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La prima vasta retrospettiva (1979-1980)




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La prima vasta retrospettiva (1979-1980)




Alla fine del 1979 il Comune di Modena propone una nuova rassegna dedicata a Regina, allestita presso la Galleria Civica d'Arte Moderna e curata da Marisa Vescovo . L'esposizione è la seconda tappa di un ciclo di mostre intitolato «Continuità dell'avanguardia in Italia», inaugurato l'anno precedente con un'antologica di Enrico Prampolini e destinato a proseguire negli anni seguenti, dopo la mostra di Regina, con altre due rassegne dedicate rispettivamente a Bice Lazzari e a Mi- chelangelo Conte; obiettivo dichiarato del ciclo - nelle parole dell'allora assessore alla cultura del Comune di Modena, lo storico dell arte e giornalista Carlo Federico Teodoro - era quello di «in- crementare ulteriormente un preciso impegno posto nel documentare, con interventi di vasto respi- ro, il divenire della storia dell'arte italiana colta attraverso le correnti, i personaggi che avevano contribuito a caratterizzarla . Quanto alla curatrice, è noto soprattutto il suo impegno sulla con- temporaneità più stretta, che si è concretizzato specialmente nella realizzazione di numerosi cata- loghi di mostre, nella direzione della Fondazione Palazzo Bricherasio a Torino e nella curatela - al fianco di Maurizio Calvesi - delle edizioni 1984 e 1986 della Biennale di Venezia; si è tuttavia oc- cupata anche di diversi artisti tra le due guerre (come Campigli, Severini e Licini), nonché dell'arte piemontese del Novecento

Il saggio della Vescovo si apre con la citazione di uno degli 'aforismi' reginiani riportati da Schei- willer nella monografia (nello specifico, quello relativo all'atteggiamento costantemente avanguar- distico che Regina sosteneva aver sempre guidato la sua opera), cui fa seguito una serie di inte- ressanti e conseguenti considerazioni sulla libertà creativa della scultrice, che secondo la Vescovo è sempre riuscita a sfuggire ai rischi dell'omologazione alle forme e alle tematiche standard dei gruppi e movimenti cui ha aderito, mostrando al contrario una costante autonomia linguistica ed intellettuale377. Subito dopo, la curatrice comincia ad analizzare l'opera di Regina partendo dalle opere del periodo preavanguardista: e se si eccettuano i pochi accenni di Acquaviva e Bracchi, si trat- ta della prima volta in cui si cerca di ricostruire il percorso della scultrice iniziando da un esame della produzione degli anni di formazione (nonché dei disegni, di cui è presentata una ristretta ma significativa selezione relativa all'intera vita creativa di Regina . Poi, una corposa citazione dai già visti articoli di Persico introduce all'analisi della stagione futurista, a proposito della quale la Vescovo si preoccupa innanzitutto di ribadire il concetto dell'indipendenza dell'artista pavese da ogni vincolo di stretta ortodossia marinettiana , per poi addentrarsi nella lettura delle opere (inter- pretandole tuttavia - a mio avviso - attraverso degli schermi sovrappositivi, applicati a Regina in maniera un po' forzata: è il caso dell'accentuata importanza che l'autrice attribuisce al gesto del ta- gliare o alla riflessione spaziale, che vengono interpretati quasi come intuizioni pre-fontaniane , oppure dell avvicinamento di Regina a Boccioni per quanto riguarda l'attenzione all'espressione degli «stati d'animo» ). Quindi, dopo aver evidenziato le tangenze dada-surrealiste delle opere polimateriche distrutte , la Vescovo cita l'adesione di Regina al Manifesto tecnico dell aeroplastica futurista, e individua una certa vicinanza dell'artista a Gabo (e indirettamente, attraverso lo scultore russo, ad Archipenko e a Brancusi) ; infine, la curatrice accomuna l'orizzonte astrattista dei 'se- condofuturisti' «Depero, Prampolini, Munari, e non ultima Regina» a quello degli astrattisti milanesi e comaschi , per poi tornare nuovamente a ribadire l'autonomia di Regina dal Futurismo


La scultura in ferro «Torre del 938 .] mette bene in evidenza i principi delle linee-forza, della simultaneità, e della composizione centrifuga, ma anche una forma che veniva a for- marsi come sempre per un'associazione inventiva con un'immagine concreta e reale, rivela la lunga meditazione dell'autrice su delle precise premesse. Anche se la sua attenzione fu con- vogliata su fatti e movimenti, magari ignorati a livello ufficiale, non accantonò affatto il discor- so di fondo del Futurismo. Anzi fece propria la sua crisi originaria, capì che il suo estremismo si risolveva certamente in un limite, così come lo storicismo dell'ultimo Boccioni, o il naziona- lismo che l'aveva spinto a prevaricare tutto, rifiutò quindi il dionisiaco, il meraviglioso, il deda- lico, ma sentì come propria la volontà futuristica di gettare «un ponte tra la parole e l'oggetto reale».

