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La societÀ romana dall'inizio dell'espansione alla seconda guerra punica




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la società romana dall'inizio dell'espansione alla seconda guerra punica


la dissoluzione dell'ordinamento sociale arcaico: l'accordo tra gli ordini e l'espansione

Tra la fine del V secolo e gli inizi del IV secolo a.C., Roma era una città-stato arcaica: il suo ordinamento sociale, con l'aristocrazia dominante, da una parte, ed il popolo politicamente ed economicamente subordinato, dall'altra, si basava sul principio di ordo, ed il suo territorio si limitava ad un'area modesta.

I cambiamenti nella struttura della società romana, a partire dalla caduta della monarchia e dall'inizio della lotta tra gli ordini, avevano spinto Roma alle soglie di una nuova epoca. Il popolo non era più una massa politicamente minorente, bensì si era unito in un ordine con crescente identità e poteva registrare una serie di conquiste politiche. Si era realizzata una profonda articolazione sociale in base alla differenziazione delle condizioni di proprietà, che andava dai ricchi proprietari terrieri fino ai contadini poveri ed ai proletari nullatenenti, passando per gli artigiani ed i commercianti ricchi.

Verso il 400 a.C., Roma passò all'offensiva e, dopo la conquista di Fidene (426 a.C.) e la sottomissione di Veio (396 a.C.), riuscì ad ingrandire il proprio territorio. Fu imboccata la strada verso la dissoluzione dell'ordinamento arcaico: l'obiettivo non fu più, per i plebei, l'ulteriore separazione rispetto all'aristocrazia, ma l'accordo con il patriziato; all'esterno, l'obiettivo era l'ulteriore espansione, per risolvere le difficoltà economiche dei poveri a spese di terzi e per assicurare ricchezza a chi era già ricco.

Questa accelerazione del processo storico si concretizzò a partire dai primi decenni del IV secolo a.C., con la conseguenza che la struttura sociale dello Stato romano si modificò. A causa dell'incremento della popolazione, il numero dei senza terra era cresciuto e l'ampliamento del territorio romano dopo la conquista di Fidene e di Veio non aveva placato la scontentezza dei poveri: la terra conquistata, infatti, fu occupata dai ricchi proprietari terrieri. Crebbe anche la scontentezza della plebe: la fanteria pesante, formata dai plebei ricchi, aveva dato l'apporto decisivo alle guerre vittoriose e pretendeva un peso politico adeguato.

Nel 387 a.C., un gruppo di Galli aveva sconfitto l'esercito romano ed aveva occupato Roma: molte famiglie romane persero i loro averi e caddero in schiavitù per debiti; anche l'ordinamento statale patrizio fu scosso. La sola via d'uscita poteva essere o una rivoluzione o una riforma radicale. Divenne chiara anche la necessità di riforme e l'ala del patriziato pronta al compromesso s'impose, in alleanza con in capi della plebe.

La riforma decisiva fu attuata nel 367 a.C., con le leges Liciniae Sextiae, così chiamate dai tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano. Fu migliorata la condizione economica dei plebei poveri e fu ottenuta l'uguaglianza politica della plebe, con l'ammissione dei capi del popolo alle più alte cariche.

Il processo legislativo della repubblica fu un inarrestabile flusso di riforme sociali e politiche in favore della plebe. I provvedimenti seguirono due direzioni:

da una parte si fece in modo di eliminare la condizione di necessità economica dei plebei poveri;

dall'altra si trattò di attuare l'uguaglianza politica del popolo con i patrizi, che significava la fusione dei gruppi dell'élite plebea con i discendenti dell'antico patriziato.

Col le leggi Licinie-Sestie, i debiti furono parzialmente cancellati; fu deciso, inoltre, che nessuno poteva disporre di un fondo superiore ai 500 iugeri sulla terra pubblica.

La politica che prevedeva la distribuzione di terra poté essere avviata dopo il 340 a.C., grazie all'incremento dell'ager publicus dovuto all'espansione. Poté essere abolita la schiavitù per debiti: Livio paragona il significato della lex Poetelia Papiria (326 a.C.), che introdusse questa riforma, all'importanza della fondazione della repubblica. Appio Claudio Cieco, favorevole ai plebei ed alle riforme, durante la sua censura del 312 a.C. fece approvare un altro provvedimento: inquadrò nelle tribù rustiche gli ex schiavi, che fino ad allora erano stati inseriti nelle quattro tribù urbane; i liberti poterono ottenere in campagna residenza stabile e terreni.

