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Profilo storico della città di L’Aquila dalla fondazione alla conquista aragonese
. Le ragioni della fondazione
Nell iniziare questo lavoro, è doveroso delineare un rapido profilo delle condizioni sociali, storiche, economiche e politiche che portano, intorno al , alla nascita della città di L’Aquila, della quale gli Statuti e gli altri documenti civili dalle Cronache di fonti tipologicamente diverse , ai Privilegi) sono uno specchio fedele, ritraendo uno spaccato di vita di questa co munità a cavaliere tra i secoli XIII e XV.1
Con la caduta dell impero romano l Abruzzo inizia quella complessa e rischiosa funzione di raccordo orientale tra il nord ed il sud d Italia, che si è perpetuata fino, si può dire, alle vicende della seconda guerra mondiale.
Se i secoli dell’alto medioevo rappresentano anche per questa regione un periodo storico tra i più oscuri, con pochissime fonti documentarie rintracciabili, è con la lenta penetrazione dei Normanni in Abruzzo che si innescano vari processi d’evoluzione per quest area geografica.
La presenza normanna si stabilizza definitivamente nel quinto decennio del dodicesimo secolo Il territorio regionale entra integralmente a far parte del Regnum Siciliae, che garantisce infatti una certa tranquillità politica ed un costante sviluppo economico. L’Abruzzo, senza più distaccarsene, seguirà – nelle alterne vicende della storia, seppur con frequenti rivolte – il destino del Regnum fino all unità d Italia.
Per affrontare il problema delle origini della città dell’Aquila, ed in particolare il modo con cui si costituisce in Comune ponendo le premesse per la successiva evoluzione politica, economica e sociale, occorre tener presente e ricomporre in un quadro unitario tutte le componenti storiche che in varia mis ura hanno contribuito alla formazione di una struttura cittadina che si rivela diversa, rispetto alle caratteristiche tipiche di altre città. Una diversità che riguarda non solo le estese dimensioni del territorio in cui sorge, ma anche l assetto urbanistico, politico e sociale dell iniziale nucleo cittadino.
Tuttavia, il carattere del presente lavoro non consente di soffermarmi a lungo su tali problematiche, ma, volendo analizzare speditamente i dati sull origine della città di L’Aquila, si osserva che molteplici fattori concorrono alla sua edificazione.
Essi sono certamente individuabili nelle ragioni di riorganizzazione geografica e di sicurezza del vasto ed impervio territorio a confine tra lo Stato Pontificio ed il Regno di Sicilia, ma soprattutto nel bisogno di coordinamento delle forze economiche e lavorative sparse nelle terre e nei villaggi del la porzione d’Abruzzo che andrà a costituire il Comitatus Aquilanus.
L’Aquila, disegnata e fundamentis, andrà a nascere lungo il fiume Aterno, in una vasta area – abitata fin dall antica epoca preromana – che raccoglie nella conca ai piedi del Gran Sasso i limina delle popolazioni vestine, sabine, sannitiche, ed in particolare le antiche città di Amiternum, patria di Sallustio, e di Forcona, Foruli, Peltuinum, decadute o distrutte per opera barbarica e ridotte a vici o pagi.
Un territorio fortemente caratterizzato dalla presenza appunto del versante meridionale del massiccio del Gran Sasso – che storicamente separa i due ambienti o paesaggi di cui fondamentalmente si compone l Abruzzo: marino, o adriatico, e montano – e che si estende ad occidente fino alle gole del Velino, sulla via Salaria, a sud fino alle serre di Celano e ad oriente fino a Popoli ed alle gole dell Aterno, nei pressi dell’antica capitale della Lega Italica, Corfinio.
Questa vastissima porzione d Abruzzo, costituita da altipiani ricchissimi di erbe da maggio ad agosto, diede origine nei fatti ad un’economia da sempre massimamente dedicata alla pastorizia.
La via Claudia Nova – che univa la via Salaria, ad Antrodoco, con la via Claudia Valeria alla confluenza del fiume Aterno con il Tirino, nei pressi di Popoli – e le altre strade consolari garantirono costantemente uno sviluppo economico per quei pastori che lungo il migrare dei secoli, dall epoca romana in avanti, le percorsero con le loro greggi.
Va da sé che lo sfruttamento estivo verticale) dei pascoli abruzzesi, rasati dal vento ed innevati per il resto dell’anno, impose l orizzontalità degli spostamenti verso le estensioni pascolative pugliesi: ecco allora germogliare la pastorizia transumante, che avrebbe condizionato in maniera determinate lo sviluppo della futura conca aquilana. Tale pastorizia disegnerà – accanto quelle consolari – le vie tracciate in una ideale carta dei tratturi , ancor oggi in buona parte praticabili
La viabilità antica è infatti un elemento fondamentale lungo il quale ebbe a compiersi, fin dall undicesimo secolo, la lenta penetrazione nel territorio regionale da parte dei Normanni, come prima accennato.
