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La trasformazione strutturale del ii secolo a.c.




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la trasformazione strutturale del II secolo a.c.


condizioni e caratteristiche generali

La Seconda Guerra Punica segnò l'inizio di un processo di trasformazione che provocò cambiamenti profondi nella struttura dello Stato e della società romani. Roma era diventata un Impero la cui struttura economica ed il cui ordinamento sociale erano sottoposti a nuove condizioni. Questa rapida trasformazione fece cadere Roma in una crisi sociale e politica.

Le nuove condizioni derivarono dalle conseguenze che la Seconda Guerra Punica ebbe per l'Italia:

la decadenza ed il processo di proletarizzazione dello strato contadino italico;

la formazione di grandi proprietà terriere;

il passaggio all'utilizzo di schiavi nella produzione.

Le conseguenze dell'espansione furono della massima importanza per lo sviluppo economico e sociale della tarda repubblica. Roma divenne una potenza dominante in tutto il Mediterraneo e un Impero. Le sue truppe avevano annientato due grandi potenze, la Macedonia e Cartagine, avevano indebolito il regno seleucide, sottomesso la penisola iberica, occupato la Grecia. I territori conquistati furono inglobati nello Stato romano sotto forma di province.

L'Impero comprendeva enormi territori a produzione agricola altamente sviluppata, che consentivano l'importazione di prodotti agricoli in Italia e rendevano superflua la coltivazione locale del grano; disponeva di giacimenti di materie prime che furono sfruttati da Roma; aveva a disposizione una massa illimitata di forza-lavoro a basso prezzo; possedeva vasti mercati per i propri manufatti, non insidiati dalla concorrenza; offriva possibilità per investimenti, attività imprenditoriali ed economia monetaria. Questi nuovi fattori portarono alla ristrutturazione della società.

Nello Stato romano si formò un nuovo sistema sociale, le cui caratteristiche erano già sviluppate verso la metà del II secolo a.C. La stratificazione sociale era molto complessa:

L'aristocrazia senatoria formava il vertice della società con i suoi privilegi nella conduzione politica, basati sull'origine, sulla formazione, sull'esperienza politica e sull'indipendenza economica assicurata dalla grande proprietà terriera, ma anche dai guadagni imprenditoriali.

I cavalieri costituirono una seconda élite. Erano ricchi proprietari terrieri; altri erano imprenditori, commercianti e banchieri.

Nelle comunità italiche e provinciali c'era uno strato superiore locale, formato da proprietari terrieri, ma differente per stato giuridico, situazione patrimoniale e cultura.

In Italia, molti contadini con cittadinanza romana erano minacciati nella propria esistenza e si riversavano nelle città. Qui contribuirono alla formazione di un vasto strato di proletari, rafforzato dalle masse dei liberti.

Pessima era la condizione della maggioranza dei socii italici e della popolazione delle province, in quanto non godevano della cittadinanza romana e venivano sfruttati dai loro padroni quanto dallo Stato romano.

La posizione più bassa della società era occupata dalle masse servili, che non avevano alcun diritto personale e venivano sfruttate nelle proprietà agrarie e nelle miniere.

A causa di questa differenziazione della società, maturò una serie di conflitti, nei quali si svilupparono i fronti contrapposti formati dai diversi raggruppamenti sociali svantaggiati e dallo strato dominante, ma si ebbero anche conflitti tra singoli gruppi. Tanto l'ordinamento politico di Roma quanto la tradizione spirituale della società romana si dimostrarono incapaci di tenere uniti gli strati ed i gruppi sociali contrapposti. La conseguenza fu la crisi della società romana, con guerre civili e rivolte che logorarono la repubblica.


