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L'ordinamento sociale al tempo del principato




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l'ordinamento sociale al tempo del principato


condizioni vecchie e nuove

I primi due secoli dell'età imperiale non furono soltanto il periodo aureo, in cui l'imperium Romanum raggiunse la sua massima espansione ed in cui regnò la pace: quest'epoca rappresenta il momento culminante nella storia della società romana. Nuovi per lo sviluppo sociale erano due fattori, preparati ed introdotti dalla storia della tarda repubblica:

Il primo fattore nuovo fu l'istituzione della monarchia imperiale quale quadro politico più adeguato alla società romana; di conseguenza le posizioni e le funzioni dei singoli strati sociali furono ridefinite e la piramide sociale dell'Impero ebbe un nuovo vertice nella casa imperiale.

Il secondo fattore nuovo scaturì dall'integrazione delle province e dei provinciali nello Stato e nel sistema sociale romani, ed ebbe come conseguenza che il modello sociale romano fu trasmesso alla popolazione della maggior parte delle province; il che significò la formazione di un'aristocrazia imperiale omogenea e la standardizzazione delle élites locali, ma anche l'assimilazione di strati più vasti della popolazione.

Il modello per ordini e strati fortemente differenziato della società romana, tra l'età augustea e la metà del II secolo d.C., non fu sostituito da alcun ordinamento sociale nuovo; tuttavia, in quest'epoca esso raggiunse la sua forma "classica"; da una parte, a causa della sua modificazione verticale nel quadro politico dell'Impero, cioè a causa della sua gerarchia interna, e, dall'altra, grazie al suo sviluppo orizzontale, grazie alla sua estensione alla popolazione di tutto l'imperium. Questo sistema sociale fu sottoposto ad una trasformazione lenta, ma costante. Tuttavia, i processi di cambiamento dell'età del principato si verificarono nel quadro del tradizionale sistema per ordini e strati ed i segni premonitori della grande trasformazione diventarono il sintomo di una crisi profonda della società romana solo dopo il regno di Antonino Pio.

Si potrebbe definire l'età del Principato come il periodo della massima fioritura della vita economica romana. Si ebbe un grande sviluppo economico, che consistette nell'incremento della quantità e della qualità della produzione. Furono l'apertura e l'urbanizzazione delle province a rendere possibile una maggiore attività produttiva. La produzione agraria prosperò non soltanto nelle zone agricole tradizionalmente importanti, ma si sviluppò anche in zone fino ad allora arretrate; lo sviluppo di queste regioni fu dovuto all'introduzione di metodi di coltivazione del terreno più redditizi, attuati in proprietà di medie e grandi dimensioni con forza-lavoro specializzata. All'industria mineraria si resero accessibili nuovi giacimenti di materie prime. Con l'introduzione di un'amministrazione imperiale centralizzata dei distretti minerari, anche il controllo della produzione fu regolato in modo nuovo. La produzione artigianale approfittò dell'alto livello della domanda delle molte città di nuova fondazione e dell'esercito. La produzione ceramica ne è l'esempio migliore, in particolare la produzione di terra sigillata. Evidente fu lo sviluppo del commercio, con un vivace scambio di merci tra le singole zone dell'Impero romano. Questo sistema economico fu completato dalla diffusione dell'economia monetaria, accompagnata da attività di investimento e dall'organizzazione bancaria.

Questo sviluppo si attuò nel quadro di quella struttura economica che, già durante la tarda repubblica, si era sviluppata nell'area di dominio romano: nuova fu la diffusione del sistema economico romano in tutto l'imperium Romanum. Una conseguenza di ciò fu la sostituzione, nelle province sottosviluppate, di forme produttive arretrate con un'affermazione della produzione su fondi municipali. L'Italia perse la sua posizione di predominio dell'economia, a favore di altre zone dell'Impero. Lo sviluppo tecnologico subì una stagnazione nell'età del Principato, dopo un considerevole sviluppo durante la tarda repubblica. Si avviava a conclusione l'espansione che, durante la tarda repubblica, aveva assicurato all'economia romana fonti di materie prime, forze produttive, mercati di sbocco e possibilità di sviluppo. Lo sviluppo economico durò fintanto che lo sfruttamento e l'urbanizzazione delle nuove province offrirono possibilità di sviluppo prima all'economia dell'Italia e poi a quella provinciale.

La struttura economica dell'imperium Romanum rimase semplice e arretrata: nonostante il grande sviluppo dell'artigianato e del commercio, Roma rimase uno Stato ad economia agraria anche durante l'Impero. L'importanza dell'economia agraria emerge dal fatto che la maggioranza della popolazione era occupata nel settore agricolo. La fonte principale del prodotto nazionale lordo e della ricchezza era l'economia agraria. La correlazione tra l'economia agraria e gli altri settori economici fu determinata dal predominio della produzione agraria. Una parte significativa di quella artigianale fu finalizzata alla soddisfazione della domanda dell'agricoltura o alla trasformazione di prodotti legati alla campagna o al trasporto di prodotti agricoli; i beni più importanti del commercio erano prodotti agricoli; il denaro era investito in proprietà terriere.

Il criterio economico più importante per l'articolazione sociale non era il denaro, ma la proprietà terriera. Il vero strato sociale superiore era composto da ricchi proprietari terrieri. Non si poté sviluppare un ordine medio, per la cui esistenza sarebbero state necessarie funzioni economiche autonome legate ad un largo apparato tecnologico.

La definizione del sistema sociale si realizzò con il consolidamento della monarchia imperiale. La gerarchia sociale fu ristrutturata attorno ad una nuova posizione di vertice, che si sovrappose alla ristretta cerchia delle famiglie dell'oligarchia: a partire da Augusto, non ci furono diversi principes civitates con le loro factiones, ma soltanto un solo princeps del senato, del popolo e di tutto il genus humanum.

Il princeps disponeva di un potere illimitato. In possesso della tribunicia potestas, il sovrano poteva prendere l'iniziativa legislativa o decidere qualsiasi provvedimento; quale detentore dell'imperium proconsulare maius governava le province senatorie insieme con i magistrati nominati dal senato; da solo governava le province imperiali tramite i suoi legati; era comandante supremo dell'esercito; quale garante dei buoni mores, gli spettava il diritto di ammettere persone idonee nell'ordine equestre ed homines novi nell'ordine senatorio, o di espellere cavalieri e senatori dal loro ordine.

L'imperatore deteneva la più alta dignitas nella società romana, in virtù non solo del suo potere costituzionalmente assicurato, ma anche della sua posizione personale; poteva appellarsi alla sua personale auctoritas. Il sovrano era l'incarnazione ideale di tutte le antiche virtù romane, virtus, clementia, iustitia e pietas. Il suo prestigio veniva espresso anche dalla titolatura imperiale (imperator Caesar Augustus), dal suo abito, dalle insegne e dal cerimoniale legato alla sua persona. Il suo prestigio era rafforzato dal suo carisma religioso, che gli assicurava una venerazione cultuale e una diretta divinizzazione. L'imperatore era l'uomo più ricco dell'Impero romano: disponeva del patrimonium Augusti, la proprietà imperiale della corona, e della propria res privata, la proprietà privata personale.

La definizione della gerarchia sociale di Roma non derivò soltanto dall'esistenza di questa nuova posizione sociale di vertice. Tra il detentore di tale posizione ed i gruppi sociali esistevano rapporti sociali, che consistevano in legami reciproci tra l'imperatore ed i singoli ordini ed altri gruppi della popolazione organizzati corporativamente.

