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Il contributo della Vita Philonidis alla storia della biografia antica
I.1. La biografia antica: una nuova prospettiva d'indagine
Che cosa è la biografia? È possibile parlare oggi di un vero e proprio «genere letterario»? Al di là della sua naturale evoluzione sul piano diacronico, si possono riscontrare differenze anche in termini sincronici? Quali sono le diverse tipologie, i modi di realizzazione e le finalità di questi testi? E quanto è dato sapere, a noi moderni, sull'effettiva attendibilità dei dati in essi contenuti dal punto di vista storico?
Tutte queste domande, che costituiscono la naturale premessa a un corretto inquadramento dei problemi presentati dal singolare prodotto letterario restituitoci dal PHerc. 1044, trovano conforto nei numerosi studi dedicati a questo tema nel corso del XX secolo e soprattutto in alcuni preziosi contributi degli ultimi decenni, che a mio avviso propongono una rilettura più lucida della questione
Mi sembra opportuno partire da una prima considerazione di massima: a proposito dell'ultima domanda, mi limito ad anticipare che proprio la specifica prospettiva di analisi adottata dalla critica fino a tempi recenti, basata sull'esame della veridicità delle notizie contenute negli scritti biografici, ha favorito il fraintendimento dei principi di fondo che animano questi testi, ravvisando nell'elemento della fiction, ampiamente presente al loro interno, un indice di scarso pregio letterario. Questo perché era invalsa la tendenza ad un approccio di studio delle testimonianze antiche secondo coordinate mentali essenzialmente moderne, con la pretesa di rintracciare un discrimine netto tra elementi reali e fittizi, senza tenere conto dello spirito con cui un biografo antico, maturato in un contesto culturale e ideologico molto diverso dal nostro, poteva di volta in volta decidere di selezionare le sue fonti, al di là della consapevolezza della loro veridicità.
Si tratta, in sostanza, di ragionare secondo parametri differenti, in termini di diverse priorità e opportunità, valutando anche la consistenza complessiva dei dati a nostra disposizione. Nel caso di un personaggio moderno, è evidente che una sua biografia viene a rappresentare soltanto una delle tante fonti d'informazione, laddove esistano giornali, registri e altra documentazione, valutabile in termini di attendibilità storica. Trasponendo il problema nel mondo antico, sarebbe assurdo ragionare nello stesso modo in assenza di altre testimonianze parallele, ugualmente valide.
Non bisogna trascurare, peraltro, che gli stessi biografi antichi, non disponendo di strumenti d'informazione come i nostri, qualora prendessero in esame la vita di un personaggio a loro non contemporaneo, potevano attingere soltanto a fonti letterarie, ossia a notizie autobiografiche presenti nei suoi testi o a testimonianze indirette recuperate dagli scritti di autori a lui contemporanei. E già la validità di queste fonti letterarie è ampiamente
opinabile, valutando l'intento con cui venivano trasmesse determinate informazioni 3 non
trascurando, inoltre, il fatto che la volontà di un biografo di selezionare determinati filoni della tradizione o di operare sue specifiche scelte interpretative, a partire dai testi che aveva a disposizione, dipendeva anche dal preciso messaggio che si voleva trasmettere
Tutta questa articolata serie di «filtri» basta a spiegare l'attuale impossibilità, e inopportunità, di esaminare il problema secondo i canoni moderni. Ribaltando il piano di analisi della questione, sarà preferibile stimare l'apporto che gli scritti biografici possono offrire, nel complesso, alla storia della civiltà classica, dal punto di vista socio-culturale e antropologico, ma anche il loro valore quali documenti letterari, nella specificità dei loro contenuti. Avendo a disposizione soltanto l'elaborato finale, sarebbe inutile tentare di risalire alla storia dei diversi passaggi intermedi che hanno portato a quel prodotto letterario, col rischio quasi certo di incappare in ricostruzioni non meno fantasiose.
«An ancient biographer might judge from this book that I had studied with Wilamowitz, even though he died four years before I was born, or with Jacoby, whom I never met. He would not see that I first became interested in the biographical tradition when I was working on the poetry of Pindar and knew how his original intentions, more than that of any poet, had been misunderstood because scholars had based their interpretations on ancient information about his life» 5 con questo esempio immediato, Lefkowitz6 chiarisce bene in cosa potrebbe consistere un simile errore di valutazione.
