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La legge del lavoro e la legge dell'onore nei Malavoglia




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La legge del lavoro e la legge dell'onore nei Malavoglia


Nei Malavoglia i due episodi più importanti sono quelli che oppongono il vecchio padron 'Ntoni ai nipoti Mena e 'Ntoni, entrambi che vorrebbero gestire autonomamente il proprio destino. Mena si piega ad accettare la volontà del nonno,anche se non smette di nutrire i propri sentimenti verso Alfio: la ragazza sembra affrontare un sacrificio a cui si è rassegnata, ma non per questo meno ingiusto. Infatti per il codice di valori di padron 'Ntoni è molto più importante assicurare il benessere materiale della nipote che assecondarne gli affetti. Nei Malavoglia i poveri non possono disporre liberamente dei loro affetti come avveniva per i protagonisti dei primi romanzi del Verga la cui passione superava ogni ostacolo pratico; sono invece sottoposti a una mentalità proprietaria a cui sono sottoposti tutti i rapporti all'interno del paese di Aci Trezza. La saggezza che fallisce con Mena si dimostrerà sterile e addirittura in contrasto con se stessa nelle vicende di 'Ntoni: il ragazzo non vuole contestare il valore dell'unità familiare, ma anzi la vuole sorreggere:

- Ebbene! esclamò poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po' che le annate andranno scarse staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiare stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e tutti.

Questo proposito di partire lo mette in contrasto con la tradizione, di cui il nonno è un esemplare rappresentante, che però quando aveva accettato l'affare dei lupini, era stato mosso dallo stesso intento. Infatti padron 'Ntoni da tempo covava scontentezza e ansia di cambiare stato, tanto da spingerlo all'imprudente affare che sarà l'origine di tutte le sventure per la sua famiglia. Dunque 'Ntoni risponde alla stessa logica che ha ispirato il nonno, sperando di non fallire. Il narratore non descrive le vicende del giovane lontano dalla famiglia, per non sminuirne la dignità, che al suo ritorno al paese è ancora ben riconoscibile. Ma proprio dopo il ritorno si verifica la catastrofe per il giovane: infrange la legge del lavoro per abbandonarsi all'ozio, e ciò comporta non solo l'esclusione dal nucleo familiare, ma anche dalla società. Qui sta la differenza tra nonno e nipote: il vecchio dopo il fallimento dell'affare dei lupini non ha perso coraggio e spirito, anzi è stata un'occasione per affermare la sua fede nel senso dell'onore, riconoscendo i propri debiti a costo di qualsiasi sacrificio. Ma questa logica dell'onore costituisce per i Malavoglia un ostacolo insuperabile per il loro intento di inserirsi nella dimensione borghese di scambi e libera concorrenza. 'Ntoni sembra da questo punto di vista più avvantaggiato a raggiungere il suo obiettivo, in quanto tende già a scavalcare quella legalità borghese che già i suoi congiunti ritenevano poco rigorosa:

- Non gli pagheremo niente, aggiunse 'Ntoni più ardito, perché non può prenderci né la casa né la Provvidenza Non gli dobbiamo nulla.

Ma dopo l'insuccesso personale il giovane arriverà a rinnegare non solo la legge dell'onore ma anche la giustizia dei tribunali. Il suo atteggiamento è tanto più scandaloso in quanto si contrappone alla prova di eroismo del nonno e all'esempio di nobiltà d'animo fornito dalla sorella. Per le donne l'onore coincide col pudore e deve essere gelosamente custodito, visto che il biasimo che riservato alla sorella Lia arriverà a colpire la stessa Mena.

Il luogo in cui tutte le tensioni avvengono è la famiglia in cui convergono preoccupazioni di ordine materiale e istanze affettive disinteressate. La famiglia è vista come unità economica basata sull'apporto lavorativo di tutti i membri unita da solidarietà di cui garante è l'autorità del pater. Questa visione è incarnata da padron 'Ntoni, ma la stessa età avanzata del personaggio, nonno anziché padre, ne sottolineano il ritardo rispetto ai tempi. Ma padron 'Ntoni con la sua tenacia nel contrastare le avversità si dimostra fiducioso che l'operosità assidua sia l'unico mezzo per far vivere il legame sentimentale con i consanguinei. Nel romanzo è esaltato il lavoro come principio attivo dell'esistenza, ma sempre in una visione di lavoro autonomo, indipendente: proprio quando i Malavoglia dipendono da altri per l'affare dei lupini, vengono colpiti dalla sventura.

È la stessa preoccupazione per il benessere dei parenti che induce a rapportarsi con le altre famiglie secondo un criterio di razionalità senza riguardi, e chi si comporta diversamente fa danno ai suoi stessi cari. Ma chi dà priorità assoluta ai canoni dell'utile, è destinato a rimanere solo, come lo zio Crocifisso, la Vespa e altri personaggi. Verga dimostra rispetto per i ceti subalterni e ne dà un immagine che è lontana dall'essere omogenea, anzi è un mondo stratificato in cui gli scambi interpersonali incontrano innumerevoli ostacoli. Nella legge economica i sentimenti sono d'intralcio, quindi un imprenditore non può essere allo stesso tempo un buon padre, anche se ciò che li accomuna è la legge del lavoro, che però per il secondo è posta a servizio della famiglia, mentre l'affarista le affida un fine di dominio sulle cose. Il lavoro è dunque un valore primario, anche se nei Malavoglia è interpretato nei suoi valori fisici e materiale: chi non vive del lavoro delle braccia è rappresentato con intento satirico perché cade in una forma di parassitismo sociale.


