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L'Oriente e L'Occidente Ieri




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L'Oriente e L'Occidente Ieri


LETTERATURA GRECA: "L'Ellenismo"

QUADRO STORICO

L'età ellenistica si fa convenzionalmente iniziare con il 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno e terminare con la conquista romana dell'Egitto (battaglia di Azio del 31 a.C.). L'evento cruciale è la crisi della polis, che non fu affatto improvvisa. L'esasperazione dei cittadini nei confronti delle interminabili guerre tra le città portò alla convinzione che la pace e l'unità potessero essere raggiunte solo attraverso l'intervento di un principe straniero. Così Filippo II di Macedonia riuscì ad entrare nelle discordie tra i greci e ad imporre la sua talassocrazia. Con le imprese di Alessandro, che seguì Filippo, cessarono tutte le libertà delle polis greche. I successi del principe macedone furono visti però come il coronamento di un sogno: la grande vittoria della Grecia unita contro il popolo persiano.

Dopo la morte di Alessandro, ci fu un'accesa lotta fra i suoi successori, i Diadochi. Nel 323 a.C. il generale Perdicca regge l'Impero in nome del figlio di Alessandro; Antipatro ottiene il controllo della Macedonia e della Grecia, mentre Antigono controlla la Frigia e la Lidia, Tolomeo l'Egitto e Lisimaco la Tracia.


Ma dopo la morte di Antipatro (319 a.C.) e l'assassinio dei familiari di Alessandro, cominciano le dispute; infatti Antigono condanna a morte Eumene e mira a diventare unico signore ma gli altri non vogliono lasciare i loro domini, si arriva così alla Guerra dei Diadochi (315 a.C.-301 a.C.). La Battaglia di Ipso decreta la sconfitta di Antigono e la creazione di quattro regni:, alla fine della quale, nel 281 a.C., il suo enorme impero fu smembrato in tre grandi regni:


la Dinastia tolemaica in Egitto

la Dinastia seleucide in Siria, Mesopotamia e Persia

la Dinastia antigonide in Macedonia e Grecia.


Solamente verso la metà del III secolo a.C. sorse il regno di Pergamo sotto la dinastia degli Attalidi. In questo periodo, durato circa un secolo, fino all'inizio della conquista del mondo mediterraneo ed orientale da parte degli eserciti romani, la civiltà ellenistica raggiunse il massimo sviluppo.


LA CRISI DELLA POLIS

L'età ellenistica è caratterizzata da alcuni importanti fattori che trasformarono, anche in modo sostanziale, la cultura, l'economia, la società e le istituzioni politiche greche.


Se si immagina l'importanza che aveva assunto la polis all'interno della società e della storia greca, è facile anche immaginare quale profondo sconvolgimento la crisi delle città apportò a tutta la cultura ellenica. Tutto era stato definito in funzione della polis: l'economia, la struttura sociale, la libertà, la cultura, la religione, i valori morali, persino il rapporto fra gli individui con il mondo stesso. La polis cessa di essere un universo piccolo ma compiuto e autosufficiente.


Politicamente la conseguenza più importante della rivoluzione alessandrina fu il cambiamento da un dominio politico della città-stato a quello delle grandi monarchie, fortemente accentrate intorno alla figura divinizzata del sovrano.


CULTURA ELLENISTICA

La cultura 'ellenica', propria dell'etnia greca, venendo a contatto con le tradizioni e le credenze delle varie etnie, parlanti il greco derivato dalla lingua attica semplificata conosciuta come koinè (κοινή γλωσσα), vale a dire la lingua comune o panellenica, divenne cultura 'ellenistica'.


Dato l'ampliamento del territorio geografico, la cultura intera subì una diffusione generale e una fioritura dei centri di cultura, anche se il prestigio straordinario di Atene non cessò in breve tempo. Continuò ad essere il centro della vita filosofica: il Liceo retto da Teofrasto e l'Accademia continuarono a svolgervi la propria attività; successivamente, nel IV secolo vi fissarono le proprie sedi le due più importanti scuole ellenistiche, quella epicurea e quella stoica.


Nacquero così nuovi centri di cultura quali Rodi, Pergamo e soprattutto Alessandria, con la fondazione della Biblioteca e del Museo, da parte dei Tolomei.