I.2. Il carattere «funzionale» dell'elemento autobiografico nei testi letterari
La scarsa documentazione a nostra disposizione non consente di ricostruire un adeguato quadro storico-culturale, in cui inserire il fenomeno dell'insorgere dell'«io» poetico nella produzione letteraria antica, già a partire dal VII sec. a.C. 7 sta di fatto, però, che «il problema dell'io poetico si collega e si intreccia in modo organico con quello della produzione di carattere biografico e autobiografico sia di per sé che nei rapporti con la storiografia, per cui anche da parte degli studiosi di storiografia è venuto incentivo alla riflessione sul problema».
La questione dell'effettiva «storicità» dell'«io» poetico nei testi letterari, che, proprio a causa delle poche testimonianze al riguardo, non può essere risolta in maniera esauriente, ha dato luogo, nel tempo, a diverse ipotesi interpretative, che si possono raggruppare in due principali filoni di pensiero, l'uno, di origine anglosassone, influenzato dall'Impersonal Theory of Poetry di Eliot 9 sfociato poi nei principi del New Criticism e nell'atteggiamento scettico di Dover, 1 «agnostic to the point of nichilism», orientati al Rollencharakter dell'io poetico, l'altro, di matrice tedesca, basato sull'interpretazione biografica, che tende a connettere le creazioni artistiche di un autore con la sua prassi di vita.12 «Il contrasto tra fra le due posizioni è fondamentale e si può sintetizzare, secondo la terminologia della Poetica aristotelica, nei seguenti termini: mivmhçiç pravxewn kai; bivou (come vuole la seconda posizione) o comunicazione delle proprie pravxeiç e del proprio bivoç. In termini più moderni possiamo anche dire: finzione o esperienza reale»
Più di recente, la medesima questione è stata riformulata, considerando una differente prospettiva d'indagine 4 piuttosto che ricercare nei testi elementi probanti per stabilire la maggiore o minore validità di presunti riferimenti autobiografici, bisogna interrogarsi sul diverso «ruolo»15 assunto dal poeta nel corso dei secoli, nei differenti contesti socio-culturali. 6 Anche limitandosi a considerare l'età arcaica, appare evidente che già nel graduale passaggio dall'epica al genere lirico era avvertito, da parte dei poeti, un cambiamento forte nei diversi modi e finalità dei prodotti artistici, scandito dall'impiego costante dell'io poetico 7 «il poeta omerico narra di un'età lontana alla quale attribuisce consapevolmente costumi diversi da quelli della propria; al tempo suo il canto era divenuto professione o mestiere. Qui Archiloco non pensa ad Achille: egli sente sé quale uomo nuovo, la sua arte quale cosa nuova».
Ampliando poi lo spettro diacronico, va notato che, se in età arcaica le prime produzioni poetiche sono recepite essenzialmente come il frutto dell'ispirazione divina che in qualche modo riduce il peso della responsabilità morale dell'artista in relazione alla veridicità dei fatti narrati 0 successivamente la rivoluzione culturale del V sec. a.C. e l'affermarsi dell'impostazione razionalistica, che finisce col permeare il nuovo gusto estetico, come risulta poi dalle teorizzazioni di Platone e Aristotele 1 favoriscono una diversa percezione dell'atto creativo, di cui l'unico responsabile è l'autore stesso, svincolato dalla sfera metafisica. In questa nuova dimensione letteraria inizia ad affermarsi, in maniera più significativa, il concetto di «finzione» 2 maturato a seguito di tutta una serie di trasformazioni culturali e ideologiche, realizzatesi in Grecia nel corso delle epoche arcaica e classica, e, da qui, trasmesso in eredità alla tradizione occidentale posteriore.
La componente autobiografica, di cui è ampiamente infarcita la produzione letteraria greca e latina, si giustifica, in buona sostanza, come elemento convenzionale, adottato dall'artista, responsabile in prima persona del proprio elaborato, per dare pregnanza al suo contenuto, indipendentemente dal fatto che si tratti di finzione o realtà: «è chiaro che assolvere a un ruolo come questo portava, diremmo naturalmente, fra le altre convenzioni, ad adottare quella del coinvolgimento diretto del poeta anche come persona, che proponesse se stesso, con il suo io, a garante del valore del suo messaggio, quale che
fosse» 3 Pertanto, per seguire un'impostazione moderna di studio, sarà opportuno leggere
le notizie «storiche» e biografiche contenute nei testi della classicità non tanto alla luce di una possibile veridicità fattuale, ma per la funzione veicolare 4 che esse potevano svolgere in relazione a principi e valori che si voleva comunicare.