I rapporti sociali tra singole persone e gruppi di persone si fondavano, durante la repubblica, sull'amicitia e sul rapporto patronus-cliens. Anche il princeps trattava i senatori eminenti ed i cavalieri come suoi amici; erano persone con cui egli aveva rapporti sociali, persone che venivano chiamate nel consilium principis. L'amicus Caesaris si distingueva dagli uomini ordinari, mentre la perdita di questo prestigio era equivalente ad una caduta sociale o ad una rovina politica. La massa dei sudditi aveva con l'imperatore un rapporto che corrispondeva a quello tra i clientes ed il patronus; da quando Augusto, nel 2 a.C., assunse il titolo di pater patriae, l'Impero venne ad essere sotto la sua protezione come in un rapporto clientelare. L'imperatore era anche il defensor plebis, che garantiva alla plebe urbana romana donazioni di grano, di denaro e giochi pubblici.

I singoli gruppi sociali si trovarono ad avere nuove funzioni e nuove e ben definite posizioni. Furono determinate le funzioni statali dei gruppi di vertice della società romana, cioè dei senatori e dei cavalieri. L'attività pubblica dei senatori assunse un carattere nuovo, in quanto il servizio dello Stato divenne servizio dell'imperatore. I legati Augusti, al vertice delle legioni e delle province imperiali, ed altri funzionari statali di nomina imperiale, interpretarono il loro officium come servizio a favore dell'imperatore. Lo stesso consolato venne considerato una ricompensa per i servizi resi alla persona dell'imperatore.

Da Augusto in poi, i cavalieri potevano essere impiegati come procuratores Augusti nell'amministrazione del patrimonio imperiale e nell'amministrazione dell'economia e delle finanze dell'Impero. La posizione di un senatore all'interno del proprio ordine non derivava più dall'origine, dal patrimonio e dall'aver ricoperto cariche tradizionali, ma era la conseguenza della sua ammissione o non ammissione alla carriera amministrativa nel servizio imperiale; i cavalieri si differenziavano tra di loro in base al fatto di aver ricoperto o meno funzioni statali ed in base al grado raggiunto nella carriera amministrativa equestre. Anche tra gli schiavi ed i liberti si formò una nuova struttura gerarchica con la creazione di un gruppo di vertice influente, quello dei servi e liberti imperiali.

Nell'imperium Romanum, i rapporti sociali cambiarono anche perché il sistema sociale romano si diffuse nella maggior parte dell'Impero. Con la diffusione del sistema economico romano nell'Occidente latino e con l'integrazione dell'Oriente greco nella vita economica dell'Impero si formò un'articolazione sociale. Gli strati sociali più elevati dell'Impero non coincisero più con lo strato sociale superiore d'Italia: in questi strati ebbero accesso le famiglie più importanti delle province; gli strati sociali inferiori nelle singole parti dell'Impero ebbero un carattere più omogeneo di prima. Questo processo si può osservare nella penetrazione dei provinciali fino ai vertici di comando dell'Impero. Sotto i Flavi, uomini eminenti delle province formarono all'interno dell'ordine senatorio un gruppo molto influente. Con Traiano, salì al trono il primo imperatore provinciale; Adriano era un conterraneo ed uno stretto parente di Traiano, la famiglia di Antonino Pio veniva dalla Gallia meridionale, quella di Marco Aurelio era originaria della Baetica.

L'integrazione delle province e dei provinciali fu promossa mediante la costruzione di un'adeguata rete stradale, l'introduzione dell'amministrazione unitaria, l'impiego dei provinciali nel servizio militare romano, la concessione della cittadinanza romana e l'urbanizzazione. Caracalla, con la Constitutio Antoniniana, concesse la cittadinanza a tutti gli abitanti liberi dell'Impero. L'urbanizzazione venne realizzata con l'insediamento pianificato di veterani delle legioni o di proletari urbani romani in coloniae, oppure con la concessione dell'autonomia cittadina a comunità indigene trasformate in municipia; nell'Oriente greco furono fondate poche città nuove e furono favorite le pÒleij greco-ellenistiche.

Nell'Impero romano si crearono le condizioni per un'assimilazione delle strutture sociali: la società era formata da una parte dagli strati sociali superiori, che rappresentavano l'élite dirigente delle città ed i ricchi proprietari terrieri, i cui gruppi più facoltosi furono ammessi nell'ordine equestre ed in quello senatorio; dall'altra, dagli strati sociali inferiori della città e della campagna, i cui componenti vivevano secondo forme di dipendenza sociale. Gli strati sociali più bassi della popolazione delle singole parti dell'Impero erano molto diversi tra di loro.

L'Impero romano fu contraddistinto da un sistema economico e sociale omogeneo, nel senso che questo sistema o era chiaramente definito, o indicava la direzione del processo di sviluppo economico e sociale senza che esistessero modelli alternativi.


la stratificazione sociale

La società romana della prima età imperiale non era strutturata in maniera differente da quella della tarda repubblica. Questa società si componeva di due grandi parti: le fonti giuridiche romane parlano di honestiores, detentori di una posizione sociale ed economica elevata e del prestigio corrispondente (condicio, qualitas, facultas, gravitas, auctoritas, dignitas), da una parte, e di humiliores e tenuiores, dall'altra.

Si possono stabilire quattro criteri per l'appartenenza alla posizione elevata: si doveva essere ricchi, esercitare funzioni superiori e potere, disporre di prestigio nella società, essere membro di un ordo dirigente, un ordine privilegiato organizzato corporativamente. Chi soddisfaceva queste condizioni apparteneva agli strati sociali superiori, cioè i membri dell'ordo senatorius, dell'ordo equester e dell'ordo decurionum. I membri degli strati sociali inferiori si identificavano con i produttori dei settori economici rurali ed urbani.

Decisivo non era tanto il denaro contante, quanto la proprietà terriera. Nella prima età imperiale, la concentrazione della proprietà terriera aumentò incessantemente, tanto che Plinio il Vecchio parlò di distruzione della terra attraverso i latifundia. Le famiglie facoltose possedevano palazzi e ville; al contrario, i contadini vivevano in case primitive ed in capanne; i poveri erano costantemente esposti all'umiliazione sociale.

Le magistrature più alte spettavano a gruppi privilegiati: i posti più elevati nell'amministrazione dell'Impero ed il comando dell'esercito erano riservati ai senatori ed ai cavalieri, l'amministrazione delle comunità cittadine alle élites locali riunite nei singoli ordines decurionum. Il senato era l'organo più importante del potere legislativo; i senatori ed i cavalieri eminenti partecipavano al potere in misura rilevante come membri del consilium imperiale, come governatori delle province, comandanti dell'esercito, prefetti del pretorio e funzionari dell'amministrazione. Essi erano sempre sotto controllo e si comportavano secondo le indicazioni dell'imperatore.

Fatta eccezione per liberti ricchi e personale di corte facoltoso ed influente, la posizione sociale elevata s'identificava con l'appartenenza ad uno degli ordines privilegiati. Pur rispondendo a determinate condizioni sociali, non si entrava automaticamente negli strati sociali dirigenti: l'accettazione in un ordo avveniva in virtù di un atto formale e l'appartenenza veniva espressa tramite simboli ed una titolatura tipici dell'ordine di appartenenza. A partire da Augusto, il rango era ereditario. Tuttavia, anche, gli homines novi furono ammessi in questo ordine dall'imperatore; questi concesse loro il latus clavus, la striscia di porpora larga; potevano aspirare alle magistrature senatorie inferiori; se si trattava di uomini anziani, essi venivano inseriti dall'imperatore in un rango adeguato di funzionari senatori più alti. L'ammissione tra i cavalieri avveniva in virtù del fatto che l'imperatore concedeva l'equus publicus, cui seguiva l'assunzione di cariche equestri; essi portavano come simbolo del proprio ordine la striscia di porpora stretta, l'angustus clavus, sulla tunica, un anello d'oro, il titolo equo publico o eques Romanus. Nell'ordine dei decurioni delle singole città si era ammessi ricoprendo una magistratura cittadina o grazie alla registrazione ufficiale nelle liste dei decurioni (album decurionum). L'esclusione da un ordo rappresentava una caduta sociale. Accesso ed appartenenza erano chiaramente controllabili; la gerarchia dell'ordinamento sociale fu rigorosamente conservata.

