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La nascita della repubblica




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la nascita della repubblica


la tradizione storiografica sulla nascita della repubblica

La storiografia antica sulla nascita della Repubblica, rappresentata da Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso, presenta un quadro chiaro: Sesto Tarquinio, figlio dell'ultimo re etrusco di Roma, respinto dall'aristocratica Lucrezia, violenta la giovane. Lucrezia, prima di suicidarsi, narra il misfatto al padre, Spurio Lucrezio, al marito, Lucio Tarquinio Collatino, ed ai loro amici, Lucio Giunio Bruto e Publio Valerio Publicola. Guidata da questi aristocratici, scoppia una rivolta che porta alla caduta della monarchia, evento fissato al 510 a.C. Nel 509 a.C., i poteri del re passano a due magistrati eletti dal popolo, i consoli, uno dei quali è lo stesso Bruto. Il tentativo intrapreso da Porsenna, re della città etrusca di Chiusi, di restaurare il potere di Tarquinio su Roma viene frustrato dall'eroismo della neonata Repubblica.

Talune incoerenze nella narrazione, le incertezze ammesse dagli autori antichi ed il fatto che i loro racconti vennero scritti diversi secoli dopo gli avvenimenti, hanno portato gli storici moderni a sottoporre la tradizione sulla fine della monarchia e la nascita della Repubblica ad una critica. Dal momento che ci troviamo di fronte ad un problema politico ed istituzionale, i rinvenimenti archeologici forniscono in misura limitata elementi di riscontro; la ricerca storiografica si è dovuta concentrare sulla critica interna ai dati della tradizione.


i fasti

I Fasti sono liste dei magistrati eponimi della Repubblica, di quei magistrati che davano il nome all'anno in corso. I Fasti ci sono giunti sia attraverso la tradizione letteraria (Livio e Diodoro Siculo), sia attraverso alcuni documenti epigrafici: i più importanti sono i Fasti Capitolini, così chiamati perché sono conservati nei Musei Capitolini di Roma. Nei Fasti Capitolini trova riflesso una cronologia elaborata negli ultimi anni della Repubblica dall'erudito Marco Terenzio Varrone, che fissava la fondazione di Roma al 753 a.C. ed il primo anno della Repubblica al 509 a.C. La cronologia varroniana porta a qualche sfasatura con altre cronologie per gli avvenimenti del V e del IV secolo a.C.; nonostante questo scarto, le datazioni varroniane assunsero nell'antichità un valore quasi canonico, e forniscono l'ossatura cronologica degli studi moderni sul primo periodo repubblicano.


la fine della monarchia e la creazione della repubblica

La storia della violenza subita da Lucrezia contiene elementi di drammatizzazione che ricordano le vicende della caduta di diverse tirannidi greche e ne minano la credibilità. Il ruolo che un ristretto gruppo di aristocratici ebbe nella cacciata dei Tarquini e il dominio che il patriziato sembra aver esercitato sulla prima Repubblica, inducono a pensare che la fine della monarchia sia da attribuire ad una rivolta del patriziato romano contro un regime che aveva accentuato i suoi caratteri autocratici. Il mutamento di regime non avvenne in modo graduale e indolore, ma fu il risultato di un evento traumatico, una vera e propria rivoluzione.

Alla cacciata di Tarquinio il Superbo successe un periodo in cui Roma appare in balia di re e condottieri, come Porsenna di Chiusi o Mastarna e i fratelli Vibenna. La sconfitta inflitta dai Latini e dal loro alleato Aristodemo di Cuma ad Arrunte, figlio di Porsenna, presso la città latina di Aricia, assestò un duro colpo all'influenza politica degli Etruschi sul Lazio. Grazie a questo evento, Roma ebbe occasione di dare sviluppo alle sue nuove istituzioni repubblicane.


la data della creazione della repubblica

Gli antichi avevano fissato una coincidenza cronologica tra la storia di Roma e quella di Atene: il 510 a.C. era anche l'anno in cui il tiranno Ippia, della famiglia dei Pisistratidi, era stato cacciato da Atene. Il sospetto che la cronologia della caduta di Tarquinio il Superbo sia stata adattata per creare un parallelismo con le vicende della pÒlij greca non è illegittimo.