Pertanto, lo stesso insorgere dell'«io» poetico nelle opere dell'età arcaica, a partire da Esiodo26 e soprattutto, come si è detto, con lo sviluppo della lirica greca, non si lega necessariamente a una maggiore attendibilità storica dei fatti narrati. Sembra indiscutibile la presenza di una buona dose di «finzione» all'interno delle composizioni biografiche, pur nella loro varietà di forme e al di là delle diverse possibili letture del problema 7 In relazione alla questione della veridicità storica delle testimonianze letterarie, oggetto essenzialmente di indagini di stampo moderno, la tradizione esegetica degli antichi non risulta illuminante, dato lo scarso peso attribuito all'argomento nel mondo classico.
I.3. La biografia come fonte «storiografica» per la filosofia antica
La biografia, genericamente intesa, rappresenta per noi una di quelle preziose fonti
«storiografiche 8 utili a delineare un quadro, più o meno completo, della storia della filosofia antica, secondo la sua accezione moderna. È ben noto che il concetto di «storia», come lucida ricostruzione di fatti realmente accaduti, riportati in modo fedele e descritti con oggettività scientifica, nasce in età moderna: l'elemento interpretativo e la valutazione soggettiva di eventi, principi, dottrine, funzionale alla trattazione di problemi specifici, hanno sempre permeato le opere della classicità, rispondendo peraltro alla necessità, particolarmente sentita a partire dal I sec. a.C., di stabilire una linea di continuità con il passato, inserendo i nuovi testi nel solco di una lunga tradizione culturale, mai interrottasi realmente al di là della sua naturale evoluzione.
In quest'ottica, la stessa storia della filosofia era intesa prima di tutto in modo sistematico, sempre in funzione di qualche principio o teoria oggetto della trattazione, senza lasciare spazio a un'analisi storica vera e propria. Tale enunciato sembra ben esplicitato, ad esempio, in un luogo di Plutarco, laddove, prima di esporre il proprio pensiero sulla virtù morale.
Da qui l'importanza di altri generi, da leggere come fonti di informazioni solo in apparenza secondarie, che nell'antichità trovarono larga diffusione e varie modalità di realizzazione, cosicché è opportuno valutarli nel loro complesso, nell'impossibilità di stabilire dei confini troppo netti tra un genere e l'altro: accanto alle biografie, variamente intese, abbiamo materiale dossografico, scritti sulle principali scuole filosofiche, raccolte di massime, aneddoti, estratti epistolari, . Basti pensare all'opera di Diogene Laerzio, difficile da inquadrare in un genere ben preciso, in quanto frutto della mescolanza di svariato materiale biografico, dossografico, letterario, aneddotico e gnomico.
Il genere dossografico preso singolarmente, al di là della nota distinzione,30 sembra non fosse esente, a sua volta, da una possibile varietà di forme, contemplando al suo interno anche una sorta di sottogenere bio-dossografico. Restringendo, poi, il campo di indagine al genere più propriamente biografico 1 si osserva anche al suo interno un'estrema varietà di forme: fermo restando il suo carattere «funzionale», un bios può essere inserito, per esempio, nell'ambito di una serie di bioi, oppure far parte dell'introduzione alla raccolta delle opere di un autore, o ancora essere concepito come uno scritto a sé stante.
Nel suo complesso, il genere biografico è dotato di ben poca fissità, prevedendo la possibilità di differenti articolazioni interne anche presso un medesimo autore. È quanto si può desumere dall'opera di Diogene Laerzio, in cui non mancano soluzioni alternative: ad esempio, la dottrina stoica viene trattata all'interno del bios del suo fondatore mentre quella cinica viene posta in coda alle singole biografie dei vari rappresentanti della scuola 3 Altrove, l'elemento dottrinario può essere meno presente, se non del tutto assente, nell'ambito di un bios.