Tra i fattori che determinavano l'appartenenza agli strati sociali superiori privilegiati o a quelli inferiori della società romana, va ricordata l'origine personale. La posizione sociale era ereditaria. La società romana, tuttavia, non fu un sistema castale, la capacità personale era apprezzata e singoli individui sottoponevano a critica il principio della nobiltà di nascita.

La posizione sociale dipendeva dalla posizione giuridica. Solo i cittadini avevano i diritti necessari per una posizione elevata. Anche tra i cittadini vi erano due categorie, quella dei cittadini di pieno diritto (cives Romani) e quella dei "semi-cittadini" delle comunità di diritto latino (ius Latii). Le cariche nel servizio statale o nell'amministrazione delle città organizzate come municipi o colonie erano accessibili soltanto ai cittadini romani; solo questi ultimi venivano impiegati nel servizio nelle legioni romane e costoro soltanto disponevano di diversi privilegi in fatto di diritto privato.

Decisiva poteva essere un'altra distinzione giuridica, se un cittadino era libero per libera nascita o per manomissione, oppure se, come schiavo, rappresentava una proprietà altrui.

Importante era la zona dell'imperium Romanum da cui un individuo proveniva e la popolazione a cui apparteneva. La società romana era aperta agli alieni ed agli externi anche nelle sue posizioni di vertice. Nondimeno, antichi privilegi e pregiudizi poterono essere estirpati solo lentamente e neppure completamente. Sotto i primi imperatori, l'egemonia dell'Italia e degli Italici fu considerata naturale.

Abilità e capacità personali, talento, educazione, meriti politici erano importanti, ma la possibilità che, in base ad essi, si determinasse la posizione sociale aveva dei limiti. L'educazione poteva avere un ruolo importante. La conoscenza del diritto procurava posizioni di vertice. Tra i senatori eminenti vi erano oratori, avvocati e filosofi. I meriti politici e militari e la lealtà potevano avere un'importanza decisiva in situazioni critiche di politica interna.

Soltanto nel servizio politico e militare a vantaggio dell'imperatore, i meriti e le capacità personali contavano in maniera decisiva, ma senza che potessero annullare l'importanza dell'origine elevata.


l'ordine senatorio

L'ordo senatorius, dall'inizio dell'età imperiale, chiuse i propri ranghi. Augusto stabilì a il numero del membri del senato. Ogni anno, soltanto 20 senatori potevano iniziare una carriera senatoria come vigintiviri o entrare nel senato come quaestores. A queste persone si aggiunsero anche ex cavalieri, ammessi nell'ordine senatorio come ex questori o con un rango più elevato.

L'ordine senatorio continuava ad essere un ordo numericamente molto ristretto ed esclusivo. Esso fu distinto ancora più chiaramente dall'ordine equestre. I figli dei senatori furono inquadrati nell'ordo senatorius e separati dai cavalieri; la qualificazione patrimoniale minima del senatore fu aumentata. La differenziazione tra gli appartenenti ai due ordini fu regolamentata da Caligola, nel 38 d.C.: un cavaliere, che ricopriva una carica senatoria o che poteva portare il laticlavio, apparteneva al primo ordine ad abbandonava ogni legame formale con il suo precedente ordo. Anche le cariche senatorie ed equestri furono definitivamente separate le une dalle altre.

Il patrimonio reale della maggior parte delle famiglie senatorie superava il censo minimo prescritto. La loro ricchezza proveniva dal prestito di denaro, dalla vendita di prodotti artigianali e dallo stipendio che percepivano i funzionari imperiali senatori. Determinanti, tuttavia, erano i loro guadagni derivanti dalla terra. Molti senatori possedevano fondi in Italia e nelle province: quando il numero dei senatori provinciali crebbe, Traiano introdusse per i senatori l'obbligo di investire un terzo del proprio patrimonio in fondi in Italia.

La ricchezza, la generosità e il dispendioso tenore di vita non erano tipici soltanto dei senatori, bensì anche di molti cavalieri e dei gruppi di vertice dei liberti. Non furono tanto fattori economici, quanto fattori sociali, giuridici, politici e ideologici a favorire il sentimento di appartenenza e di esclusività nei membri del primo ordine. Molti senatori erano uniti tra di loro da rapporti famigliari complicati da matrimoni, adozioni e amicizie.

Le funzioni statali dei senatori erano di natura omogenea. Ciò derivava, da una parte, dal carattere delle loro cariche, che richiedevano capacità di giurista, di amministratore e di comandante militare; dall'altra, dal loro privilegio di partecipare ai dibattiti in senato e di contribuire alle decisioni di questo organo. Omogenea era anche la formazione dei senatori: i giovani senatori venivano istruiti nella giurisprudenza, nell'oratoria e nell'arte militare, grazie ad un'educazione privata nell'ambito famigliare e parentale, e grazie all'esercizio delle cariche senatorie inferiori.

Questo sistema educativo vincolava il senatore agli ideali dello Stato romano ed alla tradizione della sua famiglia; fu favorita l'omogeneità della mentalità e del comportamento dei membri del primo ordine. Questa mentalità senatoria si espresse nella coscienza di appartenere all'ordine più illustre (amplissimus ordo) e nella convinzione che il senatore fosse insuperabile. In questa mentalità rientrava la disponibilità a servire lo Stato romano o l'aspirazione ad una carriera politica, ma anche la pretesa di compensare le fatiche ed i pericoli inerenti all'esercizio delle alte funzioni con un alto standard di vita.

L'ordo senatorius era eterogeneo nella sua composizione e soggetto a fluttuazione durante il Principato. L'ordine senatorio dovette essere continuamente integrato con homines novi.

Sotto Augusto, emersero dallo strato dirigente senatorio homines novi potenti, come Marco Vipsanio Agrippa o Tito Statilio Tauro; a partire da Vespasiano, gli "uomini nuovi" costituirono la maggioranza di quei senatori cui venivano affidate le cariche più importanti dell'amministrazione imperiale, i comandi militari ed i governatorati delle province imperiali. Furono gli homines novi ad articolare le idee del loro nuovo ambiente sociale; Tacito e Plinio ne sono gli esempi migliori. Il fatto che tali uomini fossero rappresentati nel vertice dirigente dell'ordine senatorio, fu la conseguenza della coincidenza di due fattori:

da una parte, gli homines novi facevano il possibile per ottenere l'integrazione nell'aristocrazia romana, in virtù di grandi meriti nell'amministrazione imperiale;

dall'altra, erano favoriti dagli imperatori, poiché, per lo stretto legame con la casa imperiale, erano un sostegno leale della monarchia.

Gli homines novi provenivano dallo strato sociale superiore dell'Impero, e spesso erano figli di cavalieri benemeriti; la maggior parte di essi conseguiva in gioventù il diritto di portare il laticlavio e di accedere ad una magistratura senatoria inferiore (ius honorum). A questi si aggiungevano gli ex cavalieri, che potevano essere ammessi nell'ordine senatorio in un rango corrispondente alla loro età. Era l'imperatore a decidere a chi toccasse un tale privilegio per l'ascesa sociale; tuttavia, la protezione di parenti ed amici potenti aveva un ruolo importante.