La voce narrante del romanzo vuole aderire ai dati della realtà, dunque ha bisogno di un mezzo per esprimerla prima di interpretarla. Il romanziere non vuole riprodurre un'esperienza linguistica legata a circostanze storico-sociali determinate, ma cerca una dimensione di verità in cui siano contenuti ma anche oltrepassati i termini del modulo verbale usato dai personaggi. Deve dunque rifarsi al parlato nella sua funzione essenziale che svolge tra individuo e individuo: Verga accetta il lessico dell'italiano moderno e borghese, ma interviene sulla sintassi per far emergere la loquacità popolare.

Il narratore sembra ormai rinunciare a rivolgersi ad un pubblico borghese per aggredirlo polemicamente, ma non per questo si rivolge ai ceti popolari: si apparta, come chi contempla una verità senza tempo perché la letteratura non può modificare la realtà. L'arte infatti consiste nel rendere evidente i rapporti che intercorrono tra una serie di dati particolari ricreandoli in modo organico. I Malavoglia portano sulla pagina l'autocoscienza degli ultimi membri della famiglia, e la voce narrante assume a volte anche il punto di vista degli antagonisti alla famiglia:

Compare Tino non aveva fiele in corpo, e andava a parlare a padron 'Ntoni come se non fosse fatto suo, passandogli il braccio attorno al collo, e gli diceva: - Scusatemi, fratello mio, a me mi dispiace più di voi, di cacciarvi fuori della vostra casa, ma che volete? sono un povero diavolo; quelle cinquecento lire me le son levate dalla bocca, e San Giuseppe prima fece la sua barba. Fossi ricco come lo zio Crocifisso non ve ne parlerei nemmeno, in coscienza mia!

Lo zio Crocifisso era venuto a dare un'occhiata insieme a Piedipapera, e parlavano a voce alta nelle stanze vuote, dove le parole si udivano come se fossero in chiesa. Compare Tino non aveva potuto durarla a campare d'aria sino a quel giorno, e aveva dovuto rivendere ogni cosa allo zio Crocifisso, per riavere i suoi denari. - Che volete, compare Malavoglia? gli diceva passandogli il braccio attorno al collo. Lo sapete che sono un povero diavolo, e cinquecento lire mi fanno! Se voi foste stato ricco ve l'avrei venduta a voi. - Ma padron 'Ntoni non poteva soffrire di andare così per la casa, col braccio di Piedipapera al collo.

Il lettore sa già bene come siano andate le cose perché è stato informato dal narratore onnisciente, ma il discorso indiretto libero ha la funzione di presentare le vicende da punti di vista anche antitetici a quello dei Malavoglia che comunque non sono contestabili perché rispondono alla logica dell'utile:

Stavolta i Malavoglia erano là, seduti sulle calcagna davanti al cataletto, e lavavano il pavimento dal gran piangere, come se il morto fosse davvero fra quelle quattro tavole, coi suoi lupini al collo, che lo zio Crocifisso gli aveva dati a credenza perché aveva sempre conosciuto padron 'Ntoni per galantuomo; ma se volevano truffargli la sua roba, col pretesto che Bastianazzo s'era annegato, la truffavano a Cristo, com'è vero Dio! Ché quello era un credito sacrosanto come l'ostia consacrata, e quelle cinquecento lire ei l'appendeva ai piedi di Gesù crocifisso; ma, santo diavolone! padron 'Ntoni sarebbe andato in galera! La legge c'era anche a Trezza!

La Santuzza, all'ultimo tocco di campana, aveva affidata l'osteria a suo padre, e se n'era andata in chiesa, tirandosi dietro gli avventori. Lo zio Santoro, poveretto, era cieco, e non faceva peccato se non andava a messa; così non perdevano tempo all'osteria, e dall'uscio potevano tener d'occhio il banco, sebbene non ci vedesse, ché gli avventori li conosceva tutti ad uno ad uno soltanto al sentirli camminare, quando venivano a bere un bicchiere.

Invece la ricchezza interiore è proprietà di chi invera la legge del lavoro con quella dell'onore, come Mena e Alfio, i due innamorati infelici, i cui sentimenti vengono analizzati attraverso rimandi paesistici o una psicologizzazione più esplicita:

La ragazza era tutta intenta a quello che diceva compare Alfio, e intanto l'ulivo grigio stormiva come se piovesse, e seminava la strada di foglioline secche e accartocciate. - Ecco che se ne viene l'inverno, e tutto ciò non si potrà fare prima dell'estate, osservò compar Alfio. Mena cogli occhi seguiva l'ombra delle nuvole che correva per i campi, come fosse l'ulivo grigio che si dileguasse; così correvano i pensieri della sua testa,e gli disse: - Sapete, compare Alfio, di quella storia del figlio di padron Fortunato Cipolla non ce n'è nulla, perché prima dobbiamo pagare il debito dei lupini. - Io ci ho piacere, rispose Mosca, ché così non ve ne andate dal vicinato.