strati sociali superiori

Dalla Seconda Guerra Punica, l'aristocrazia poté consolidare la propria posizione dirigente. I successi di Roma furono considerati garanzia della bontà della sua politica ed i guadagni derivanti dall'espansione tornarono a vantaggio dell'aristocrazia. Crebbe la coscienza di appartenenza al proprio ordine da parte degli aristocratici, che potevano accrescere la gloria delle loro famiglie con le proprie imprese. L'aristocrazia si separò dai cittadini ordinari e divenne simile ad un ordine, cosa che fu chiara con la denominazione di ordo senatorius. Questa separazione si manifestava quando ai senatori venivano assegnati particolari posti d'onore per assistere ai giochi pubblici. Ai senatori stava a cuore essere distinti dai nuovi ricchi, che cominciavano ad organizzarsi come gruppo sociale chiuso nell'ordine equestre.

I cavalieri ricchi potevano aspirare alle magistrature inferiori. Non era esclusa una costante integrazione dell'aristocrazia con uomini di recente ascesa sociale. Questo rinnovamento permanente dell'élite dirigente era necessario perché le famiglie senatorie si estinguevano per mancanza di discendenti maschi. Genti eminenti poterono assicurare la propria sopravvivenza soltanto con l'adozione di giovani maschi. Alle più alte cariche dello Stato, tuttavia, non potevano accedere né i parvenus né la maggioranza dei membri del senato. Con la lex Villia annalis (180 a.C.), il cursus honorum dei magistrati fu regolato. Poiché il numero dei posti elevati era molto limitato, i loro titolari formavano un piccolo gruppo elitario all'interno dell'aristocrazia senatoria, la nobiltà. L'accesso al consolato divenne un privilegio per il membri di circa 25 famiglie dell'alta aristocrazia, che difesero la propria posizione dirigente ed esclusero dal consolato i senatori ordinari. Sallustio mise in rilievo che la nobiltà considerava il consolato come proprietà privata, mentre l'homo novus era considerato indegno di questa carica ed impuro.

Le famiglie dovevano alle loro esperienze e successi politici se avevano una posizione dirigente così solida in qualità di oligarchia all'interno dell'aristocrazia senatoria. La qualificazione poteva essere ottenuta solo con l'educazione nelle famiglie ricche di tradizione della nobiltà ed ogni vittoria od ogni successo rafforzava il prestigio delle loro famiglie. Questi figli ricchi di successo potevano contare su di un vastissimo seguito politico e su una grande capacità d'influenza.

Aumentò anche il potere economico dell'aristocrazia, soprattutto quello delle famiglie dell'élite dirigente. I generali vittoriosi ritornavano a Roma con grandi quantità di tesori e nuotavano nel denaro che avevano strappato sotto forma di riscatto per i prigionieri. Questi patrimoni furono investiti in proprietà terriere in Italia ed in schiavi. Le famiglie più ricche si accaparravano i fondi dei contadini oppure se ne appropriavano con le minacce e la violenza.

Dalle proprietà terriere e dalle altre forme patrimoniali veniva ricavato il guadagno più alto possibile. Un'ideologia del profitto si fece strada. L'esempio delle ambizioni e delle possibilità economiche di un senatore dell'élite dirigente è Marco Porcio Catone. Il suo ideale era il senatore che considerava servire lo Stato un suo dovere sacro, e vedeva un pericolo nelle nuove tendenze spirituali ed intellettuali; riteneva che, nella vita privata, l'obiettivo più importante fosse incrementare il patrimonio ereditario. L'opera di Catone sull'agricoltura era dedicata al problema di come trarre da una proprietà il massimo profitto con il minimo investimento. Investì i suoi guadagni in attività manifatturiere, nel commercio estero e nel sistema bancario: aggirò il divieto dell'attività affaristica per i senatori, introdotto dalla lex Claudia, organizzando "società per azioni" e facendosi rappresentare da prestanome.