Alcuni elementi, tuttavia, inducono a ritenere che la datazione tradizionale della creazione della Repubblica non sia lontana dalla verità.

Un primo argomento a favore della datazione tradizionale è desumibile da Livio: secondo lo storico, una legge scritta in caratteri arcaici prescriveva che il massimo magistrato della Repubblica infiggesse un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno alle idi di settembre, anniversario della consacrazione del tempio. Il tempio di Giove sul Campidoglio era stato inaugurato nel primo anno della Repubblica: il numero di chiodi conficcati nel tempio potrebbe aver costituito un riferimento di cronologia assoluta per datare gli eventi della Repubblica. Nel 304 a.C., l'edile Cneo Flavio, nell'inaugurare il tempio di Concordia, poté datare l'evento 204 anni dopo la consacrazione del tempio Capitolino, riportandoci al 508 a.C.

Un secondo elemento ci viene dalla documentazione archeologica: l'edificio della Regia presenta, verso la fine del VI secolo a.C., la pianta caratteristica di un edificio templare e non di una residenza reale: in questo periodo la Regia sarebbe divenuta la sede del rex sacrorum, il sacerdote che aveva ereditato le competenze religiose del monarca.

i supremi magistrati della repubblica, i loro poteri e i loro limiti

La tradizione storiografica antica è concorde nell'affermare che i poteri propri del re sarebbero passati a due consules, o praetores, come si sarebbero inizialmente chiamati i massimi magistrati della Repubblica, secondo Livio. Eletti dai comizi centuriati, ai consoli spettava il comando dell'esercito, il mantenimento dell'ordine all'interno della città, l'esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento e della compilazione delle liste dei senatori; il consolato aveva anche la funzione eponima.

Alcune delle competenze religiose dei precedenti monarchi sarebbero state trasferite ad un sacerdote di nuova istituzione, nel cui nome di rex sacrorum si conservò il ricordo dell'istituto monarchico; il rex sacrorum non poteva rivestire cariche di natura politica. Al rex sacrorum vennero affiancandosi altri sacerdozi, come i pontefici e gli auguri. Nella sfera religiosa rimase di competenza dei consoli il controllo sugli auspici, il potere, cioè, di interpretare la volontà degli dei riguardo le decisioni più importanti della vita pubblica.

I poteri autocratici di cui erano dotati i due consoli erano sottoposti ad alcuni limiti: la durata della loro carica, limitata ad un anno (annualità), ed il fatto che ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva opporsi all'azione del collega qualora la giudicasse dannosa per lo Stato (collegialità). Un'ulteriore restrizione all'arbitrio dei consoli era costituita dalla possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell'assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console: si tratta della provocatio ad populum, la cui istituzione viene fatta risalire dalla tradizione ad una lex Valeria di Publio Valerio Publicola.

La versione tradizionale sulla massima magistratura repubblicana è stata messa in dubbio da parte di alcuni studiosi, i quali ritengono che, in una prima fase, i poteri del re siano stati trasferiti ad un solo magistrato; solamente all'indomani del Decemvirato del 450 a.C. o delle leggi Licinie-Sestie del 367 a.C., sarebbe stata creata la magistratura collegiale del consolato. Il più serio argomento a favore di questa teoria è la cerimonia dell'infissione del chiodo nel tempio di Giove Capitolino ad opera del praetor maximus. Questa espressione implica l'esistenza di almeno tre praetores, di cui uno dotato di supremi poteri.


le altre magistrature

Le crescenti esigenze dello Stato indussero alla creazione di nuove magistrature; anche queste cariche furono caratterizzate dai principi dell'annualità e della collegialità.

Al periodo regio o al primo anno della Repubblica risalirebbero i questori: originariamente due, assistevano i consoli nella sfera delle attività finanziarie. In un primo tempo è probabile che i questori fossero designati a discrezione dai consoli; in seguito, la carica divenne elettiva.