Le stelle ammiccavano più forte, quasi s'accendessero, e i Tre Re scintillavano sui fariglioni colle braccia in croce, come Sant'Andrea. Il mare russava in fondo alla stradicciuola, adagio adagio, e a lunghi intervalli si udiva il rumore di qualche carro che passava nel buio, sobbalzando sui sassi, e andava pel mondo il quale è tanto grande che se uno potesse camminare e camminare sempre, giorno e notte, non arriverebbe mai, e c'era pure della gente che andava pel mondo a quell'ora, e non sapeva nulla di compar Alfio, né della Provvidenza che era in mare, né della festa dei Morti; - così pensava Mena sul ballatoio aspettando il nonno.

Col personaggio di Alfio il discorso indiretto libero si inclina a diventare discorso interiore perché tale discorso non potrebbe avere alcun interlocutore:

Però Alfio Mosca non ci pensava nemmeno alla Vespa, e se ci aveva qualcheduna per la testa, era piuttosto comare Mena di padron 'Ntoni, che la vedeva ogni giorno nel cortile o sul ballatoio, o allorché andava a governare le bestie nel pollaio, e se udiva chiocciare le due galline che le aveva regalato si sentiva una certa cosa dentro di sé, e gli sembrava che ci stesse lui in persona nel cortile del nespolo, e se non fosse stato un povero carrettiere dal carro dell'asino, avrebbe voluto chiedere in moglie la Sant'Agata, e portarsela via nel carro dell'asino. Come pensava a tutto ciò si sentiva in testa tante cose da dirle, e quando poi la vedeva non sapeva come muover la lingua, e guardava il tempo che faceva, e le parlava del carico di vino che aveva preso per la Santuzza, e dell'asino che portava quattro quintali meglio di un mulo, povera bestia.

L'interpretazione coscienziale si attua anche con Maruzza la Longa la cui dimensione affettiva non è espressa verbalmente in quanto costituita da apprensività ansiosa per i suoi cari:

La Longa corse subito a cacciarsi in cucina, quasi avesse furia di trovarsi a quattr'occhi colle vecchie stoviglie, e padron 'Ntoni disse al figliuolo:  - Va a dirle qualche cosa, a quella poveretta; non ne può più.

Sua madre lo ascoltava, e non aveva coraggio di aprir bocca, cogli occhi pieni di lagrime, tanto gli faceva pena quello che ei diceva, piangendo e pestando i piedi, e strappandosi i capelli. La poveretta avrebbe voluto parlare, e buttargli le braccia al collo, e piangere anche lei per non lasciarselo scappare; ma quando voleva dir qualche cosa, le labbra le tremavano e non poteva proferir parola. - Senti, disse alfine, tu te ne andrai, se vuoi andartene, ma non mi troverai più; ché ora mi sento vecchia e stanca, e mi pare che non potrei reggere a quest'altra angustia.

Maruzza non diceva nulla, ma nella testa ci aveva un pensiero fisso, che la martellava, e le rosicava il cuore, di sapere cos'era successo in quella notte, che l'aveva sempre dinanzi agli occhi, e se li chiedeva le sembrava di vedere ancora la Provvidenza, là verso il Capo dei Mulini, dove il mare era liscio e turchino, e seminato di barche, che sembravano tanti gabbiani al sole, e si potevano contare ad una ad una, quella dello zio Crocifisso, l'altra di compare Barabba; la Concetta dello zio Cola, e la paranza di padron Fortunato, che stringevano il cuore

Le vicine le domandavano pure se Luca avesse scritto, o era molto che non riceveva lettera di lui. - Davvero ella non ci aveva pensato alla lettera; e tutta la notte non poté chiudere occhio, e aveva sempre la testa là, nel mare verso Trieste, dov'era successa quella ruina; e vedeva sempre suo figlio, pallido e immobile, che la guardava con certi occhioni sbarrati e lucenti, e diceva sempre di sì, come quando l'avevano mandato a fare il soldato - talché sentiva anche lei una sete, un'arsura da non dirsi. - In mezzo a tutte le storie che correvano pel villaggio, e che erano venuti a raccontarle, le era rimasto in mente di uno di quei marinari, che l'avevano pescato dopo dodici ore, quando stavano per mangiarselo i pescicani, e in mezzo a tutta quell'acqua moriva di sete. Allora la Longa, come pensava a quell'uomo che moriva di sete in mezzo a tutta quell'acqua, non poteva stare dall'andare ad attaccarsi alla brocca, quasi ce l'avesse avuta dentro di sé quell'arsura, e nel buio spalancava gli occhi, dove ci aveva sempre stampato quel cristiano.

Maruzza esprime l'archetipo della mater dolorosa, resa muta da Verga per non accrescerne il pietismo. Invece nei confronti di padron 'Ntoni vi è una minore psicologizzazione perché il vecchio è modello di una trasparenza umana in cui parole e gesti rispondono immediatamente a stati coscienziali. Il nonno si esprime di solito col discorso diretto e usa diversi proverbi, che gli conferiscono un'aura da responso oracolare. Le sue parole fanno vedere chiaramente come il nonno sia onestamente convinto di aderire a un senso del dovere naturalmente sovrano:

- Egli è andato perché ce l'ho mandato io, ripeteva padron 'Ntoni, come il vento porta quelle foglie di qua e di là, e se gli avessi detto di buttarsi dal fariglione con una pietra al collo, l'avrebbe fatto senza dir nulla. Almeno è morto che la casa e il nespolo sino all'ultima foglia erano ancora suoi; ed io che son vecchio sono ancora qua. «Uomo povero ha i giorni lunghi».