Nel II secolo a.C., la nobiltà poté salvaguardare il dominio delle poche famiglie dell'élite dirigente. Tuttavia, si privò della possibilità di immettere nuove forze nel proprio ambito con l'ammissione di uomini dotati e capaci. Questo isolamento portò all'insoddisfazione delle famiglie che miravano in alto, le quali, pur economicamente potenti, erano svantaggiate nella conduzione politica. Caratteristico dei sentimenti di una tale cerchia fu il comportamento di Mario, esempio di homo novus di successo con complessi d'inferiorità ed orgoglioso delle proprie imprese.

Non c'erano conflitti soltanto tra l'oligarchia e gli altri circoli senatori, ma anche all'interno dell'oligarchia stessa. Erano sempre esistiti rivalità e conflitti d'interesse tra singole famiglie aristocratiche, ma prima della Seconda Guerra Punica tali rivalità e conflitti non erano riusciti a mettere in discussione il sistema a base aristocratica della società romana. Dopo la guerra contro Annibale, si delinearono possibilità di supremazia di singole famiglie o di singoli nobiles. I ripetuti consolati, i successi militari, i loro incarichi di comando nei teatri di guerra necessariamente lunghi, i rapporti personali con l'esercito e con la popolazione delle province, grazie all'ampliamento del sistema clientelare, tutto era fatto per accrescere la posizione di potere di singole personalità di spicco.

Questa tendenza si può osservare a proposito degli Scipioni. Scipione Africano il Vecchio ottenne un comando militare a 25 anni, senza aver intrapreso e portato a termine un regolare cursus senatorio; dopo la sua vittoria su Annibale, divenne il primo uomo di Roma ed entrò in conflitto con i suoi pari per le sue idee e le sue azioni non convenzionali. I suoi rivali riuscirono a farlo cadere con un processo e la lex Villia annalis, nel 180 a.C., che consentiva l'accesso alle cariche superiori solo dopo regolare carriera ed in età matura, voleva impedire la rapida ascesa di questi giovani uomini di Stato anche da un punto di vista istituzionale. Quando, nel 147 a.C., Scipione il Giovane fu eletto al consolato, non si tenne in considerazione questa legge. Nel 134 a.C., ottenne il secondo consolato, benché dal 152 a.C. fosse stata vietata la ripetuta assunzione della carica consolare. A partire dalla Seconda Guerra Punica, dunque, si delineò, all'interno dell'oligarchia, uno sviluppo che portò all'emergenza dall'aristocrazia di personalità di spicco.

Le nuove possibilità per il commercio estero romano nel Mediterraneo, lo sfruttamento dei giacimenti di materie prime e della massa di forze produttive nelle regioni conquistate, l'incremento delle risorse finanziarie di Roma grazie alle enormi quantità di denaro e di tesori depredati ed estorti, portarono ad uno sviluppo del commercio, dell'attività imprenditoriale e dell'economia monetaria: conseguenza fu la formazione di uno strato imprenditoriale forte e di grande peso. Gli appartenenti a questo strato cominciarono a raggrupparsi nell'ordine equestre come ordo proprio.

Il passo verso il consolidamento dell'ordine equestre fu la regolamentazione in base alla quale i senatori uscivano dalle centurie degli equites ed ogni cavaliere che, dopo aver ricoperto una magistratura, diventava membro del senato, doveva restituire il proprio simbolo sociale, il cavallo pubblico (lex reddendorum equorum, del 129 a.C.). Il cavallo pubblico divenne lo status symbol di un ordine organizzato separato dai senatori. Nuovi status symbols contribuirono al rafforzamento dell'identità dell'ordo equester:

l'anello d'oro;

la striscia purpurea stretta sulla veste (angustus clavus), in contrapposizione a quella larga (latus clavus) dei senatori;

posti d'onore in occasione di manifestazioni pubbliche (regolamentati dalla lex Roscia, nel 67 a.C.).

