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Tre importanti collettive e una nuova personale (1980)
Nel febbraio del 1980 Regina è tra le artiste inserite da Lea Vergine nell'ormai storica mostra dedi- cata a L'altra metà dell'avanguardia (1910-194 , da lei curata e allestita a Milano nelle sale di Pa- lazzo Reale L'esposizione è sin troppo nota per addentrarsi oltremodo nell'analisi delle sue ca- ratteristiche; ricordo solo che in mostra erano presenti oltre cento artiste di varia tendenza (molte delle quali certamente malnote) e che il taglio voluto dalla curatrice non è stato - come di primo acchito sarebbe stato lecito immaginare - molto spostato in direzione delle rivendicazioni del fem- minismo: al contrario, anzi, nella sua introduzione la Vergine sottolinea come il principale ostacolo all'organizzazione della mostra sia stato proprio il «sospetto che si trattasse ancora una volta di iniziative del tipo rassegne delle donne pittrici»392, e come invece l'approccio abbia voluto essere -piuttosto che antropologico-sociale - propriamente storico-artistico (tanto è vero che poi l'organiz- zazione del materiale è stata condotta secondo la logica dell «appartenenza ai gruppi», ovvero su questioni formali legate al «linguaggio affine»
Il ricco catalogo dell'esposizione ha soprattutto il merito di riportare alla luce un'enorme quantità di artiste pressoché dimenticate, preferendo «puntare su opere e documenti rari, inediti o ignoti ai più, anziché privilegiare quelli più familiari, lasciando che di un'epoca e di rapporti ancora da sco- prire avesse il lettore il gusto dell imprevisto e la sorpresa della scoperta che è effettiva e, non di rado, date a confronto, strabiliante ; tuttavia, come è del resto ovvio posta la gigantesca mole delle ricerche condotte (peraltro, specifica la Vergine, in soli tredici mesi ), nelle schede critico- biografiche dedicate alle singole artiste le imprecisioni sono numerose. All'interno del volume, Re- gina è collocata tra le protagoniste del blocco Futurismo-Cubofuturismo-Suprematismo», accanto alle futuriste 'italiane' e alle artiste delle avanguardie russe di inizio secolo ; la scheda sull'artista è però - come del resto le altre - di carattere quasi esclusivamente biografico, e riporta peraltro al- cuni dati dubbi (su cui si tornerà nel prossimo capitolo). Ciò nonostante, è più che evidente che l'arruolamento di Regina nella mostra, accanto alle artiste più significative del primo scorcio del se- colo, è fondamentale per contribuire a far conoscere la sua figura e la sua opera (sebbene, questo sì, limitatamente al solo periodo futurista).
L'esposizione viene abbondantemente recensita, ma il solo articolo in cui sia citata Regina compa- re su «Qui Touring» della prima metà di febbraio . Firmato da Marcella Compagnano, tale testo è interessante innanzitutto per ricostruire l'«iter della manifestazione» e poi perché in esso è ribadita l'impostazione non militante della Vergine, tanto è vero che - significativamente - la Campagnano può scrivere che «questa mostra potrebbe [.] essere non solo la testimonianza di un'espe- rienza emancipatoria». Regina è citata tra le non molte italiane segnalate dall'articolo
Nel mese di marzo dello stesso anno, mentre ancora è in corso la rassegna curata da Lea Vergi- ne, la Galleria Arte Centro di Milano coglie l'occasione per allestire una nuova personale di Regi- na , che abbraccia l'intero arco di attività dell'artista ma che si sofferma in particolare sulle opere successive al 1940, quasi ad offrire una sorta di ideale completamento del percorso illustrato dal- l'esposizione di Palazzo Reale. Pur essendo priva di un vero e proprio catalogo, la mostra è ac- compagnata da due interessanti contributi pubblicati sul bollettino della galleria, a firma di Gaetano Fermani (che cura la rassegna) e Paolo Fossati
Il contributo di Fermani, redatto com'è da persona che a Regina è stata molto vicina, è probabil- mente il testo più prezioso per ricostruire la personalità della scultrice anche al di fuori delle cose d'arte. Ricco di dati ed aneddoti di grande interesse, esso ha inoltre il pregio di riuscire a trasmette- re non solo la sincera nostalgia con cui l autore ricorda Regina, ma anche e soprattutto le tante e talora complesse sfumature del carattere dell'artista, certo non facilissimo e senz'altro tale da non averla affatto agevolata nel rapporto con il mercato, i galleristi e i collezionisti.
