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L'infinita ricerca dell'uomo




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Yet even then i do not think that my madness [], since when in a state of excitement my feelings lead me rather to the contemplation of eternity, and eternal life.

Tratto da Lettere a Theo di Vincent Van Gogh

 
L'infinita ricerca dell'uomo















Tutti noi sappiamo che dobbiamo morire, ma in un angolo riposto del nostro cuore ci sentiamo immortali e non crediamo di dover vedere finiti i nostri giorni. Siamo invece terribilmente spaventati anche solo all'idea che le persone che amiamo possano scomparire. E' la sofferenza di fronte all'inevitabilità della morte e all'insicurezza del destino ultimo della vita umana che è rappresentato nel quadro di Van Gogh intitolato "Old Man in Sorrow" o, in altre interpretazioni, anche "Alle soglie dell'eternità". Esistono diverse versioni dello stesso soggetto anche in forma di litografia intitolata "Vecchio con le mani fra i capelli". Il dipinto qui riportato ritrae un vecchio che, seduto sulla sua sedia, che ricorda molto anche quella del dittico dedicato alla fine dell'amicizia con Gaugin, appoggia il viso sulle proprie mani strette a pugno, esprimendo un senso di profonda solitudine e di estrema disperazione, benché contenuta nell'intimo dei propri pensieri; non vi sono infatti gesti scomposti di sofferenza, ma solo un senso di profonda angoscia esistenziale. Il fuoco sulla sinistra potrebbe rappresentare il focolare domestico, data anche l'ambientazione interna, e collegare quindi lo stato d'animo del vecchio ritratto alla perdita di qualche stretto familiare; d'altra parte, però, rifacendosi all'antico mito greco di Demofonte[1], il fuoco può essere anche simbolo di una possibile immortalità dello spirito. Il vecchio, in questa mia interpretazione, supportata dalla lettura di alcune pagine del saggio di Kathleen Powers Erickson "At Eternity's Gate: The Spiritual Vision of Vincent Van Gogh", potrebbe allora rappresentare la disperazione e l'angoscia dell'uomo di fronte alla caducità della sua vita terrena, nonostante vi sia la possibilità di una immortalità ultraterrena, rappresentata dal fuoco ardente.  


Proprio la paura della morte e la disperazione che da essa consegue portano l'uomo a pensare ad una possibilità di sopravvivere alla morte che può realizzarsi in diversi modi. Miguel De Unamuno[2], filosofo spagnolo vissuto tra la seconda metà dell' Ottocento e il primo Novecento, parla nelle sue opere, che risentono dell'influsso dell'esistenzialismo kierkeggardiano, dell'uomo e della morte; Unamuno imposta il problema in termini di morte individuale e trova la soluzione ad esso nell'istinto di conservazione, concetto ripreso dalla filosofia schopenahueriana. La morte della specie viene così vinta dall'istinto di perpetuazione, definendo varie forme di immortalità, tra cui la prima è ottenuta con la perpetuazione della stirpe e l'erostratismo, quella forma che invece si ottiene attraverso la fama, e la seconda è invece l'immortalità fenomenica.

Il pensiero del rettore dell'università di Salamanca riassume così le due categorie generali di interpretazione del problema che si sono susseguite fin dall'antica filosofia greca, attorno alle quali si svolgerà la trattazione seguente.




Demetra, figlia di Crono e di Rea era la madre di   Persefone, avuta dal fratello Zeus. Un giorno Persefone, mentre coglieva dei fiori con altre compagne si allontanò dal gruppo e all'improvviso la terra si aprì e dal profondo degli abissi apparve Ade, dio dell'oltretomba e signore dei morti che la rapiva perchè da tempo innamorato di lei. Demetra, accortasi che Persefone era scomparsa,  per nove giorni corse per tutto il mondo alla ricerca della figlia sino alle più remote regioni della terra. All'alba del decimo giorno venne in suo aiuto Ecate, che aveva udito le urla disperate della fanciulla mentre veniva rapita ma non aveva fatto in tempo a vedere il volto del rapitore, che suggerì a Demetra di chiedere ad Elios, il Sole. Questi rivelò che a rapire la figlia era stato Ade. Demetra abbandonò l'Olimpo e per vendicarsi e decise che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali Si mise quindi a vagare per il mondo per cercare di soffocare la sua disperazione, sorda  ai lamenti degli dei e dei mortali che già assaporavano l'amaro gusto della carestia. Il suo pellegrinaggio la portò ad Eleusi, in Attica, sotto le spoglie di una vecchia, dove regnava il re Celeo con la sua sposa Metanira. Demetra fu accolta benevolmente nella loro casa e divenne la nutrice del figlio del re, Demofonte. Affezionatasi al giovane, decise di donare a Demofonte l'immortalità e di renderlo pertanto simile ad un dio ma, mentre era intenta a compiere i riti necessari, fu scoperta da Metanira, la madre di Demofonte, e da lei rimproverata. Rivelatasi in tutta la sua divinità e delusa dai mortali che non avevano gradito il dono che voleva fare a Demofonte, si rifugiò presso sulla sommità del monte Callicoro. Il dolore per la scomparsa della figlia, adesso che non c'era più Demofonte a distrarla, ricominciò a farsi sentire più forte che mai e a nulla valevano le suppliche dei mortali che nel frattempo venivano decimanti dalla carestia. Alla fine Zeus, costretto a cedere alle suppliche dei   mortali e degli stessi dei, inviò Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di rendere Persefone alla madre. Ade fece mangiare a Persefone un seme di melograno, legandola così per sempre al regno dei morti. Grande fu la commozione di   Demetra quando rivide la figlia ed in quello stesso istante, la terrà ritornò fertile ed il mondo riprese a godere dei suoi doni. Solo più tardi Demetra scoprì l'inganno teso da Ade: fu così allora che Demetra decretò che  nei sei  mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata, dando origine all'autunno e all'inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita, dando origine alla primavera e all'estate.




Miguel de Unamuno (29 settembre 1864 - 31 dicembre 1936) è stato uno scrittore spagnolo che ha portato sul piano filosofico, seppure in opere non sistematiche e quasi sempre di carattere letterario, i motivi più tipici dell'ispanismo rinnovandoli. Canonicamente viene fatto rientrare nel movimento letterario chiamato Generazione del '98, espressione del modernismo letterario spagnolo. Il suo pensiero nasce dal contrasto fra le istanze della ragione e quelle della vita in una visione di tragica lotta, senza tregua e senza pace. Così il suo modello ideale fu la figura di Don Chisciotte, cui dedicò il famoso Vita di Don Chisciotte e Sancho (1903). Personalità controversa e contraddittoria, aderì al movimento franchista dopo aver sopportato sei anni di esilio (dal 1924 al 1930) per le sue idee repubblicane, ed essersi più volte scagliato contro il militarismo, da lui considerato sofisticatore del genuino concetto di patria. Al centro della sua tormentata tematica si pone il problema religioso, di cui parlò in La mia religione (1910), Del sentimento tragico della vita (1913), L'agonia del cristianesimo (1925); svuotando il cristianesimo di ogni struttura dogmatica e accanendosi contro la casta sacerdotale, monopolizzatrice del dogma e mortificatrice del genuino spirito cristiano. Sempre in relazione con questa tematica è anche il suo romanzo Nebbia del 1914.

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