In rapporto con i questori finanziari dovevano essere i quaestores parricidii, che le leggi delle XII Tavole ricordano incaricati di istruire i processi per i delitti di sangue che coinvolgessero parenti. Il reato di alto tradimento, invece, era competenza del collegio dei duoviri perduellionis.

Nel 443 a.C., il compito di tenere il censimento sarebbe stato affidato a due nuovi magistrati, i censori. In seguito, tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C., un provvedimento affidò ai censori anche la redazione delle liste dei membri del senato. Da questa competenza si sviluppò una supervisione sulla condotta morale dei cittadini, la cura morum. Questi magistrati venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18 mesi.


la dittatura

In caso di necessità, i supremi poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dittatore: il dictator non veniva eletto da un'assemblea popolare, ma nominato da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato. Il dittatore non era affiancato da colleghi con eguali poteri, ma assistito da un magister equitum (comandante della cavalleria), mentre il dittatore era noto col titolo di magister populi. Dati i poteri straordinari di questa magistratura, la sua durata viene limitata ad un massimo di sei mesi.

L'ordinario titolo di magister populi, comandante dell'esercito, e il fatto che nei maggiori scontri della prima fase della Repubblica le truppe romane fossero comandate da un dittatore, dimostrano come questo magistrato venisse nominato per fronteggiare crisi militari.


i sacerdozi e la sfera religiosa

A Roma non si può tracciare una distinzione tra cariche politiche e massime cariche religiose: la medesima persona poteva rivestire contemporaneamente una magistratura ed un sacerdozio.

Costituiscono un'eccezione, oltre al rex sacrorum, i flamini, i quali rappresentavano la personificazione terrena del dio stesso. Le tre supreme divinità della prima Roma repubblicana, Giove, Marte e Quirino, erano rappresentate dai flamines Dialis, Martialis e Quirinalis.

Dodici flamini minori erano addetti al culto di altrettante divinità. Al flaminato era connessa una serie di tabu religiosi, che limitarono il diritto dei flamini a rivestire cariche politiche o ad allontanarsi da Roma.

I tre più importanti collegi religiosi, quelli dei pontefici, degli auguri e dei duoviri sacris faciundis, avevano poteri che superavano la sfera cultuale e coinvolgevano direttamente la politica.

Il collegio dei pontefici, guidato da un pontefice massimo, costituiva la massima autorità religiosa, con una competenza che si estendeva su tutte le materie che non ricadevano nella sfera d'azione degli altri collegi sacerdotali: ai pontefici spettava la nomina dei tre flamini maggiori. Il collegio dei pontifices aveva il controllo sulla tradizione e l'interpretazione delle norme giuridiche, nonché sul calendario. Si diveniva pontifex per cooptazione (venendo scelti dagli altri membri del collegio) e a vita.

Il collegio degli auguri aveva la funzione di assistere i magistrati nel loro compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dei, affinché un atto pubblico potesse essere considerato valido. Ciò avveniva attraverso l'osservazione del volo degli uccelli, ma anche di altri fenomeni naturali, quali i tuoni ed i fulmini. Il parere degli auguri consentiva al senato o ad un magistrato di bloccare ogni procedimento.

I duoviri sacris faciundis erano incaricati di custodire i Libri Sibillini, un'antichissima raccolta di oracoli, in greco, connessi con la Sibilla di Cuma. Nel caso si verificassero prodigi nefasti, il senato poteva chiedere al collegio di consultare i Libri, per trovarvi un rimedio. La denominazione del sacerdozio mutò con il crescere del numero dei suoi componenti, che divennero 10 nel 367 a.C. e 15 balla fine dell'età repubblicana.

Accanto ai tre collegi sacerdotali maggiori, si possono ricordare gli aruspici, incaricati di chiarire la volontà divina mediante l'esame delle viscere delle vittime sacrificali. I feziali, riuniti in collegio, avevano la funzione di dichiarare guerra, attenendosi al cerimoniale previsto ed assicurando a Roma il favore degli dei.


il senato

Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, sopravvisse alla caduta della monarchia, divenendo il perno della nuova Repubblica a guida patrizia. La composizione del consiglio era decisa dai consoli prima, dai censori poi, che ne completavano i ranghi attingendo tra gli ex magistrati.

