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L'arte delle parole dal preromanticismo al primo novecento




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L'ARTE DELLE PAROLE DAL PREROMANTICISMO AL PRIMO NOVECENTO

Le parole non sono solo un semplice mezzo di comunicazione, infatti la parola scritta non si limita al racconto di fatti di cronaca.

La parola scritta è alla base della letteratura, un mondo senza limiti che conferisce all'autore un potere straordinario che supera la scienza, perché riesce a raggiungere il quotidiano di ognuno.

Roberto Saviano, celebre autore del best seller Gomorra, definisce in un articolo ne "La Repubblica" la parola come "strumento ingovernabile, capace di forzare ogni maglia possibile", perché attraverso le parole l'autore riesce ad invadere il lettore e a farlo evadere dalla realtà; non solo, la letteratura è anche un "congegno del potere, bullone della metafisica del costume" in virtù della forza che essa ha attraverso la ricaduta sociale. Invece, per il letterato russo Majakovskij "la letteratura è un atleta", in quanto fatta di parole che scavalcano oltre la coltre di ogni cosa, combattono e superano gli ostacoli e le differenze interculturali.

Vediamo dunque come l'arte delle parole sia stata influenzata ed abbia a sua volta avuto un ruolo fondamentale nel percorso storico e sociale italiano:

I cambiamenti che la società italiana attraversò nel diciannovesimo secolo contribuirono senza dubbio all'evoluzione dell'arte delle parole: in un mondo in cui la concezione del denaro si faceva sempre più pesante, le cui redini erano tirate soprattutto dalla nuova classe borghese, la nostalgia di un clima emotivamente più forte, basato su valori solidi, alimentava il desiderio profondo di un luogo alternativo, vivibile solo attraverso l'arte.

Avvisaglie di questa necessità di fuga erano già percepibili sia nel ritorno all'ordine del neoclassicismo, in cui la parola del poeta si serviva di una forte capacità icastica per adempiere la propria funzione mitopoietica, sia soprattutto nel clima preromantico: è nei celeberrimi sonetti di Ugo Foscolo che la parola comincia a farsi carico del sentimento di solitudine dell'uomo, cercando di svelare la comunanza dei sentimenti umani e un nuovo modo di rivolgersi alla Natura, madre e sorella.

Questa tendenza a rifugiarsi nelle parole, cercando un luogo in cui poter aprire il proprio cuore e lasciar emergere il disagio, la follia, le illusioni, la lotta per una costante tensione verso l'infinito ebbe grande successo in Europa fin dai primi anni dell'Ottocento; prese il nome di romanticismo per poi tramutarsi nell'espressione di un soggettivismo esasperato.

In Italia, invece, la lettera di Madame de Staël non fu considerata uniformemente: Pietro Giordani e Giovanni Berchet furono i portavoce delle due diverse reazioni verso il sentimento romantico; il primo, fortemente contrario all'introduzione di un canone di bellezza nuovo e più interiore, confutava apertamente l'esposizione di Berchet, secondo cui solo la poesia romantica poteva essere definita poesia dei vivi. D'altronde la situazione italiana rappresentava un'eccezione rispetto agli altri Stati del continente, le grandi delusioni politiche e sociali resero necessaria un'indagine della realtà e una forte incisività sociale, di cui si fece carico una parola solida e decisa: Alessandro Manzoni ritrasse la realtà con il romanzo e le odi civili ed esplorò la complessità emotiva dell'uomo nelle sue tragedie.

In un clima illuminista, di assidua ricerca del vero e di rigorosa analisi della realtà, ridottasi quasi a pura tetratricotomia, crebbe uno dei personaggi più celebri della letteratura italiana, Giacomo Leopardi. Poeta estremamente colto ed intelligente, egli fece della parola il trampolino di lancio per l'immaginazione, in cui il suono e la visione permettevano di vivere una delle poche esperienze positive accessibili alla creatura umana. 