La Descrizione per Regina di Fossati, invece, è un brano dall'orizzonte più strettamente critico. L'autore principia evidenziando come pressoché tutti gli esegeti dell'opera reginiana siano stati co- stretti a proporre l'apparente paradosso di un'artista che da un lato - in virtù della sua adesione a diversi movimenti - è giocoforza incasellabile in una logica degli 'ismi' («secondo futurismo, astrat- tismo, concretismo e via discorrendo» , ma che d'altra parte se ne sottrae in maniera altrettanto evidente per la sensibilità con la quale ha sempre saputo mantenersi autonoma ed indipendente da qualunque vulgata o formula stilistica (particolarmente per ciò che riguarda la sua partecipazione al Secondo Futurismo) . Fossati, dunque, non solo concorda con molti dei suoi predecessori circa l'impossibilità di appiattire l'arte reginiana sulle dichiarazioni di poetica dei vari gruppi (proprio perché l'autonomia creativa della scultrice è spiccata in ogni momento della sua quasi cinquanten- nale carriera, e rifiuta di adagiarsi su un letto costituito da teorie), ma conduce tale convinzione alle estreme conseguenze, ammonendo circa la necessità di guardare a Regina con occhi quasi com- pletamente liberi da condizionamenti «di gruppo», e addirittura giungendo sostanzialmente a so- stenere che per la scultrice la partecipazione ai movimenti deve essere stata soprattutto un fatto organizzativo piuttosto che precipuamente estetico
Precisato questo - che non è cosa da poco - Fossati indaga poi più da vicino l'opera futurista di Regina, proponendo valutazioni di sicuro interesse a proposito di diversi aspetti della sua persona- le declinazione del Futurismo (né meno significativi, per la verità, sono i giudizi sulle opere del pe- riodo successivo, sui quali tuttavia non ci si soffermerà). In particolare, nella scultura dell'artista pavese Fossati individua una necessità di «fantastico» che fa tuttavia i conti anche con la concre- tezza del reale, trovando un sottile equilibrio tra queste due istanze apparentemente inconciliabili attraverso la scelta di una plastica leggera ed immateriale, «l'evocazione ben più ampia e distesa di un'immagine, che traduce e materializza sensazioni e percezioni al livello di impalpabilità
Il filone fondamentale [.] è una passione esplorativa per il fantastico, l'inventivo, per una di- mensione insieme oscuramente presente nel quotidiano e indispensabile a decifrarlo, quel quotidiano. Dove due eran gli elementi in gioco, il non staccar gli occhi dal reale dintorno e insieme la ricerca di una materializzazione che sta sospesa fra presenza fisica e spiritualità, sia essa da definire come moto religioso, come fantasia, o più semplicemente quanto don Benedetto viene decifrando nei limiti del termine «poesia». [.]
Stiamo descrivendo una scultura che sdrammatizza spazio e pesi fisici in esso, per tentare una penetrazione più duttile e intrigata cui nulla deve offrire resistenza per captare forze ed energie da raccordare in immagine. Non lontana dunque da quelle, per restar fra noi, e di Munari e di Melotti, da cui Regina si stacca con decisione, tra l'altro, per la scala dei suoi la- vori, sospesa fra la dimensione della scultura da cavalletto» e la maquette di un'opera a di- mensione più ampia, globale, e non solo per la qualità progettuale
A parere di Fossati, peraltro, al raggiungimento di questo «sentimento empirico tra realtà vissuta e immagine poetica» contribuisce non solo l'utilizzo di materiali particolarmente adatti allo scopo («i quali contano non solo come mezzi per evocare una luminosità e distribuzione spaziale, ma anche, o essenzialmente, rappresentano una qualità sensibile, sottilmente sensoriale» ), ma anche una
«'femminilità' che è certo pedale fondamentale per capire quest'esperienza poiché a suo avvi- so proprio quest'ultima è la componente cui principalmente si deve attribuire il rifiuto reginiano di quella «celebrazione» che è tipica di tanto Secondo Futurismo.