All'inizio dell'età imperiale, molti "uomini nuovi" avevano come terra d'origine l'Italia. Già nel I secolo d.C., il reclutamento di nuovi senatori delle città della penisola andò diminuendo; furono le difficoltà economiche dell'Italia ad ostacolare l'emergere di nuove famiglie di grandi proprietari terrieri. Nel processo di integrazione delle province dell'Impero subentrarono nel senato homines novi provinciali in numero crescente. Diversi provvedimenti imperiali a favore dell'integrazione dei provinciali, come il conferimento dello ius honorum alla nobiltà delle tres Galliae da parte di Claudio, nel 48 d.C., favorirono questo processo di ristrutturazione. Sotto Augusto e Tiberio, i senatori d'origine provinciale provenivano dalle province più fortemente urbanizzate e romanizzate, specialmente dalla Gallia Meridionale e dalla Baetica. A partire da Vespasiano, accanto a quelli provenienti dalla Gallia meridionale e dalla Spagna, vi erano anche senatori di altre zone dell'Impero, originari dell'Africa, dell'Asia e della Galazia. Sotto Marco Aurelio, i provinciali ebbero la maggioranza al vertice del potere.

La gerarchia interna all'ordine senatorio non nasceva dal raggruppamento dei suoi membri secondo criteri etnici o regionali; questa gerarchia nasceva dall'importanza dei singoli incarichi che il senatore poteva raggiungere attraverso il cursus honorum. La carriera senatoria si differenziò dal cursus honorum repubblicano, in seguito all'istituzione di cariche al servizio dell'imperatore. Un senatore iniziava la carriera a Roma come vigintivir e poi andava in una provincia come tribunus legionis; con il venticinquesimo anno d'età, otteneva l'appartenenza al senato come quaestor, poi diventava o tribunus plebis o aediles, e a 30 anni praetor. Nel rango pretorio, si potevano ricoprire alcune cariche nell'ambito di competenza del senato, soprattutto quella di proconsul in una provincia senatoria; molte cariche rientravano nella sfera degli incarichi imperiali e venivano assegnate dall'imperatore: quelle di legato di una legione (legatus legionis) o di governatore di una provincia imperiale (legatus Augusti pro praetore). A 40 anni, il senatore poteva diventare consul. Le cariche più importanti nell'amministrazione imperiale venivano assegnate a senatori consolari; senatori eminenti potevano concludere la loro carriera con un secondo consolato con il grado di praefectus urbi.

I vari tipi di carriera rispecchiano la stratificazione interna all'ordine senatorio. Tali tipi di carriera sono distinti nel periodo degli Antonini, quando avevano acquisito una forma stabile. Una ristretta élite aveva il rango patrizio che assicurava importanti privilegi: il patrizio cominciava la propria carriera nella classe più elevata dei vigintiviri come triumvir monetalis; otteneva la questura e la pretura nelle elezioni senatorie, dietro raccomandazione imperiale; non doveva ricoprire le cariche plebee di tribuno della plebe o di edile; arrivava al consolato a 32 o 33 anni e poteva rinunciare all'esercizio delle cariche pretorie e consolari nelle province, di cui non aveva bisogno per il proprio prestigio sociale. Altri senatori erano favoriti dall'imperatore nella loro carriera: dopo aver ottenuto il rango pretorio, venivano inseriti negli incarichi di vertice dell'amministrazione imperiale come comandanti e governatori, e percorrevano una lunga carriera. Questi gruppi di senatori privilegiati formarono, in qualità di consolari (senatori destinati al consolato), l'élite dell'Impero. Gli altri senatori furono scarsamente favoriti dagli imperatori: dopo la pretura, ottenevano cariche senatorie e non avevano alcuna prospettiva di raggiungere il rango di console.

La gerarchia sociale era definita, ma soltanto un ristrettissimo numero di uomini scelti era disponibile per la distribuzione dei comandi e delle cariche più importanti.


altri ordini e strati sociali elevati

L'ordo equester contava un numero di membri molto maggiore dell'ordine senatorio. Il numero totale dei cavalieri sotto Augusto è da valutarsi sulle 20.000 unità; nei primi due secoli dell'Impero, questo numero aumentò grazie all'immissione di provinciali nell'ordine equestre.

I cavalieri avevano una precisa coscienza della loro identità, che si manifestava nell'indicazione della propria titolatura nelle iscrizioni onorifiche e sepolcrali, o nella loro unione all'interno della società di singole città. Tuttavia, l'ordo equester non fu mai un ordine omogeneo. Anche se la maggior parte dei suoi membri manifestò un comune modo di pensare ed un comune comportamento, ciò fu dovuto al fatto che i cavalieri fecero propri gli ideali ed i costumi dei senatori. La struttura dell'ordine equestre, le condizioni economiche dei membri dell'ordine, la composizione eterogenea del secondo ordo e le occupazioni professionali, non permisero la formazione di un gruppo sociale chiuso come quello senatorio.

L'appartenenza all'ordine equestre non era ereditaria. L'ammissione avveniva in virtù di una promozione di rango della singola persona; l'ordine equestre, dunque, non era un'aristocrazia di nascita, ma una nobiltà individuale. Nella pratica, tuttavia, accadeva spesso che il figlio di un cavaliere fosse ammesso tra gli equites; si parlava anche di "famiglie equestri". Era raro che le famiglie equestri conservassero l'appartenenza al proprio ordine per molte generazioni.

Le famiglie equestri costituirono la più importante fonte di rifornimento per la continua integrazione dell'ordine senatorio. I rapporti tra gli appartenenti all'ordine senatorio ed a quello equestre erano molto stretti grazie a matrimoni, legami di parentela ed amicizie. L'ordine equestre era ancora più aperto all'ordine dei decurioni delle singole città: moltissimi cavalieri ricoprivano cariche cittadine ed appartenevano, nello stesso tempo, tanto all'ordo equester quanto all'ordo decurionum di una città.

Le condizioni economiche dei cavalieri potevano essere molto differenti; diverse erano anche le fonti della ricchezza dei cavalieri. Tra i cavalieri si contavano grandi commercianti, grandi imprenditori e banchieri; i membri dell'ordine equestre, infatti, erano interessati alle fonti di guadagno non agrarie molto più dei senatori. Anche per i cavalieri, tuttavia, la fonte principale di ricchezza era la proprietà terriera.

Anche la composizione sociale dell'ordine equestre era eterogenea. Non pochi cavalieri erano di bassa estrazione. Tra di loro vi erano figli di liberti: essi si facevano una posizione grazie all'abilità economica o dovevano la loro ascesa tra gli equites alle buone relazioni con potenti romani. Nella prima età imperiale, il rango equestre fu concesso anche a membri dell'élite indigena dell'aristocrazia di nascita delle province. Molti cavalieri arrivavano all'ordo equester dopo una lunga carriera militare e grazie a meriti personali, con la promozione da centurione al rango di primus pilus. La maggior parte dei cavalieri, tuttavia, apparteneva all'ordo decurionum delle città dell'Impero, e doveva il proprio rango alle proprie ricchezze.

