Il Lazio prima di Roma
Il Lazio originario non era tra le regioni più favorite dell'Italia
antica. Esso rimase a lungo una terra bassa di materia tufacea, di cenere e
detriti e scorie vulcaniche, coperta di acquitrini e paludi alimentate dalle
violente inondazioni del Tevere e dei torrenti.
Con questo nome nell'età antica non si indicò sempre lo stesso
territorio. L'antico Lazio (Latium vetus) aveva approssimativamente per confini
il Tirreno dalla foce del Tevere ad Anzio e alle alture di Terracina a Sud, i
monti del paese dei Vulci, i monti Cornicolani, Prenestini e Lepini a Oriente e
il Tevere a Nord
Nell'età eneolitica questo territorio fu occupato da quelle tribù di
Italici che lo abitavano più tardi, nei tempi storici, col nome di Latini, i
prisci Latini, vigorosa popolazione di pastori e di agricoltori, meravigliosamente
tenace nel mettere a coltura la zona dei colli laziali e quella pianeggiante
acquitrinosa, ricoprendo a poco a poco il paese di villaggi. Più tardi col nome
di Lazio si indicò tutta la regione compresa fra l'Etruria, la Sabina, il
Sannio e la Campania. Così Plinio indica il Lazio originario col nome di Lalium
antiquum o vetus, e distingue nettamente da esso le parti successivamente
aggiunte, in particolare il territorio del Liri, col nome di Latium adiectum.
I Latini, date le condizioni del suolo e la necessità di lavori gravosi
che richiedevano unità di sforzi e cooperazione di molteplici energie, si
riuniranno in villaggi per utilizzare le loro forze collettive e per ragioni di
difesa, in quella pianura aperta da ogni parte ad assalti, a rapine, a saccheggi
e di fronte ai montanari che potevano scendere a razziare dai monti vicini
della Sabina o dai monti Simbruini. Da tali condizioni derivarono certamente i
forti ordinamenti militari che si diedero i Latini, sempre pronti a lasciare
l'aratro, a interrompere i lavori del campo per impugnare le armi, come ce li
rappresenta la leggenda di Cincinnato.
La comunanza di lingua, di usanze, di civiltà, di pratiche religiose
portava i villaggi laziali a stringere fra loro non tanto leghe politiche
quanto federazioni religiose, per cui si riunivano in alcune feste sui sacrari
laziali a compiere i loro sacrifici. A parte la leggenda secondo cui, morto
Enea, il figlio Ascanio avrebbe fondato Albalonga, è certo che tra i Colli
Albani si trovava il centro religioso più rinomato, dove era venerato il dio
supremo della stirpe, Iuppiter latiaris. Sul Monte Cavo, sotto la direzione di
Albalonga, in mezzo al recinto sacro, sull'ara dedicata a Giove (non v'era un
santuario innalzato a lui) nella festa annua delle Feriae latinae si
sacrificava un toro bianco e una parte delle carni del sacrificio era
distribuita ai rappresentanti di tutti gli staterelli che partecipavano alla
lega sacra. Una lista conservataci da Plinio, corrispondente a un momento
arcaicissimo, ci fa conoscere i nomi di trentun comunità latine federate, di
cui quasi una metà ci restano ignoti; gli altri sono: Albani, Aesolani, Bolani,
Cusuetani, Coriolani, Fidenates, Foreti, Hortenses, Latinienses, Longani,
Munienses, Pedani, Poletaurini, Sicani, Tolirienses, Tutienses, Vitellenses.
Altre fonti fanno ascendere il loro numero a quarantasette, compresa Roma,
sicchè possiamo farci una idea della condizione topografica del Lazio antico.
Roma era destinata a succedere ad Albalonga nella direzione della lega.