di verificarne la storia clinica, le abitudini, e la familiarità della malattia; esami radiologici, e in modo particolare la tomografia computerizzata e la risonanza magnetica nucleare, evidenziano eventuali lesioni o formazioni tumorali che potrebbero essere correlate con i sintomi rilevati. Una concentrazione di proteina tau superiore alla norma riscontrata nel liquido cefalorachidiano, può essere indicativa di una neurodegenerazione Alzheimer in atto.
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TERAPIA |
Allo stato attuale, non si conoscono cure che permettano di guarire la malattia e di ripristinare le facoltà mentali compromesse. Farmaci detti inibitori della colinesterasi, quali la tacrina e il donepezil, hanno per un certo periodo di tempo un effetto di rallentamento del processo neurodegenerativo. Ai malati viene consigliato, per quanto possibile, il mantenimento di un'attività fisica e l'esecuzione di esercizi di memoria.
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La speranza di un vaccino |
Ancora controverso è il vaccino indicato con la sigla An 1792, contenente proteina ß-amiloide, che agirebbe inducendo la sintesi di anticorpi contro le placche già esistenti; potrebbe fermare il processo degenerativo, anche se non arrestare definitivamente il decorso dell'Alzheimer. Il preparato fu sperimentato da una casa farmaceutica di Dublino su topi da laboratorio, nei quali si è riscontrata la riduzione delle placche senili e la diminuzione della perdita di memoria. Alla fine del 2001 fu avviato un trial clinico sull'uomo; tuttavia, nei primi mesi del 2002, l'insorgenza di infiammazione cerebrale in alcuni pazienti determinò la sospensione della sperimentazione. Nel maggio 2003 l'Università di Zurigo, sulla base di controlli condotti indipendentemente dall'azienda irlandese, ha evidenziato che in realtà due terzi dei pazienti del trial non hanno subito il deterioramento delle facoltà mnemoniche e di coordinamento motorio che ci si aspettava, e hanno sviluppato anticorpi contro la proteina ß-amiloide. Si può dunque sperare che il vaccino abbia una certa efficacia, seppure debba essere formulato diversamente in modo da eliminare il grave effetto infiammatorio.
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