Persone facoltose formarono società imprenditoriali e vennero in aiuto dello Stato romano accettando appalti statali. Queste società di appalti pubblici (societates publicanorum) si occupavano del vettovagliamento dell'esercito, di lavori pubblici come la ricostruzione, la manutenzione ed il restauro di edifici, strade e ponti; presero in appalto le miniere statali, l'esazione dei dazi commerciali, la riscossione delle tasse. Secondo Polibio, che ha descritto l'attività dei pubblicani, tali imprenditori provenivano dalle masse popolari. Allo stesso strato sociale appartenevano anche prestatori di denaro, banchieri, ricchi commercianti ed affaristi. Appartenevano all'ordine equestre anche i grandi proprietari terrieri; secondo Cicerone, tra i cavalieri c'erano i publicani, attivi imprenditori, i faeneratores o argentarii, coloro che prestavano denaro, i negotiatores, i commercianti, e gli agricolae, i proprietari terrieri.

La formazione ed il consolidamento di questo strato sociale portò nuove tensioni nella società romana. I parvenus spesso erano avventurieri e ricattatori che, nelle province, suscitavano l'odio della popolazione e non indietreggiavano di fronte alla prospettiva di truffare lo Stato. Le autorità romane dovettero intervenire continuamente contro le usurpazioni dei publicani. Ciononostante, la capacità economica dei publicani era notevole e le loro prevaricazioni erano possibili soltanto grazie al regime oligarchico.


strati sociali inferiori. italici e provinciali

La maggior parte dei commercianti non apparteneva al ricco strato imprenditoriale degli appaltatori di Stato; insieme agli artigiani, formavano un gruppo sociale consistente, annoverato tra i ranghi inferiori. La formazione di un importante strato artigianale si verificò nel II secolo a.C., in connessione con lo sviluppo economico, da attribuire al passaggio all'economia basata sulla piantagione nel settore agricolo e all'accresciuta importanza del commercio estero, all'attività imprenditoriale ed all'economia monetaria.

Una parte di questi artigiani apparteneva allo strato dei liberti, il cui numero, come quello degli schiavi, aumentò a partire dalla Seconda Guerra Punica. Molti liberti poterono sfruttare le possibilità economiche che offrivano le città e costituirsi dei patrimoni. Molti di loro, tuttavia, formarono un "sottoproletariato" che non solo viveva in condizioni sfavorevoli, ma che era in difficoltà per i prezzi dei generi alimentari e doveva essere sostentato per mezzo di donazioni. Ci sono attestazioni di tali donazioni da parte di personaggi potenti (congiaria), a partire dal 213 a.C.; queste assicuravano ai donatori popolarità presso i poveri. La massa di questo proletariato era formata soprattutto dallo strato contadino romano, che aveva perso la propria base di sussistenza e si riversava a Roma e nelle città.

L'impoverimento e la proletarizzazione furono due delle conseguenze della Seconda Guerra Punica e dell'espansione romana. Anche quei contadini che erano sopravvissuti alla guerra annibalica non erano più in grado di ripristinare le basi economiche della precedente condizione dello strato contadino elevato e medio. La ricostruzione richiedeva un investimento di capitali che non tutti i contadini potevano permettersi. La parte migliore della forza-lavoro serviva nell'esercito anche dopo la conclusione della Seconda Guerra Punica, così che le famiglie contadine mancavano di forze produttive adeguate. I proprietari terrieri, inoltre, facevano tutto ciò che era in loro potere per impossessarsi dei fondi dei contadini.

Non possiamo ipotizzare uno sviluppo unitario per tutta l'Italia: in molte parti della penisola, infatti, piccole proprietà contadine sopravvivono fino all'età imperiale.

L'insediamento ed il mantenimento dei senza terra in colonie non era un rimedio per le masse dei contadini impoveriti. Molti contadini venivano accettando, come braccianti (mercennarii operarii), lavori stagionali nelle proprietà dei ricchi. Vaste masse contadine si riversavano nelle città, per vivere di donazioni e di lavori occasionali e per sostenere qualsiasi politico fosse pronto ad aiutarli. Il proletariato urbano divenne una massa numericamente molto forte: la sua importanza non consisteva soltanto nella forza numerica, ma nella potenziale forza politica.

