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L' ELETTRA di Sofocle e
Le due donne tragiche
Nella letteratura greca la figura della donna è sempre stata trattata in modo ambiguo.
Una sorta di figura ferina capace di moti irrazionali e tempestosi e allo stesso tempo spinta da slanci di amore innati e appassionati. Vi sono moltissime tipologie di donna, da Penelope, la donna dedita solo al rispetto e alla fedele conservazione della famiglia, ad Andromaca, la donna vittima della società della guerra, sottomessa alla morale. Già con Antigone ci avviciniamo ad una orgogliosa ribellione verso le imposizioni sociali. Antigone si scontra con la morale comune decidendo di seguire la propria volontà in accordo con il volere divino. Moltissime dunque sono le figure femminili che sfilano nel panorama della letteratura greca, dalle più grandi alle più apparentemente secondarie: Cassandra, Alcesti, Ifigenia, Giocasta, Nausicaa, Elena, Clitemnestra, Ecuba, Ecale, tutte portatrici di alcuni valori essenziali e dominanti dell'indole femminile. Gli autori di queste opere ci offrono diverse chiavi di lettura di ogni animo, dunque a distanza di secoli nessuno ha potuto svelare completamente i moti, i caratteri, le azioni e le pulsioni di queste donne. Un emblema di questa molteplicità d'interpretazione resta naturalmente Medea. Folle per odio o per amore?
L' ELETTRA di Sofocle
"Nella mia condizione non è possibile essere né sagge né pie:
quando si è in mezzo al male è necessario fare del male"
Sofocle ci presenta nella sua opera un'Elettra avida di giustizia. I suoi gesti ci appaiono come condizionati e giustificati da un volere divino, superiore; ma allo stesso tempo, è presente un'autonoma rabbia immensa e dolorosa. Elettra è corrosa nel profondo da un senso di dovere: il suo cuore ha giurato a se stesso di compiere il matricidio.
In realtà ad attuare l'omicidio sarà Oreste, suo fratello, ma la vera "mente criminale" resta Elettra, motore di tutta la vicenda. L'intero mito, ripreso nella letteratura anche dagli altri due famosi tragediografi, Eschilo ed Euripide, è un vero dilemma sul piano della morale interiore. Il padre per interessi militari sacrifica la figlia Ifigenia e parte per la guerra di Troia. Al suo ritorno condurrà con sé Cassandra, come concubina. Nel frattempo, Clitemnestra, infervorata contro Agamennone per aver sacrificato la figlia, ha meditato una vendetta: vuole uccidere il marito. Aiutata nei suoi progetti dall'amante Egisto, riuscirà ad uccidere sia il marito che la povera ed innocente Cassandra.
Nell'Elettra di Sofocle il mito viene ripreso da questo punto della vicenda: Clitemnestra cerca di uccidere il figlio maschio Oreste, e di tenera in casa le due figlie, tra cui Elettra, come fossero serve.
In tutta questa vicenda è ben difficile delineare chi ha torto, o meglio non è ben delineabile chi sia il vero colpevole. Sofocle non attribuisce all'immagine di Clitemnestra le caratteristiche di donna demoniaca come fa Eschilo, ma ci lascia nel dubbio su quali siano le sue ragioni. Sicuramente non la propone come personaggio positivo, definendola come la più sfrontata tra le donne, irriverente, rissosa, ben lontana dalla nobiltà che si addice ad una regina e incapace di provare sensi di colpa.
Per quanto riguarda Elettra è ben evidente il suo forte sentire una morale oscura, apparentemente logica e motivata. Elettra ama l'amore e la pace al punto di fare la guerra alla guerra stessa. Il suo disprezzo forse non può concludersi se non nella distruzione solo superficiale del male, il crimine. Il crimine dunque non può essere visto come momento chiarificatore, atto risolutore della vicenda, anzi al contrario convoglia nel testo ancora più perplessità e più dubbi.
Sofocle conclude la sua tragedia con questa frase di Oreste ad Egisto: "Non voglio farti morire come piace a te: la tua morte deve essere amara. Subito si abbatta la giusta pena su chi disprezza le leggi. Non si diffonderà la razza dei malvagi"
MEDEA: la genesi della malvagità
Nel mondo delle Argonautiche
di Apollonio Rodio, l'uomo appare preda dell'inquietudine, la quale
sopraggiunge negli eventi e non si lascia dominare, né tantomeno comprendere.
La causalità divina dell'epos omerico viene così sostituita da una causalità
logico scientifica che mette in secondo piano gli dei, che non intervengono e
non si interessano delle vicende umane. Importante è il ruolo del fato,
Apollonio Rodio si lascia alle spalle completamente, in tutta l'opera, la grandezza e la maestosità dell'epica omerica. Nonostante l'argomento sia molto vicino nelle tematiche di questo genere, l'autore mette a fuoco l'anima nella sua sensibilità e vulnerabilità, escludendo le grandi gesta eroiche cantate nella letteratura passata.
La modernità delle argonautiche sta nella trattazione del personaggio di Medea, eroina che permette a Giasone di portare a termine la sua impresa. Il suo personaggio non è assolutamente statico. Vi sono infatti due fasi: la fanciulla innamorata e la donna sofferente e matura.
Medea, colpita da Eros, si trova alle prese con un sentimento che inizialmente rifiuta e a cui successivamente si abbandona totalmente. L'unico momento in cui Medea svela la sua vera indole è quello in cui parla a se stessa, momento che Apollonio Rodio porta davanti agli occhi del lettore grazie al monologo interiore. Questo sentimento di amore è visto in quest'opera, così come nella letteratura ellenistica, nella sua forma più passionale e dirompente.
La prima Medea è quella che cade vittima dell'eroe erotico Giasone, inetto e nonostante tutto fortunato.
Medea, sin dal primo sguardo inizia a capire che Giasone è tutto ciò che le basta per scoprire se stessa. Inesperta in amore, ingenua e preda di angosce e turbamenti, viene travolta dalla paura per l'ignoto. L'incontro con Giasone corrisponde al momento in cui Medea perde la propria apparenza, rimanendo scomposta da turbamenti terribilmente impetuosi.
Il tema dell'amore s'intreccia con il tema della morte. Medea, pur di non farsi raggiungere dal padre in mare e salvare Giasone, uccide il suo stesso fratello e, dopo averlo tagliato, lancia i suoi pezzi in mare, affinché suo padre, raccogliendoli ad uno ad uno per dargli degna sepoltura, perda le tracce della nave Argo.
Nella sua mente l'importanza della vita diventa importanza della vita dell'amato, niente di più; così la morte è tremenda solo nel caso in cui colpisca l'amato, nel caso in cui colpisca gli è altri non è nulla.
Se dovessimo attribuire un nome a Medea non potremmo senz'altro dire "assassina", l'omicidio passa quasi in secondo piano. Apollonio Rodio spiega chiaramente le fasi dell'innamoramento mostrandoci il suo aspetto maniacale, in un senso differente da quello platonico.
I brani in cui Apollonio descrive l'innamoramento di Medea ricordano, per alcune descrizioni, "l'Ode alla gelosia di Saffo", o la descrizione dell'innamoramento platonico, ma l'accezione data nelle Argonautiche ha tinte più forti. Inoltre in questo brano Apollonio sembra descrivere alcuni fenomeni psichici che successivamente Stendhal definirà come "cristallizzazione": la persona amata, ancora non riconosciuta come tale, è vista come sede di perfezioni infinite, nonostante sia mediocre.
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