La maggior parte degli sforzi riformistici di questo periodo mirarono alla parità politica dei plebei. Per la plebe era importante rafforzare la propria difesa contro l'arbitrio delle autorità statali. Il tribuno della plebe Gneo Flavio promulgò, nel 304 a.C., le procedure processuali (ius Flavianum), che assicurarono norme omogenee per il trattamento di qualsiasi cittadino di fronte alla corte. La lex Valeria de provocatione, del 300 a.C., rafforzò la tutela del cittadino di fronte ai magistrati: il cittadino, condannato alla pena capitale da un magistrato, aveva il diritto di appellarsi (provocatio) all'assemblea popolare, che doveva decidere sulla questione con un proprio procedimento giudiziario; nei procedimenti penali di natura politica, la competenza fu tolta ai magistrati e trasferita all'assemblea popolare. Gli obiettivi dell'élite della plebe erano l'ammissione alle più alte cariche dello Stato, l'uguaglianza con i patrizi anche in senato ed il rafforzamento del ruolo dell'assemblea popolare.

La strategia dell'élite plebea era stata quella di istituire cariche specificatamente proprie. Essi avevano ottenuto la possibilità di arrivare a coprire anche le cariche riservate ai patrizi. I tribuni militari, la cui istituzione fu introdotta nel 444 a.C., furono fin dall'inizio in parte patrizi ed in parte plebei. Nelle cariche civili, il primo plebeo comparve nel 409 a.C., come quaestor (coadiutore dei funzionari superiori). La reale equiparazione cominciò alcuni decenni più tardi. Nel 368 a.C., il dittatore patrizio nominò un plebeo magister equitum; i rappresentanti della plebe furono ammessi nel collegio sacerdotale dei custodi degli oracoli. Le leggi Licinie-Sestie introdussero la riforma decisiva: i funzionari superiori dello Stato furono i due consules, di cui uno poteva essere plebeo, ed il praetor, competente nell'ambito della giustizia, che poteva essere patrizio o plebeo; ai plebei fu concesso il diritto di aspirare alle altre cariche supreme. Accanto ai due aediles plebis, furono istituiti due edili patrizi (aediles curules), cosicché le funzioni degli edili poterono essere ripartire tra i rappresentanti dei due ordini. Il primo console plebeo fu Lucio Sesto laterano, nel 366 a.C., il primo dittatore plebeo Gaio Marcio Rutilo, nel 356 a.C., il primo censore plebeo lo stesso senatore, nel 351 a.C., il primo pretore plebeo Quinto Publilio Filone, nel 337 a.C. Questo processo si concluse con la lex Ogulnia, del 300 a.C., quando ai rappresentanti della plebe furono aperte le cariche sacerdotali dei pontifices e degli augures.

L'élite plebea volle migliorare anche la propria posizione in senato. Con la lex Ovinia fu stabilito che i censori potevano rinnovare il senato: durante ogni censura, dunque, il senato poteva essere rinnovato con plebei abbienti ed influenti. I senatori plebei furono equiparati a quelli patrizi, poiché ai conscripti fu concesso il pieno diritto di voto. Durante la censura di Appio Claudio Cieco, nel 312 a.C., furono ammessi nel senato molti plebei, tra cui figli di liberti ed artigiani e commercianti; il senato non fu più la roccaforte di un'aristocrazia privilegiata dalla nascita e dalla proprietà terriera. I diritti del senato furono ridotti a vantaggio dell'assemblea popolare, influenzata dai ricchi plebei.

A partire dalla lex Publilia (339 a.C.), le argomentazioni del senato contro una decisione dell'assemblea popolare dovevano essere esposte preliminarmente davanti all'assemblea popolare. La lex Hortensia, del 287 a.C., viene considerata la conclusione della lotta tra gli ordini. A causa di disordini sorti in seguito all'indebitamento di privati, la plebe ricorse alla secessione. Alle decisioni dell'assemblea popolare plebea (plebiscita) fu accordata validità giuridica anche senza l'approvazione del senato. Alla base di questa riforma ci fu la convinzione che, in senato e nell'assemblea popolare, erano rappresentati gli stessi interessi, poiché i capi del popolo e dell'assemblea popolare erano rappresentanti e membri eminenti di un'aristocrazia senatoria di nuova formazione.