Le trasformazioni socio-politiche dell'età post-alessandrina ebbero notevoli ripercussioni sulla vita culturale ellenistica. Al declino della 'polis' non fece da contraltare la nascita di organismi politici capaci di creare nuovi ideali: la trasformazione dei cittadini in sudditi, la coesistenza di genti diverse e l'impossibilità alla partecipazione attiva al governo dello stato furono i fattori determinati di importanti mutamenti nella coscienza individuale e, di riflesso, nella vita culturale. Si diffuse infatti da un lato una tendenza sempre maggiore alla scoperta dell'individuo ed alla separazione tra etica e politica; dall'altro si attenuò la diffidenza nei confronti della diversità etnica e culturale, che favorì la diffusione dell'ideale cosmopolitico, dissolvendo l'antica equazione tra uomo e cittadino.


LETTERATURA

Nell'età ellenistica vi fu una vasta e raffinata produzione letteraria. Esempi del nuovo gusto ellenistico possono essere trovati nelle opere di Callimaco, Teocrito e Apollonio Rodio. In questo periodo alla decadenza dell'oratoria e della commedia di argomento politico fece raffronto l'affermazione della retorica e della commedia di costume. Un grande sviluppo conobbe la poesia d'occasione, con una spiccata preferenza a componimenti brevi ed eleganti, quali inni, epigrammi ed elegie, nei quali primeggiavano temi quotidiani e dimensioni pastorali e rustiche, come negli Idilli di Teocrito. Nacque infine il romanzo greco, ricco di avventure, elementi fantastici e storie d'amore. Le imprese di Alessandro offrirono molti spunti per una vasta letteratura storiografica, spesso al limite del romanzesco o addirittura del falso storico; sempre nel campo della storiografia si afferma comunque anche una tendenza che aspira a restituire alla medesima il carattere di massima verità possibile, richiamandosi, anche implicitamente, a Tucidide, e che vede Polibio come suo massimo rappresentante. Stimolata dalla nascita di poli culturali, principalmente Alessandria e Pergamo, dalle scuole di grammatica che fornivano studiosi e strumenti di lavoro, dalla nascita della filologia la letteratura ellenistica poté essere esportata ed assimilata da altre culture.


FILOLOGIA

Come detto è con l'ellenismo che si vede la nascita della filologia. Essa è una diretta conseguenza del rapido scemare della cultura orale, e della sempre più imponente funzione del libro. È solo con la nascita delle grandi biblioteche alessandrine che ebbe inizio la ricerca dei testi originali, o per lo meno dei testi nell'ultima versione che l'autore volle (edizione critica). Nell'antichità l'unico luogo dove fosse possibile trovare due edizioni diverse dello stesso testo è appunto la biblioteca, e per cominciare uno studio comparativo sistematico dei testi è necessario avere parecchie edizioni diverse di parecchie opere. I custodi delle biblioteche alessandrine si trovarono davanti testi di opere uguali che differivano per alcuni brani. Questo spinse la cultura a chiedersi quale fosse l'opera originale, cosa cioè avesse scritto o voluto in realtà l'autore.


La produzione sempre maggiore in forma scritta conduce ad una inevitabile disgiunzione spaziale tra autore e lettore, per la quale sparisce quel rapporto empatico continuo con il pubblico che invece caratterizzava l'esposizione di aedi, rapsodi e sostanzialmente il poeta arcaico e classico. In questo ambiente culturale nasce quindi anche la figura del poeta filologo (primo fra tutti Callimaco), che grazie ad uno studio scientifico ed accurato degli autori, ne conosce in profondità stile e tecniche, oltre che conoscere con estrema precisione forma e contenuti dei generi letterari. Paradossalmente come poeta invece questa figura solitamente si dà ad uno sperimentalismo estremo, trasgredendo o stravolgendo quelle regole che conosce a menadito. In seguito a questa abitudine dei poeti alessandrini vi è una conseguente trasformazione dei generi tradizionali: si applica la πολυὲιδεια, (la commistione di generi), essendo la poesia ormai svincolata dall'occasione, e la ποικῖλία, (la contaminazione di generi, in latino contaminatio).