Quando il vecchio staccava un chiodo, o toglieva da un cantuccio un deschetto che soleva star lì di casa, faceva una scrollatina di capo. Poi si misero a sedere sui pagliericci ch'erano ammonticchiati nel mezzo della camera, per riposarsi un po', e guardavano di qua e di là se avessero dimenticato qualche cosa; però il nonno si alzò tosto ed uscì nel cortile, all'aria aperta.

Alla figura di autorità subentra a poco a poco quella dell'uomo invecchiato e stanco che continua a combattere, ma guardando più al passato che al futuro:

- Non la vendete la Provvidenza, così vecchia come è, se no sarete costretti ad andare a giornata, e non sapete com'è dura, quando padron Cipolla o lo zio Cola vi dicono: - Non ho bisogno di uno per lunedì. - E quest'altra cosa voglio dire a te, 'Ntoni, che quando avrete messo insieme qualche soldo, dovete maritare prima la Mena, e darle uno del mestiere che faceva suo padre, e che sia un buon figliuolo; e voglio dirti anche che quando avrete maritato pure la Lia, se fate dei risparmi metteteli da parte e ricomperate la casa del nespolo. Lo zio Crocifisso ve la venderà, se ci avrà il suo guadagno, perché è stata sempre dei Malavoglia, e di là sono partiti vostro padre e la buon'anima di Luca.

- Ringrazia Dio piuttosto, che t'ha fatto nascer qui; e guardati dall'andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova». Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! «Il buon pilota si prova alle burrasche». Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos'hai! Quando la buon'anima di tuo nonno mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io ero più giovan di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l'ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca,  benedetto! che non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere. Tua madre l'ha fatto anche lei il suo dovere povera femminuccia

In quest'ultimo brano viene chiamata in causa la vicenda di tre generazioni in un estremo tentativo di persuasione del giovane, che diventa un'apologia personale del vecchio. È significativo che l'orizzonte si allarghi dall'ambito familiare a quello della patria per cui Luca è morto combattendo, ma che in precedenza era stata vista come un nemico che toglie braccia alla famiglia: per il vecchio tutti gli avvenimenti familiari sono da vedersi sotto il segno di un sacrificio necessario e ineluttabile. Ma la natura di 'Ntoni affonda nell'istinto e dunque non ammette repliche: il narratore guarda alla sua vicenda con attenzione e comprensione fino a che il giovane non si estrania dalla comunità familiare portandole danno. Modi stilistici per raffigurare il personaggio sono vari: viene usato il discorso diretto per dare risalto oggettivo alle prese di posizione di 'Ntoni:

- Maledetta la mia sorte! cominciò a gridare 'Ntoni strappandosi i capelli e pestando i piedi. Tutto il giorno a lavorare! all'osteria non ci vado! e in tasca non ho mai un soldo! Ora che mi son trovata la ragazza che mi ci vuole, non posso prenderla. Perché son tornato dunque da soldato? - Senti! gli disse il nonno rizzandosi su a stento pei dolori che gli mangiavano la schiena. - Va a dormire che è meglio. Questi discorsi non dovresti farceli mai, davanti a tua madre!

- Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! Rispondeva 'Ntoni. Io non voglio vivere come un cane alla catena come l'asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.

Poi il narratore passa ai modi del discorso interiore:

- Addio, comare Barbara! rispose il poveraccio, e così ci mise una pietra su quel che era stato, e se ne tornò a remare come un galeotto, che già quella era una vera galera, dal lunedì al sabato, ed egli era stanco di rompersi l'anima per niente, perché quando non si ha nulla è inutile arrabbattarsi da mattina a sera, e non trovare un cane che vi voglia; per questo egli ne aveva le tasche piene di quella vita; preferiva piuttosto di non far niente davvero, e starsene in letto a fare il malato, come quando era seccato dal servizio militare, e il nonno poi non stava a cercare il pelo nell'uovo come il dottore della fregata.

Infatti 'Ntoni s'era fatto mandare le carte, e aveva ottenuto il suo congedo, sebbene don Silvestro il segretario avesse assicurato che se ci stava altri sei mesi fare il soldato, avrebbe liberato suo fratello Luca dalla leva. Ma 'Ntoni non voleva starci più nemmeno sei giorni, ora che gli era morto il padre; Luca avrebbe fatto come lui, che s'era pianta la sua disgrazia laggiù dove si trovava, e avrebbe voluto non far più niente, quando gli recarono la notizia del babbo, se non fosse stato per quei cani di superiori.