Anche nella sua composizione etnica, l'ordine equestre era molto più eterogeneo dell'ordine senatorio, per cui l'ammissione dei provinciali nel secondo ordine non portò conseguenze radicali dal punto di vista politico e sociale. Gli abitanti delle province erano rappresentati nell'ordo equester più massicciamente che nell'ordine senatorio. Durante il Principato, la stratificazione etnica dell'ordine equestre si attuò con le stesse modalità della trasformazione nella composizione dell'ordine senatorio. Nel I secolo, la maggior parte degli equites di origine provinciale proveniva da alcune regioni più urbanizzate, come la Spagna, la Gallia meridionale e l'Asia; in molte province, l'urbanizzazione creò solo gradualmente le condizioni per la formazione di ricche famiglie di sentimenti romani, i cui membri potessero essere distinti con l'equus publicus.

Differente era anche l'attività professionale dei cavalieri. Molti di essi ricoprivano cariche cittadine o la funzione di iudex a Roma, altri rinunciavano ad un'attività pubblica. Coloro che ottenevano l'ascesa al secondo ordine grazie ad una carriera di centurione erano ufficiali di carriera, ma nell'ultima fase del loro cursus honorum potevano assumere le più alte cariche equestri come procuratori e prefetti. Spesso la carriera degli equites ammessi nel servizio statale cominciava con posti militari di rango equestre (militia equestris); un cavaliere prima serviva come comandante di un corpo di fanteria di 500 uomini (praefectus cohortis), poi o come ufficiale di stato maggiore in una legione (tribunus legionis) o come comandante di una coorte di fanti di 1.000 uomini (tribunus cohortis), infine come comandante di un corpo di cavalleria di 500 uomini (praefectus alae); dal II secolo, a ciò poteva aggiungersi il comando di un corpo di cavalleria di 1.000 uomini. I cavalieri particolarmente qualificati ed ambiziosi potevano ottenere, come procuratores Augusti, gli alti posti dell'amministrazione economica e finanziaria dell'Impero ed il governatorato di alcune province minori. I più capaci tra loro venivano inseriti nelle più alte cariche di corte e, dopo il posto di comandante dei vigili del fuoco della città di Roma (praefectus vigilum), di funzionario supremo con competenze relative all'approvvigionamento di grano per Roma (praefectus annonae) e di viceré dell'Egitto (praefectus Aegypti), potevano ottenere la più alta carica equestre, quella di prefetto del pretorio (praefectus praetorio).

I cavalieri che entravano nel servizio statale formavano un'"aristocrazia amministrativa". L'ordine equestre, dunque, non partecipava in massa alla conduzione politica dell'Impero romano. Tuttavia, i cavalieri delle posizioni di vertice appartenevano all'élite dell'Impero insieme ai senatori eminenti, ed il prefetto del pretorio fu il secondo uomo dello Stato.

Ancora più eterogenea dell'ordine equestre era l'élite della società delle città. Per l'unificazione degli appartenenti a questo gruppo di rango non esisteva alcuna istituzione diffusa in tutto l'Impero; l'organizzazione in un ordine dell'élite urbana, che andava sotto il nome di ordo decurionum, costituiva un corpo autonomo in ogni città; questo ordo comprendeva i membri del consiglio ed i magistrati. L'appartenenza ad un tale ordo locale non era più ereditaria dell'appartenenza al rango equestre; venivano ammessi quei cittadini ricchi che entravano a far parte del consiglio (decurionatus), grazie all'esercizio di magistrature cittadine. Dal momento che i figli dei decurioni ereditavano il patrimonio paterno, avvenne spesso che i membri di una famiglia appartenessero per parecchie generazioni all'ordo decurionum di una città.

L'ordo delle singole città contava 100 membri. Di rado ci furono eccezioni a questa regola: in Oriente, il consiglio degli anziani (gerous.a) delle città maggiori poteva avere parecchie centinaia di membri. In alcune città italiche, i membri del consiglio si chiamavano centumviri.

L'organizzazione uniforme delle élites cittadine portò ad una forte eterogeneità nella loro composizione. L'importanza, il numero della popolazione delle singole città e la loro struttura sociale presentavano notevoli differenze; anche la posizione sociale dei 100 uomini preminenti dell'ordo decurionum era differente da città a città per ricchezza, attività economica, educazione ed origine. Tutto ciò si manifesta nella diversa determinazione del censo minimo richiesto ai decurioni.

Nell'ambito di una provincia potevano esserci notevoli differenze tra gli ordines delle singole città. La maggior parte dei decurioni erano proprietari di fondi nel territorio cittadino, dove avevano ville. Tuttavia, l'estensione e la redditività delle singole proprietà terriere potevano essere molto diverse. Tra i singoli ordines esistevano molte altre differenze. Nei grandi centri commerciali, tra i decurioni c'erano commercianti ed imprenditori. Nelle città più grandi, l'ordo era eterogeneo anche sotto altri punti di vista.

L'ordo decurionum di una stessa città non era omogeneo, e non soltanto perché lo strato dei ricchi era eterogeneo per origine e professione. L'ordo delle singole città presentava una stratificazione interna. Sotto Adriano, si registrò una differenza tra i primores viri e gli inferiores. Tuttavia, già prima, in molte città ci furono alcune famiglie eminenti i cui membri si distinsero grazie a donazioni ed elargizioni e ricoprirono le magistrature cittadine con frequenza sproporzionata.

Se nelle comunità dell'Impero romano i singoli ordines decurionum manifestarono importanti caratteristiche comuni, ciò avvenne grazie ai diritti ed ai doveri comuni ed alle funzioni omogenee dei loro membri. Non solo i privilegi penali dei decuriones erano omogenei, ma tale era anche il loro compito di garantire l'amministrazione delle loro città nel campo della giustizia, delle finanze, dell'approvvigionamento alimentare, dell'attività edilizia e del mantenimento dell'ordine pubblico. Da una parte, questo compito fu esplicato tramite le decisioni prese dai decurioni nel consiglio della comunità, dall'altra tramite l'attività dei magistrati.

Anche per gli appartenenti a questo ordine si aprì la possibilità di una carriera amministrativa specifica: un decurione era prima aediles e poi duumvir (con il titolo di quattuovir aedilicia protestate e di quattuovir iure dicundo), cioè vice-capo e quindi capo della comunità per la durata di un anno; non poteva ricoprire anche altre cariche, come la questura urbana, o fungere ripetutamente da capo della comunità; tuttavia, poteva ricoprire i sacerdozi municipali.

Ugualmente importante era la funzione economica d'interesse collettivo dei decurioni: essi sostenevano la maggior parte delle spese della città. Da un decurione ci si aspettava che pagasse alla comunità una somma di denaro per la propria posizione (summa honoraria) o sostenesse le spese per la costruzione di opere pubbliche. La stessa cosa valeva per la concessione della carica di sacerdote cittadino. Ricchi dignitari cittadini spendevano somme e guadagnavano prestigio anche con atti di beneficenza. Tuttavia, questa munificentia è modesta a paragone di spese elevatissime sostenute da altri membri dell'ordine dei decurioni.

Nel I secolo, questo sistema di liturgie si basò sulla libera volontà, poiché la fiorente vita economica di molte città di recente fondazione assicurava ai membri dello strato sociale superiore locale notevoli possibilità finanziarie. Tuttavia, a partire dal regno di Traiano e di Adriano, prese avvio un processo che condusse alla regolamentazione, da parte dello Stato, del sistema di liturgie, con la conseguenza che il decurionato cominciò a diventare un peso. Questa tendenza si manifesta nelle istanze di cittadini che cercavano l'esenzione da oneri finanziari di quel tipo.

Grazie alle loro funzioni politiche, le élites cittadine formarono la spina dorsale del sistema di dominio romano: i loro membri alleggerirono il peso dello Stato; in quanto strato sociale superiore comune delle città e dei costumi romani, contribuirono a garantire l'unità dell'imperium Romanum.

