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La passione in Jeli il pastore




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La passione in Jeli il pastore


Nella novella Jeli il pastore il tema principale è il rapporto contraddittorio e perciò insolubile tra natura e società.

Ad un cero punto Jeli riflette su un puledro rimasto orfano, ma poi la sua coscienza si eleva a livello universale:

I cavalli sono fatti per essere venduti; come gli agnelli nascono per andare al macello, e le nuvole portano la pioggia. Solo gli uccelli non hanno a far altro che cantare e volare tutto il giorno

Infatti tutto sulla terra segue una necessità ciclica di cui l'uomo può vedere gli effetti ma non comprendere la ragione, anche se alcuni esseri viventi si sottraggono a questa visione antropocentrica in quanto sembra che la loro presenza non abbia alcuna utilità per l'uomo, anche se devono soddisfare gli stessi bisogni dell'uomo:

- Anche gli uccelli, - soggiunse, - devono buscarsi il cibo, e quando la neve copre la terra se ne muoiono -. Poi ci pensò su un pezzetto. - Tu sei come gli uccelli; ma quando arriva l'inverno, te ne puoi stare al fuoco, senza far nulla -

Le parole di Jeli indicano un'unione tra naturalità animale e socialità umana, indicando però anche una specie eletta, il ricco che è libero da ogni vincolo di soggezione ad altro, non deve preoccuparsi del proprio sostentamento perché tutto è ordinato in modo da provvedervi. Verga sottolinea come i pensieri facciano fatica ad essere elaborati dal pastore per esaltarne la solidità e l'evidenza spontanea con cui affiorano nella sua mente:

Le idee non gli venivano nette e filate l'una dietro l'altra, ché di rado aveva avuto con chi parlare, e perciò non aveva fretta di scovarle e distrigarle in fondo alla testa, dove era abituato a lasciare che sbucciassero e spuntassero fuori a poco a poco, come fanno le gemme dei ramoscelli sotto il sole

Dunque si costruisce così il ritratto di un personaggio che vive in una natura intimamente socializzata, che è consapevole fin dall'infanzia delle responsabilità e delle fatiche dell'età adulta: l'accettazione serena di una vita di miseria è ciò che esalta le qualità umane del protagonista. Il fascino della novella consiste nel fervore con cui viene illustrata la ricompensa sentimentale che Jeli sa trarre dalla sua condizione economica di povertà, fino ad infrangere i codici civili in nome di una naturalità istintiva dei suoi affetti: questa novella può essere considerata l'apologia di un omicida per onore. Ma Verga all'inizio del racconto descrive un mondo quasi idilliaco, come se non fosse consapevole dell'esito tragico della vicenda: l'iniziativa autonoma e il senso di responsabilità del pastore transumante sono mitizzati, descritti dal punto di vista di un aristocratico, don Alfonso, con parole inusuali per un pastore. La meraviglia e la diffidenza generate nell'animo del pastore sono abilmente descritte dal narratore, fino all'ammirazione di Jeli per il signorino:

Gli avessero detto che in città i cavalli andavano in carrozza, egli sarebbe rimasto impassibile, con quella maschera d'indifferenza orientale che è la dignità del contadino siciliano. Pareva che istintivamente si trincerasse nella sua ignoranza, come fosse la forza della povertà

Anche il primo incontro con Mara è descritto in modo pressoché simile a quello con l'amico, anche se questa volta il punto di vista è quello di un adulto che ha uno sguardo affettuoso nei confronti dei due pastorelli, come avverrà poi nell'episodio in cui Jeli assiste il padre malato:

Avevano cominciato dal picchiarsi ben bene, una volta che s'erano incontrati lungo il vallone, a cogliere le more nelle siepi di rovo. La ragazzina, la quale sapeva di essere "nel fatto suo", aveva agguantato pel collo Jeli, come un ladro. Per un po' s'erano scambiati dei pugni nella schiena, uno tu ed uno io, come fa il bottaio sui cerchi delle botti, ma quando furono stanchi andarono calmandosi a poco a poco, tenendosi sempre acciuffati