Assieme alla trasformazione di genere, è evidente una parallela di pubblico: il target della poesia non è più vasto e espanso come prima, bensì ristretto ed elitario. Ciò è confermato dalla sempre maggiore raffinatezza dello stile, che non avrebbe permesso ai lettori meno esperti la comprensione del testo. Tipica dei poeti ellenistici (e di quelli posteriori che seguiranno tale scuola di pensiero) è l'erudizione e l'ostentazione di questa. Erudizione che non spazia solo nella letteratura, ma comprende anche ambiti scientifico-sociologici e mitologici. L'esposizione di doctrinas (per dirla alla latina) è lo strumento di questi poeti per ridurre il pubblico a lettori colti e contemporaneamente per dimostrare la propria capacità di fare letteratura alta, anzi altissima, con temi che non sembrerebbero per nulla adatti.







Menandro

Fu il demo ateniese di Cefisia a vedere, nel 342/1 a. C., la nascita di Menandro.

Di origine nobile, frequentò gli ambienti dei filosofi: fu compagno di efebia di Epicuro e, probabilmente, allievo di Teofrasto. Fu inoltre amico di Demetrio Falereo, filosofo e allievo di Teofrasto, che, dal 317 al 307, per volere di Cassandro, sarà anche governatore di Atene sotto il protettorato macedone. Nel 322 scrisse l'Orgé; nel decennio seguente si affermò definitivamente come commediografo. Sebbene autore di poco più di cento commedie (l'esatto numero non ci è pervenuto), ebbe poca fortuna in vita: vinse, infatti, solo otto volte gli agoni comici.


Cacciato il Falereo, riuscì ad evitare di essere processato grazie all'intercessione di un parente di Demetrio Poliorcete, nuovo signore di Atene.

Venne invitato presso la corte di Alessandria da Tolomeo Sotere, ma decise di rimanere nella sua città natale, dove morì nel 292, mentre nuotava nelle acque del Pireo.



LA COMICITA' DI MENANDRO

Menandro è comico molto sottile: non genera momenti di pura ilarità, ma sorrisi, tramite un senso del comico che coinvolge lo spettatore. Il senso del comico mette in risalto i caratteri veri dell'individuo e non è usato necessariamente per prendere in giro il personaggio in questione. Questa caratteristica fondamentale del teatro Menandreo è ricordata da Aristotele nella sua Poetica. Il filosofo afferma che la commedia - a differenza della tragedia, con cui condivide il senso della μίμησις - culmina non nella κάθαρσις, bensì nel ridicolo (γελοῖον,).       Il ridicolo che non ride delle disgrazie altrui, ma solo di una certa tipologia di persone che - in un modo o nell'altro - se la meritano. Chi viene messo alla berlina non è certo il servo Davo, l'etera Criside (Σαμία) o il ricco Sostrato (Δύσκολος), i quali sono i modelli positivi delle vicende, ma l'avaro, il misantropo e l'iroso, i cui comportamenti deplorevoli vengono in qualche modo 'esorcizzati' attraverso la funzione apotropaica ed etica del riso. In qualche modo, tutto si potrebbe semplificare con 'non comportarti come lui, o ti ricoprirai di ridicolo'.



STRUTTURA CONFUSA DEGLI EVENTI 

All'interno della vicenda vi sono molti intrecci, causati molto spesso da incomprensioni. L'esempio più notevole è dato dalla Samia, in cui il figlio di Moschione viene attribuito - da parte di madre - all'etera Criside, che conduce inevitabilmente alla cacciata della donna dalla casa del proprio innamorato. Tale struttura confusa richiama un altro concetto fondamentale: quello della Τύχη. Nelle vicende delle commedie, non vi è un ordine razionale delle cose, perché tutto è dettato dal caso. Ogni tentativo per risolvere le difficoltà e sciogliere l'intreccio è destinato a fallire o a non avere alcun riscontro, perché il Caso o crea ulteriore confusione - una parola che viene equivocata dal pensiero umano che è facilmente fallace - o scioglie la vicenda in un modo che nessuno si era aspettato: la caduta in un pozzo (Δύσκολος) o il ritorno inaspettato di un individuo creduto morto (Ἀσπίς). Non è una coincidenza, quindi, che sempre nell'Aspís è la Sorte stessa a rivelare il lieto risvolto della vicenda. Il concetto di Τύχη non è quindi negativo, perché ogni commedia ha un lieto fine, né tende a screditare la ragione umana. Menandro vuole solo far intendere che nella realtà non c'è nulla di certo, che anche nelle vicende più comuni può accadere di tutto: perciò, più che indagare il trascendente o esercitare l'ingegno in eventi più grandi di lui, si dovrebbe tendere ad esaminare l'uomo e la sua natura (e ciò coincide non solo con il pensiero ellenistico, ma anche con quello sofistico, che proliferava in quegli anni).