Di singolare interesse è poi il caso di notizie biografiche esposte in base a diverse versioni alternative, riportate l'una di seguito all'altra in uno stesso testo. Al di là di un semplice interesse antiquario, si può cogliere in questa scelta il bisogno di preservare informazioni considerate preziose per la trasmissione di una certa tradizione 4 le apparenti contraddizioni interne al testo, date dalla contemporanea presenza di più varianti, troverebbero la loro più semplice spiegazione in questo orientamento conservativo.
I.4. La componente aneddotica negli scritti biografici
Gigante, nella sua analisi dell'opera di Diogene Laerzio 5 sottolinea la presenza sostanziale dell'elemento aneddotico nell'ambito della tradizione biografica, inteso come
«uno strumento efficace e popolare per delineare il carattere, il comportamento o la dottrina 6 di un personaggio, il cui valore appare inversamente proporzionale alla consistenza della documentazione disponibile sull'argomento. Lo studioso fa sua l'idea della natura essenzialmente «popolare» di questo tipo di narrazione, di cui è infarcita gran parte della produzione biografica dell'antichità: tale presupposto sembra aver screditato la biografia greca agli occhi della critica, che ne ha messo in luce soprattutto il carattere fittizio, talora menzognero, privandola di una vera e propria dignità di genere letterario.
Pur limitandosi alle valutazioni critico-letterarie degli ultimi due secoli, si desume un orientamento del genere dagli sporadici tentativi 8 di superare i pregiudizi del passato - considerando l'importanza di questo tipo di documentazione come historia altera, preziosa per definire un quadro socio-culturale più completo39 -, nonché dalla severa condanna di Leo nei confronti di Ermippo 0 scolaro di Callimaco e più noto rappresentante della biografia ellenistica, presentato come fonte menzognera e inventore di fatti tanto straordinari quanto inverosimili; un'altra posizione affine, derivante dalla asserzione conclusiva di Leo a proposito della produzione di Ermippo («Hermippos bedeutet eine Epoche des Niederganges») 1 è quella di Diels, il quale, pur ravvisandovi un notevole pregio letterario e una certa gradevolezza espressiva, gli rimproverava di aver attinto a un ricco patrimonio di erudizione senza aver operato preventivamente una selezione critica delle fonti
In seguito, la questione è stata riconsiderata alla luce della fondamentale scoperta della Vita di Euripide di Satiro di Kallatis 3 che rappresenta per noi uno specimen di biografia peripatetica: la forma dialogica adottata dall'autore e il tono elegante e ironico dell'esposizione, che rivela peraltro un certo distacco 4 in relazione a fonti imprecisate e a ipotesi improbabili formulate a partire dai testi, hanno indotto gli studiosi a ripensare una diversa prospettiva di indagine e ad attribuire alla biografia dignità di genere letterario, oltre che di documento di storia culturale, valorizzandone soprattutto la componente aneddotica.
Per la sua «struttura elastica», l'aneddoto si presta bene a diverse soluzioni compositive, presentando una certa varietà nei modi e nelle finalità. Nella sua forma canonica, esso si articola in tre parti, rappresentate dall'occasio (una sorta di introduzione), dalla provocatio (elemento di transizione, consistente per lo più in una domanda) e dal dictum (una pointe finale, in risposta alla provocatio)
L'unico suo tratto invariabile è dato dall'evidente sproporzione tra la significatività dell'evento preso in esame, spesso molto ridotta, e il peso delle conseguenze che ne derivano. Se ne ricava che l'aneddoto ha in sé un valore profondo non tanto in senso letterale e formale quanto metaforico: i fatti esposti non hanno la pretesa di essere veritieri, ma la loro ricezione deve risultare tale per convenzione. In questa prospettiva, l'elemento della fiction si carica di significato, in quanto, più che un semplice prodotto fantasioso o un puro ornamento estetico, rappresenta l'essenziale veicolo di comunicazione, e, nell'ambito specifico di un bios, lo strumento principale di cui il biografo si serve per trasmettere le informazioni ricavate dalla tradizione e selezionate sul fondamento di finalità ideologiche ben precise.