La vittoria dei plebei significò l'abolizione delle delimitazioni di ordine tra patrizi e plebei, ma senza aprire la strada ad una società egualitaria; creò i presupposti per un'ulteriore differenziazione sociale. I plebei dovevano la vittoria alla loro decisione, alla coerente alleanza politica tra plebei ricchi e poveri, alla disponibilità al compromesso dell'aristocrazia, sotto la pressione della politica estera, ed all'interesse comune a tutti i gruppi di risolvere i problemi sociali tramite l'espansione.

Non solo il processo di riforma del sistema sociale romano per mezzo della legislazione fu contemporaneo all'espansione del dominio romano, ma fu organicamente intrecciato a questo sviluppo territoriale. Lo Stato romano fu in grado di superare le conseguenze della disfatta subita ad opera dei Galli, nel 387 a.C. Cominciò, dopo la metà del IV secolo a.C., una grossa offensiva, che portò all'assoggettamento dell'Italia centrale con le due guerre contro le tribù montane unite nella Lega Sannitica (fino al 290 a.C.) e con i successi contro i Galli e gli Etruschi (285 a.C.), ed alla conquista dell'Italia meridionale con la guerra contro Taranto e Pirro, re dell'Epiro (282-270 a.C.).

Le cause di queste guerre di conquista stavano nella necessità di risolvere i problemi interni della società romana con l'ampliamento del territorio. Aveva una ragione analoga l'impulso dei Sanniti e dei loro alleati ad espandersi fino alla regione costiera tra Roma e Napoli, che contrastava gli interessi romani.

I successi di Roma erano dovuti non soltanto alle capacità militari e diplomatiche dei generali e dei politici romani, ma anche alla superiorità della società romana rispetto all'ordinamento sociale della maggior parte delle popolazioni e delle tribù italiche. L'esercito romano poteva contare sull'appoggio di centri di rifornimento e di equipaggiamento urbani.

Con la concessione della cittadinanza romana, Roma dette la possibilità di far parte del suo sistema socio-politico alle diverse tribù e popolazioni italiche. La penisola appenninica fu una rete di comunità con diversa posizione giuridica sotto la sovranità romana: oltre agli "alleati" con sovranità nominale (socii), c'erano comunità di "semi-cittadini" con cittadinanza romana senza il diritto di partecipazione all'elezione dei magistrati romani (civitates sine suffragio), colonie della Lega Latina sotto la guida di Roma (coloniae Latinae), comunità con una popolazione locale, che avevano cittadinanza romana ed autonomia comunale (municipia), colonie romane (coloniae civium Romanorum). La concessione della cittadinanza romana assicurava la base per l'incremento del manpower romano e per l'unificazione della penisola in un quadro statale.

Grazie alla legislazione riformista ed all'ampliamento del dominio di Roma, in Italia si verificò un cambiamento nella struttura sociale romana. Le riforme accelerarono un nuovo tipo di differenziazione della società. I legami gentilizi, alla base delle strutture arcaiche, furono conservati grazie alle clientele ed ai culti privati, e furono in grado di influenzare il rapporto tra singole persone e gruppi; tuttavia, non costituirono più il principio determinante per l'articolazione della società. L'origine patrizia non fu più il criterio decisivo per la determinazione della posizione dirigente all'interno della società. Il sistema a due ordini formato da patres e plebs fu sostituito da un nuovo modello sociale. Il nuovo strato sociale superiore era composto dai discendenti dell'antica aristocrazia di nascita e dalle famiglie dell'élite plebea, unite da legami famigliari. I componenti di questo strato sociale superiore dovevano la loro posizione dirigente alle funzioni di potere; essi godettero di un grande prestigio personale. Al di sotto di questo strato superiore, c'erano diversi strati di popolazione divisi secondo la grandezza e la natura della proprietà e secondo la posizione giuridica: contadini ricchi, piccoli artigiani e commercianti, piccoli coltivatori diretti e lavoratori agricoli che dipendevano dai ricchi proprietari terrieri, liberi e schiavi. L'introduzione di questo modello significò la dissoluzione della struttura sociale arcaica e che le tensioni del nuovo ordinamento sociale non potevano più essere limitate ad un conflitto tra nobiltà e popoli. Poté iniziare, dunque, una pausa di relativa pace.