Di questa élite municipale non faceva parte un altro strato sociale urbano delle città, ugualmente ricco, che è da annoverare tra gli strati sociali superiori della società romana, cioè quello dei liberti ricchi. Le fonti finanziarie di questo ambiente risiedevano nel commercio, nell'attività bancaria e nella produzione artigianale, ma anche nella proprietà terriera. A causa della macchia dovuta alla loro origine servile, anche i liberti più ricchi entrarono a far parte dell'ordo decurionum di una città solo in casi eccezionali; più frequentemente, erano insigniti dei simboli esteriori di un decurione (ornamenta decurionalia), senza diventare membri dell'ordo. Essi formavano una corporazione a parte, che costituiva un "secondo ordine" accanto all'ordo decurionum. I membri si chiamavano Augustales ed occasionalmente la loro associazione fu designata come ordo Augustalium. In tali corporazioni furono inclusi anche gli ingenui, ma, nelle città più grandi, l'Augustalis era il ricco parvenu di origine servile.

Con il pagamento di una somma di denaro o con l'erezione di statue di culto per l'ammissione tra gli Augustali o per altre onorificenze, con il finanziamento di costruzioni pubbliche e con altre istituzioni, essi contribuivano alle spese necessarie per lo sviluppo delle città e per il mantenimento degli abitanti. A partire dal II secolo, tuttavia, la loro importanza diminuì: ciò portò ad un maggiore aggravio dei decurioni ed a difficoltà nel sostentamento delle città.

La condizione dei ricchi liberti della città era simile a quella degli schiavi e dei liberti imperiali. Anche gli schiavi ed i liberti dell'imperatore (familia Caesaris) possono essere annoverati tra gli strati sociali superiori dell'Impero Romano. La dimostrazione di come fosse differente la posizione sociale di questi liberti e servi da quella dei liberti e degli schiavi ordinari è data dal fatto che spesso i primi potevano sposare donne di origine libera; il loro servizio presso la persona del sovrano, nella cancelleria centrale dell'amministrazione alla corte imperiale e negli uffici delle capitali provinciali e delle proprietà terriere imperiali, assicurò loro un certo prestigio. Nonostante i più grandi meriti, nonostante potere e ricchezza, essi poterono entrare nell'ordine equestre solo in pochi casi eccezionali e non poterono mai far parte dell'ordine senatorio. Questo vale anche per i vertici della familia Caesaris, anche per i tre liberti più potenti alla corte imperiale, i quali, sotto Claudio, tennero nelle loro mani la direzione della politica romana, cioè Narciso, incaricato della corrispondenza ufficiale (ab epistulis), Callisto, responsabile delle petizioni all'imperatore (a libellis), e Pallante, il segretario alle finanze (a rationibus).


strati sociali inferiori urbani

La composizione sociale degli strati inferiori della popolazione dell'Impero romano era più eterogenea di quella degli strati superiori. Ciò nasceva dalla diversità economica, sociale e culturale delle parti dell'Impero. Durante l'età imperiale si verificò un processo d'integrazione anche tra gli strati sociali inferiori.

Gli strati sociali inferiori non erano articolati secondo distinzioni gerarchiche chiare. Esisteva una divisione tra plebs urbana e plebs rustica, dovuta alle differenze tra popolazione urbana e rurale, quanto a luogo di residenza, occupazione, attività economica, modo di vita, possibilità di ascesa sociale, cultura e tradizioni, costumi; questa divisione rappresentava un netto contrasto con la struttura degli strati sociali superiori, che non conosceva alcuna distinzione del genere. Nei concetti di urbanitas e rusticitas si esprimeva l'idea del diverso livello culturale degli abitanti della città e di quelli della campagna.

Era definita la diversa posizione giuridica di nati liberi, liberti e schiavi, e da qui derivavano differenze sociali, poiché queste categorie giuridiche rispecchiavano differenti forme di dipendenza dei gruppi inferiori della popolazione dagli strati sociali superiori. I confini tra questi gruppi, tuttavia, non costituivano linee nette di divisione sociale, nonostante la differenza di livello. Possesso o non possesso di mezzi di produzione, agiatezza o povertà, dipendenza parziale o totale dagli appartenenti agli strati sociali superiori, non derivavano dall'appartenenza ad una delle categorie della popolazione. Sulla base di questi fattori era presente una stratificazione interna, benché questa stratificazione fosse graduale e non manifestasse confini chiari e distinti.

Gli strati inferiori della popolazione erano più omogenei nelle città che nelle zone rurali. Godevano di una posizione più favorevole che non le masse della popolazione rurale: nelle città c'erano migliori possibilità d'impiego, più favorevoli opportunità per i cambiamenti d'attività, maggior spazio per la vita pubblica, più donazioni e più ampie possibilità di divertimento rispetto alla campagna. Anche gli schiavi delle città se la passavano meglio di quelli della campagna.

Gli appartenenti agli strati sociali inferiori urbani potevano organizzarsi in associazioni (collegia). Tali associazioni permettevano di consociarsi con i loro colleghi di lavoro o con altri devoti di una stessa divinità. I membri di tali associazioni avevano coscienza corporativa e potevano imitare l'attività dei dignitari delle città nella direzione delle associazioni; queste, grazie alle quote associative ed alle donazioni dei cittadini ricchi, potevano garantire ai propri membri pasti migliori ed una sepoltura appropriata. Fu loro affidata la funzione di corpo dei vigili del fuoco urbani. La plebs urbana era regolarmente rifornita di grano. A ciò si aggiungevano le possibilità di passatempo e le altre possibilità di divertimento tipiche di una città.

Ciononostante, la vita degli appartenenti alla plebs urbana era dura. Gli strati più bassi della plebs urbana erano disprezzati dagli ambienti più elevati. I loro alloggi erano miserabili, le loro condizioni di lavoro sfavorevoli, il loro abbigliamento e nutrimento insufficienti, le loro sostanze modestissime. Erano duramente colpiti dalle carestie alimentari.

Le attività lavorative degli appartenenti agli strati sociali inferiori urbani erano molto differenti. Spesso tra gli schiavi ed i liberti era possibile trovare gli esponenti dello "strato intellettuale" dell'Impero romano: essi esercitavano la maggior parte delle attività intellettuali, che godevano della stessa considerazione di quelle artigianali. Tra gli schiavi si contavano molti servi domestici e schiavi adibiti a mansioni di lusso, che non trovavano utilizzazione della produzione; ciò valeva anche per molti nati liberi e liberti della città più grandi. Nelle città più grandi, i membri degli strati sociali inferiori urbani avevano una funzione economica come artigiani e commercianti. Molti di loro avevano una piccola attività in proprio o come affittuari, e lavoravano soli oppure con un paio di schiavi o liberti. Moltissimi operai erano impegnati nelle officine di ricchi proprietari. Simile era la struttura del commercio: molti piccoli commercianti possedevano un negozio proprio; tuttavia, molti liberti e schiavi operavano come agenti di grandi aziende.

Tra gli ingenui, i liberti ed i servi poteva esserci una certa distinzione sociale, sulla base della loro posizione giuridica, ma le differenze sociali non erano sempre chiare. Lo schiavo aveva la prospettiva di essere liberato ed otteneva la libertà intorno ai 30 anni; il liberto era un ex schiavo; moltissimi nati liberi erano discendenti di persone un tempo non libere, poiché il figlio del libertus nato dopo la manumissio era considerato un ingenuus. Da questa mobilità derivava che una parte considerevole degli strati inferiori della popolazione era composta da individui di origine non libera; dall'altro lato, si determinava, sulla base di questa struttura, la necessità di integrare continuamente lo strato servile.