Conflitti simili a quelli tra i contadini romani ed i ricchi proprietari terrieri si prepararono tra i socii italici ed i potenti di Roma. La popolazione non romana d'Italia era stata duramente danneggiata dalle devastazioni della guerra annibalica; a ciò si aggiunse la vendetta dei Romani vittoriosi contro le comunità che avevano abbandonato Roma. I socii erano obbligati nell'aiuto militare; tuttavia, in quanto non Romani, erano discriminati da coloro che dominavano in Roma. Ai socii non spettavano i diritti politici dei cittadini romani. Anche le masse impoverite dei contadini italici si riversarono a Roma. Tuttavia, in quanto non cittadini, che nelle proprie comunità d'origine si dovevano mettere a disposizione come reclute dell'esercito romano, furono allontanati dalla capitale.

Simili furono i conflitti che sorsero nelle province tra i Romani e la popolazione locale. Nelle guerre di conquista, gli abitanti di Spagna, Africa, Macedonia, Grecia ed Asia Minore dovettero sopportare differenze inimmaginabili: città furono rase al suolo; masse di prigionieri furono massacrate o vendute come schiavi; i governatori ed i publicani consideravano le province come una fonte di sfruttamento a fini privati. La conseguenza fu la resistenza dei sottoposti. Vi partecipava anche lo strato sociale superiore delle province, il quale mirava all'indipendenza politica o all'abolizione della repressione politica. Il peso della dominazione romana ricadeva sulle masse degli strati più poveri, cui l'opposizione a Roma sembrò l'unica possibilità per la risoluzione dei problemi sociali. Viriato, il capo della lotta di liberazione contro Roma in Spagna, era un ex pastore. In Grecia, furono gli appartenenti agli strati sociali superiori a fomentare l'opposizione contro Roma; a partire dalla Terza Guerra Macedonica, tuttavia, l'iniziativa si estese agli strati sociali più bassi.

Nella società romana, l'importanza della schiavitù aumentò dopo la Seconda Guerra Punica, grazie al fatto che la domanda e l'offerta di questa forza-lavoro crebbe. I grandi proprietari terrieri avevano bisogno di masse di lavoratori a basso prezzo per le loro proprietà terriere che diventavano più estese ed erano riorganizzate secondo un'economia basata sulla piantagione. Gli schiavi, privi di diritti, potevano essere sfruttati più dei contadini, non dovevano essere lasciati liberi per assolvere il servizio militare e si potevano trovare in grande quantità ed a bassissimo prezzo grazie all'asservimento di prigionieri di guerra. La fonte più importante per l'approvvigionamento di masse servili sembra essere stato il mercato degli schiavi in Oriente: gli schiavi erano il prodotto delle guerre tra gli Stati ellenistici o provenivano da rapimenti e saccheggi. L'economia romana si valse di loro in differenti settori, anche se il lavoro servile non sostituì completamente il lavoro libero.

Gli schiavi non erano più inseriti nell'organizzazione famigliare, bensì erano diventati uno strato sociale separato per mancanza di diritti, durezza di sfruttamento e disprezzo. Gli schiavi, tuttavia, non erano una massa omogenea: gli schiavi urbani godevano di una posizione sociale più favorevole degli schiavi utilizzati nelle proprietà agrarie o nelle miniere. All'interno dello strato servile c'era una gerarchia che andava dall'amministrazione della proprietà (vilicus) ai semplici lavoratori della terra incatenati, passando per i sorveglianti di operai specializzati.

