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Il viaggo come sottrazione alla volonta' maligna: l'ascesi di schopenhauer




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IL VIAGGO COME SOTTRAZIONE ALLA VOLONTA' MALIGNA: L'ASCESI DI SCHOPENHAUER


"E' Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente."




IL PENSIERO

«Il mondo è la mia rappresentazione: questa è una verità che vale in rapporto ad ogni essere vivente e conoscente, ma che soltanto l'uomo è capace di portare alla conoscenza riflessa astratta. Egli vede allora chiaramente e sicuramente che il mondo da cui è circondato esiste solo come rappresentazione, cioè solo in rapporto ad un altro che se lo rappresenta, e cioè lui stesso. »

(A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, I, 71)

Il mondo è dunque rappresentazione (Vorstellung) ed il suo carattere nascosto è la volontà (Wille). Schopenhauer respinge l'idealismo ed il realismo, perché essi presumono che la conoscenza possa cogliere l'essenza delle cose. L'uomo è in realtà circondato da un insieme di dati ed eventi che sembrano nascondere la loro ragion d'essere. Tali dati ed eventi costituiscono ciò che Schopenhauer chiama il velo di Maya.

È l'uomo stesso ad essere dunque il fondamento ed il punto di riferimento delle cose, e non il contrario. Schopenhauer non svaluta tuttavia l'attività cognitiva, ma semplicemente ne ribadisce il carattere condizionato e pratico. Tale carattere appartiene alla scienza. Alla filosofia spetta invece il compito di mostrare come l'uomo sia anche volontà.

Schopenhauer afferma che la volontà è l'essenza di tutti i fenomeni naturali, assolutamente irrazionale e dunque non suscettibile di controllo scientifico. Essa non persegue altri fini che la pura e semplice affermazione di sé: ma la tragedia è che non riesce mai a realizzarsi compiutamente.

L'uomo, dotato di consapevolezza, soffre nel modo più doloroso il suo essere limitato dalla volontà e al contempo l'essere teso verso verità non limitate. Dunque nulla soddisfa, nulla riempie completamente l'uomo. L'uomo si trova così sospeso tra dolore e noia: dolore per il bisogno insaziabile di tendere a qualcosa di diverso e noia per il non riuscire a riempire la sua esistenza.

L'essere e l'operare umano sembrano non possedere alcun significato. Inoltre, poiché la società non è che una somma di individui, anche l'azione collettiva è priva di un senso fondato. Di conseguenza, anche la storia non ha più il carattere di esistenza logica e di progresso delle vicende umane (come nell'idealismo). La storia è simile ad un orologio caricato sempre di nuovo e «per ancora una volta ripetere, frase per frase, battuta per battuta, con variazioni insignificanti, la stessa musica infinite volte suonata». La vita stessa non è altro che «una morte rinviata», poiché la natura dell'uomo è profondamente temporale.

IL VIAGGIO ATTRAVERSO LE VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE

CONOSCENZA, ARTE, COMPASSIONE, ASCESI, NIRVANA.

"Ciò che rimane dopo la totale soppressione della volontà è certo, per tutti coloro che della volontà sono ancora pieni, il nulla. Ma al contrario per coloro nei quali la volontà si è spontaneamente rovesciata e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è il nulla."


Date queste premesse, non sorprende che un'ampia sezione dell'opera "Il mondo come rappresentazione" sia dedicata alla ricerca dei modi con cui l'uomo può liberarsi dalla sua determinatezza e dalla volontà che è in lui. E' qui che inizia il vero e proprio VIAGGIO di Schopenhauer, un percorso che attraverso varie tappe porta l'uomo alla sottrazione dalla volontà maligna e all'affermazione della "noluntas" che lo porterà al nulla, il nulla per l'uomo comune ma il TUTTO "per coloro nei quali la volontà si è spontaneamente rovesciata e rinnegata".

Il primo di questi modi è la conoscenza, tramite la quale l'uomo può cogliere le idee. Intuire le idee significa intuire la verità delle cose, il segreto del mondo. Tuttavia anche la conoscenza è un prodotto della volontà, quindi il traguardo dell'uomo deve essere raggiunto in altro modo. Schopenhauer indica l'arte quale altra via di liberazione, in quanto essa affranca l'uomo dalla propria individualità, producendo una sorta di annullamento che ci distanzia dalla volontà che ci de-termina (il prefisso latino de indica appunto qualcosa che viene causato, derivato da qualcos'altro). Nell'arte il filosofo attribuisce un particolare rilievo alla tragedia e alla musica. La prima, dando espressione alla sforzo della coscienza di liberarsi dalla volontà e dalla dipendenza dal mondo, offre un contributo alla maturazione spirituale dell'uomo. La seconda è considerata l'arte più ricca, più pura e spirituale. Secondo Schopenhauer, nessun altro mezzo espressivo allontana di più l'uomo dal mondo fenomenico, facendogli attingere l'essenza profonda delle cose. Tuttavia, egli aggiunge che questa nuova luce produce solo il conforto di un attimo. Occorre aggredire la sofferenza esistenziale e liberare la vita dalla volontà, per raggiungere una contemplazione permanentemente distaccata e disinteressata del mondo.

