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"L'incontro di fantasia e di controllo, di oculatezza e di generosità" questo è Mirò secondo Gillo Dorfles, che lo ritiene "artista esuberante, in continua proliferazione di idee, di forme e di sentimenti contrastanti, ma anche paziente, calibrato e libero da ogni schema".
Mirò considerava l'emozione elemento indispensabile per dar vita ad un quadro. Essa poteva essere procurata da tutto, da un semplice filo, da una goccia d'acqua o da un cielo stellato. Così da qualcosa di insignificante, di inerte, nasceva un mondo a cui Mirò in seguito dava un titolo.
Per comprendere come l'artista, nel corso della sua vita, si sia avvicinato all'arte e come si sia accostato per mezzo di essa alla volta celeste, è necessario tenere in considerazione le sue origini e il suo percorso artistico.
Joan Mirò nacque a Barcellona, il 20 aprile 1893, da una famiglia medio borghese, in un periodo in cui la Spagna attraversava una grande transizione e instabilità. La classe medio borghese, di cui la sua famiglia faceva parte, cominciava a rendersi conto che la Spagna non era più una grande potenza e, insofferente alla corruzione del governo, richiedeva un rinnovamento a livello politico-culturale. Mirò crebbe in questa realtà, ma la sua sensibilità e la sua naturale propensione al visionario e al romantico mal si coniugava con il pragmatismo familiare. Sin da bambino il piccolo Joan amava guardare i colori mutevoli del cielo, osservava la campagna circostante e trascorreva molto tempo a disegnare in solitudine. Con il grande telescopio del padre, appassionato di astronomia, contemplava le stelle al calare delle luci del giorno mentre si appassionava sempre di più all'arte e al disegno.
Per realizzare le sue aspirazioni artistiche dovette, però, combattere con le resistenze paterne attraversando veri e propri momenti di crisi fino a che non riuscì ad entrare nell'atelier di Galì.
Durante la sua vita entrò in contatto con diverse correnti artistiche. Basti ricordare l'influenza che i fauves ebbero sulla sua pittura o l'incontro con il movimento dada e con il cubismo; ma la corrente che più lo influenzò, e a cui partecipò attivamente nel '23, fu il Surrealismo. In particolare fu colpito dall'espediente surrealista della scrittura automatica, in cui il sogno e l'immaginario acquistano predominanza perché visti come strumenti per mettere in atto grandi cambiamenti anche sul piano sociale. Mirò partecipò anche alla prima mostra surrealista del 1925 nella Galleria Pierre, che riscosse un grande successo e venne attratto dalla capacità del surrealismo di rendere viva l'arte e di non considerare la pittura come fine a se stessa, ma in grado di aprire le porte sull'immaginazione.
Cominciò, poi, a parlare di assassinare la pittura, di superarla attraverso l'uso di collages che ponessero fine alla ricerca di valori espressivi puri.
Negli anni Trenta cominciò a farsi conoscere a livello internazionale e riscosse molto successo con i suoi disegni-collages. L'incontro con Kandinsky determinò in Mirò un maggiore avvicinamento all'astrattismo, che però si legò sempre ad un preciso intento figurativo e narrativo. Tentò inoltre di porre un limite alla spontaneità senza controllo della sua arte precedente e inserendo parole nei quadri che non avevano un legame con quanto rappresentato, ma che contribuivano a creare linee voluttuose e nuovi ritmi a tutta la composizione. La situazione politica andava intanto peggiorando, dal momento che si stava aprendo per la Spagna il baratro della guerra civile. In questo clima nacquero le opere più drammatiche di Mirò, in cui venivano usati colori acidi e stridenti oltre che chiaroscuri dall'effetto inquietante. Il malessere dovuto alla situazione politica, però, non portò mai Mirò a prendere posizione apertamente o a partecipare attivamente alle rivolte, ma il Mietitore o Contadino in rivolta è emblematico della sua partecipazione ideologica alla contestazione. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale Mirò non sembra più in grado di sopportare la realtà che lo circonda e si estranea con una serie di rappresentazioni che saranno fra le opere più apprezzate della sua pittura: le Costellazioni.
Con l'intento di estraniarsi Mirò realizzò la splendida serie di ventitré Costellazioni che il critico Roland Penrose commentò scrivendo: " Uno degli episodi più brillanti della sua carriera (.)".
Mirò stesso raccontò la genesi delle sue pitture con queste parole:
"Dopo aver lavorato (ai dipinti a olio) intingevo i pennelli nella trementina e li pulivo sui fogli di carta bianca dell'album, senza alcuna intenzione premeditata. La superficie assorbente della carta mi metteva in uno stato d'animo positivo e suscitava la nascita di forme, figure umane, animali, stelle, il cielo, la luna, il sole. Le disegnavo a carboncino con tratti vigorosi."