In questi episodi il punto di vista della comunità non si è mai introdotto nella vicenda, ma in un caso interviene a improntare decisamente la narrazione: ciò avviene proprio quando la logica economica entra in contrasto con quella affettiva e in tal modo viene esaltata la diversa umanità di Jeli:

La sua mamma stava a servire a Vizzini, e non lo vedeva altro che una volta all'anno, quando egli andava coi puledri alla fiera di San Giovanni; e il giorno in cui era morta, erano venuti a chiamarlo - un sabato sera - che il lunedì jeli tornò alla mandra, sicché non ci rimise neppure la giornata; ma il povero ragazzo era ritornato così sconvolto che alle volte lasciava scappare i puledri nel seminato.  - Ohé Jeli! - gli gridava allora massaro Agrippino dall'aja; - o che vuoi assaggiare le nerbate delle feste, figlio di cagna? -

Nello stesso contesto si inserisce l'episodio della fiera di San Giovanni, in cui la distrazione provocata dall'ansia di rivedere Mara causa la morte del puledro e di conseguenza la perdita di lavoro per Jeli: la collettività rimane impassibile di fronte ad una disgrazia che avrebbe potuto colpire chiunque:

Una festa che gli si mutò tutta in veleno, e gli fece cascar il pan di bocca, per un accidente toccato ad uno dei puledri del padrone, Dio ne scampi.

Vengono inoltre poste a paragone le reazioni del fattore e quelle di Jeli, disperato per ragioni affettive più che utilitarie, anche se la sua tristezza viene soffocata dal rumore della festa:

Le cose del mondo vanno così, mentre Jeli andava cercando un padrone, colla sacca ad armacollo e il bastone in mano, la banda suonava in piazza allegramente, coi pennacchi sul cappello, in mezzo a una folla di berrette bianche fitte come le mosche, e i galantuomini stavano a godersela seduti nel casino

Jeli si sente ora un escluso, e il punto di vista da cui ora viene osservata la festa diventa il suo, attraverso la tecnica dello straniamento:

Nella stanzaccia c'era un mondo di gente, che saltava e si divertiva, tutti rossi e scalmanati, e facevano un gran pestare di scarponi sull'ammattonato, che non si udiva nemmeno il ron-ron del contrabasso, e appena finiva una suonata, che costava un grano, levavano il dito per far segno che ne volevano un'altra; e quello del contrabasso faceva una croce col carbone sulla parete, per memoria, e cominciava da capo

Lo stesso avviene per il bacio scambiato tra Mara e il figlio di massaro Neri, attraverso l'uso del colore:

In quel momento Mara era sempre al fianco del figlio di massaro Neri, gli si appoggiava colle due mani intrecciate sulla spalla, e al lume dei fuochi colorati sembrava ora tutta bianca ed ora tutta rossa. Quando scapparono pel cielo gli ultimi razzi in mucchio, il figlio di massaro Neri, si voltò verso di lei, bianca in viso, e le diede un bacio

Per il resto della vicenda l'osservatore è posto sul piano della realtà contadina, ma la descrizione della passione di Jeli è affidata all'indagine interiore, mentre la sua vicenda matrimoniale è sempre esposta da testimoni esterni, non lasciando così spazio alla percezione soggettiva del protagonista:

Jeli se lo prese[il bacio] in santa pace, e non sapendo che dire aggiunse: - Io t'ho sempre voluto bene, anche quando volevi lasciarmi pel figlio di massaro Neri - Ma non ebbe cuore di dirgli di quell'altro.