Evidenti furono le conseguenze delle guerre di conquista. L'interesse verso l'espansione costrinse all'accordo i gruppi sociali romani, i successi dell'espansione permisero la soluzione dei problemi sociali a spese di terzi, ebbero la capacità di smorzare le tensioni sociali e vanificarono il pericolo di un cambiamento violento. Il modello dell'ordinamento sociale romano fu trasferito in un sistema statale, in cui c'erano molti altri centri urbani con territori propri; sistemi sociali locali diversi furono incorporati in questo Stato.


l'ordinamento sociale romano nel III secolo a.C.

L'esito del conflitto tra gli ordini e l'espansione della potenza di Roma nella penisola italica determinarono il cammino che la società romana seguì nel suo successivo sviluppo. Tre condizioni emersero dal cambiamento:

Tanto lo sviluppo interno del corpo cittadino romano quanto il successo dell'espansione portarono nella struttura economica dello Stato romano, ed anche in quella sociale, una differenziazione più netta.

L'ordinamento sociale della Roma del III secolo a.C. non fu più sostenuto dalla popolazione di una singola comunità urbana, ma da una popolazione di parecchi milioni di persone, e questo ordinamento sociale abbracciò gruppi sociali eterogenei.

La vittoria politica dell'élite plebea non aveva prodotto la democratizzazione dell'ordinamento sociale, bensì la formazione di una nuova aristocrazia con solido potere.

Nel III secolo a.C., si formò a Roma un sistema sociale aristocratico, il cui sviluppo fu accelerato dalla vittoria romana nella Prima Guerra Punica (264-241 a.C.), mentre fu indirizzato su una strada nuova in seguito ai sovvertimenti verificatisi durante la Seconda Guerra Punica (218-201 a.C.).

Nel IV secolo a.C., Roma era uno Stato arretrato basato su un'economia agricola, nel quale la popolazione viveva di agricoltura e di allevamento e la proprietà terriera era la più importante fonte ed il principale segno di ricchezza. Artigianato e commercio avevano un ruolo limitato; venivano usati mezzi di scambio arcaici. Contestualmente all'espansione dello Stato romano, artigianato, commercio ed economia monetaria ebbero una funzione di rilievo nell'economia e portarono al rafforzamento dei gruppi sociali attivi in questi settori. In seguito ai suoi sforzi nella Prima Guerra Punica, Roma divenne una potenza marittima, che promosse l'espansione economica nel Mediterraneo occidentale. L'indizio più chiaro di questa trasformazione nella struttura economica romana fu l'introduzione della coniazione di monete, nel 269 a.C. L'appartenenza dei cittadini alle classi di censo poté essere regolata in base ad una qualificazione patrimoniale che espresse il valore del patrimonio minimo prescritto per le singole classi in termini monetari.

L'ordinamento sociale romano del III secolo a.C. si basava sull'insieme della popolazione della penisola italica; la popolazione era eterogenea dal punto di vista etnico, sociale e culturale e rendeva impossibile le semplici articolazioni sociali di un ordinamento arcaico. La società romana del III secolo a.C. si doveva essere sviluppata grazie a condizioni nuove.

La popolazione fu riunita in un ordinamento sociale aristocratico. La vittoria politica della plebe era stata una vittoria di quei gruppi dell'élite plebea che, a partire dal V secolo a.C., avevano aspirato all'integrazione nello strato dirigente e che non aveva mai cercato l'eliminazione del potere aristocratico, bensì la partecipazione a questo potere. Anche per le masse dei plebei poveri, la partecipazione politica era stata un obiettivo, in quanto per questa strada essi volevano raggiungere un'adeguata partecipazione alla divisione della terra pubblica. Il sistema clientelare rimase intatto: fu rafforzato dai legami tra gruppi popolari inferiori e famiglie plebee socialmente salite in alto.