INDAGINE PSICOLOGICA

Menandro rappresenta nelle commedie un uomo autentico e comune, con i suoi pregi e difetti. Questi ultimi vengono (come abbiamo già avuto modo di dire) amplificati. Il commediografo sperimenta la reazione di questi caratteri e di questi uomini a diverse situazioni, mostrandoci come un individuo di quel genere avrebbe provato e vissuto quell'evento. Tuttavia, l'indagine non è completa, poiché gran parte delle vicende sono avulse da una serenità generale, in cui il sentimento più forte è la tristezza per la morte di un caro, per cui mancano quei grandi sentimenti che sconvolgono l'uomo.



Callimaco


Figlio di Batto e Mesatma, Callimaco veniva da una famiglia che poteva vantare una discendenza dal fondatore della città. Trascorsi i primi anni nella terra natia, Cirene, fu costretto a recarsi in Egitto, ad Alessandria, dove fu prima allievo di Ermocrate di Iaso, per poi assumere l'incarico di maestro di scuola. Successivamente ad Atene fu discepolo del peripatetico Prassifane di Mitilene.

Incominciò a frequentare la corte di Tolomeo II Filadelfo, dove gli fu conferito il delicato compito di catalogare i testi della Biblioteca di Alessandria, fondata dallo stesso re. Da questa esperienza nacquero i Pinakes (o Tavole) della storia letteraria dei Greci: si tratta di una bibliografia a carattere enciclopedico di tutti gli scrittori in lingua greca, suddivisa, a seconda del genere. Gli autori erano qui catalogati in ordine alfabetico; ogni nome era accompagnato da una sintetica biografia, seguita dai titoli delle opere, corredati dall'incipit di ciascun testo. L'opera avrebbe dovuto vantare 120 volumi ed era certamente un testo imponente. Successivamente entrò nelle grazie di Tolomeo III Evergete, poiché la moglie Berenice II era concittadina di Callimaco. Da poeta di corte esaltò con carmi encomiastici entrambi.




OPERE

Scrisse moltissimo sia in versi sia in prosa: secondo la tradizione avrebbe scritto 800 libri, tra cui i citati Pinakes e una serie di opere di erudizione sui più disparati argomenti, dalla storia alla geografia e alle παραδοξογραφια, (testi sulle cose meravigliose). Per ciò che concerne i carmi, vanno ricordati quattro libri di elegie intitolati Αἰτία, (Origini o Cause), tredici Giambi, sessantatré Epigrammi (confluiti nella cosiddetta Antologia Palatina), sei Inni, Carmi lirici (Festa notturna, Apoteosi di Arsinoe, Branco), l'Ecàle e un epillio.

Dell'opera callimachea più rappresentativa, gli Aitia, possediamo circa duecento frammenti. È una silloge di elegie a carattere eziologico, nelle quali l'autore ricerca l'origine di miti, cerimonie e costumi. Callimaco, contrario al poema ciclico (o meglio, rifiuta i sordidi imitatori di Omero a lui contemporanei), utilizza miti nuovi e temi semplici in componimenti non lunghi, ma artisticamente elaborati. Egli è poeta dotto, che scrive per una cerchia limitata di persone colte.

STILE

Amante della ricerca erudita e del labor limae, influenzò la poesia ellenistica e quella romana. Senza di lui, infatti, non sarebbero nati carmi di Catullo, di Virgilio, di Tibullo, di Properzio. Callimaco si eleva tra i contemporanei per l'efficace brevità e concisione dei suoi carmi nonché per la levigatezza formale. Pratica con sistematicità la πολυὲιδεια, (la commistione di generi) e la ποικῖλία, (la contaminazione di generi, in latino contaminatio). Nel giambo XII afferma, per esempio, che non esiste nulla che obblighi il poeta a seguire un solo genere letterario. D'altra parte spesso sente la necessità di giustificarsi per le sue scelte e per la sua metaletteratura perché consapevole di essere incredibilmente sperimentale e innovatore.