A questo proposito, un'esemplificazione interessante si può ricercare nella testimonianza offerta dal P.Oxy. 1800 7 che conserva una serie di brevi biografie relative a personaggi letterari, mitologici e di ambito novellistico: per quanto non risulti ben chiaro in base a quali ragioni siano stati associati e posti in successione i vari bioi, pare si possa rintracciare una certa coerenza nell'ideologia di fondo che anima le valutazioni espresse dal biografo sui diversi personaggi. In Aristotele, che anticipa per molti aspetti l'interesse e il metodo biografico,48 l'aneddoto, ampiamente impiegato ha più che mai un valore «funzionale». Particolarmente significativo è il caso di un aneddoto che compare nel V libro della Politica, sulla cui attendibilità si mostra incerto lo stesso Autore: wç oiJ gnhvçioi ∆ Epikouvreioi çofiçta;ç ajpokalou'çin (D.L. X 26), e che per questo fosse vittima di ostilità da parte dell'epicureo Antifane. Anche Diels 9 sosteneva tale convinzione, senza avvedersi, però, di un'inevitabile contraddizione, originata dalla congiunta ipotesi della paternità filodemea del bios, da lui stesso accolta: è inverosimile che Filodemo prima polemizzasse con gli epicurei eretici e con lo stesso Antifane e poi scrivesse un'opera biografica con intento encomiastico e apologetico per difendere un filosofo dissidente dalle accuse di un presunto ortodosso. In tempi più recenti, giustamente l'équipe napoletana 0 e Gallo 1 hanno ripreso l'opposta tesi di Philippson 2 secondo cui la situazione prospettata da Usener e Diels andrebbe capovolta, in modo da vedere in Filonide il filosofo ortodosso 3 e semmai in Antifane l'epicureo dissidente.
Meno incerta sembrerebbe l'identificazione dell'Eudemo citato nel papiro (coll. XIV 4, XXXV 5) con il matematico di Pergamo, grazie alla testimonianza di Apollonio di Perga. Allo stesso modo, tra i maestri di Filonide è possibile annoverare con maggiore sicurezza Artemone, filosofo epicureo, autore di commentari ai primi trentatré libri del Peri; fuvçewç (col. XIV 7 s.); per screditare quest'ultimo, pare che Filonide avesse volutamente dato vita a una scuola concorrente e che, pertanto, fosse stato accusato di ingratitudine nei confronti del maestro (col. XLVII 6 s.), maggiore responsabile della sua iniziazione alla dottrina epicurea.
Per favorire la sua formazione filosofica, Filonide frequentò ad Atene, a più riprese, la scuola di Basilide di Tiro e di Tespi (col. XXXVI 1 s. e 4). Nello stesso periodo, però, sempre ad Atene, pare che egli si rapportasse anche con la scuola avversaria di Timasagora, associato a Nicasicrate da Filodemo, che in altri suoi scritti polemizza con loro in quanto epicurei dissidenti. A questo proposito, accanto alla menzione di questo personaggio ravvisata in col. XLVIII 5 s. (Timaçagov ⁄rSasi) dall'équipe napoletana 4 ho potuto recuperarne una seconda citazione nel papiro in coll. XXXV 26-XXXVI 1 (Tima⁄ç a g Sovrsou), in un contesto di un certo interesse.
Nell'ottica encomiastica del bios, si allude anche ai rapporti cordiali che Filonide seppe intrattenere con i rappresentanti di altre scuole filosofiche, quali l'accademico Carneade (col. XLIII 24 s.) e lo stoico Diogene di Babilonia (coll. XV 2 -XVI 1), a conferma della buona fama e dei potenti appoggi di cui egli doveva godere.
