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Regina negli anni Trenta: in Italia, in Lombardia, in Lomellina (1981-1983)
Sempre nel 1981, Luciano Caramel e Giovanni Anzani dedicano un discreto spazio a Regina nel loro studio sulla Scultura moderna in Lombardia (1900-1950 Il volume si pone l'obiettivo di sug- gerire un percorso nella storia della scultura in ambito lombardo da Medardo Rosso al secondo dopoguerra, attraversando il Tardoverismo e il Liberty, il «momento dell'avanguardia» e il ritorno all'ordine, l arcaismo e il classicismo, l'astrattismo e la crisi dell'arte plastica emblematicamente rappresentata da La scultura lingua morta di Arturo Martini. Tuttavia, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, l'opera reginiana degli anni Trenta - così come pure quella munariana coeva - non è esaminata all'interno del capitolo riservato al «momento dell'avanguardia» (in cui si parla so- lo del 'primo' Futurismo, e precisamente di Boccioni e del gruppo 'parafuturista' di Nuove Tendenze), bensì in quello intitolato Gli astratti. Perché avviene questo? Lo precisa Caramel - che re- dige l'intero capitolo - proprio in esordio
Il particolare angolo visuale qui adottato - Milano, la Lombardia - ci ha costretto a trascurare, in quanto svoltisi di fatto altrove, quegli aspetti della cultura artistica italiana nella sostanza ri- conducibili agli sviluppi del futurismo che non vanno però persi di vista se non si vuol cadere in schemi unilaterali. Le arti visive del tempo tra la prima guerra mondiale e gli iniziali anni Trenta non si esauriscono, infatti, nella Metafisica, in «Valori Plastici» o nel Novecento. In opposizione, ed anche in dialettica (e talora con interferenze) col vincente riflusso, i futuristi della seconda generazione (ma con essi anche alcuni protagonisti del primo momento, come Balla e gli stessi Depero e Prampolini) tennero desta la sensibilità per il nuovo, per la ricerca, per l'internazionalismo. [.]
Ed è appunto anche da questo clima che bisogna prender le mosse per comprendere i nostri primi «astratti», che non sorsero dal nulla, ma anzi si nutrirono tra l'altro di quanto di più a- vanzato s'era svolto in Italia negli anni immediatamente precedenti: quindi anche delle espe- rienze del cosiddetto secondo futurismo, le relazioni con il quale, oltre tutto, sono talvolta e- splicite e controllabili; e se quest'ultima notazione è principalmente un riferimento a Munari, nelle righe seguenti Caramel precisa che in rapporto con lo sperimentalismo futurista vanno posti anche Veronesi e lo stesso Fontana (mentre per il momento nulla si dice a proposito di Regina). Più avanti, invece, nel para- grafo specificamente dedicato a Galli, Munari e Regina (la quale ultima è dunque accostata non solo al futurista/astrattista Munari, ma anche ad un astrattista 'puro' come Aldo Galli), l'autore è ancora più esplicito nell esporre - all'interno di un più ampio e lusinghiero inquadramento dell'ope- ra reginiana - le motivazioni che lo hanno spinto ad inserire la scultrice pavese nel capitolo dedica- to agli episodi dell'astrattismo Con Munari firma nel 19 4 il «Manifesto tecnico dell'aeroplastica futurista» la scultrice Regina [.], che è personaggio di rilevante interesse e ancora in gran parte da studiare, nonostante i recenti utili contributi di Vanni Scheiwiller e di Marisa Vescovo. Partita da una figurazione tra- dizionale ma non priva di scioltezza e insieme di organica strutturazione dell'immagine Auto- ritratto, 192 ), abbraccia presto una disinvoltura del tutto insolita nel panorama della nostra scultura del tempo, con esiti d'avanguardia che ne consigliano l'inclusione in questo capitolo, anche se all'astrazione (cui si dedicherà esclusivamente nel dopoguerra) essa si avvicina so- lo, ed episodicamente, nel 1938 con Torre, mentre la sua attività è allora nel complesso gra- vitante nell'orbita marinettiana.