Contrario alla concezione platonica dell'arte, propone una poesia non didascalica, ma piuttosto orientata al diletto; è arguta, ironica, elegante, con uno stile vivace, conciso ed espressivo. Non manca una certa prolissità, propria dell'epica antica, né infrequente è il ricorso a giochi di parole, neologismi ed etimologie.



Teocrito

Nell'idillio XXVIII Teocrito stesso ci informa di essere nato a Siracusa e uno scolio all'idillio IV afferma che l'acme del poeta (cioè il raggiungimento dei 40 anni) avvenne nella CXXIV Olimpiade, vale a dire fra il 284 a.C. e il 281 a.C.

Dunque, Teocrito nacque a Siracusa fra il 324 a.C. e il 321 a.C.

Trascorse verosimilmente l'infanzia e l'adolescenza nella città natale, dove cercò di entrare a far parte della corte del tiranno Ierone, come sarebbe testimoniato dall'idillio XVI in cui il poeta fa le lodi, appunto, di Ierone (probabilmente per ingraziarsene i favori).

Fallito il tentativo in patria, si mise in viaggio e si stabilì dapprima a Cos, dove entrò in contatto con Filita e Nicia e in seguito ad Alessandria dove trovò finalmente un mecenate in Tolomeo Filadelfo.

Da alcuni riferimenti contenuti nell'idillio XVII si ricava che il soggiorno egiziano di Teocrito dovette avvenire fra il 274 a.C. e il 270 a.C.

Ad Alessandria, in quel momento, esisteva un vivace dibattito letterario, animato dal poeta Callimaco, che vedeva due schieramenti contrapposti: da un lato i sostenitori del poema tradizionale di tipo omerico e, dall'altro, i fautori di un nuovo modo di concepire la letteratura e il fare poetico, che fosse caratterizzato dalla brevità dei componimenti, dall'erudizione e dalla cura formale.

Nella disputa, Teocrito prese certamente le difese del secondo gruppo, come è dato capire, non solo dalle sue poesie, ma soprattutto dall'idillio VII, le Talisie, in cui Teocrito fa una precisa dichiarazione di poetica in tal senso.

Poche notizie abbiamo sull'ultima fase di vita del poeta e gli studiosi non sono concordi.

Probabilmente viaggiò ancora, forse per fare ritorno in patria o forse per stabilirsi nuovamente a Cos. Non conosciamo né la data né il luogo della morte, anche se si pensa che la morte vada collocata prima del 250 a.C.


 OPERE

Il lessico Suda attribuisce a Teocrito una serie consistente di opere e, più precisamente: i poemetti Figlie di Proitos, Speranze ed Eroine, inoltre inni, epicedi, carmi melici, elegie, giambi ed epigrammi.

Di questa vasta produzione oggi si sono conservati: 30 carmi (noti anche col termine idilli), una ventina di epigrammi, un carme figurato (la Zampogna), cinque esametri di un'opera perduta intitolata Berenice (probabilmente un carme in onore della madre di Tolomeo Filadelfo).

La parte più consistente e che certamente raggiunge i più alti risultati artistici è la serie degli idilli.


IDILLI 

Gli Idilli sono una raccolta di 30 componimenti in esametri, di cui 21 sicuramente autentici in dialetto dorico e di breve estensione.

Il contenuto è vario: un gruppo è di argomento bucolico, genere di cui Teocrito era ritenuto l'inventore; un altro è costituito dai cosiddetti mimi, cioè scene e dialoghi di vita quotidiana; altri sono di argomento mitologico (epilli); altri infine contengono spunti ed accenni personali.


LE TALISIE E L'INVESTITURA POETICA

Particolare importanza riveste l'idillio chiamato Talisie nel quale avviene l'investitura poetica dell'autore. Un gruppo di amici tra cui Simichida (dietro il quale si nasconde la persona di Teocrito) si sta recando in città sull isola di Cos per prendere parte alla festa delle Talisie. Durante il tragitto vengono avvicinati da un pastore-cantore di nome Licida (personaggio che viene solitamente individuato come un caposcuola a noi non noto di Cos). Dopo un agone poetico nel quale Simichida canta un elogio dell'amore efebico mentre invece Licida canta il mondo pastorale, quest'ultimo cede il proprio bastone a Simichida; dietro a questo atto si nasconde l'investitura poetica di Teocrito.