Con il movimento antitradizionalista degli Scapigliati si accese un'importante polemica contro Alessandro Manzoni, che veniva tacciato di populismo; al tempo stesso, però, la grandezza di questo autore era riconosciuta in onore dell'amore e dell'importanza che questi personaggi "arruffati" davano alla ricerca nel linguaggio: Manzoni aveva infatti realizzato la lingua italiana ufficiale, su cui essi fondavano il proprio sperimentalismo linguistico; Carlo Dossi, appunto, si interessò particolarmente del potere evocativo della parola, approfondendone l'aspetto fonico e dedicandosi alla stesura del romanzo sperimentale "La desinenza in A", caratterizzato da una forte mescolanza linguistica.

L'approfondimento dell'importanza del suono della parola ebbe un successo particolare, che portò Giosuè Carducci a focalizzare l'attenzione non solo sul potere icastico di questa, ma anche sugli accenti: fu così che egli ipotizzò per la poesia un sistema metrico diverso da quello tradizionale, basandosi sulla metrica latina e greca.

Nella seconda metà dell'ottocento l'Europa si trovò di nuovo unita in una tendenza comune, definita simbolismo: attraverso un simbolo, l'inconscio (cui era attribuita un'importante valenza conoscitiva) percepiva una realtà altra, decifrabile dal poeta che, attraverso la parola, "condensava" il simbolo e donava all'umanità una traccia di immersione nella pura verità. L'Italia prese parte a questo movimento soprattutto con la poesia di Giovanni Pascoli, per cui la parola aveva una grande capacità icastica ed un forte potere evocativo. Pascoli rilevò l'importanza estrema della precisione della parola, che doveva essere utilizzata quasi come una formula magica per impressionare l'uomo con l'immagine e con il suono; infatti egli proseguì il percorso dell'importanza dell'aspetto fonico della parola, fino al raggiungimento di un vero e proprio fonosimbolismo.

L'esteta Gabriele D'Annunzio, invece, attraverso la parola si fece portavoce della mera bellezza, annullando la dimensione etica tipica della Kalokagathia greca, e della fusione panica con la natura, spianando la strada all'eccentricità delle avanguardie del Novecento.

Già prima che la grande guerra scoppiasse, diversi personaggi scoprirono un sentimento di sfiducia nel potere della parola, quasi a presagire il grande sconforto e la confusione che avrebbero caratterizzato il ventesimo secolo. Essi si unirono in tre diversi gruppi culturali: tra i Crepuscolari, che si occupavano di tematiche semplici e quotidiane, esprimendole attraverso parole di rammarico e nostalgia, e i Vociani, caratterizzati da una profonda atonia esistenziale e dal confronto intimo con un'anima muta, si trova uno dei movimenti che riportò per un attimo l'Italia sotto i riflettori della cultura europea: il Futurismo.

Nel 1912 Filippo Tommaso Marinetti pubblicò il "Manifesto della Letteratura Futurista", e dichiarò la parola come strumento di deflagrazione di un momento. Il legame che univa poesia e progresso rendeva necessaria l'immediatezza dell'analogia, l'"accostamento più ardito", una sorta di distillazione ultima di metafora e similitudine, che però eliminava la liaison spontanea tra significante e significato. È proprio in questo contesto che nacque il fenomeno del Paroliberismo, un'unione di arte e letteratura che creava un particolare tessuto analogico da interpretare considerando la parola come immagine, rumore e azione.

Nonostante il grande successo contingente, l'avanguardia antitradizionalista di Marinetti non ebbe conseguenze importanti, anche perché non è difficile confutare le idee di questo personaggio anche solo basandosi sulle contraddizioni nei suoi scritti e nelle sue azioni. Tuttavia è doveroso notare che già la parola è di per sé inadatta all'espressione del pensiero futurista, in quanto essa nasce con una radice e percorre una storia di secoli che ne determina il senso, il quale sicuramente non è modificabile in un attimo.

Intanto con il Novecento cominciava un'era senza certezze e la parola non proclamava più verità assolute, ma ricerche continue, che talvolta si concludevano in maniera particolarmente pessimista.

