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L'elegia è un componimento poetico di carattere morale o sentimentale. L'elegia latina deriva da quella greca, caratterizzata dall'èlegos (strofa di due versi, uno di sei e l'altro di cinque sillabe), infatti questo tipo di componimento è originario della Ionia; dal VII secolo in poi, l'elegia viene utilizzata in diverse occasioni, sia della vita politica che di quella privata: si diffondono testi di carattere guerresco, polemico, politico, moraleggiante, ma anche poesie erotiche o dedicate a lamentazioni funebri. Per esempio, Antimaco di Colofone, poeta e grammatico greco, nella "Lide" esprime il lutto e il dolore per la morte della donna amata (chiamata, appunto, Lide). È proprio Antimaco uno dei principali scrittori elegiaci greci; la sua importanza è dovuta alla connessione che egli ha creato tra autobiografia e mito, una delle fondamentali caratteristiche dell'elegia, infatti nelle sue opere vi è un collegamento, seppure sottilissimo, tra le avventure degli eroi del mito e le vicende personali del poeta.
L'elegia latina ha, a differenza di quella greca basata prevalentemente sull'oggettività, un'impostazione maggiormente forte sia per quanto riguarda gli elementi soggettivi che per quelli autobiografici introdotti dall'autore, mentre tratta solo marginalmente o non tratta del tutto i miti. I poeti elegiaci più importanti a Roma nella seconda metà del I secolo a.C. sono Gallo, Tibullo, Properzio e Ovidio, che trattarono prevalentemente il tema dell'amore. L'amore è considerato l'esperienza unica e assoluta che dà senso alla vita, una vita che però si basa sul servitium che l'innamorato deve svolgere per la domina, capricciosa ed infedele, perciò le continue delusioni, la passione alienante ed infamante portano l'uomo a proiettare la propria storia nel mondo fantastico del mito. La poesia nasce dalla diretta esperienza del poeta-amante, perciò essa è fine al corteggiamento. Per dedicarsi esclusivamente all'amore il poeta trascura i suoi doveri di civis, di cittadino-soldato; tuttavia, l'elegia, pur dimostrandosi contraria ai valori della tradizione, in realtà li recupera, in quanto la relazione amorosa si configura come legame coniugale, basato sulla fides, sulla pudicitia e diffidente della luxuria. Sono questi stessi temi, la fides e la pietas, quelli trattati da Catullo nel carmen 66, che costituisce la traduzione di un'elegia del poeta greco Callimaco, infatti Catullo condanna l'adulterio e celebra le virtù eroiche. Vi è infatti continuità tra l'elegia latina e la tradizione neoterico-catulliana (dal I secolo a.C., di ispirazione ellenistica e quindi inizialmente disprezzata da Cicerone); lo si può notare dallo stile, caratterizzato dal rifiuto della poesia elevata, dalla raffinatezza formale e dalla brevità elegante, sia dai temi, l'amore e il gusto per l'otium, per la vita estranea agli impegni politici e civili e dedicata solo alla sfera privata, in particolare quella degli affetti.
CORNELIO GALLO
Gallo nacque nel 69 a.C. nella Gallia Narbonese, l'attuale Provenza. Combatté in Egitto e, dopo la vittoria, divenne prefetto di quella regione, ma la sua superbia e le parole dette a sproposito riguardo ad Augusto lo mandarono in rovina, in quanto venne esiliato e i suoi beni vennero confiscati; perciò egli si uccise nel 26 a.C.
Abbiamo pochi frammenti delle sue opere, ma ci sono numerosi riferimenti a Gallo in quelle di Virgilio, del quale era molto amico, di Ovidio e di Properzio. Oltre che amico di Virgilio, Gallo fu un seguace dei neoteroi e un amico del poeta greco Partenio di Nicea, che scrisse per lui una raccolta in prosa di miti amorosi.
Gallo fu autore di quattro libri di elegie, intitolati "Amores", scritti per la cortigiana e mima Volumnia, cantata con il nome di Licòride.
Gallo è considerato il principale mediatore tra il neoterismo e l'elegia latina, della quale si trovano gli elementi fondanti negli "Amores": la donna amata come fonte di ispirazione e destinataria della poesia, la componente autobiografica che nasce dall'esperienza diretta del poeta, il servitium amoris dell'innamorato nei confronti della donna, domina capricciosa e tiranna, una sorta di compiacimento del dolore da parte dell'autore.
ALBIO TIBULLO
Non abbiamo nessuna informazione certa sulla vita di Tibullo; probabilmente egli morì nel 19 a.C. o nei primi mesi del 18 a.C. e nacque fra il 50 e il 55 a.C. in Lazio, da una famiglia di ceto equestre. I suoi possedimenti vennero confiscato ed egli si trasferì a Roma, dove divenne molto amico di Orazio e di Messalla Corvino, nobile uomo politico repubblicano che lo protesse nel suo circolo di poeti e letterati; Tibullo seguì Messalla in alcune spedizioni militari in Aquitania ed in Oriente e, a Corcira (Corfù), si ammalò gravemente, dovendo quindi tornare in Italia.