Regina accantona marmo e bronzo, scalpelli e stecche e ritaglia con leggerezza e ironia la- miere di latta o di alluminio, da cui ricava personaggi quant'altri mai antiplastici (ed antiretori- ci, e, verrebbe da dire, «antiscultorei»): la Bambina del 930, sagoma esilissima appunto ot- tenuta ritagliando della latta, come L'Accademico, ritratto, dello stesso anno, di Marinetti; la Spiaggia, pure del 930; il sorprendente Il poeta e la natura, del 1932 [.]. E ancora il note- volissimo Polenta e pesci, del 933, come L albero felice, entrambi purtroppo distrutti dall'au- trice ed entrambi coraggiosamente polimaterici» [ ]. Con un anticonformismo che si sposa ad una fantasia autonoma e con risultati non di rado di alta qualit : come soprattutto, ci sem- bra, nel Paese del cieco, del 1 35, sottilmente poetico e d'una profetica innovatività linguisti- ca.
Anche Caramel, come Crispolti, non ha bisogno di presentazioni; al fine di contestualizzare meglio la sua interpretazione del percorso reginiano, vale solo la pena di ricordare i suoi numerosi studi dedicati all'astrattismo milanese e comasco degli anni Trenta , nonché i molti contributi sulla scultura tra Ottocento e Novecento443 e i pochi, ma significativi, saggi dedicati ad esponenti del Futurismo . Questa è la prima occasione in cui si occupa dell'opera di Regina, su cui però poi - nel corso degli anni - tornerà più volte, divenendo anzi uno dei principali conoscitori dell'opera della scultrice. Già in questa sua prima e pur stringata analisi si colgono comunque alcuni dei temi fon- damentali su cui si soffermerà anche negli anni seguenti: innanzitutto la tangenza di Regina (più intuita che non dimostrata) con gli artisti del gruppo degli astrattisti milanesi-comaschi, e poi natu- ralmente il carattere antiplastico ed antiscultoreo delle sue opere. È anche da notare come a que- sta data Caramel - a differenza di Belloli, come abbiamo visto - non consideri propriamente legit- timo qualificare Regina come astrattista già negli anni Trenta, anche se poi le contingenze legate all'organizzazione del discorso lo conducono a collocarla non solo accanto all altrettanto ex- futurista Munari, ma anche a Galli e allo stesso duo Fontana-Melotti (cui è dedicato il paragrafo precedente .
L'anno seguente, tre opere di Regina L'amante dell'aviatore, Donne abissine e la Torre) sono e- sposte alla grande mostra milanese dedicata agli anni Trenta nella sezione - curata da Crispolti
- dedicata agli Svolgimenti del Futurismo , in cui compaiono pezzi di tutti i principali protagonisti (e direi anche di qualche comprimario) del tardo Futurismo447. Anche questa è una mostra arcinota , sebbene la critica non sia sempre stata benevola, per lo più a causa di fraintendimenti politici tipici dei tempi (per cui essa fu da alcuni sospettata addirittura di apologia del fascismo, per il solo fatto di occuparsi largamente di un decennio segnato dalla dittatura non solo politica ma anche cul- turale del regime). Curata da un comitato di coordinamento scientifico di cui fanno parte Renato Barilli (che si occupa anche dell'organizzazione generale ed ha dunque un ruolo preminente), Fla- vio Caroli, Vittorio Fagone, Mercedes Garberi e Augusto Morello, la rassegna conta poi sul contri- buto di molti dei più importanti esperti di settore, tra cui appunto Crispolti per il Secondo Futurismo; obiettivo primario dell'esposizione - spiega Barilli nella sua nota introduttiva - è quello di «tutela- re la polifonia di un decennio» ricostruendone l'intero spettro, pur nella consapevolezza di non poter bloccare artificialmente il fluire del tempo e le dinamiche della cultura frazionando rigidamen- te in decenni il continuum dell'arte.
Del Secondo Futurismo, come abbiamo detto, si occupa Crispolti. Dato il carattere onnicomprensi- vo dell'indagine, l'autore non ha modo di soffermarsi sui casi singoli, e propone piuttosto una larga panoramica su alcune questioni strutturali che caratterizzano il Futurismo in questi anni Trenta ; per quanto concerne Regina, dunque, troviamo una sola indicazione significativa, inserita quale in- ciso in un paragrafo che intende ricostruire i rapporti «verticali» tra il Futurismo anni Trenta e quel- lo delle origini
E così, in pittura e scultura, un nesso con il dinamismo plastico boccioniano certo si coglie esplicito in alcuni passaggi di Mino Rosso (intorno al 193 - 1), ed almeno implicito in alcune proposizioni di Crali, Di Bosso, Ambrosi, Delle Site, Peschi, per esempio. [.] Ma certo le soluzioni di Thayaht o di Regina, e soprattutto di quest'ultima, inducono la scultura in una declinazione di strutture lamellari metalliche, la semplicità delle quali è lontanissima dalle conge- stioni espressioniste del dinamismo plastico boccioniano.