Luigi Pirandello, ad esempio, arrivò a considerare l'incomunicabilità tra gli uomini; in Uno, Nessuno, Centomila egli dichiarò apertamente che le parole erano vuote. In effetti, secondo il pensiero dell'autore, ognuno dà ad ogni cosa un senso diverso, quindi riempie le parole con significati propri, secondo un relativismo conoscitivo senza uscita derivante dal continuo fluire della vita.

Umberto Saba, invece, svelò la grande importanza che attribuiva alla parola anche attraverso la scelta dello pseudonimo; egli riscattò la parola in virtù del suo potere di definire l'essere per come è, e di svelare la realtà amica del quotidiano; la parola "saba", infatti, significa "pane" in lingua ebraica: oltre a rendere omaggio alle proprie origini, egli comunicò il grande valore della semplicità, della spontaneità e della tangibilità.

Nonostante le innumerevoli difficoltà e la profonda sofferenza del periodo, con la parola l'uomo riuscì ancora ad affermare prepotentemente il proprio amore per la vita, immergendola nel silenzio della pagina bianca come fece Giuseppe Ungaretti. Egli ereditò le novità introdotte da Carducci e dai Futuristi, per poi attribuire alla parola poetica una concezione quasi metafisica: essa permetteva all'uomo di percepire la propria essenza irrimediabilmente sepolta dal dolore; la parola era un faro, aveva il potere di concentrare l'infinito in un attimo, ricordando la meravigliosa immagine di Dio che Dante presentò nel canto (XXVIII, vv. 16-17)   del Paradiso.

Per Ungaretti la parola colmava la lontananza tra l'uomo e la verità, mentre per Eugenio Montale essa rimaneva costantemente "imbrigliata" nella rete insormontabile della realtà fenomenica. Il poeta ligure vedeva nella concretezza della parola la possibilità di confrontarsi con la realtà e di dialogare tra esseri accomunati dalle stesse condizioni umane.

La poesia di Montale sottolineò l'incessante fatica e ricerca per la testimonianza dell'amore, nella consapevolezza di non poter andare oltre. Però la parola era l'unico strumento attraverso il quale l'uomo poteva affermare la propria dignità e per questo non doveva arrendersi, non doveva mai fermarsi nella sua ricerca ma dire, esprimere, esporre: quasi come se fosse un tentativo di fare ordine nel mondo, riempiendolo con le  parole. senza dimenticarsi che c'è sempre qualcosa di nuovo che sfugge.

Con l'Ermetismo, invece, la parola riprese il proprio potere allusivo, dando al poeta l'opportunità di isolarsi per compiere una ricerca in se stesso; così fece Salvatore Quasimodo nelle sue prime poesie, accostando parole con una relazione tra significante e significato molto sfumata, per poi "risvegliarsi" e tornare alla comunicatività immediata assolutamente necessaria dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. È proprio dalla testimonianza di questi che nacque una delle sinestesie più belle della letteratura italiana, "l'urlo nero della madre" che sconvolge il lettore di "Alle fronde dei salici".

Dunque a metà del Novecento la parola tornò ad indagare la realtà, e ci si accorse di quanto questa fosse cambiata. Carlo Emilio Gadda cercò di rappresentare questa nuova società impazzita in un contesto caotico attraverso la frammentarietà e l'esasperazione del suo sperimentalismo linguistico; la neoavanguardia "Gruppo del '63" accostò parole senza significato dando il via a nuove polemiche; mentre grandi personaggi come Primo Levi, invece, si assunsero la responsabilità di trasmettere attraverso la parola la testimonianza della terrificante esperienza ebraica.

Funzione mitopoietica = funzione eternatrice della poesia

Capacità icastica = capacità di rendere le immagini attraverso le parole

Tetratricotomia = ricerca di precisione assoluta, "spaccare il capello in quattro"

Kalokagathia = in greco "la bellezza salverà il mondo"; il termine indica ciò che è giusto, buono, conforme a un sistema di valori e quindi esteticamente bello

 












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