La struttura della società romana del III secolo a.C. fu caratterizzata da una stratificazione diversa da quella precedente e da nuovi rapporti tra i singoli ordini. L'articolazione della società si basava sui privilegi di nascita, ma anche su capacità personale, proprietà terriera, denaro, influenza politica derivante dall'appartenenza al senato e accesso alle magistrature; avevano un ruolo anche la posizione giuridica legata alla cittadinanza ed alla libertà personale, l'attività ed i rapporti politici delle comunità italiche con Roma. Le tensioni sociali tra i singoli strati mutarono di natura: si svilupparono nuovi contrasti, come la lotta tra strato dominante e gruppi proletari, tra Romani ed alleati, tra padroni e schiavi. Questi contrasti, tuttavia, non riuscirono a fare esplodere gravi conflitti interni.

L'aristocrazia senatoria dominante costituiva un ristretto vertice di tutto il corpo cittadino. All'interno di questa aristocrazia c'era un gruppo di vertice, cioè la nobiltà, dotata del più alto prestigio, di influenza politica decisiva e della coscienza di questa posizione eminente: venivano considerati viri nobiles i senatori eminenti e le loro famiglie, i titolari del consolato ed i loro discendenti. Al tempo della Seconda Guerra Punica, un rappresentante tipico di questa cerchia fu Quinto Fabio Massimo Verrucoso, il Cunctator, censore, cinque volte console, due volte dittatore, consapevole della tradizione della sua gente, la cui origine egli faceva risalire ad Ercole, ma nello stesso tempo non insensibile alle nuove correnti di pensiero.

Accanto a genti patrizie di questo genere ve ne erano di plebee che, dal tempo delle leggi Licinie-Sestie, ricoprivano il consolato. Non c'era più una netta distinzione tra famiglie plebee e famiglie patrizie. Dagli ultimi decenni del IV secolo a.C., furono ammesse nell'aristocrazia senatoria di Roma anche famiglie eminenti di diverse città romane e latine d'Italia.

L'aristocrazia senatoria era separata dagli altri ordini della società in virtù di privilegi, sfera di attività, proprietà e ricchezza, prestigio e coscienza della propria identità collettiva. Mostrò di avviarsi verso la formazione di un ordine, ma non sollevò alcuna pretesa di esclusività. Lasciò aperta la possibilità che discendenti di famiglie non senatorie fossero ammessi nella sua cerchia; questi homines novi potevano anche raggiungere il consolato. Un homo novus fu Caio Flaminio, che fece approvare nuove misure in favore dei contadini ed entrò in conflitto con i suoi pari a causa delle sue idee politiche e religiose. Generalmente, tuttavia, gli homines novi assimilavano le idee conservatrici di questa aristocrazia: Marco Porcio Catone, figlio di un cavaliere di Tusculo, secondo Cicerone fu il migliore esempio di questo processo.

La posizione dirigente dell'aristocrazia nella società derivava dal fatto che i suoi membri determinavano la politica: questi provvedevano i magistrati, formavano il senato e controllavano l'assemblea popolare grazie all'influenza esercitata sui clienti. L'ingresso nelle magistrature divenne un privilegio dell'aristocrazia: soltanto i suoi componenti, infatti, avevano la ricchezza necessaria per aspirare ad una carica con un'adeguata propaganda elettorale.

Polibio, un ammiratore della costituzione della repubblica romana, pensava che la forza dei Romani stesse nell'unione di forme di potere monarchico, aristocratico e democratico, nel sistema di magistrati, senato ed assemblea popolare; in realtà, tuttavia, dominava l'aristocrazia.

Non furono soltanto potere politico e manipolazioni in favore dell'aristocrazia senatoria a far sì che la società romana fosse tenuta unita dal dominio dell'aristocrazia. L'aristocrazia senatoria forgiò l'identità collettiva dell'essere romano, che legò gli strati liberi del corpo cittadino all'idea di uno Stato sostenuto collettivamente dalla società, all'idea della res publica come di una res populi. La base spirituale di questa idea dello Stato fu la religione. Il contenuto di questa religio, del giusto rapporto con gli dei, lo determinava l'aristocrazia: dai suoi membri venivano i sacerdoti, incaricati di investigare la volontà divina e di definire le norme religiose.

Il giusto criterio di pensiero e di condotta fu il mos maiorum, il comportamento degli antenati, espresso nelle loro grandi imprese; il ricordo di queste imprese e la loro imitazione erano la garanzia della continuità dell'idea di Stato. Il modello di comportamento espresso in queste imprese era il modello di pensiero e di comportamento dei senatori: gli uomini che avevano le imprese del passato erano i loro avi, e la loro gloria assicurava prestigio ai loro discendenti.