Da quanto risulta dal papiro, Filonide espletò la sua funzione di «mediatore culturale» anche attraverso una fervente attività letteraria: apprendiamo che il nostro si preoccupò di allestire l'intera raccolta degli scritti del maestro (col. XXIV 24 ss.), che si dedicò all'esegesi della sua opera capitale e compose epitomi delle epistole dei kaqhgemovneç (coll. XXXVIII 25-XXXIX 10); inoltre, a conferma della sua rinomata carriera di poligrafo (col. XLIV 5 s.), sono inserite nel testo diverse citazioni dirette dai suoi scritti (probabilmente anche excerpta epistolari), che, in base alla mia rilettura del
bios, si configurano ora come l'unica vera «fonte» del nostro biografo 5 Escluderei,
pertanto, l'idea di due distinti cataloghi di opere filonidee, desunti da altra presunta fonte scritta e contenenti veri e propri titoli: in particolare, nella col. XIV si tratterebbe di scritti e lezioni di maestri ricordati dallo stesso Filonide 6 mentre nel caso delle coll. XXXVIII- XXXIX avremmo un riferimento generico alla produzione scritta del filosofo, ma nessun titolo Nel bios doveva essere dedicato ampio spazio ai rapporti tra filosofia e potere,108 come si desume dalla narrazione delle vicende politico-diplomatiche di Filonide presso le corti dei sovrani ellenistici 9 rimane traccia della sua interazione con tre rappresentanti della dinastia seleucide, Seleuco IV Filopatore (coll. XV 4, XLIV 23 s.), Antioco IV Epifane (coll. XLIV 1, XLV 23 s.) e Demetrio I Soter (coll. XVI 4, XVI 26-XVII 1, XLI
1), e, in particolare, della sua intensa attività politico-diplomatica e filosofica presso gli ultimi due. La mia rilettura del testo mi ha portato a escludere l'ipotesi finora accolta, secondo cui l'opera di proselitismo di Filonide sarebbe giunta a buon fine soltanto con il Soter, divenuto nel tempo uno dei più assidui frequentatori della scuola epicurea, mentre in precedenza avrebbe incontrato la strenua resistenza dell'Epifane, rimasto sempre ostile a tale credo filosofico; al contrario, il biografo si preoccuperebbe di smentire la presunta avversione di Antioco IV nei confronti dell'epicureismo, rifacendosi a una testimonianza dello stesso Filonide
Quanto alla vera e propria attività politica di Filonide, pare che egli fosse tenuto in buona considerazione dai sovrani, presso i quali aveva una certa influenza come consigliere, e che in più occasioni avesse espletato le proprie funzioni diplomatiche in qualità di ambasciatore: in più punti del papiro si ricordano la sua azione mediatrice presso il re per salvare una città, probabilmente Laodicea (col. XVI 6 ss.), una sua missione per conto dei Laodicei (coll. XX 2 -XXI 2) e, in generale, il ruolo di primo piano nella stessa città natale; questi impegni politici, comunque, non intaccavano la sua principale attività di filosofo (col. XLI 1-10).
Personaggi politici più marginali menzionati nel bios sono Menocare (col. XVII 2 s.), verosimilmente l'epistolografo di Demetrio I, ed Eliodoro (coll. XXXI 1, XLIV 25) 1 con buona probabilità il ministro di Seleuco IV.
Nel complesso, dai resti del papiro si ricava senz'altro una preziosa testimonianza sulla diffusione dell'epicureismo nel corso del II sec. a.C., che dovette interessare non soltanto Atene, ma anche diversi centri dell'Asia minore, e in particolare la Siria dei Seleucidi. In un'epoca di grande fervore intellettuale, il nostro bios ha l'indiscusso merito di aver svelato, seppure in forma frammentaria, «un capitolo inedito della storia dell'epicureismo antico ad un secolo circa dalla morte del fondatore»
Permettono di avere un quadro completo del tessuto narrativo del bios due tabelle, da cui risultano in modo chiaro il gioco delle riprese tematiche e lo sviluppo dei principali nuclei argomentativi in più microsezioni.
Microsezioni (coll.) |
Nuclei argomentativi |
III-IV |
Carattere del protagonista |
V-VI |
Formazione culturale |
VI-VII |
Rapporti familiari |
VIII |
Formazione culturale |
XI-XIII |
Rapporti familiari |
XIII-XIV |
Formazione culturale (Eudemo, Artemone, Dionisodoro) |