Dopo il fallimento del tentativo di espatrio, la tecnica del discorso indiretto libero diventa sistematica nei confronti di 'Ntoni, ma il narratore ne prende sempre più le distanze, accompagnando le sue affermazioni con un codicillo a declino di responsabilità:

Così 'Ntoni faceva il predicatore, come lo speziale; almeno aveva imparato questo nel viaggio, ed ora aveva aperto gli occhi, come i gattini dopo i quaranta giorni che son nati. «La gallina che cammina torna a casa colla pancia piena». Se non altro egli se l'era riempita di giudizio, la pancia, e andava a raccontare quello che aveva imparato sulla piazza, nella bottega di Pizzuto, ed anche all'osteria della Santuzza.

A volte indiretto libero e discorso interiore sembrano convergere:

'Ntoni allora giurava che non era vero niente, e non lo dicesse al nonno. Poi si levava di là frettoloso, e se ne andava all'osteria a smaltire l'uggia, e se incontrava quelli del berretto gallonato, faceva il giro più lungo per non vederli neanche nel battesimo. Già don Michele non sapeva nulla, e parlava a casaccio, onde fargli paura, per la bizza che ci aveva contro di lui dopo l'affare della Santuzza, la quale l'aveva messo fuori della porta come un cane rognoso. Alla fin fine egli non aveva paura di don Michele e dei suoi galloni, che era ben pagato per succhiare il sangue del povero. Bella cosa! Don Michele non aveva bisogno di cercare di aiutarsi in qualche maniera, così grasso e pasciuto! e non aveva altro da fare che metter le mani addosso a qualche povero diavolo, se si industriava a buscarsi come poteva un pezzo di dodici tarì.

Ormai la voce narrante si è distaccata dalle intenzioni di 'Ntoni, ma riprende a esplorarne la coscienza, con una pena più sentita per cogliervi un senso di rimorso:

Nessuno fiatò più, e 'Ntoni andava pensando, mentre metteva le mani avanti per vedere dove posava i piedi, che compare Cinghialenta avrebbe potuto fare a meno di dir così, perché a ciascuno in quei frangenti gli viene davanti agli occhi la sua casa, col letto e la Mena che sonnecchiava dietro l'uscio

Quando 'Ntoni comprende che la legge del lavoro coincide con quella dell'onore è finalmente pronto ad andarsene dal paese:

- Ora è tempo d'andarsene, perché fra poco comincerà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciar la sua giornata è stato Rocco Spatu.

Nel romanzo i personaggi sono divisi in due schiere, coloro per cui l'impegno lavorativo ha come fine il godimento dei beni materiali, e quelli che si propongono il culto degli affetti familiari. Il linguaggio dunque è il mezzo per dar conto della spudoratezza con cui i primi esibiscono sentimenti inautentici e le riluttanza dei secondi a incarnare in parole stati d'animo non riconducibili a misura economica.

Una logica inoppugnabile porta il narratore a dare carattere di inevitabilità alla sorte dei vinti, ma nulla gli impedisce di partecipare emotivamente alle loro sofferenze. Verga è consapevole che il vincolo sentimentale sussiste nella famiglia come entità economicamente produttiva autonoma: nel momento in cui intervengono dei rapporti di lavoro subordinato si crea un elemento di disunione e di crisi. Ma l'ideale di famiglia descritto è più una nostalgia che una fiducia nel futuro: in effetti la voce narrante vuole anzitutto evocare i modi e i tempi in cui è venuta meno l'unità familiare protettiva attraverso una serie di anticipazioni:

- Questo qui non scriverà per denari, quando sarà laggiù, pensava il vecchio; e se Dio gli dà giorni lunghi, la tira su un'altra volta la casa del nespolo. Ma Dio non gliene diede giorni lunghi, appunto perché era fatto di quella pasta; - e quando giunse più tardi la notizia che era morto, alla Longa le rimase quella spina che l'aveva lasciato partire colla pioggia, e non l'aveva accompagnato alla stazione. - Mamma! disse Luca tornando indietro, perché gli piangeva il cuore di lasciarla così zitta zitta sul ballatoio, come la Madonna addolorata; quando tornerò vi avviserò prima, e così verrete ad incontrarmi tutti alla stazione. - E quelle parole Maruzza non le dimenticò finché le chiusero gli occhi; e sino a quel giorno si portò fitta nel cuore quell'altra spina che il suo ragazzo non assisteva alla festa che si fece quando misero di nuovo in mare la Provvidenza

Ma non sapeva che doveva partire anche lei quando meno se lo aspettava, per un viaggio nel quale si riposa per sempre, sotto il marmo liscio della chiesa; e doveva lasciarli tutti per via, quelli cui voleva bene, e gli erano attaccati al cuore, che glielo strappavano a pezzetti, ora l'uno e ora l'altro.

Alessi non se la levò più davanti agli occhi, la sua mamma, con quei capelli bianchi, e quel viso giallo e affilato come un coltello, nemmeno quando arrivò ad avere i capelli bianchi anche lui.

Questi episodi esprimono un'indeterminata paura della solitudine, il sentimento familiare è un istinto di difesa del passato e nel passato contro il dinamismo dell'esistenza, come esprime Mena quando 'Ntoni sta per partire:

- A me non me ne importa dell'aiuto, purché tu non ci lasci soli. Ora che non c'è più la mamma mi sento come un pesce fuori dell'acqua, e non m'importa più di niente. Ma mi dispiace per quell'orfanella che resta senza nessuno al mondo, se tu vai, come la Nunziata quando l'è partito il padre.