Per quanto necessariamente breve, il contributo di Fossati è dunque senz'altro interessante, sia perché ricco di considerazioni acute, sia perché particolarmente efficace - proprio da un punto di vista linguistico - nel descrivere la rarefatta poesia entro cui la scultura di Regina immerge lo spet- tatore È però curioso il fatto che in realtà, nonostante l insistenza iniziale circa l'autonomia di Regina dai movimenti (che è una posizione che come detto è comune a tanti, ma che in Fossati è espressa con particolare convinzione), l'articolo sia costruito proprio attorno alle poetiche del Futu- rismo e del MAC, leggendo ad esempio nell'opera di Regina degli anni Trenta una vicinanza alla simultaneità boccioniana (ovvero alla più fedele ortodossia dell'arte futurista) che sembra invece piuttosto difficile da sostenere.
Questa nuova personale milanese viene segnalata e recensita più volte sulla stampa. Tra le semplici segnalazioni si contano quelle del «Foglio d'Arte» di marzo411 e di «BolaffiArte» di maggio412, de «la Repubblica» del 9-10 marzo e de «Il Giornale dell'Arte» del 21 dello stesso mese ; an- che in virtù dell'estrema brevità, esse non contengono alcun giudizio criticamente interessante. Anche le recensioni vere e proprie, tuttavia, sono appena più significative. La prima compare sul «Corriere d'Informazione» del 13 marzo a firma di Edgarda Ferri , ma è davvero un testo ricco di imprecisioni . Brevissima è la recensione pubblicata sull'«Avvenire» da Giorgio Mascherpa , il quale curiosamente - dando prova di una sostanziale incomprensione del lavoro dell'artista - la- menta il fatto che «i materiali spesso poveri rendono un po' prossime alle ombre le più accattivanti invenzioni». Assai rapido è anche l'articolo redatto per «Amica» da Suzanne Merzek, che può semmai essere interessante per la vena vagamente femminista . Più ampi e informativamente precisi, benché per noi solo appena più interessanti delle altre recensioni citate, sono i testi di Al- berto Schiavo per «La Provincia del 28 marzo e di Adriano Antolini per «Il Giornale» dello stes- so giorno
Ben più puntuale la recensione di Rossana Bossaglia per il «Corriere della Sera Illustrato» del 29 marzo : in particolare, l'autrice individua nell'opera di Regina una grande consapevolezza storico- critica, che le consentì di mantenersi - rispetto all'arte del proprio tempo - «lontanissima da ogni naivéte», «in una posizione se si vuole sempre un poco defilata perché sommessa ma non mai isolata, e anzi inserita nei vari contesti con precisa e colta reattività storica e insieme con libera creatività». Inoltre, la Bossaglia individua nell opera di Regina una forte tangenza con quella «degli armoniosi inventori di equilibri instabili (si pensi a Melotti, ma anche a Munari e Veronesi)». Lusinghiera, infine, è l'anonima recensione comparsa su «la Repubblica» del 6-7 aprile , in cui - già in apertura - Regina è definita «una delle voci più appartate, ma insieme più schiette e originali della scultura italiana del Novecento», e in cui in particolare si sostiene acutamente, e con felice formula linguistica, che «Regina appartiene a quella razza di scultori che, verrebbe da dire, ancor prima che per lo spazio, pensano per il dominio dell'aria: genealogia che, in Italia, annovera alme- no altri due nomi, con i quali Regina ebbe più che una parentela: quello di Melotti e quello di Muna- ri». Di grande sensibilità anche il giudizio circa l utilizzo, da parte di Regina, del plexiglas, «un ma- teriale nuovo, ma come nessun altro creato per la sua scultura», che le consentì di «esprimere nel modo più compiuto l'anelito verso una scultura che viva nel segno della trasparenza» (il che, muta- tis mutandis e tenuto conto della tecnologia dell'epoca, potrebbe a mio avviso valere sostanzial- mente anche per i pezzi in metallo ritagliato degli anni Trenta, senza dimenticare che già in quel decennio Regina aveva sperimentato l'utilizzo della celluloide).
