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Anche Plinio il Vecchio si dedicò al tema astronomico, in particolare nel Naturalis Historia in cui la prima parte del secondo libro è riservata alla trattazione dei misteri cosmologici. Plinio fa questo con un gusto poetico e letterario, dimostrando la sua particolare vocazione per lo studio della volta celeste.
Potremmo distinguere un Plinio poeta e filosofo, con il suo sentimento dell'universo, un suo pathos della conoscenza e del mistero, e un Plinio nevrotico collezionista di dati, compilatore ossessivo, che sembra preoccupato solo di non sprecare nessuna annotazione del suo mastodontico schedario."
Italo Calvino introduce così l'autore nella sua prefazione all'opera.
E' appunto nelle pagine astronomiche del libro II che Plinio dimostra di poter essere qualcosa di più del compilatore, come si dice di solito, e si rivela uno scrittore che possiede quella che sarà la principale dote della grande prosa scientifica: rendere con chiarezza il ragionamento più complesso traendone un senso d'armonia e bellezza.
Senza mai piegarsi verso la speculazione astratta, Plinio si attiene sempre ai fatti ( quelli che lui considera fatti o che qualcuno li ha considerato tali); ed elabora una precisa visione scientifico-filosofica dell'universo che osserva.
I tratti fondamentali di questa concezione verranno ora evidenziati attraverso le parole da lui usate nel Naturalis Historia
In primis, Plinio non accetta la teoria dell'infinità del mondo e lo giustifica dicendo che la natura di questo mondo è già abbastanza difficile e l'infinità non semplificherebbe il problema. Egli dà, quindi, una soluzione di tipo utilitarista e non giustificata da evidenze sperimentali.
"(.) si haec infinitas naturae omnium artifici possit adsignari, non idem illud in uno facilius sit intellegi, tanto praesertim opere. Furor est profeto, furor egredi ex eo et, tamquam interna eius cuncta plane iam nota sint, ita scrutari extera, quasi vero mensuram ullius rei possit agere qui sui nesciat, aut mens hominis videre quae mundus ipse non capiat."
". se questa infinita realtà può essere attribuita ad una natura creatrice di tutto, non fosse più semplice concepire tutto ciò in un singolo caso, tanto più di fronte ad una simile opera. Sì, è pazzia, senza dubbio, uscire dal mondo e, quasi che tutto il suo interno fosse già chiaramente conosciuto, frugare all'esterno: come se, poi, potesse tracciare la misura di qualcosa chi è già ignaro del suo, o lo spirito dell'uomo sapesse scorgere ciò che nemmeno il mondo riesce a contenere."
Traduzione di Barchesi e Ranucci
Per quanto riguarda la struttura dell'universo Plinio ha le idee chiare. Il suo nome è preso dai Greci che gli hanno dato il significato di ornamento, mentre i latini alludono alla sua compiuta e perfetta eleganza, quindi :
" (.) namque et Greci nimine ornamenti appellavere et nos a perfecta absolutaque elegantia mundum."
Il cosmo è qualcosa di perfetto e armonioso. Il mondo è il cielo eterno e increato, la cui volta sferica e rotante copre tutte le cose terrene. Non ha il minimo dubbio sulle sue caratteristiche fisiche:
"Mundum et hoc quodcumque nomine alio caelum appellare libuit, cuius circumflexu degunt cuncta, numen esse credi par est, aeternum, inmensum, neque genitum neque interiturum umquam."
Il mondo non ha origine né fine, è sconfinato, eterno e divino. Plinio è sorprendentemente sicuro delle sue affermazioni che traggono la loro forza dalle teorie di autori antichi di cui aveva accuratamente vagliato le fonti.
Ci stupisce oggi questa sua fermezza dal momento che il mondo scientifico ancora si divide di fronte alle più elementari definizioni di universo. Eppure lui è certo che il mondo è da sempre e sarà per sempre.
" Sacer est, aeternus, inmensus, totus in toto, immo vero ipse totum, infinitus ac finito similis, omnium rerum certus et similis incerto, extra cuncta conplexus in se, idemque rerum naturae opus et rerum ipsa natura."
Libro II, 1.2
"L'universo è sacro, eterno, sconfinato, tutto intero nel tutto, o meglio, coincidente con il tutto, infinito e apparentemente finito, determinato in ogni cosa e apparentemente indeterminato, capace di abbracciare in sé tutte le cose, dentro e fuori, ed è insieme una produzione della natura, e la natura stessa."
E' straordinario come Plinio riesce a sintetizzare una filosofia intera in poche frasi. L'universo è una specie di pangea, non esiste il non essere: tutto è coincidente con il tutto. L'universo ci appare finito, poiché noi ci limitiamo a guardarlo con occhi umani, ma in realtà è la infinita manifestazione della natura capace di contenere al suo interno tutto ciò che esiste.
Per Plinio difficilmente il mondo può distinguersi da Dio, che per lui e per la coltura stoica a cui appartiene, è un Dio unico, non identificabile con una qualche sua porzione o aspetto. Allo stesso tempo il cielo è fatto di stelle eterne come lui.
"Ceterum aeterna caelestibus est natura intexentibus mundum intextuque concretis »
Libro II, 6.30
I toni lirico-filosofici che dominano i primi capitoli del libro II, corrispondono a una visione d'armonia universale che presto si incrina; una parte considerevole del libro è poi dedicata ai prodigi celesti. La scienza di Plinio oscilla fra l'intento di riconoscere un ordine nella natura, la registrazione dello straordinario e dell'unico. Il secondo aspetto finisce sempre per aver partita vinta dal momento che gli antichi, come chiunque guardi a qualcosa di cui non comprende del tutto i contorni, tendevano a lasciarsi impressionare dall'aspetto inconsueto e inspiegabile più che da quello razionale e scientifico. La natura viene intesa come entità eterna, sacra e armoniosa che lascia tuttavia un largo margine all'insorgere di fenomeni prodigiosi inspiegabili. Il razionalismo di Plinio esalta la logica delle cause e degli effetti, ma nello stesso tempo non riduce la contemplazione dei fenomeni celesti a puro prodotto. Quando anche si trovi spiegazione ai fatti, non per questo i fatti cessano d'essere meravigliosi.
Con questo mi pare importante sottolineare la ambivalenza del pensiero pre-scientifico, a metà fra la ragione e il sentimento.
Nota:
traduzioni di Barchiesi e Ranucci
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