XIV-XV |
Sfera politica (Laodicea, Filopatore) |
XV |
Carattere del protagonista; sfera politica-rapporti intellettuali (Diogene di Babilonia) |
XVI-XVIII |
Sfera politica (Demetrio I, Antioco [?], Menocare) |
XX-XXI |
Attività politico-diplomatica (Laodicea) |
XXIV |
Attività filosofico-letteraria (Epicuro) |
XXVII-XXVIII |
Opera di proselitismo |
XXVIII |
Morte esemplare |
XXIX-XXXIII |
Rapporti familiari (Dicearco); carattere del protagonista |
XXXIV-XXXVII |
Viaggi-rapporti intellettuali-formazione culturale (Antifane, Iolao, Eudemo, Dionisodoro, Timasagora, Basilide, Tespi) |
XXXVIII-XXXIX |
Attività filosofico-letteraria (Epicuro, Metrodoro, Polieno, Ermarco) |
XXXIX |
Carattere del protagonista |
XLI |
Opera di proselitismo (Demetrio I) |
XLIII |
Rapporti intellettuali (Carneade); attività politico-diplomatica |
XLIV-XLV |
Opera di proselitismo (Antioco IV); attività filosofico-letteraria; carattere del protagonista; sfera politica (Eliodoro); viaggi-rapporti intellettuali (Zenodoro); morte esemplare |
XLV-XLVI |
Opera di proselitismo (Antioco IV, Dionisodoro); attività politico- diplomatica (Laodicea) |
XLVII |
Rapporti intellettuali (Artemone) |
XLVIII |
Viaggi-rapporti intellettuali (Zenodoro, Timasagora) |
XLVIII-XLIX |
Attività filosofico-letteraria |
Nuclei argomentativi |
Microsezioni (coll.) |
Totale |
Attività filosofico- letteraria |
XXIV, XXXVIII-XXXIX, XLIV-XLV, XLVIII-XLIX |
4 |
Attività politico- diplomatica |
XX-XXI, XLIII, XLV-XLVI |
3 |
Carattere del protagonista |
III-IV, XV, XXIX-XXXIII, XXXIX, XLIV-XLV |
5 |
Formazione culturale |
V-VI, VIII, XIII-XIV, XXXIV-XXXVII |
4 |
Morte esemplare |
XXVIII, XLIV-XLV |
2 |
Opera di proselitismo |
XXVII-XXVIII, XLI, XLIV-XLV, XLV-XLVI |
4 |
Rapporti familiari |
VI-VII, XI-XIII, XXIX-XXXIII |
3 |
Rapporti intellettuali |
XV, XXXIV-XXXVII, XLIII, XLIV-XLV, XLVII, XLVIII |
6 |
Sfera politica |
XIV-XV, XVI-XVIII, XLIV-XLV |
3 |
Viaggi |
XXXIV-XXXVII, XLIV-XLV, XLVIII |
3 |
I.9. La paternità incerta
La questione della paternità dell'opera è stata oggetto di riflessione da parte degli studiosi che si sono occupati del papiro. È opinione comune che il suo autore dovesse essere non un biografo di professione, bensì un convinto sostenitore della dottrina epicurea, operante in un periodo posteriore alla morte di Filonide (tra la seconda metà del II sec. e il I sec. a.C.); pertanto, fin dall'inizio si sono prefigurate soltanto due possibili alternative: Filodemo o Demetrio Lacone.
Già Crönert, che nell'editio princeps non prendeva posizione in maniera chiara, ha dimostrato in seguito non poca incertezza, passando, nel giro di pochi anni, dall'ipotesi demetriaca 3 a quella filodemea 4 se da un lato, infatti, la semplicità dello stile, il ricorrere di iati e l'utilizzo di çç in luogo di tt inducevano lo studioso a escludere Filodemo, dall'altro una presunta dedica a Filonide rintracciata in uno scritto di Demetrio Lacone, a sua volta dedito a studi matematici, lo lasciava propendere per quest'ultimo; l'équipe napoletana ha dimostrato poi l'inverosimiglianza di tale dedica, integrando diversamente il passo in questione
Anche alla luce di quest'ultima considerazione, in tempi recenti è stata valorizzata soprattutto l'ipotesi della paternità filodemea. Da un punto di vista meramente stilistico, non pare che le ragioni addotte in direzione antifilodemea abbiano un valore fondante, come ha dimostrato la stessa équipe napoletana 6 l'uso del çç non è del tutto assente in Filodemo, così come la presenza dello iato, mentre la linearità dello stile sarebbe giustificata dallo stesso genere letterario in cui l'opera si inserisce. Sul piano del lessico, Gallo ha messo in luce quella che sembrerebbe un'interessante spia del linguaggio filodemeo: in col. XI 6 si legge con certezza il termine qavrçoç (in luogo del più comune qavrroç), che nei papiri ercolanesi è attestato soltanto in Filodemo 7 più in generale, però, si può dire che la terminologia impiegata dal biografo si adatterebbe bene al lessico filodemeo.