Verso la fine del romanzo, con il moltiplicarsi delle lacrime, si ha un approfondimento dei sentimenti edificanti, come la nascita dell'idillio tra Nunziata e Alessi:

Poi, quando le mie sorelle saranno maritate, il nonno verrà a stare con noi, e lo metteremo nella stanza grande del cortile, che c'entra il sole; così quando non potrà più venire sul mare, povero vecchio, se ne starà accanto all'uscio nel cortile, e nell'estate ci avrà lì vicino il nespolo per fargli ombra. Noi prenderemo la camera dell'orto, ti piace? e ci avrai accanto la cucina: così avrai ogni cosa sotto la mano, non è vero? Quando poi tornerà mio fratello 'Ntoni gliela daremo a lui, e noi andremo a stare sul solaio. Tu non avrai che a scendere la scaletta per essere in cucina o nell'orto. - In cucina vuol essere rifatto il focolare, disse Nunziata. L'ultima volta che ci cuocevo la minestra, quando la povera comare Maruzza non aveva animo di far nulla, la pentola bisognava tenerla su coi sassi. - Sì, lo so! rispondeva Alessi, col mento sulle mani, e approvando colla testa. Aveva gli occhi incantati, quasi vedesse la Nunziata davanti al focolare, e la mamma che si disperava accanto al letto. - Anche tu potresti andare al buio per la casa del nespolo, tante volte ci sei stata. La mamma diceva sempre che sei una buona ragazza. - Ora ci hanno messo le cipolle nell'orto, e son venute grosse come arancie. - Che ti piacciono a te le cipolle? - Per forza mi piacciono. Aiutano a mangiare il pane e costano poco. Quando non abbiamo denari per la minestra ne mangiamo sempre coi miei piccini.

C'è un piano stilistico che si sviluppa in modo antitetico: l'ironia critica, che rappresenta la rivincita delle vittime sui loro oppressori, anche se indirettamente evidenzia l'ingenuità di chi non comprende la beffa perpetrata ai propri danni. La persecuzione ironica ha il suo centro nel ritratto dello zio Crocifisso:

Egli era un buon diavolaccio, e viveva imprestando agli amici, non faceva altro mestiere, che per questo stava in piazza tutto il giorno, colle mani nelle tasche, o addossato al muro della chiesa, con quel giubbone tutto lacero che non gli avreste dato un baiocco; ma aveva denari sin che ne volevano, e se qualcheduno andava a chiedergli dodici tarì glieli prestava subito, col pegno, perché «chi fa credenza senza pegno, perde l'amico, la roba e l'ingegno» a patto di averli restituiti la domenica, d'argento e colle colonne, che ci era un carlino dippiù, come era giusto, perché «coll'interesse non c'è amicizia». Comprava anche la pesca tutta in una volta, con ribasso, quando il povero diavolo che l'aveva fatta aveva bisogno subito di denari, ma dovevano pesargliela colle sue bilancie, le quali erano false come Giuda, dicevano quelli che non erano mai contenti, ed hanno un braccio lungo e l'altro corto, come San Francesco; e anticipava anche la spesa per la ciurma, se volevano, e prendeva soltanto il denaro anticipato, e un rotolo di pane a testa, e mezzo quartuccio di vino, e non voleva altro, ché era cristiano e di quel che faceva in questo mondo avrebbe dovuto dar conto a Dio. Insomma era la provvidenza per quelli che erano in angustie, e aveva anche inventato cento modi di rendere servigio al prossimo, e senza essere uomo di mare aveva barche, e attrezzi, e ogni cosa, per quelli che non ne avevano, e li prestava, contentandosi di prendere un terzo della pesca, più la parte della barca, che contava come un uomo della ciurma, e quella degli attrezzi, se volevano prestati anche gli attrezzi, e finiva che la barca si mangiava tutto il guadagno, tanto che la chiamavano la barca del diavolo

L'accanimento contro la società si accentua tanto più quanto si acuisce la commozione verso i protagonisti ripiegati su se stessi nella sofferenza delle loro sventure: l'ironia aggrava l'isolamento dei puri di cuore, che provano a proprie spese il divario tra la legge della moralità popolare e quella della giustizia statale, quando al processo 'Ntoni viene condannato per delitto d'onore, cavandosela con una pena piuttosto lieve, ma le voci che corrono che Lia abbia un'amante sono causa di una sventura molto più grave, davanti a cui nessuno ha il coraggio di esprimersi in effusioni discorsive.


Alla fine del romanzo la vita morale è in netta ripresa, anche se le ferite non sono del tutto rimarginate. 'Ntoni quando torna si trova davanti un quadro idilliaco che gli fa vedere il passato come una sorta di arcadia operosa, anche se all'interno di Aci Trezza i dissidi economici creavano discordia. Nel quadro sociale di oppressori e vinti però aveva una grande importanza anche il destino a cui gli individui possono cercare di resistere. La struttura dei Malavoglia può essere schematizzata come la combinazione di due elementi: le vicende alterne della famiglia protagonista sotto il ripetersi delle prove a cui la sfortuna li espone e il declino verso la catastrofe che segue le vicende personali di 'Ntoni. Nei primi due terzi del romanzo si ha una concatenazione di episodi basati su un contrasto di tesi e antitesi senza sintesi possibile e senza catarsi. Il narratore si pone al fianco di chi dimostra una tale dignità operosa, investendo di disprezzo sarcastico quanti traggono profitto dalla mala sorte altrui, anche se agiscono secondo una legge riconosciuta da tutti. Il moralismo viene abilmente evitando poiché mancano riferimenti astratti che darebbero pregnanza simbolica ai personaggi; l'analisi caratteriale, essendo basata su un'etica dualistica, tende alla staticità. La coesione di tutto il romanzo è data da un insieme di trapassi effettuata con l'accostamento per affinità e per contrapposizione. Uno strumento essenziale è l'effetto ritardante: l'effetto finale viene parcellizzato in modo che prenda corpo mano a mano attraverso episodi tra loro correlati ma intervallati da pause