Grazie all'apparente semplicità, Mirò accresce il potere dell'evocazione poetica. In opere come La Scala della fuga, il cielo diventa la superficie pittorica dell'artista , infinita. Risulta essere l'unico luogo, proprio perché infinito, in cui poteva trovare spazio l'immensità dell'universo con le stelle e la musica. Progressivamente finisce per abbandonare i temi esteriori e fa sì che le sue donne, uccelli e stelle galleggino senza punti di appoggio. L'inconscio ha trovato la via per esprimersi in assoluta libertà.
Le Costellazioni si configurano come un specie di dialogo con il cielo in ascolto. Lo steso artista affermerà:
" Sentivo un profondo desiderio di evasione. Mi rinchiudevo liberamente in me stesso . La notte, la musica e le stelle cominciarono ad avere sempre una parte più importante nei miei quadri".
La serie contiene l'armonia discreta che caratterizza l'artista e al tempo stesso l'effervescenza della sua espressività. Lo strumento per attuarla è la pittura, e per questo dipinge una scala che sale e scende a suo piacimento e che è in grado di portarlo all'infinità del cielo.
Le ventitré opere, realizzate nel giro di un anno, hanno come denominatore comune la musicalità; una musicalità che fa scorrere i pennelli sulla tela con apparente casualità, ma che invece nascondono una accurata riflessione. Le forme suggerite, infatti, richiamano altre forme, nella ricerca di equilibrio tra i segni e lo spazio.
Ogni stella, ogni piccolo puntino viene aggiunto giorno dopo giorno in un procedere lento, ma costante, che consente all'artista di sapere esattamente dove ogni elemento andrà collocato.
La Scala della fuga, 1940, tempera su carta, New York, collezione privata
La struttura che funge da architettura a ogni singolo dipinto, poggia su una base preparata accuratamente e poi raschiata per far sì che l'acquerello aderisca in modo irregolare contribuendo a creare figure insolite e gioiose. Il fondo ospita segni e linee sottili simili a filigrana, che uniscono una rete i singoli elementi collegandoli fra loro. Ne Il risveglio all'alba il colore suggerisce il risveglio del mattino nelle delicate ma intensissime sfumature. Arabeschi, musica e tinte raggiungono qui una straordinaria armonia. Sono ancora presenti figure femminili e uccelli che spuntano tra stelle e mezzelune, in altri punti i soggetti si fanno ulteriormente indecifrabili rendendo la rappresentazione più poetica.
Il risveglio all'alba, 1941, tempera su carta, new York, collezione privata
Rientrato in Spagna nel '41, terminata la serie nella tranquillità di Montroig, Mirò cominciò ad abbandonare il surrealismo e ad accentuare la radicalità delle sue scelte poetiche, alleggerendo il linguaggio e crescendo notevolmente nello stile. Realizzò numerose opere su carta, acqueforti, disegni, acquerelli, in cui voleva esaltare il piccolo e l'insignificante rispetto ai grandi soggetti della pittura ritenuti più degni di essere rappresentati. Il suo era una sorta di bisogno di riequilibrare nell'universo la presenza dell'infinitamente grande con quella dell'infinitamente piccolo, concedendo anche a questo uno spazio sulle tele.
Secondo Mirò, infatti, le piccole cose mantengono purezza e anonimato. Il linguaggio delle piccole cose è il ponte per raggiungere l'universale. Si avvicina, quindi, all'arte preistorica, all'arte incontaminata dei disegni primitivi e alla bellezza del cielo. Il suo linguaggio si fa sempre più vicino agli ideogrammi, segni muti che possono andare oltre le singole lingue ed essere riconosciuti universalmente.
Ne "L'Uccello meraviglioso rivela l'ignoto ad una coppia di amanti", lo spazio è pieno di segni, i colori utilizzati sono puri e la linea che li collega è sottilissima. La griglia formata dai piatti campi neri contrasta con il fondo tenue e indefinito, aumentando la sensazione di profondità e di mistero evocata poeticamente dal titolo. L'utilizzo del tema del cielo ci riporta al Mirò che leggeva Whitman e a cui sembra ispirarsi:
" E sopra il cielo- il cielo! Lontane, remotissime, a corimbi, affiorano le stelle eterne".
Mirò utilizza ancora una volta la tecnica surrealista che prevede il libero fluire delle immagini che si richiamano vicendevolmente. Nonostante il numero impressionante di segni ogni componente non è solo necessario ma indispensabile alla struttura del dipinto.
L'Uccello meraviglioso rivela l'ignoto ad una coppia di amanti, 1941, tempera su carta, new York, The Museum of Modern Art
In conclusione, anche Mirò nella sua poetica fu influenzato e si ispirò alla volta celeste. Fece questo proprio nel momento in cui più aveva bisogno di evasione e di distacco. Per l'artista il cielo stellato assume il ruolo di regno della pace e della tranquillità che si differenzia da un mondo terreno attraversato da guerre e da paura. Il cielo è ancora una volta fonte di consolazione e di speranza proprio perché puro e non contaminato dalla distruttività dell'uomo.
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