Il principale strumento istituzionale in possesso del senato era costituito dall'auctoritas patrum, quel diritto di sanzione che vediamo applicarsi agli atti legislativi ed ai risultati delle elezioni, a partire dalla metà del V secolo a.C. La carica di senatore era vitalizia: essi, dunque, avevano la possibilità di dispiegare la loro politica con continuità d'azione. Nel senato si concentrò l'esperienza politica della Repubblica e trovò espressione continuativa e compiuta la leadership politica dell'élite sociale ed economica di Roma.


la cittadinanza e le assemblee popolari

Il terzo pilastro sul quale si resse l'edificio istituzionale della Roma repubblicana è costituito dalle assemblee popolari. Questi organismi erano riservati ai maschi adulti di libera condizione ed in possesso del diritto di cittadinanza.

Si diveniva cittadini romani per diritto di nascita, in quanto figli legittimi di padre in possesso della piena cittadinanza. Sulla questione dei diritti civici, Roma manifestò una notevole apertura: l'accoglienza nel corpo civico di elementi provenienti dalle città latine o da altre comunità dell'Italia centrale, non doveva essere eccezionale. Il caso più clamoroso è rappresentato dalla migrazione dalla Sabina del clan dei Claudi: tra il regno di Romolo ed il 505 a.C., un notabile sabino, Appio Claudio, si sarebbe trasferito a Roma insieme a 5.000 suoi famigliari e clienti, venendo accolto nella cittadinanza romana e nelle file del patriziato. I liberti, inoltre, ricevevano la pienezza dei diritti civici.

Durante l'età repubblicana, i comitia curiata persero di significato. La loro funzione più importante, quella di conferire ufficialmente i poteri ai nuovi magistrati, si ridusse ad una formalità.

Nella prima età repubblicana, l'assemblea più importante di Roma è costituita dai comizi centuriati, fondati su di una ripartizione della cittadinanza in classi di censo e, all'interno di queste, in centurie.

Il meccanismo dei comizi centuriati prevedeva che le risoluzioni fossero prese non a maggioranza dei voti individuali, ma a maggioranza delle unità di voto costituite dalle centurie, assicurando un vantaggio all'elemento più facoltoso e più anziano della cittadinanza. Le persone dotate del censo più alto ed iscritte nelle classi d'età dai 46 ai 60 anni (i seniores) erano molte di meno rispetto ai cittadini meno ricchi e iscritti nelle classi d'età tra i 17 ed i 45 anni (gli iuniores). Se le 18 centurie dei cavalieri e le 80 centurie della I classe avessero votato compatte, avrebbero potuto raggiungere da sole la maggioranza assoluta nei comizi.

La funzione più importante dell'assemblea centuriata era quella elettorale: spettava ai comitia centuriata l'elezione dei consoli e degli altri magistrati superiori.

Ultimi per data di creazione tra le assemblee in cui si riunivano i cittadini di Roma sono i comizi tributi, ricordati per la prima volta nel 447 a.C., quando venne affidata loro l'elezione dei questori.

Il popolo votava per tribù, cioè a seconda dell'iscrizione in una di quelle tribù territoriali che erano state istituite da Servio Tullio. Anche nei comitia tributa venne creandosi una forma di disuguaglianza: il numero delle tribù urbane rimase fissato al numero di 4, mentre il numero delle tribù rustiche si accrebbe dalle 16 d'età regia fino a raggiungere le 31 nel 241 a.C. La popolazione delle campagne, dunque, si trovò ad avere nei comizi tributi un peso maggiore rispetto alla popolazione urbana.

L'assemblea tributa aveva funzione elettorale, scegliendo i magistrati minori, e legislativa.

Le assemblee popolari non potevano autoconvocarsi né assumere alcuna iniziativa autonoma. Spettava ai magistrati che le presiedevano indire l'adunanza, stabilire l'ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge, che l'assemblea poteva accettare o respingere, ma non modificare. La comparsa di presagi infausti consentiva ai consoli di interrompere i lavori delle assemblee popolari.

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