[.] Il Futurismo non fu solo quello di Marinetti, ma anche quello di Palazzeschi e di Ungaret- ti, e fu anche fare un passo avanti verso l'arte concretista di Balla, il polimaterismo di Pram- polini [.] che si presentavano come le istanze più avanzate in quel momento. Se il dinami- smo fine a se stesso era scomparso, era rimasto però il mito della macchina, per alcuni, la sua magia meccanica, la logica del tradurre in forma le cose. Regina riuscì ad opporre - in una situazione di caduta della tensione razionale con tutti i suoi rischi - all «idealismo assolu- to» dei neoplastici e all'ambiguità del Belli, un irrequieto, inventivo e disponibile empirismo fantastico che conquistò uno spazio «alternativo» rispetto al meccanicismo isterico delle teo- riche del Secondo Futurismo e dell'orfismo tipico della tradizione dadaista.



In sostanza, cioè, al di là della lettura decisamente - e a mio avviso forzosamente - 'boccioniana' della Torre (torneremo nel quarto capitolo sulla questione della posizione di Regina nel contesto della scultura futurista), la Vescovo sembra in qualche modo porre l'opera reginiana dei tardi anni Trenta esattamente a metà strada tra Futurismo ed astrattismo: sufficientemente astrattista e bel- liana da rifiutare «il dionisiaco, il meraviglioso, il dedalico» e gli eccessi meccanicistici del Futuri- smo, ma allo stesso tempo fedele all'assunto di fondo, latamente modernista, del movimento mari- nettiano, ovvero a quel suo caratteristico guardare in avanti, persino oltranzisticamente, verso le ragioni di un'arte sempre sinceramente avanguardistica.

Una volta terminato l'esame della stagione futurista (che per ovvie ragioni ci interessa di più), la Vescovo passa ad occuparsi della successiva fase degli anni Quaranta e Cinquanta, a proposito della quale le considerazioni più significative sono da una parte quelle che riguardano l'eredità futurista che ancora si può cogliere nelle opere concretiste , e dall'altra l'interpretazione 'belloliana' delle stesse - o almeno di quelle in plexiglas - come opere 'pre-optical

Completa il catalogo, che è altresì arricchito da un'ampia antologia critica e da precisi apparati bio- biliografici questi ultimi mutuati dalla monografia scheiwilleriana del 19 1), una rapidissima ma au- torevole testimonianza a firma di Gillo Dorfles , compagno di strada di Regina negli anni della loro comune partecipazione alle iniziative del Movimento Arte Concreta. Per quanto ci riguarda, in par- ticolare, è assai interessante ciò che l'artista-critico triestino afferma a proposito del bagaglio futu- rista che Regina ha portato all'interno del MAC


Allora - accanto a nomi già noti come quelli di Soldati, di Veronesi, di Munari, e a molti altri ancora da scoprire come quelli di Monnet, di Nigro - Regina costituiva davvero il miglior trait d'union con le forze più autentiche derivate dal futurismo tanto più che le sue opere avevano già raggiunto un livello di compiuta autonomia.

Pur appartenendo alla seconda «ondata» futurista, la scultrice aveva assorbito il meglio del grande movimento italiano [.].

Regina, inoltre, proprio in quanto scultrice, costituiva l'unico esempio italiano d'una sintesi tra il «neoplasticismo» europeo e il dinamismo plastico nostrano: l'unico caso, anche, in cui gli elementi ancora in parte figurativi del futurismo potevano trasformarsi agevolmente in quelle strutture del tutto astratte che costituivano uno dei requisiti per l adesione al rinato concreti- smo padano.



Come già altri esegeti, insomma, anche Dorfles vede nell'opera concretista di Regina una diretta evoluzione della sua personalissima declinazione del Futurismo


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