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La seconda vasta retrospettiva (1990)
Nel 1990, a distanza di cinque anni dall'ultima personale e di ormai undici dalla vasta antologica modenese, presso la Casa del Mantegna di Mantova viene allestita una nuova importante mostra dell'opera reginiana, promossa dal Comune di Mantova, dalla Provincia di Mantova, dal Gruppo 7 e dall'UDI Donne in Italia L'esposizione, che prende in esame «sculture carte disegni 1925-
è corredata da scritti di Silvana Sinisi Mirella Bandini e Francesco Bartoli nonché da una nota biografica di Patrizia Serra
Il contributo di Silvana Sinisi, che prende in esame l'intera parabola creativa di Regina e si sofferma ampiamente sulla fase futurista, è per noi forse il più interessante. Il saggio si apre con l accenno alla proverbiale riservatezza di Regina, adottata «come divisa di vita, condizione privilegiata per sviluppare in raccolta concentrazione il proprio lavoro» (il che peraltro, secondo l'autrice, si riflette in qualche modo «nei suoi lavori, così poco appariscenti e ingombranti: per lo più oggetti di piccolo formato, coniugati all'insegna di una poetica della sottrazione e della trasparenza, nettamente in antitesi con l'evidenza monumentale e la retorica del pieno, tradizionalmente associati alla scultura») poi, la Sinisi passa a trattare direttamente delle opere degli anni futuristi, avvertendo però che a suo avviso già prima dell'adesione al movimento «ella mostra di far propri gli assunti boccioniani contenuti nel Manifesto della scultura sic], scoprendo le latenti potenzialità formali delle materie più povere e banali, da utilizzare, in totale autonomia creativa, per la messa a punto di nuove soluzioni tecniche ed espressive L'autrice individua chiaramente nelle opere
«richiami a tematiche, quali l'ebbrezza dello spazio e dei volumi dell'aria, estetica e ritmo della smaterializzazione della materia contenute nel Manifesto dell aeroplastica [sic] , sebbene forse - negli anni Trenta - la profondità di tali questioni non fosse ancora da lei pienamente acquisita; e per mettere in pratica i concetti espressi nel manifesto - spiega ancora la Sinisi - Regina si comporta un po' come il bricoleur di Levi-Strauss che «'esegue un lavoro con le proprie mani, utilizzando mezzi diversi rispetto a quelli usati dall'uomo di mestiere'», nonché recuperando «un'attività tipicamente femminile come quella del tagliare e cucire che interviene con uno spostamento di contesto a suggerire nuove modalità e nuove pratiche di ricerca» . Ancora, la Sinisi collega questo rapporto quasi tattile con i materiali alla scelta del polimaterismo che emerge nelle ben note opere distrutte da Regina stessa (forse - suggerisce l autrice - perché Prampolini stava conducendo il polimaterismo verso l'assunzione di una materia-organismo», ovvero oltre la concezione dada dell'objet trouvé che secondo la Sinisi ancora caratterizza l'orizzonte del polimaterismo reginiano) . Infine, prima di proseguire la sua analisi con considerazioni altrettanto puntuali relativamente alle opere del periodo concretista, la Sinisi evidenzia la componente teatrale delle opere di Regina (dai tempi della Spiaggia e dei polimaterici sino al Teatrino degli anni Cinquanta, passando per i lavori per il Teatro Arcimboldi e soprattutto afferma la sostanziale continuità tra le esperienze futurista e concretista, idealmente inframmezzate dai disegni di fiori degli anni Quaranta in cui «sembrano confluire le due anime di Regina», ovvero «rigore mentale e limpido incanto poetico»
In realtà i due termini in Regina non sono poi così nettamente contrapposti, se nel periodo futurista prevale una riconoscibilità dell'immagine è anche vero che si tratta, comunque, di un'immagine estremamente stilizzata, antiespressiva, tutta giocata sull'incastro di elementi verticali e dinamiche rotatorie, di gusto quasi architettonico. Da queste premesse si svolgerà con uno sviluppo graduale, senza scosse, il cammino verso l'astrazione sempre condotto sul filo di un'interna coerenza, vissuta come approfondimento continuo di un'esperienza conoscitiva
Per quanto non particolarmente innovativa in termini di contenuti (se si eccettua l'accenno all'intrinseca 'teatralità' di molte sculture reginiane), la lettura della Sinisi è ricca di sensibilità, e coglie certamente più di qualche punto fondamentale. Complessivamente, anzi, pur nella sua brevità, essa appare una delle più puntuali interpretazioni della scultura di Regina, che illustra con precisione e delicatezza.