Lo sfruttamento delle masse servili portò a conflitti nei quali i più potenti ed i più forti della società erano contrapposti alle masse oppresse. La disobbedienza veniva punita nella maniera più severa. C'era soltanto un gruppo di schiavi che si trovava nella condizione migliore per scatenare una rivolta armata: i pastori, che non potevano essere controllati strettamente come i lavoratori delle proprietà terriere e la cui libertà di movimento non poteva essere ridotta.


il cammino verso la crisi

La rapida trasformazione delle strutture economiche e sociali non produsse soltanto una ristrutturazione nella quale alcuni strati sociali furono rafforzati, altri indeboliti ed altri costituiti per la prima volta: la trasformazione nella storia di ogni singolo strato sociale portò al sorgere o all'inasprirsi di tensioni e conflitti sociali.

Il sistema di articolazione sociale era scarsamente elastico. Per gli appartenenti ad alcuni strati sociali, erano aperte possibilità di mobilità sociale. Tuttavia, queste possibilità erano limitate alla società urbana ed agli strati sociali che potevano trarre profitti dalla produzione artigianale, dal commercio e dall'economia monetaria. Differente era la situazione nelle campagne, così come per le masse proletarie di Roma, che non avevano parte nella produzione economica. A ciò si aggiungeva il rifiuto della nobiltà di accordare al senatore ordinario ed all'homo novus l'accesso alle cariche più importanti ed al potere reale.

La società romana del II secolo a.C. non aveva più legami indistruttibili che avrebbero potuto tenere uniti gli strati sociali tra loro in contrasto. Da quando l'aristocrazia non poté più appoggiarsi alla massa dello strato contadino, il sistema politico cominciò a vacillare. Questo sistema politico divenne anacronistico nel periodo dell'espansione.

Anche le basi spirituali dello Stato romano furono scosse. L'antico sistema romani di valori apparve superato nell'età della costruzione dell'Impero e della ristrutturazione della società romana. Roma incontrò, nei Paesi occupati, idee religiose e filosofiche con un contenuto che contraddiceva il mos maiorum. La filosofia greca trovò le maggiori simpatie nello strato sociale che sarebbe dovuto essere il custode del mos maiorum, cioè in particolari gruppi dell'aristocrazia dominante, soprattutto nel circolo degli Scipioni. L'effetto di queste influenze fu lo sconvolgimento dell'ordinamento tradizionale della società romana.

Niente è così indicativo della miopia di molte personalità autorevoli dello strato dirigente romano del II secolo a.C. come il comportamento di Marco Porcio Catone. Da una parte, egli mirava alla riconversione dello strato dirigente alle nuove forme economiche, all'economia basata sulla piantagione e sugli schiavi, agli investimenti, alle speculazioni. Dall'altra, perseverò nelle antiche virtù romane, nella parsimonia e nel tenore di vita modesto, e considerò la filosofia greca incompatibile con gli ideali romani.

Un decreto del senato del 186 a.C. contro i seguaci di Bacco poté interrompere la pratica di culti orgiastici, ma non poté arrestare la disgregazione del mos maiorum come sistema di riferimento per la società romana. La lex Villia annalis del 180 a.C., che con la regolamentazione della carriera senatoria voleva impedire la rapida ascesa di singoli personaggi eminenti dell'oligarchia, fu disattesa da Scipione Emiliano. Il richiamo alle leggi Licinie-Sestie per la protezione dei contadini non servì a nulla. Soltanto una legge del II secolo a.C. ebbe conseguenze molto vaste. Nel 149 a.C., con la lex Calpurnia, furono istituite commissioni permanenti per il controllo degli abusi di magistrati romani e per la difesa della popolazione delle province.

La società romana si avviava verso una crisi che poteva essere risolta soltanto con la violenza. La differente natura dei singoli conflitti, data la complessità dei problemi sociali e politici, i diversi interessi ed i molteplici legami tra singoli strati e gruppi resero impossibile un movimento rivoluzionario generale omogeneo. La struttura della crisi fece sì che essa si risolvesse in una serie di conflitti sociali e politici dal corso parallelo ma tra loro non correlati; questi conflitti distrussero il quadro politico dell'ordinamento sociale, la repubblica, corressero la struttura sociale ma non portarono ad un mutamento di fondo.

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