Nella vita e nelle opere di Tibullo si più notare l'importanza del mondo agreste, anche se nelle sue elegie non mancano le descrizioni degli ambienti cittadini, che fanno da sfondo agli incontri, ai tradimenti ed all'intrecciarsi degli avvenimenti. Il mondo campestre costituisce per Tibullo un luogo di rifugio nel quale coltivare i propri affetti lontano dalle insidie della vita, in un'atmosfera domestica tranquilla, nell'accordo con la natura e nel rispetto della semplice religione degli avi; la vita nei campi, vista come locus amoenus, svolge cioè la stessa funzione del mito nelle elegie degli altri poeti, una funzione di distacco dalla realtà e dalle sue delusioni, verso un mondo ideale; vi sono quindi continui riferimenti all'età dell'oro, sotto il regno di Saturno, quando la terra donava spontaneamente all'uomo i suoi frutti e tutti vivevano in pace, mentre ora, sotto il dominio di Giove, il mondo è insanguinato dalle guerre. La ricerca della securitas, dell'isolamento dalla città e della vita appartata, è collegabile agli elogi che il poeta fa nei confronto del principe e dei suoi collaboratori, che si occupano della politica e che gli consentono perciò di vivere in pace in campagna.
L'altro tema dominante della poesia di Tibullo è la pace, l'antimilitarismo, collegato anch'esso all'adesione dello scrittore ai valori tradizionali; infatti egli è in contraddizione con l'elegia, anticonformista e ribelle.
Gli ideali dominanti nella poesia di Tibullo sono quindi la pax e l'otium: anche l'amore è visto nell'ottica della vita iners, da trascorrere a contatto con la natura, anche se in alcune elegie esso è considerato un servitium, una fonte di tormento.
Tibullo è un poeta doctus, che elabora attentamente il proprio stile, che appare semplice anche se, in realtà, è frutto di grande sforzo e lavoro; ciò riguarda anche la scrittura apparentemente spontanea, senza esasperazioni, inoltre il ritmo ha cadenza regolare. Il generale andamento sinuoso e sognante, in quanto il tema principale di ogni elegia è ben annunciato all'inizio ma poi si perde tra le varie immagini ed i sentimenti espressi, e la nitidezza dell'espressione sono i tratti più caratteristici dello stile di Tibullo.
Nell'antichità, Tibullo era considerato, per l'equilibrio delle sue opere, il "classico" del genere elegiaco, ma tale primato gli era conteso da Properzio. Nel Medioevo però la fama di Tibullo venne meno, per riaffermarsi in età umanista fino alla fine del '700 e oltre.
"Corpus Tibullianum"
Si tratta di una raccolta di elegie, composta inizialmente da tre libri, poi diventati quattro dopo la divisione del terzo in due parti, in età umanistica; solo i primi due libri si possono attribuire con certezza a Tibullo.
L'amore è il tema principale delle elegie di Tibullo, ma non è l'unico, infatti vi sono anche elogi alla vita contadina e poesie scritte in onore di Messalla e dell'amico Cerinto (chiamato anche Cornuto).
Il I libro (dieci elegie) è dominati dalla figura di Delia (il nome reale della donna era Plania), donna volubile e capricciosa (paragonabile, per le sue promesse non mantenute, alla Lesbia di Catullo) amata dal poeta , che teme continuamente di venire tradito; alle elegie per Delia si alternano quelle dedicate ad un giovinetto, Màrato; la terza elegia è intrisa di malinconia, infatti il poeta la scrisse mentre era ammalato a Corfù, egli esprime inoltre la paura della morte in terra straniera, lontano dalla famiglia e dalla donna amata, paura che poi però viene superata dall'idea di pace e beatitudine; infine vi è un'elegia in onore del compleanno di Messalla e un'altra per la pace e la vita campestre (poesia bucolica, che evoca l'ambiente sereno dei campi e la vita campestre), poiché grazie alla pace prosperano i campi e splendono gli attrezzi, mentre la armi arrugginiscono dimenticate.
Nel II libro (sei elegie) vi sono poesie con vari contenuti: le prime tre elegie hanno una nuova protagonista femminile, Nèmesi, una cortigiana avida e malvagia; poi vi è un'elegia per celebrare il compleanno dell'amico Cerinto; un'altra elegia parla di una festa agricola.
I primi sei componimenti del III libro, indirizzati ad una donna di nome Neèra, sono da attribuire ad un poeta chiamato Ligdamo, che non è ancora stato identificato con certezza, anche se alcuni credono che sotto tale nome si celi Ovidio, esistono solo ipotesi riguardo alla sua identità. Nel III libro si trovano inoltre il Panegirico di Messalla, nel quale l'autore, un ignoto poeta del circolo di Messalla, celebra le virtù e la carriera dell'uomo politico.
Del IV libro (tredici elegie), sono attribuite a Tibullo le prime cinque composizioni dedicate all'amore di Sulpicia, nipote di Messalla, per Cerinto, e le ultime due; le altre elegie costituiscono invece una serie di brevi biglietti d'amore di Sulpicia per Cerinto, scritti dalla donna.
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