L'ampia diffusione della schiavitù nei centri urbani è evidente dalla grande quantità di epitaffi e di dediche che testimoniano la presenza di servi e liberti in molte città dell'Impero.

Per l'approvvigionamento di schiavi non esistevano più, in età imperiale, le possibilità illimitate del II e del I secolo a.C. Sotto Augusto, i prigionieri venivano asserviti dopo le guerre di conquista, ma sotto i suoi successori Roma condusse poche guerre di conquista, ed in tali guerre la popolazione non fu venduta come schiava. Il commercio di schiavi con le popolazioni vicine poteva coprire una piccolissima parte del fabbisogno romano di schiavi. La maggior parte degli schiavi nell'età del Principato non veniva asservita con la forza: molti schiavi, i vernae, erano figli di matrimoni tra schiavi.

Una fonte di approvvigionamento di schiavi importante era la "volontaria" riduzione in schiavitù di abitanti liberi dell'Impero. Era una prassi diffusa che le famiglie povere abbandonassero i propri figli; questi venivano allevati come schiavi (alumni) da coloro che li avevano raccolti. Date le cattive condizioni economiche in cui vivevano molte famiglie nominalmente libere, ma di fatto senza diritti e senza mezzi, spesso succedeva anche che i figli fossero venduti come schiavi o che gli stessi adulti si vendessero come schiavi.

Alla fine della repubblica, cominciò a farsi strada l'idea che, per ragioni politiche ed economiche, fosse necessario un trattamento degli schiavi migliore di quello raccomandato da Catone. Per stimolare gli schiavi ad una maggiore produttività, furono loro concessi molteplici favori. Augusto disapprovò il trattamento crudele degli schiavi: durante il suo regno, lo Stato cominciò ad emanare norme in favore degli schiavi. La lex Petronia (19 a.C.) prescrive che uno schiavo può essere condannato alla lotta mortale con le belve solo con l'approvazione delle autorità. Claudio considerò assassinio l'uccisione di schiavi vecchi e malati, e fece loro concedere assistenza statale e libertà; Domiziano vietò la castrazione degli schiavi; Adriano proibì l'uccisione di schiavi colpevoli per mano dei loro padroni e la loro carcerazione in prigioni private.

Gli schiavi venivano manomessi molto frequentemente e potevano avere fondate speranze nella manumissio. Sotto Augusto, la liberazione di schiavi era così consueta che la massa dei liberti appariva allo Stato come una minaccia politica e sociale. Il governo imperiale dovette dare a questa tendenza una direzione conciliabile con gli interessi dello Stato romano. La lex Fufia Caninia (2 a.C.) limitò il numero degli schiavi che potevano ottenere per testamento la libertà. La lex Aelia Sentia (4 d.C.) prescrisse per la manomissione l'età minima di 20 anni e rese più difficile, per gli schiavi più giovani, il conseguimento della cittadinanza. Queste leggi dovevano evitare che persone di origine servile ottenessero in massa, con la liberazione, la cittadinanza romana, in maniera sottratta al controllo dello Stato, così da esercitare un'eccessiva influenza sulla vita pubblica. Finalità simili perseguì la lex Iunia (19 d.C.) che, invece della cittadinanza romana di pieno diritto, concedeva soltanto il diritto latino; la lex Visellia (24 d.C.) proibì ai liberti di accedere alle magistrature urbane.

Per i padroni, il vantaggio di questo sistema consisteva nello zelo lavorativo dello schiavo, che non voleva mettere in pericolo la prospettiva della libertà e doveva accumulare un piccolo patrimonio (peculium) per riscattarsi al momento della manumissio, rimborsando il prezzo d'acquisto. Ancora più importanti erano i vantaggi che l'ex padrone traeva dal rapporto di patronato con il suo libertus, grazie agli obblighi economici e morali di quest'ultimo.


strati sociali inferiori rurali

In campagna, la condizione degli schiavi era molto diversa da quella degli schiavi nelle città. La composizione sociale della plebs rustica, i cui membri costituivano la maggioranza della popolazione, era ancora più eterogenea di quella della plebe urbana. Nella campagna c'erano ingenui, liberti e servi, ma nelle singole zone rurali il loro rapporto reciproco quanto a consistenza numerica era meno equilibrato che nelle città; queste categorie potevano designare posizioni sociali totalmente differenti. Anche per quanto riguarda gli schiavi, devono essere fatte distinzioni tra i singoli gruppi sociali.

La coltivazione dei latifondi per mezzo di masse servili non era diffusa ovunque vi fossero grandi proprietà terriere. La condizione degli schiavi andò migliorando, in età imperiale, anche nei latifondi.

Anche in campagna e nell'economia agricola non mancavano i liberti, che lavoravano nei possedimenti di estensione piccola e media. Sembra che gli schiavi di tali padroni siano stati manomessi più frequentemente degli schiavi delle grandi proprietà terriere. La pratica della manomissione non era ignota neanche nei latifondi; tuttavia, in campagna, la manomissione veniva praticata molto più raramente che nelle città. è ipotizzabile che in campagna non fossero da attendersi quei vantaggi economici e sociali che si offrivano in città ad un padrone che liberasse i suoi schiavi.

Durante l'Impero, diventò sempre più difficile rinnovare le masse servili necessarie per la coltivazione dei latifondi. Il naturale incremento delle famiglie servili poteva difficilmente mantenere immutato il numero degli schiavi. I cittadini liberi dell'Impero facenti parte della popolazione straniera delle province si facevano asservire nelle città, dove avevano migliori prospettive di futuro. Durante l'Impero, la schiavitù diminuì nelle campagne: nei latifondi, il sistema del colonato prese il posto della schiavitù. Il colonus era un fittavolo che affittava una piccola parte della proprietà, la lavorava insieme alla propria famiglia e versava al proprietario una quantità determinata di ciò che produceva.

La maggior parte dei coloni erano persone libere tra cui vi erano anche liberti. Nel sistema di affittanza furono impiegati anche gli schiavi che, come quasi coloni, nel I secolo, vivevano nelle stesse condizioni dei coloni. Così le differenze nella posizione giuridica dei nati liberi, dei liberti e degli schiavi persero il loro significato sociale; tuttavia, si andarono formando nuove distinzioni sociali. Sono attestate parecchie categorie di lavoratori agricoli delle proprietà imperiali:

i coloni "normali", cioè i piccoli fittavoli;

i coloni inquilini, contadini senza terra residenti nelle proprietà ed obbligati a diverse prestazioni lavorative;

gli stipendiarii, alcuni dei quali vivevano nelle proprietà, altri fuori di esse.

Durante il Principato, gli schiavi ed i coloni rappresentarono una minoranza della popolazione rurale dell'imperium Romanum; vivevano altri consistenti gruppi di popolazione rurale, la cui composizione si differenziava da regione a regione. Nella maggior parte delle province c'erano piccoli proprietari terrieri che possedevano terra propria per un valore inferiore al censo dei decurioni. Questo tipo di podere piccolo ed autonomo non scomparve in Italia. Nella maggior parte dell'Impero c'erano grandi quantità di contadini poverissimi senza terra e senza mezzi, che cercavano di assicurarsi l'esistenza come lavoratori a giornata o stagionali nelle terre dei contadini più ricchi, dei proprietari terrieri municipali e nei latifondi; in molte zone, inoltre, c'erano pastori. A ciò si aggiungevano i piccoli commercianti ed i piccoli artigiani; facevano parte della popolazione delle campagne anche i piccoli fittavoli ed i carcerati, che lavoravano nelle miniere.