La storia della famiglia reca in sé un elemento di contraddizione: il destino di Mena. Le vicende amorose della ragazza fanno sì che nei momenti in cui la casa gode di buona fortuna il suo sogno d'amore sia frustratato, e quindi sia infelice, invece quando la sorte è avversa alla famiglia la ragazza si ritrova a sperare. Così non vi è mai una staticità idilliaca all'interno del romanzo a cui tutti i personaggi partecipano. In oltre la spontaneità con cui sorge il sentimento affettivo è all'origine della maggior tensione del romanzo a cui si rifà un gran numero di interferenze e mosse intricate e precisamente calcolate da gran parte degli abitanti di Aci Trezza: le intenzioni matrimoniali di zio Crocifisso, di padron Cipolla, eccetera, determinano anche loro la catastrofe dei Malavoglia. Alla fine, fatti tutti i matrimoni, la comunità presenta un assetto più stabile sul piano economico, ma impoverito su quello etico-affettivo: le sorti dell'istituto familiare sono decisamente deteriorate, e il declino della famiglia protagonista è solo un episodio emblematico di questo processo complessivo. I protagonisti appaiono vittime di una congiura universale che vuole eliminare gli esponenti superstiti di una mentalità in cui nessuno crede più. Ma rimane tuttavia il fatto che chi crede nel valore degli affetti riconosce la validità obiettiva delle leggi economiche, ma non ne accetta l'assolutezza.


La vicenda personale di 'Ntoni documenta l'impossibilità di evadere dalla logica di necessità che regola il mondo. La figura del giovane è l'unica all'interno del romanzo a non apparire ben definita fin dall'inizio, ma il personaggio si costruisce gradualmente: il ragazzo è mosso da un impulso conoscitivo, anche se vi è sempre di base una preoccupazione egoistica e il suo comportamento appare a volte contraddittorio:

- Bella cosa! Rispondeva 'Ntoni. Ora che i miei parenti sono in mezzo alla strada mi dite di piantarli anch'io! Come se la caverà il nonno a far andare la Provvidenza e dar da mangiare a tanti, se lo lascio solo?

Dopo le vicende cittadine, 'Ntoni ha avuto conferma che si può vivere meglio, ma continua a ignorare i termini generali del problema. Il farmacista, don Franco, ha un ruolo rilevante nella perdizione del giovane: Verga concentra in don Franco la vera polemica esplicita del romanzo, quella antisocialista, con la conseguente reazione scettica degli abitanti di Aci Trezza:

Tu sei il popolo. Finchè sarai paziente come il somaro ti toccheranno le bastonate

- Eh! bella giustizia che certuni abbiano a rompersi la schiena contro i sassi, e degli altri stiano colla pancia al sole, a fumar la pipa, mentre gli uomini dovrebbero essere tutti fratelli

- Bisogna cominciare dal levarci dai piedi tutti costoro col berretto gallonato. Bisogna far la rivoluzione. Ecco quello che bisogna fare!

Come gli ridevano in faccia, si metteva a gridare: - Bestie che siete! e volete il progresso! e volete la repubblica! - La gente gli voltava le spalle, e lo piantava lì a strepitare come un pazzo. Da che il mondo è mondo le acciughe si son fatte col sale e coi mattoni pesti. - Il solito discorso! Così faceva mio nonno! seguitava a gridare loro dietro lo speziale. - Siete asini che vi manca soltanto la coda! Con gente come questa cosa volete fare? e si contentano di mastro Croce Giufà, perché il sindaco è stato sempre lui; sarebbero capaci di dirvi che non vogliono la repubblica perché non l'hanno mai vista! -

'Ntoni è estraneo a ogni principio di politicità, ma le teorie di don Franco hanno presa su di lui quando si scagliano contro un obiettivo concreto, don Michele. Don Franco ne esce come un irresponsabile, oltre che chiacchierone, che per di più non ha alcuna conoscenza dei giochi d'interesse sottostanti ai fatti politici e amministrativi. La propaganda socialista dunque serve solo a togliere ulteriormente le difese a chi è già in inferiorità nella lotta per la vita: la voce narrante non può far altro che accertare ancora una volta che la fede migliore è quella nell'istituto familiare. In più la vicenda di 'Ntoni,mostra come l'adesione ad un codice morale porti al tracollo, ma la ribellione ad essa porta un peggioramento ulteriore del proprio destino. Verga vuole concedere alla fine del romanzo ai suoi protagonisti una vittoria non solo morale, ma anche pratica, anche se  il riscatto della casa del nespolo e le buone condizioni economiche in cui versano alla fine i Malavoglia hanno poca verosimiglianza: 'Ntoni, tornato dalla galera, trova una situazione non solo mutata, ma addirittura capovolta. L'epilogo rasserenante vuole esaltare la pazienza delle povere formiche laboriose oltre che concludere la vicenda in un andamento ciclico.