Scartato il suicidio, che appare più come un gesto di affermazione che di negazione dell'individuo, Schopenhauer si rivolge verso il campo delle autonegazioni psico-fisiche e della loro applicazione pratica. Tra queste emerge la giustizia, che consiste in una condotta che annulla la volontà di vivere - dato che quest'ultima esalta la forza e la sopraffazione - e permette di scoprire la dignità ed il valore degli altri individui.

Un grado più alto di autonegazione della volontà si realizza nell'amore, inteso non come appagamento fisico di un desiderio, ma come com-passione (dal latino cum-pati, 'soffrire insieme con', 'condividere la sofferenza dell'altro") << Perciò è necessario che io partecipi del suo dolore come tale, che io senta il suo dolore come di solito sento il mio, e che perciò io voglia direttamente il suo bene come di solito voglio il mio.>> In esso l'uomo, considerando il destino dell'altro come perfettamente uguale al proprio, supera la propria natura individuale ed entra in una nuova sfera di purezza e disinteresse, caratterizzata dalla capacità del sacrificio.

Ma è solo con l'ascesi che l'uomo raggiunge il risultato di annullare la volontà, ovvero di passare dalla voluntas (latino per 'volontà') alla noluntas (dal latino nolle, 'non-volere', 'nolontà'). L'ascesi più che un atto è uno stato, lo stato di chi ha annullato in sé ogni pulsione vitale, di chi è distaccato dagli eventi mondani. L'interpretazione che Schopenhauer dà di questo stato, a differenza di quella mistico-cristiana, è negativa. Scrive infatti che, dopo aver raggiunto l'ascesi, «non più volontà: non più rappresentazione, non più mondo. Davanti a noi non resta invero che il nulla».

L'ASCESI E LE SUE DIMENSIONI


Quando l'uomo vive costantemente la sua dimensione morale è alla soglia di quella felicità che gli orientali chiamano Nirvana, perché è in grado di passare all'ascesi che, sola, permette di raggiungerla.

A quell'uomo non basta più  amare altri come se stesso e fare per loro quello che fa per sé, ma nasce in lui l'orrore per l'essere di cui è espressione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nucleo e l'essenza di quel mondo da lui riconosciuto pieno di dolore. Egli rinnega appunto quest'essenza, che si manifesta in lui e si esprime mediante il suo corpo; il suo agire smentisce ora il suo fenomeno ed entra con esso in aperto conflitto. Egli, che non è se non fenomeno della volontà, cessa di volere, si guarda dall'attaccare il suo volere a qualsiasi cosa, cerca di conquistare in se stesso la massima indifferenza per ogni cosa. L'ascesi come rinnegamento del corpo si esprime, in primo grado, con la castità «volontaria e perfetta», come sottolinea Schopenhauer. Essa ha un alto significato, che supera quello individuale; se tutti gli uomini fossero casti, il genere umano si estinguerebbe, e scomparirebbe dalla terra la consapevolezza del dolore.

Altra espressione dell'ascesi è la povertà «volontaria e meditata»; povertà intenzionalmente conquistata, che è negazione della volontà nel senso che ogni soddisfazione di essa non è che un suo nuovo e più intenso eccitamento. L'uomo «povero» accetta in letizia e con pazienza ogni torto e ogni offesa, sopprimendo ogni passione, compresa l'ira. Si dedica al digiuno e all'autoflagellazione fino alla morte, accolta come «redenzione invocata», che, con la distruzione del corpo, distrugge l'ultimo vincolo che teneva legato il suo io alla volontà. L'uomo-asceta attinge la sua espressione sublime nella santità, in quella condizione che gli uomini che l'hanno vissuta hanno definito come estasi, rapimento, illuminazione, unione con Dio. E questa la condizione in cui l'uomo ha soppresso non solo la volontà di vivere, ma anche ogni rappresentazione del mondo. Il mondo, per lui, non esiste più. Ha raggiunto il Nirvana, la pace, l'assoluta quiete dell'anima, il profondo riposo, l'incrollabile fiducia che:

<<quando la morte avrà chiuso i nostri occhi, noi ci troveremo in una luce, al cui confronto la nostra luce solare non è che un'ombra>>


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