Nel tardo Impero si svilupparono strutture omogenee tra la popolazione rurale dell'imperium Romanum. Tuttavia, la condizione della popolazione rurale era simile quasi in ogni luogo. Coloro che si trovavano nella situazione peggiore erano la massa dei contadini nominalmente "liberi", senza mezzi, che non godevano della posizione privilegiata del cittadino romano.


la struttura per ordini e strati ed i suoi effetti

La struttura sociale dell'età del Principato si può rappresentare come una piramide. La società si divideva in due gruppi principali di grandezza differente, cioè in strati sociali superiori e strati sociali inferiori. Senatori, cavalieri e decurioni senza rango equestre non costituivano più dell'1% dell'intera popolazione dell'Impero. Lo strato sociale dirigente comprendeva, alla fine dell'età augustea, soltanto 160 persone e, alla metà del II secolo, un numero all'incirca doppio. La maggior parte degli appartenenti agli strati sociali elevati erano organizzati in ordines, separati secondo criteri gerarchici, cioè in entità sociali chiuse, concepite corporativamente, con qualificazioni patrimoniali, funzioni e caratteristiche di rango. In queste organizzazioni fu riunita l'élite della società, senza distinzione tra strato superiore urbano e rurale, mentre i ricchi liberti ed i membri della familia Caesaris non furono ammessi in queste organizzazioni privilegiate.

Gli strati sociali inferiori erano costituiti da gruppi eterogenei delle masse urbane e rurali. Presentavano caratteristiche significative in relazione alla loro attività economica in città o in campagna, o in base alla posizione giuridica di ingenui, liberti o servi. I confini tra i singoli strati sociali inferiori potevano determinare solo in parte la posizione del singolo; all'interno della popolazione più bassa non vi erano chiare linee di divisione sociale in senso orizzontale.

Questo modello non può abbracciare l'intera realtà dell'organizzazione sociale romana dei primi due secoli dell'Impero. Si deve richiamare l'attenzione su due punti deboli di tale modello:

In primo luogo, nella sua definizione sono stati determinanti i criteri di articolazione giuridici ed organizzativi, per cui non sono risaltati i confini che esistevano tra gruppi sociali in base alle funzioni ed al prestigio sociale e che non corrispondevano ai confini tra organizzazioni e gruppi di persone definibili giuridicamente. In base alle caratteristiche funzionali ed al prestigio, negli strati superiori dell'imperium Romanum si possono individuare due strati principali della popolazione socialmente elevata: da una parte un'élite municipale, dall'altra un'aristocrazia imperiale. Alle élites municipali appartenevano i ricchi liberti riuniti nei collegi degli Augustali, i decurioni, i magistrati, che erano anche membri dell'ordine equestre, ma che avevano solo incarichi cittadini e non statali. Gli appartenenti all'aristocrazia imperiale ricoprivano funzioni militari e politiche nel servizio statale. Da tale aristocrazia emergeva lo strato dirigente politico-militare, composto dai senatori titolari delle alte cariche e dagli alti funzionari statali.

In secondo luogo, si deve mettere in risalto che il modello dà una prevalenza alla stratificazione sociale come elemento caratteristico della società. Nella definizione delle realtà sociali del mondo romano non erano determinanti soltanto le posizioni fissate all'interno di una gerarchia sociale, ma anche i rapporti personali tra singole persone di collocazione sociale alta e bassa. Mentre gli appartenenti ad un ordo privilegiato si univano coscientemente e si isolavano rispetto agli altri gruppi gerarchici della società, i gruppi della popolazione socialmente inferiore dell'Impero erano legati ai rispettivi signori o patroni. Anche le differenze sociali erano una realtà il cui significato non può essere misconosciuto.

Dal momento che il modello romano di società ordinata per ordini e strati si diffuse anche nelle province, le posizioni di vertice si aprirono anche a coloro che un tempo erano stati "non Romani", mentre gli Italici persero il ruolo dirigente.

La possibilità di avanzamento sociale si uniformavano alle linee di divisione che correvano all'interno della piramide sociale. Coloro che già erano privilegiati disponevano di notevoli possibilità. La distanza tra i requisiti censitari dei vari ordines non era insormontabile e gli ordini dirigenti, che dovevano essere continuamente integrati, trovarono la propria naturale fonte di integrazione nell'ordine inferiore. Anche gli strati sociali inferiori non mancavano di simili possibilità di avanzamento sociale. Grazie alla struttura più aperta degli strati inferiori, era possibile il cambiamento di status.

Il sistema sociale romano offrì molteplici possibilità di ascesa sociale cui si poteva aspirare; questa elasticità contribuì alla sua forza ed alla sua stabilità.

Le tensioni ed i conflitti sociali, durante il principato, di rado portarono ad aperte rivolte. I vari gruppi degli strati più bassi della popolazione erano legati agli strati superiori in forme diverse e perseguivano interessi differenti, mentre all'interno degli strati inferiori non esisteva alcuna chiara linea di divisione sociale; non poteva svilupparsi una classe rivoluzionaria che comprendesse tutti i livelli.

L'Impero era una cornice politica che si adattava alla coesione della società romana a regime aristocratico nel contesto di un Impero mondiale: incarnava un sistema di dominio unitario e stabile, che corrispondeva agli interessi degli strati sociali superiori. Con la creazione di un'ordinata amministrazione imperiale e con il mantenimento di un esercito stabile, fu creato un apparato di potere che garantiva il controllo permanente ed omogeneo dei sudditi ed assicurava stabilità politica. Gli appartenenti agli strati superiori furono immessi nel sistema di esercizio del potere secondo un'equilibrata graduazione gerarchica. La divisione delle funzioni pubbliche tra ordo senatorius, ordo equester e ordines decurionum, sotto la direzione centralizzata dell'Impero, corrispondeva alle realtà sociali.

L'Impero assicurò alla società romana norme ideologiche ed etiche, che offrivano un sistema di valori agli strati sociali dirigenti, ma anche a vasti gruppi della popolazione. I singoli gruppi sociali curavano il culto del sovrano tramite sacerdoti propri: i sodales Augustales ed i membri di altre confraternite erano senatori, gli alti sacerdoti delle province erano cavalieri; nelle città c'erano flamines municipali provenienti dall'ordine dei decurioni, Augustales che venivano dall'ambiente dei liberti eminenti, magistri e ministri dei Lari dell'imperatore presi tra altri liberti e tra gli schiavi.

Date la forza e la solidità dell'Impero, ogni rivolta contro il sistema di dominio romano era vana. Con la ridefinizione delle funzioni di potere, all'interno degli strati sociali superiori difficilmente si avevano conflitti che non potessero essere risolti con mezzi pacifici; alla plebe urbana si provvedeva regolarmente; gli schiavi erano trattati molto meglio che in passato; le masse contadine potevano registrare, con la progressiva romanizzazione ed urbanizzazione, alcuni privilegi sociali.

Anche durante il Principato, tuttavia, si arrivò a disordini sociali isolati e differenti quanto a motivazioni, o all'esplosione di aperti conflitti politici. Essi si svilupparono tra quei gruppi della popolazione su ci gravava un peso atipico e particolarmente opprimente.

Le rivolte di massa contro il dominio romano da parte dei provinciali oppressi rappresentarono un grande pericolo per l'imperium Romanum. Le loro cause andavano ricercate nelle misure politiche, militari o economiche di Roma, che colpivano strati molto differenti della popolazione. Tuttavia, la maggior parte di coloro che si opponevano a Roma appartenevano alla popolazione rurale: il peso del dominio romano nelle province, infatti, ricadeva su di loro.

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