La posizione guida dell'aristocrazia senatoria sarebbe stata inconcepibile senza la base economica per l'egemonia dell'aristocrazia. Questa base fu la proprietà terriera: l'aristocrazia senatoria costituì lo strato dei proprietari terrieri più ricchi all'interno della società romana. L'estensione del dominio romano sul suolo italico e l'espansione romana nel Mediterraneo occidentale aprirono ai senatori la possibilità di conseguire nuovi guadagni con commercio, attività imprenditoriali ed economia monetaria. Nel 218 a.C., tuttavia, una lex Claudia bloccò questa linea di sviluppo: ai senatori ed ai loro discendenti fu vietato di possedere navi commerciali la cui capacità di carico superasse le 300 anfore; gli affari ed i commerci, infatti, erano giudicati indegni dei senatori romani.

Nel corso del III secolo a.C., aumentò il numero dei commercianti e degli artigiani ed anche l'importanza sociale di questi gruppi; per quanto riguardava il loro prestigio sociale, tuttavia, essi rimasero in una posizione inferiore rispetto all'aristocrazia senatoria. Le guerre contro Cartagine accelerarono la formazione di un vasto strato di artigiani e commercianti. Si profilò uno sviluppo che, nel II secolo a.C., portò alla nascita di uno strato sociale di facoltosi imprenditori, commercianti e banchieri, che contribuì alla formazione dell'ordine equestre.

La maggioranza della società romana era composta di contadini. Con il proseguimento della colonizzazione romana, i più poveri e le masse proletarie poterono essere provvisti di terra. Gli strati superiori e medi del corpo contadino garantirono il dominio romano nei territori conquistati ed ebbero un ruolo decisivo nell'esercito romano. L'istituzione delle ultime tribù romane, nel 241 a.C., portò al rafforzamento numerico ed alla sicurezza economica di questi strati contadini, così come la fondazione di nuove colonie, in particolare la colonizzazione dell'ager Gallicus, nei dintorni di Sena Gallica (Senigallia), imposta da Caio Flaminio, nel 232 a.C., contro l'opposizione dei gruppi aristocratici di tendenza conservatrice.

La conseguenza politica del rafforzamento economico e sociale di questi strati contadini fu la riforma dell'assemblea popolare, nel 241 a.C.: l'ordinamento per tribù e quello per centurie furono unificati in un sistema complicato e le modalità di votazione furono organizzate in modo tale che ai voti dei contadini ricchi spettò un peso maggiore. Roma dovette la vittoria nella Prima e nella Seconda Guerra Punica a questo strato contadino, ma le perdite ebbero gravi conseguenze per il successivo sviluppo della società romana.

I liberti avevano uno stato giuridico inferiore rispetto a quello dei contadini liberi. Le famiglie dirigenti romane emancipavano molti schiavi; questi liberti, entrati in possesso della cittadinanza romana con la manomissione, appoggiavano nell'assemblea popolare gli obiettivi politici dei loro patroni, cui erano utili anche con le loro prestazioni economiche e personali.

Dopo la disgregazione dell'ordinamento sociale arcaico, gli schiavi occuparono la posizione più bassa nella società romana. Gli schiavi poterono essere utilizzati come forza lavoro nelle terre dei proprietari terrieri, ma anche in quelle dei contadini ricchi. Crebbe l'importanza del commercio degli schiavi con altri popoli e Stati. Le continue guerre avevano permesso ai Romani di ingrandire il loro patrimonio di schiavi con l'asservimento di prigionieri di guerra. Spesso i prigionieri venivano rilasciati dietro un riscatto in denaro. Tuttavia, prima della Seconda Guerra Punica, la società romana era lontana dal basare la propria produzione economica sul lavoro servile. Solo per il periodo della Seconda Guerra Punica ci sono testimonianze di una massiccia utilizzazione di schiavi nell'economia. Conseguentemente all'importanza limitata della schiavitù nella Roma del III secolo a.C., non si arrivò ad alcuna grande rivolta di schiavi.

Nel III secolo a.C., l'aristocrazia romana era sufficientemente forte da tenere uniti sotto il proprio sistema di dominio tanto i diversi strati della società romana quanto la penisola italica.

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