 STILE

Teocrito è considerato il meno artificioso e il più spontaneo dei poeti ellenistici. Certo c'è in lui un sentimento più vero e immediato, un amore più genuino per la vita agreste, ma questa spontaneità è a volte solo un'impressione, dovuta alla brevità e leggerezza delle poesie, alla scelta dagli argomenti, alla rappresentazione di un mondo cittadino o borghese, della vita quotidiana vista con realismo, dei sentimenti analizzati soprattutto nelle sfumature, nelle pene e tristezze d'amore. Teocrito è in realtà un poeta dotto e il suo amore per la natura è più riflesso che spontaneo, cioè è nostalgia di un mondo ormai soffocato dalla vita convulsa della città, è un mondo di pastori che ad un tratto abbandonano il linguaggio rozzo e parlano con finezze e citazioni dotte. Tuttavia le descrizioni vaste e serene, il realismo, la vivacità dei caratteri umani, il buon gusto, la raffinatezza e il senso della misura nell'idealizzazione della natura salvano Teocrito dal manierismo e ne fanno un poeta vero. La fortuna di Teocrito fu immensa; Virgilio s'ispirò a lui. Ma troppo spesso gli imitatori caddero nella falsità (come l'Arcadia settecentesca) creando un mondo di damerini travestiti da pastori.








Apollonio Rodio

Figlio di Sileo (o Illeo) e di Rode, compì i suoi studi ad Alessandria e fu discepolo di Callimaco e compagno di studi di Eratostene.

All'età di circa 30 anni fu nominato bibliotecario della Biblioteca di Alessandria dal re Tolomeo II Filadelfo, succedendo a Zenodoto.

Contemporaneamente ebbe l'incarico dell'educazione del figlio di Tolomeo, il futuro Tolomeo III Evergéte. Secondo il lessico bizantino Suda dovette andare in esilio a Rodi per la scarsa considerazione che i suoi concittadini diedero alla sua opera principale (Le Argonautiche, vedi sotto), si trasferì a Rodi, dove visse fino alla sua morte occorsa intorno al 215. A questo suo trasferimento, secondo la tradizione, non furono estranee la sopraggiunta inimicizia con Callimaco, la rivalità con Eratostene che ovviamente era appoggiato dal suo conterraneo Callimaco (erano entrambi di Cirene), argomento di cui si parlerà meglio in seguito. Ma gli costò sorpattutto la scarsa simpatia di Berenice (moglie di Tolomeo Evergéte).

Sempre il suddetto lessico di Suda ci dice che in seguito Apollonio 'fu ritenuto degno di stare nella biblioteca' ma con ogni probabilità si tratta di un errore del compilatore bizantino di questo lessico del X secolo, che non capì che l'espressione 'essere degno di stare nella biblioteca' che trovava nelle sue fonti (per noi perdute) era riferita ai libri delle Argonautiche e non ad un secondo incarico di Apollonio come capo-bibliotecario. Infatti una commissione sceglieva i libri degni di essere custoditi nella Biblioteca di Alessandria (axia tes bibliotekes); inoltre quest'errore può essere nato dalla confusione col bibliotecario che fu a capo della biblioteca dopo di Eratostene e prima di Aristarco, anche egli di nome Apollonio: il cosiddetto Apollonio eidogràfos di cui si sa molto poco.



ATTIVITÀ LETTERARIA E FILOLOGICA 

Apollonio Rodio oltre alle Argonautiche scrisse anche altre opere che non ci sono giunte e poi da buon bibliotecario capo di Alessandria diede i suoi contributi di filologia omerica.

Fu autore del poema epico 'Le Argonautiche' che narra il viaggio di Giasone e della sua nave 'Argo'. Durante il soggiorno a Rodi, è possibile che Apollonio abbia scritto una seconda edizione de 'Le Argonautiche', in quanto le fonti antiche parlano di una proèkdosis (edizione preliminare) ed una èkdosis (edizione).


Scrisse poemetti eruditi che non ci sono giunti, specie sul tema della ktìsis (fondazione)di città, come Alessandria, naucrati, cauno. In particolare dedico un poemetto a Canòpo, che secondo il mito fu timoniere di Menelao, arrivato in Egitto dopo la guerra di Troia: alla morte del suo timoniere, Menelao fondava in suo onore l'omonima città. inoltre scrisse poemetti che non ci sono giunti



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