Nel mese di maggio inaugura a Bologna la mostra La Metafisica: gli Anni Venti, curata da Renato Barilli e Franco Solmi , in cui Regina è presente con tre opere . Apparentemente, l'inclusione di opere di Regina (ma anche di altri tre scultori futuristi come Mino Rosso, Thayaht e Di Bosso) risul- ta piuttosto incongrua in una rassegna il cui titolo allude alla Metafisica; tuttavia, in realtà l'obiettivo dei curatori Barilli e Solmi non è quello di soffermarsi sulla Metafisica in senso stretto - ovvero sul
«gruppo ristretto dei 'magnifici cinque' (De Chirico, Carrà, Morandi, De Pisis, Savinio)» -, bens , in senso molto più ampio, quello di verificare se, come ed eventualmente in che misura la Metafisica abbia potuto costituire «una specie di polo della ricerca», un «vettore capace di imprimere il suo passo su un gran numero di operazioni culturali , comprese quelle in cui non ci si aspetterebbe di rinvenire una sua influenza diretta o anche solo indiretta (ed è appunto il caso del Futurismo, a proposito del quale le parole di Barilli sono emblematiche . Secondo Barilli, in particolare, con- vergenze metafisiche si possono ad esempio riscontrare in certo decorativismo balliano o in certe «fughe mistiche» di Evola e Prampolini, e soprattutto nell'opera di Depero (le cui figure, per quanto meccanomorfe, sono comunque equivalenti a manichini o maschere) e di Dottori (la cui aeropittura è certamente più spiritualistica rispetto a quella di molti altri compagni di strada in seno al Futuri- smo, e si avvicina semmai a quella di Benedetta . Infine, «ricordati gli onesti ingranaggi dei Secon- do-Futuristi torinesi», Barilli ritiene utile accennare a un altro capitolo che il Futurismo Anni Venti sa svolgere con perizia, ma ancora una volta dimostrando un carattere recessivo: quello della scultura, dal forte Mino Rosso ai più limitati ma precisi e suadenti Di Bosso, Regina, Thayaht. Anche qui, mentite spoglie ae- rodinamiche, o appunto, «spoglie», questione di pelle, di carrozzeria, dato che d altra parte le figure, la loro funzione narrativa o aneddotica, la loro professione traspaiono benissimo, con buona caratterizzazione; e nello stesso tempo ricevono una definizione lucida, sintetica, pur senza bisogno di passare attraverso gli arcaismi [.]
In termini generali, l'ipotesi critica barilliana - su cui pure, naturalmente, si può discutere - è sicu- ramente proficua, e non solo per quanto riguarda Regina e il Futurismo; e in particolare, è indubbio che nel contesto di un dibattito critico reginiano essa è comunque assai interessante, poiché pone per la prima volta il problema di una lettura metafisica, o forse meglio parametafisica, almeno di al- cuni aspetti dell'arte di Regina. Soprattutto, mi pare che il suggerimento di Barilli sia da tenere in considerazione proprio in rapporto alla questione - posta soprattutto da Fossati, ma come detto già adombrata da molti altri - dell'autonomia di Regina in seno al Futurismo: in altre parole, cioè, questa possibile componente metafisica potrebbe essere - se non la sola - almeno una delle componenti di quel 'non so che' tipicamente reginiano che diversi esegeti hanno suggerito distin- guere l'opera della scultrice pavese da quella di futuristi di più stretta osservanza
Ad appena un mese dall'inaugurazione della mostra bolognese, a Torino apre i battenti la grande ed ormai celebre mostra Ricostruzione futurista dell'universo, curata da Enrico Crispolti
Sia la mostra che il curatore non hanno bisogno di presentazioni: Crispolti è probabilmente il mas- simo esperto mondiale del Secondo Futurismo, cui ha dedicato un'enorme quantità di studi a parti- re dal 1957 e sino ai nostri giorni (e anzi è proprio a lui che si deve la stessa definizione di «Se- condo Futurismo») ; quanto alla mostra, come è ben noto, essa si distingue per l'impostazione volutamente onnicomprensiva, che ha condotto ad accostare - all'insegna della globalità del pro- getto di Ricostruzione futurista dell universo - pezzi di pittura e scultura, progetti architettonici, scenografie e costumi, fotografia e cinematografia, natura artificiale', ambientazioni e allestimenti, pezzi di arredamento, abiti ed accessori, tavole parolibere, lavori di grafica e pubblicità, arte postale, e ancora riflessioni teoriche di critica, scienza, politica, polemologia e costume.