Nei Malavoglia l'universo sociale è luogo di una competizione selvaggia e il progresso costituisce una parabola irreversibile : il divario crescente tra economia e morale ha portato ad un punto morto, si può solo andare in contro alla catastrofe. Questa sfiducia nel destino umano esposta dal Verga trova le sue conferme nella realtà storica che lo scrittore vive. La libera concorrenza ha portato un miglior sfruttamento delle risorse e una maggior mobilità delle forze produttive, ma i rapporti sociali non hanno subito alcun miglioramento: Verga esprime bene il malcontento degli abitanti di un paesino che vive in una società disgregata:

- Il ripiego ve lo trovo io, - rispondeva Betta. Non lo vogliono il dazio sulla pece? E voi lasciatelo stare. - Brava! e i denari di dove si prendono? - Di dove si prendono? Fateli pagare a chi ne ha, allo zio Crocifisso, a mo' d'esempio, o a padron Cipolla, o a Peppi Naso. - Brava! se sono loro i consiglieri! - Allora mandateli via e chiamatene degli altri; già non saranno loro che vi faranno restare sindaco quando tutti gli altri non vi vorranno più. Voi dovete far contenti quelli che sono in maggior_numero. - Ecco come discorrono le donne! Quasi fossero quelli che mi tengono su! Tu non sai nulla. Il sindaco lo fanno i consiglieri, e i consiglieri non possono essere che quelli e non altri. Chi vuoi che facciano? i pezzenti di mezzo alla strada?- Allora lasciate stare i consiglieri e mandate via il segretario, quell'imbroglione di don Silvestro. - Brava, e chi lo fa il segretario? chi lo sa fare? Tu o io, o padron Cipolla? sebbene sputi sentenze peggio di un filosofo!

Verga smaschera dunque la presunzione di equità esibita dagli istituti rappresentativi del parlamentarismo, ma ciò che accade ad Aci Trezza è uguale a ciò che succede in tutta Italia anche se lo scrittore non riporta le avventure cittadine di 'Ntoni. Ma è necessario un criterio d'ordine che disciplini l'attività caotica dei cittadini che competono l'uno contro l'altro per l'acquisizione dei beni economici, che è in fin dei conti lo Stato. Ma Verga lo distingue bene dalla patria, che è un'entità collettiva che unifica le volontà dei singoli in nome di un patrimonio comune: l'episodio della battaglia di Lissa è eloquente:

- A me mi sembrano tanti pazzi costoro! diceva padron Cipolla, soffiandosi il naso adagio adagio. che vi fareste ammazzare voi quando il re vi dicesse: fatti ammazzare per conto mio? - Poveracci, non ci hanno colpa! osservava don Silvestro. Devono_farlo per forza, perché dietro ogni soldato ci sta un caporale col fucile carico, e non ha a far altro che star a vedere se il soldato vuole scappare, e se il soldato vuol scappare il caporale gli tira addosso peggio di un beccafico. - Ah! così va bene! Ma è una bricconata bell'e buona!

L'altro giovanotto poi raccontò pure in qual modo era saltata in aria la Palestro , - la quale ardeva come una catasta di legna, quando ci passò vicino, e le fiamme salivano alte sino alla penna di trinchetto. Tutti al loro posto però, quei ragazzi, nelle batterie o sul bastingaggio. Il nostro comandante domandò se avevano bisogno di nulla. - No, grazie tante, risposero. Poi

passò a babordo e non si vide più.

- Se lo dicono tutti che abbiamo perso! - Che cosa? disse lo zio Crocifisso mettendosi una mano dietro l'orecchio. - Una battaglia. - Chi l'ha persa? - Io, voi, tutti insomma, lItalia; disse lo speziale. - Io non ho perso nulla! rispose Campana di legno stringendosi nelle spalle; adesso è affare di compare Piedipapera e ci penserà lui; e guardava la casa del nespolo, dove facevano baldoria. - Sapete com'è? conchiuse padron Cipolla, è come quando il Comune di Aci Trezza litigava pel territorio col Comune di Aci Castello. Cosa ve n'entrava in tasca, a voi e a me? - Ve n'entra! esclamò lo speziale tutto rosso. Ve n'entra che siete tante bestie! - Il guaio è per tante povere mamme! s'arrischiò a dire qualcheduno; lo zio Crocifisso che non era mamma alzò le spalle

La causa del patriottismo cade sulle spalle dei bravi giovanotti come Luca che sono partiti per la guerra senza sapere né chiedersi il perché: la nazione non offre alcuna ricompensa ai sacrifici delle masse popolari e ciò esalta per contrasto l'istituto familiare in cui il sacrificio del singolo ottiene riconoscimento. Il vero eroismo è quello familiare, nella certezza di trovare nei propri cari una ragione di vita superiore, e da questo punto di vista Mena è l'eroina più autentica dei Malavoglia.


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