Yet
even then i do not think that my madness [], since when in a state of
excitement my feelings lead me rather to the contemplation of eternity, and
eternal life.
Tratto da Lettere a Theo di Vincent Van Gogh
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L'infinita ricerca
dell'uomo
Tutti noi sappiamo
che dobbiamo morire, ma in un angolo riposto del nostro cuore ci sentiamo
immortali e non crediamo di dover vedere finiti i nostri giorni. Siamo invece
terribilmente spaventati anche solo all'idea che le persone che amiamo possano
scomparire. E' la sofferenza di fronte all'inevitabilità della morte e
all'insicurezza del destino ultimo della vita umana che è rappresentato nel
quadro di Van Gogh intitolato "Old Man in Sorrow" o, in altre
interpretazioni, anche "Alle soglie dell'eternità". Esistono diverse
versioni dello stesso soggetto anche in forma di litografia intitolata "Vecchio
con le mani fra i capelli". Il dipinto qui riportato ritrae un vecchio che,
seduto sulla sua sedia, che ricorda molto anche quella del dittico dedicato
alla fine dell'amicizia con Gaugin, appoggia il viso sulle proprie mani strette
a pugno, esprimendo un senso di profonda solitudine e di estrema disperazione,
benché contenuta nell'intimo dei propri pensieri; non vi sono infatti gesti
scomposti di sofferenza, ma solo un senso di profonda angoscia esistenziale. Il
fuoco sulla sinistra potrebbe rappresentare il focolare domestico, data anche
l'ambientazione interna, e collegare quindi lo stato d'animo del vecchio
ritratto alla perdita di qualche stretto familiare; d'altra parte, però,
rifacendosi all'antico mito greco di Demofonte,
il fuoco può essere anche simbolo di una possibile immortalità dello spirito.
Il vecchio, in questa mia interpretazione, supportata dalla lettura di alcune pagine del saggio di
Kathleen
Powers Erickson "At Eternity's Gate: The Spiritual Vision of Vincent Van
Gogh", potrebbe allora rappresentare la disperazione e
l'angoscia dell'uomo di fronte alla caducità della sua vita terrena, nonostante
vi sia la possibilità di una immortalità ultraterrena, rappresentata dal fuoco
ardente.
Proprio
la paura della morte e la disperazione che da essa consegue portano l'uomo a
pensare ad una possibilità di sopravvivere alla morte che può realizzarsi in
diversi modi. Miguel De Unamuno,
filosofo spagnolo vissuto tra la seconda metà dell' Ottocento e il primo
Novecento, parla nelle sue opere, che risentono dell'influsso
dell'esistenzialismo kierkeggardiano, dell'uomo e della morte; Unamuno imposta
il problema in termini di morte individuale e trova la soluzione ad esso
nell'istinto di conservazione, concetto ripreso dalla filosofia
schopenahueriana. La morte della specie viene così vinta dall'istinto di
perpetuazione, definendo varie forme di immortalità, tra cui la prima è
ottenuta con la perpetuazione della stirpe e l'erostratismo, quella forma che
invece si ottiene attraverso la fama, e la seconda è invece l'immortalità
fenomenica.
Il
pensiero del rettore dell'università di Salamanca riassume così le due
categorie generali di interpretazione del problema che si sono susseguite fin
dall'antica filosofia greca, attorno alle quali si svolgerà la trattazione
seguente.
Demetra, figlia di Crono e di Rea era la madre di Persefone, avuta dal fratello Zeus. Un giorno Persefone, mentre coglieva
dei fiori con altre compagne si allontanò dal gruppo e all'improvviso la terra
si aprì e dal profondo degli abissi apparve Ade,
dio dell'oltretomba e signore dei morti che la rapiva perchè da tempo
innamorato di lei. Demetra, accortasi che Persefone era scomparsa, per
nove giorni corse per tutto il mondo alla ricerca della figlia sino alle più
remote regioni della terra. All'alba del decimo giorno venne in suo aiuto Ecate, che aveva udito le urla disperate
della fanciulla mentre veniva rapita ma non aveva fatto in tempo a vedere il
volto del rapitore, che suggerì a Demetra di chiedere ad Elios, il Sole. Questi rivelò che a rapire
la figlia era stato Ade. Demetra abbandonò l'Olimpo e per vendicarsi e decise
che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali Si mise quindi a vagare per
il mondo per cercare di soffocare la sua disperazione, sorda ai lamenti
degli dei e dei mortali che già assaporavano l'amaro gusto della carestia. Il
suo pellegrinaggio la portò ad Eleusi, in Attica, sotto le spoglie di una
vecchia, dove regnava il re Celeo con la sua sposa Metanira. Demetra fu accolta
benevolmente nella loro casa e divenne la nutrice del figlio del re, Demofonte.
Affezionatasi al giovane, decise di donare a Demofonte l'immortalità e di
renderlo pertanto simile ad un dio ma, mentre era intenta a compiere i riti
necessari, fu scoperta da Metanira, la madre di Demofonte, e da lei
rimproverata. Rivelatasi in tutta la sua divinità e delusa dai mortali che non
avevano gradito il dono che voleva fare a Demofonte, si rifugiò presso sulla
sommità del monte Callicoro. Il dolore per la scomparsa della figlia, adesso
che non c'era più Demofonte a distrarla, ricominciò a farsi sentire più forte
che mai e a nulla valevano le suppliche dei mortali che nel frattempo venivano
decimanti dalla carestia. Alla fine Zeus,
costretto a cedere alle suppliche dei mortali e degli stessi dei, inviò
Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di
rendere Persefone alla madre. Ade fece mangiare a Persefone un seme di
melograno, legandola così per sempre al regno dei morti. Grande fu la
commozione di Demetra quando rivide la figlia ed in quello stesso
istante, la terrà ritornò fertile ed il mondo riprese a godere dei suoi doni.
Solo più tardi Demetra scoprì l'inganno teso da Ade: fu così allora che Demetra decretò che nei sei
mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il
freddo e la natura si sarebbe addormentata, dando origine all'autunno e
all'inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita, dando
origine alla primavera e all'estate.