Il secondo testo del catalogo, redatto da Mirella Bandini , si sofferma invece più specificamente sul rapporto tra Regina e il MAC, ed è dunque poco significativo - se non di riflesso - ai fini della nostra analisi; gli accenni più utili sono quelli che fanno riferimento all'eredità futurista confluita nel MAC, ma a tal proposito l'autrice non propone alcunché di sostanzialmente nuovo
Molto più originale e penetrante, invece, è il contributo di Francesco Bartoli, che si occupa specificamente - ed è la prima volta in sessant'anni che ciò accade - della produzione grafica di Regina, esaminata nella sua interezza dalle prove figurative degli anni Venti sino alle ultime tavole pittoricopoetiche del decennio Settanta . Bartoli, in primo luogo (ed è questo che più ci interessa), cerca di precisare le funzioni cui il disegno ha risposto nel modus operandi di Regina, che ha «disegnato molto e con intenzioni diverse per tutta la vita», al punto che della sua riflessione di alcuni periodi non ci restano che le prove grafiche, «a riprova della autonomia e insieme del ruolo esplorativo che questa pratica assumeva a servizio della scultura»
È evidente .] che innumerevoli schizzi rientrano nella categoria degli studi' e documentano il momento riflessivo che anticipa la fase in cui il fantasma prende vita nella materia. E se tali
'idee' si manifestano in modi abbreviati e veloci, ciò non comporta certo (come appare chiaro dai taccuini) una sommessa qualità espressiva; sta a significare piuttosto, nell intento dell'autrice, un proposito di scavo, un voler far luce dentro la genesi dei motivi. Altre volte, però, la maniera del croquis, questa pervicacia a compulsare velocemente l'istante, non si spiegano con ragioni vicarie. Non essendoci nulla da tradurre in oggetto, lo schizzo è libero e senza condizioni: è una forma d'ascolto, una apertura, un puro presente.
Fatto sta che i disegni, non obbligati a riversarsi in prodotto, finiscono per rifrangersi sotterraneamente in altri lavori, anticipano senza volere delle figure, grazie a quel principio dell eco che svolge un ruolo così importante nella sperimentalità apparentemente svagata dell'artista. Ed ecco un altro salto. Accanto alle funzioni di cui s è detto, il disegno assume spesso piena autonomia. Costruisce, è il caso di dirlo, organismi visivi, risolvendosi in essi, non rinvia ad altro. Oppure, senza abdicare alla sua singolarità, affianca un partito scultoreo, di cui non rappresenta né un prima né un poi, ma semplicemente un evento parallelo, l equivalente composto in una sintassi diversa. E qui - occorre dire - apre un testa-a-testa imprevisto. Avviene che l'elemento statutario del disegno, la convenzione della linea e del foglio, del doppio limite, generi spazi che oltrepassano il piano. La linea si fa taglio, le superfici anfratto e piega. La mano, come insofferente di alludere soltanto alla profondità, alterna la matita alla forbice facendo arretrare o avanzare la linea
Detto questo, che è già molto significativo, Bartoli si chiede se la tendenza di Regina a ritrarre «gli elementi sottili, i veli e i fili della vegetazione, ma anche la foglia» sia in qualche modo da mettere in relazione con le «teorie artistiche del primo Novecento», in cui «un paragrafo almeno riguarda l'analogia formativa dei processi dell'arte con quelli della natura, un comune istinto alla forma»; poi, prima di ragionare acutamente sui disegni di fiori degli anni Quaranta, e poi ancora su quelli della stagione del MAC e infine sulle tavole del Linguaggio del canarino (a proposito delle quali, in particolare, propone un'analisi molto approfondita), Bartoli esamina alcuni disegni del periodo futurista, da quelli per Aerosensibilità a quelli per L'amante dell'aviatore, tornando in particolare su quella sorta di 'cartamodelli tridimensionali' (cui già aveva alluso in chiusura dell'estratto citato) che costituiscono uno dei passaggi - forse proprio l'ultimo - attraverso i quali Regina giunge infine a delineare la sua scultura finita
Le carte ritagliate, che viste in mazzetti appuntati da spilli rinviano a un laboratorio di sartoria, sviluppano una straordinaria forza di aggregazione degli spazi quando li si disponga nell ordine previsto. L'immagine si esibisce in un seguito di quinte, velamenti e riapparizioni. Dà in certo modo spettacolo di sé, riuscendo la carta, quel che dovrebbe restare soltanto un supporto, a servire contemporaneamente da cornice, sipario, figura e fondale. Ne esce, come dire, un architettura d aria, a metà fra il disegno e la maquette scenoplastica; un fragile castello di quinte che s'imbeve di ombre reali, pronto ad animarsi col mutare delle fonti di illuminazione.