Regina, dunque, viene accostata a Thayaht - ma rispetto a questi considerata comunque più ol- tranzista e conseguente - quale interprete di una radicale contestazione dell'ortodosso verbo scul- toreo futurista (ossia quello boccioniano), rispetto al quale anzi la sua opera si pone come una possibilità alternativa, ma non per questo meno 'futurista'. Crispolti, cioè, sembra qui suggerire - pur non esplicitando affatto la cosa - che nella scultura futurista sono presenti sostanzialmente due diverse linee progettuali, una tendente comunque alla potenza plastica (e, in ultima analisi, di- rei al 'monumento') ed una che invece punta alla smaterializzazione dei volumi (e questa duplicità è a mio avviso un punto nodale della questione posta dalla 'scultura futurista'
Nel febbraio del 1983, molte opere di Regina sono esposte alla mostra Futurismo e Futurismo pa- vese, curata da Rossana Bossaglia e Susanna Zatti ed allestita presso il Castello Visconteo di Pa- via . Come è ovvio sin dal titolo, la mostra si pone innanzitutto l'obiettivo di riscoprire l'opera di maestri locali che hanno saputo distinguersi in ambiti ben più ampi di quello strettamente pavese, contestualizzandone il lavoro anche all'interno del sistema organizzativo del movimento marinet- tiano; inoltre, è evidente che una mostra di questa tipologia non può che porsi anche il problema dell'esistenza o meno di una peculiare identità di questo 'Futurismo pavese' in cui è inclusa anche Regina.
A tali questioni cerca di rispondere, nel suo saggio in catalogo, Rossana Bossaglia , che dunque cerca innanzitutto di evidenziare le caratteristiche organizzativo-strutturali che hanno reso possibile la penetrazione del Futurismo anche in una città di provincia come Pavia, individuando in particola- re - quali elementi decisivi in tal senso - da una parte l'intrinseca 'provocatorietà' del movimento, e dall'altra la sua vocazione minoritaria Poi, fatto questo, la Bossaglia rende ragione della scelta degli artisti e del periodo preso in considerazione, sottolineando due questioni che per noi sono molto importanti: innanzitutto precisa che «un Futurismo pavese, come tale, si sviluppò soltanto fra il 1916 e il 924 [.] se vogliamo prescindere dall'effimera riformulazione del gruppo nel 1932 , e poi sottolinea come «Pino Masnata [.], Regina Bracchi [. , Barbara .] hanno seguito strade di- verse e autonome, solo in qualche caso a intermittenza intrecciate», per cui «non è dunque legitti- mo ricercare tra questi artisti caratteri comuni se non nel comune ricorso a determinati modelli». La Bossaglia, dunque, è molto chiara: Regina è partecipe di questa mostra sul 'Futurismo pavese' perché «si è voluto offrire testimonianza comune di tutti quelli che, nati a Pavia o nel suo territorio, abbiano dato un apporto alle vicende del Futurismo», e non perché con altri futuristi pavesi abbia costituito un gruppo (che anzi di fatto non esisteva neppure più nel momento in cui Regina aderisce al movimento)457.
La mostra pavese viene recensita sul «Corriere della Sera» del 13 marzo da Fiorella Minervino , in un articolo molto ben costruito che innanzitutto affronta la questione dei pregiudizi politici che il Futurismo ha dovuto scontare, e in seguito esamina la questione del 'Futurismo di provincia' (con particolare attenzione, ovviamente, agli svolgimenti pavesi); su Regina, tuttavia, le indicazioni sono laconiche, poiché l'autrice - che pure, dal tono che utilizza, sembra sicuramente apprezzare l'ope- ra reginiana - si limita a citare en passant le sue «sculture in lamiera, così ariose e fresche d'iro- nia».
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