A sostegno della stessa ipotesi si potrebbe addurre, senza voler considerare che nel corpus dei papiri ercolanesi è Filodemo l'autore maggiormente rappresentato, la notizia (D.L. X 3) secondo cui il filosofo compose una Çuvntaxiç tw'n filoçovfwn in almeno dieci libri, evidente testimonianza della sua attività biografica; va escluso, però, che il nostro bios facesse parte di quest'opera, giacché non si spiegherebbe l'inverosimile sproporzione tra lo spazio dedicato ai capiscuola nell Index Stoicorum e nell'Index Academicorum e l'ampia trattazione monografica riservata a Filonide, figura senz'altro più marginale all'interno della scuola.
Un altro aspetto interessante che induce ad associare in qualche modo le personalità di Filonide e Filodemo riguarda la questione dei rapporti tra filosofia e potere: è plausibile che quest'ultimo riconoscesse un modello in Filonide, che era riuscito a conciliare l'interesse per l'epicureismo con l'impegno civile;118 non pare priva di fondamento l'ipotesi di Crönert, 9 secondo cui Filodemo avrebbe composto il bios anche con l'intento di tessere l'elogio di un suo celebre corregionale.
Alla luce di questa serie di osservazioni, sebbene permanga l'impossibilità di rintracciare nel papiro un decisivo elemento probante a sostegno della tesi filodemea, questa pare ugualmente «giungere ad un fortissimo grado di plausibilità». 0 Un ultimo argomento, alquanto convincente, è la citazione, all'interno del PHerc. 1044, di Antifane e Timasagora, menzionati soltanto da Filodemo, che di norma polemizza contro di loro in quanto epicurei dissidenti; già Crönert 1 rintracciando nel papiro il nome del primo dei due personaggi, vi ravvisava una delle prove più verosimili della paternità filodemea; in seguito, l'équipe napoletana 2 ha individuato anche il nome del secondo, di cui io ho trovato una seconda attestazione nel papiro
I.10. Le fonti del biografo
Se la paternità dell'opera biografica conservata in PHerc. 1044 è «gravemente incerta» 4 dalla lettura del papiro si può, invece, ricostruire più facilmente il materiale informativo cui deve aver attinto il nostro autore: oltre a citazioni dirette, con l'inserimento di significativi excerpta all'interno della narrazione, ricavati presumibilmente da scritti dello stesso Filonide, grazie alla mia rilettura del testo credo che il nostro biografo, per rendere più fondato il suo encomio, abbia pensato bene di rifarsi soltanto allo stesso
Filonide, riferendosi anche in forma indiretta a testimonianze autobiografiche contenute negli stessi scritti filonidei. Escluderei, pertanto, l'ipotesi di un'altra fonte scritta rappresentata da un presunto allievo di Filonide, suggerita agli studiosi precedenti dal ricorrere nel testo di alcune espressioni in terza persona, che però, lette in contesti isolati come è stato fatto finora, assumevano tutt'altro significato. Reinterpretando, invece, il testo correttamente ricostruito nel suo insieme, queste stesse espressioni risultano, in modo più trasparente, riferite allo stesso Filonide: mi riferisco soprattutto a levgei (col. VII 5) g r a v⁄fei diakhkoevnaSi (coll. XIII 26-XIV 1), fevrei (col. XIV 3), fevre Si (col. XIV 13); più complesso è il costrutto oJ me;n ou n ta; çhmeiwvma⁄ta pohvçaç tau'tæ ejpiçeçhv⁄mantai (col. XXXV 2-4), riferito presumibilmente alle annotazioni apposte da una seconda mano sulla copia del testo di Filonide, utilizzato come fonte dal biografo. Una significativa conferma del mio discorso mi sembra venire da un'altra espressione che si legge in col. XLV 24-26: Filwn iv⁄dou gravyant oç ejn oi|ç pa⁄reqevmeqa provter on
Nel papiro pare sopravvivano brevi frammenti di discorso diretto: poiché è da escludere che l'opera avesse un andamento dialogico, si deve presumere che si tratti di excerpta epistolari o altri scritti dello stesso Filonide 7 inseriti nel corso della narrazione al semplice fine di convalidare con testimonianze autobiografiche gli episodi raccontati. A questo proposito, Gallo 8 ricorda che in diverse opere di Filodemo conservate da altri papiri ercolanesi si può osservare una pratica analoga di introdurre nella trattazione passi di lettere di Epicuro e dei suoi amici con riferimenti biografici; pertanto, pur trattandosi di generi letterari diversi, già questa considerazione, a detta dell'editore, farebbe propendere per l'attribuzione del nostro bios al corpus filodemeo.
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