Lo studio di Bartoli è il primo che si occupi esclusivamente dell'attività grafica di Regina, e lo fa peraltro con precisione ed intelligenza. In particolare, molto interessanti sono proprio le ultime considerazioni citate, relative alle carte appuntate con spilli con cui Regina creava - prima di giungere alla scultura finita - una sorta di equivalente del modello della scultura classica.
Nel mese di marzo recensisce la mostra, sulle pagine di «Segno», Giuditta Villa, che si limita per lo più ad offrire un panorama informativo sull'artista . Nello stesso mese, e precisamente nel giorno dell'inaugurazione (10 marzo), ne scrive sulla «Gazzetta di Mantova» anche Annarosa Baratta (che del resto aveva contribuito direttamente all'organizzazione della rassegna : l'articolo si apre con una considerazione dal tono decisamente femminista («Regina, come solo voleva essere chiamata, rifiutando i cognomi [.]») che è del resto in linea con il ruolo che ha avuto - nell'organizzare la rassegna - l UDI ; poi, la Baratta prosegue citando diversi giudizi non solo dei critici coinvolti nella mostra, ma anche di Caramel e Carlo Belli, e riportando inoltre alcuni aneddoti di cui è venuta a conoscenza grazie a Zoe e Gaetano Fermani.
Significativamente, poi, altre due recensioni della rassegna compaiono su altrettanti periodici femministi, ovvero «Il paese delle donne» e «Noi donne» . L'anonimo articolo de «Il paese delle donne» riprende alla lettera, nei primi due capoversi, l'articolo della Baratta, e anzi non è da escludere che in realtà sia stato redatto proprio da lei; prosegue, poi, citando ampiamente il saggio della Sinisi e non offrendo particolari spunti. Più significativo è invece l'articolo che compare su «Noi Donne» a firma di Simona Weller, altra vecchia estimatrice di Regina. Redatto a mostra ormai chiusa, il contributo della Weller è davvero molto approssimativo nei dati (stupisce, soprattutto, la sicurezza con cui l'autrice cita dati biografici che sono in realtà tutti da verificare, tra cui un fantomatico cognome composito 'Prassede Cassolo ), ma è interessante per l'interpretazione femminista che ancora nel 1990 - a distanza di ormai quattordici anni dalla pubblicazione de Il complesso di Michelangelo - la Weller propone:
Quando penso a Regina provo una sorta di orgoglio perché la considero una sfida vinta. Prima di tutto per il suo 'femminile', non solo accettato ma esaltato dalla poesia, dalla leggerezza, dalla forza [.]. Penso anche con che coraggio impudente Regina impone la sua diversità di artista-donna, usando spilli e spillini carta da modello e carta da quaderno. E come dev essersi divertita, militando nelle file [sic] becere dei futuristi, a indagare un proprio mondo antiretorico attingendo alla fantasia, alla fiaba, a un mondo adulto visto con occhi infantili.
Sì, infatti la sua appartenenza al futurismo fa pensare a quella di un'infiltrata trasgressiva che, a chi odia le donne, propone il proprio fare casalingo eppure così poco domestico, il potere della fantasia e quello dell'ironia. Ed è accettata, incredibilmente.
La Weller si pone dunque su una posizione che ben difficilmente può reggere ad una verifica storica, perché parlare di futuristi beceri che odiano le donne è veramente semplicistico, e significa non tenere conto dei dati di fatto (che dimostrano, invece, come non solo Regina, ma con lei anche tante altre donne, abbiano potuto partecipare attivamente e con grande vitalità al Futurismo).
Alla fine dell'anno quattro opere concretiste di Regina sono esposte alla mostra Scultura a Milano 1945-199 . Trattandosi di una rassegna dedicata al secondo Novecento, evidentemente non si parla della stagione futurista di Regina, cui accenna rapidamente il solo Luciano Caramel nel suo saggio in catalogo ; ottima, e anzi a mio avviso tra le migliori pubblicate perché molto precisa e tale da non forzare affatto i dati), è inoltre la scheda biografica - con intelligenti spunti critici - a cura di Francesco Tedeschi . Recensisce la mostra, citando Regina ma praticamente limitandosi solo a questo, Angela Tumminelli su «La Gazzetta di Firenze
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