Nel catalogo della rassegna torinese, Regina trova spazio all'interno del paragrafo Immaginazione cosmica e aeropittura, a propria volta inserito nel quarto ed ultimo capitolo, dedicato agli svolgi- menti del Futurismo negli anni Trenta e significativamente intitolato - secondo una formula tipica- mente crispoltiana, che allude allo scemare della spinta utopico-tecnologica del Futurismo nel de- cennio in questione - La caduta avveniristica, la realtà sopravvenuta . Anche in virtù dell'autore- volezza del suo autore, conviene riportare quasi interamente la non lunghissima scheda critica, in- titolata Le sperimentazioni plastiche di Regina (si noti, peraltro, che nell'introduzione al citato para- grafo Crispolti aveva coerentemente precisato che «per Regina [.] la sollecitazione del Futurismo anni Trenta, ndr] si traduce in sperimentalismo di materiali meccanici, industriali»
Nella scultura del Secondo Futurismo Regina (Bracchi) introduce una radicale critica al di- namismo plastico inteso ancora come densità di materia, corporeità ineludibile, seppure di- namicamente implicata (come è caso tipico della vicenda di Mino Rosso, fra il suo momento
«meccanico , archipenkiano, il recupero boccioniano, e poi l articolazione attenta a svolgi- menti di Zadkine e di Lipchitz, in un percorso dunque di fedeltà plastica). Regina non s'accon- tenta quindi di usare materie nuove (legno, trattato in modo nuovo, «industriale», come un mobile, alluminio, ecc., come lo stesso Mino Rosso, per esempio, ancora), ma riduce la con- sistenza dell'immagine, del corpo plastico a pura parvenza di profili ritagliati nel metallo (il più delle volte), o composti in soluzioni polimateriche, in modi che, se hanno fatto - naturalmente
- citare Gargallo [.], se ne discostano tuttavia nell'ideologia dell'effimero e di una certa sce- nicità, e se mai possono riportarci verso quella radicale messa in crisi della scultura come en- tità plastica che andava compiendo Lucio Fontana nella prima metà degli anni Trenta. L'effi- mero appunto è portato da Regina al suo estremo, e l'immagine acquista, nella contestualità di un metallo fresco e artificiale» come l'alluminio, una sua matrice d'immaginazione inevita- bilmente meccanica, malgrado poi l'intervento del taglio lasci trasparire anche l'intenzione di una sua corsività, piuttosto manuale che macchinistica. Da oggetto plastico la scultura divie- ne allora per Regina oggetto corrente
L'aspetto a mio avviso più significativo della lettura di Crispolti è l'attribuzione di un carattere so- stanzialmente antiboccioniano alla scultura di Regina, che a suo avviso rifugge volutamente dalla potente plasticità «simultanea» delle figure di Boccioni (che sono invece ancora il riferimento im- mediato di Mino Rosso) per riflettere semmai su altre problematiche, tra cui però - interpretando ciò che scrive Crispolti - il nocciolo della questione non pare tanto quello della 'leggerezza', quan- to piuttosto quello più ampio (che la dimensione della 'leggerezza' la ingloba) della radicale mes- sa in crisi della scultura come entità plastica», ovvero della ricerca intorno alle possibilità dell'anti- scultoreo; e in tal senso è interessantissimo anche l'accostamento alle coeve opere di Fontana, ovvero a sculture che appunto - pur non essendo necessariamente 'leggere' come quelle di Regi- na o di Munari (si pensi ai rilievi fontaniani in cemento) - sono nondimeno altrettanto contestatarie delle formule più tradizionali, e vorrei dire del concetto stesso, di scultura'. Curiosamente, invece, nella stessa pagina della scheda su Regina, Crispolti non fa cenno di questa tendenza antisculto- rea nell'opera di Thayaht, di cui pure cita due opere dichiaratamente laminari (e dunque necessa- riamente antitradizionali) come La Vittoria dell aria e La Liberazione dalla terra: evidentemente, a suo avviso esse si possono più semplicemente rubricare nel «momento dell''aeroscultura', dei 'piani atmosferici' come li chiamava Marinetti presentandolo nel catalogo della Mostra Futurista a Firenze nel febbraio 19 1
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