Ma Jeli non sapeva nulla, ch'era becco, né gli altri si curavano di dirglielo, perché a lui non gliene importava niente, e s'era accollata la donna col danno, dopo che il figlio di massaro Neri l'aveva piantata per aver saputo la storia di don Alfonso. Jeli invece ci viveva beato e contento nel vituperio, e s'ingrassava come un maiale, -ché le corna sono magre, ma mantengono la casa grassa!-

Jeli risulta quindi non solo diverso, ma infinitamente superiore ai suoi compaesani: non si vendica di una maldicenza, come invece fanno tutti, ma dell'onore offeso e anche della buona fede tradita dall'amico di vecchia data che ha tratto profitto dalla sua condizione di superiorità. Ora non vi è più il punto di vista collettivo, ma l'analisi psicologica è lasciata a un discorso indiretto libero:

Insomma Jeli non lo capiva quello che vuol dire becco, e non sapeva cosa fosse la gelosia; ogni cosa nuova stentava ad entrargli in capo, e questa poi gli riusciva così grossa che addirittura faceva una fatica del diavolo ad entrarci, massime allorché si vedeva dinanzi la sua Mara, tanto bella, e bianca, e pulita, che l'aveva voluto lei stessa, e le voleva tanto bene, e aveva pensato a lei tanto tempo, tanti anni, fin da quando era ragazzo, che il giorno in cui gli avevano detto com'ella volesse sposarne un altro, non aveva avuto più cuore di mangiare o di bere tutta la giornata. - Ed anche se pensava a don Alfonso, non poteva credere a una birbonata simile

Ma è stato un giusto a commettere ingiustizia, ha sempre fatto i conti giusti essendo convinto che il principio di proprietà è intoccabile: il suo delitto è giusto perché gli è stato sottratto l'affetto, per di più consacrato nel matrimonio e perpetrato dal ricco a danno del povero, cosa che è il reato peggiore. Il tribunale, condannandolo, dimostrerà dunque di rispondere solo alla difesa dell'ingiustizia costituita, mentre Jeli è portatore di un credo morale che nasce all'interno della società stessa, ma originato dagli impulsi dell'esistenza individuale.

Tutta la novella è strutturata su una serie di incontri bilaterali in cui il protagonista appare sempre di scena di fronte a un solo altro personaggio: nell'infanzia prima l'amicizia con don Alfonso e poi l'incontro con Mara. L'episodio della fiera segna la conoscenza da parte del pastore dell'asprezza del mondo economico e l'accrescersi della pena per essere escluso dall'affetto di Mara, diventato pecoraio dell'attuale fidanzato della ragazza. Segue poi la scena in cui la ragazza propone il matrimonio a Jeli: con la fiera il protagonista era entrato nell'età adulta, ora il contratto matrimoniale ne da sanzione definitiva. Nelle ultime pagine della novella ci sono due piani: Jeli a tu per tu con la moglie e il protagonista tradito contrapposto alla comunità più smaliziata di lui. Dunque Jeli si sente detentore di diritti assoluti sull'affetto della moglie e vede il delitto di don Alfonso come qualcosa di normale: il protagonista è spiazzato nel vedersi respinto dall'organismo sociale al quale aveva cercato di adeguarsi. L'autenticità della passione non trova riconoscimento né tanto meno tutela all'interno della società: i due elementi non sono compatibili. Jeli è dominato dalla passione fin dall'infanzia, questa presenza interiore determina i suoi rapporti con la natura. L'infanzia è il tempo dell'attesa di una speranza, e la stessa natura cambia volto quando questa speranza d'amore viene delusa. Infine col tradimento è rivelata la vera essenza della vita del pastore, senza più alcun elemento idilliaco:

Infatti Mara non era nata a far la pecoraia, e non ci era avvezza alla tramontana di gennaio, quando le mani si irrigidiscono sul bastone, e sembra che vi caschino le unghie, e ai furiosi acquazzoni, in cui l'acqua vi penetra fino alle ossa, e alla polvere soffocante delle strade, quando le pecore camminano sotto il sole cocente, e al giaciglio duro e al pane muffito, e alle lunghe giornate silenziose e solitarie, in cui per la campagna arsa non si vede altro di lontano, rare volte, che qualche contadino nero dal sole, il quale si spinge innanzi silenzioso l'asinello, per la strada bianca e interminabile.

L'amore in questa novella è dunque vivere una vita vera, anche se si rivela essere un'illusione, nutrita solo di se stessa.


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