Quest ultima trasformò il territorio e riorganizzò gli abitanti sparsi sugli altipiani producendo il fenomeno antropico dell incastellamento, costellando di rocche e castelli – spesso nuclei originari degli attuali centri abitati – il paesaggio dell Abruzzo aquilano mantenendosi pressoché intatto fino ai nostri giorni. Disseminati lungo i vecchi percorsi, e raccolti attorno i tanti monasteri benedettini – dipendenti dalle Abbazie di Farfa e di Montecassino – i castra rappresentano un’autentica rinascita urbanistica e demografica lungo il decimo e
l undicesimo secolo
Nel secolo successivo, all interno degli ormai sicuri confini del Regnum Siciliae, si arricchisce il sistema dei collegamenti verso il mare e si consolidano i percorsi principali della transumanza, i quali, scavalcando fiumi e montagne, vengono punteggiati dai riposi: diverranno essi stessi ulteriori nuovi centri abitati e fortificati, insediamenti commerciali e di servizio, sorgendo talvolta sul luogo stesso delle antiche cittadine romane.
In tal modo l intera struttura culturale ed economica della terra di pastori” si evolve coinvolgendo tutti i suoi aspetti di vita civile, politica, sociale ed altresì religiosa.
Agli inizi del Duecento, la porzione territoriale d’Abruzzo che trova nella conca aquilana la sua più fervente fucina, e che determinerà profonde trasformazioni in un’area vastissima, è legata da una parte a piccole signorie feudali di confine” sparse nell alta valle dell Aterno – come i signori di Poppleto Coppito) , e dall altra al grande sistema feudale dei conti di Celano, un insigne signoria appenninica che governava dal Matese fino alle gole di Celano ed all’altopiano di Rocca di Mezzo, tuttavia quasi annientata dall’accentratrice politica federiciana che, come dirò a breve, stava spostando il baricentro amministrativo abruzzese verso la conca peligna
I luoghi di potere” sono dunque piuttosto deboli e lontani, ed allora so rge da parte della popolazione la necessità di più efficaci sistemi di organizzazione commerciale, di governo, di rappresentanza collettiva, di ricostruzione non solo di centri ma anche di una rete di poteri, in un epoca straordinariamente segnata da profondi cambiamenti, la cui indagine storiografica ha avuto nuovi impulsi grazie all’attività dell Ateneo aquilano, ormai da una quarantina d’anni a questa parte 6 Nasce, in una parola, il bisogno di città.
Alla domanda se la fondazione dell Aquila fosse realmente una fondazione di popolo, ovvero su chi avesse effettivamente bisogno di rappresentativit , gli storici hanno risposto concordi affermativamente 7 identificando certamente non i baroni o i signorotti di paese, ma, in una sorta di “atmosfera interclassista larghi strati della societ , dalla piccola, media e grossa borghesia mercantile,
intellettuale, produttiva, oltre ad una presenza popolare generica.
La fondazione della città dunque è un fenomeno complesso, e gli storici sono concordi nel ritenere che tutte queste condizioni rapidamente evocate maturano agli inizi del Duecento, anni in cui l Abruzzo interno si trova a svolgere il ruolo di cerniera territoriale nella dialettica politica che vede antagonisti il papato e l impero.
Il primo momento significativo nelle dinamiche del territorio avviene tra gli anni
Venti e Trenta, quando gli abitanti dei centri sparsi nella valle dell’alto e medio fiume Aterno decidono collettivamente di fondare la città proprio su quella collina che lega la parte vestina dell Abruzzo da quella sabina, tra le due antiche città di Amiternum e Forcona, sedi episcopali.
La fondazione di una città deve essere approvata da una superiore autorit , sia essa il Papa o l Imperatore: gli abitanti dei centri fondatori hanno le idee molto chiare, coagulate intorno ai comuni interessi prima esposti.
Nell intento di liberarsi del rigido, seppur indebolito, sistema feudale cui erano sottoposti, il primo tentativo per conseguire tale obiettivo, approfittando anche dell assenza di Federico II ) per la quinta crociata, fu rivolto dagli abitanti di Amiternum e Forcona nel 9 a papa Gregorio IX , affinché concedesse loro di fondare la città nel luogo chiamato Acculae
Certamente egli vede in questo desiderio l opportunità di indebolire la presenza
imperiale (aveva già scomunicato Federico) nelle terre di confine tra il Regnum
Siciliae e il Patrimonium Sancti Petri.
Gregorio IX, Ugolino da Ostia, sommo giurista e grande personaggio che vide potentemente nella nuova civiltà francescana uno dei grandi strumenti di rafforzamento della Chiesa, riferendosi al notissimo privilegio di Ottone I del 2
– il quale prevedeva la donazione di Rieti, di Amiternum, di Forcona, di Norcia, di Valva, della Marsica e di Teramo al demanio della Chiesa – non solo riconosce la legittimità della perorazione, ma rivendica la propria giurisdizione territoriale ed autorizza gli abitanti a fondare una città ed a riunirsi in essa nella località di Acculae.10
Augurando che la Città potesse godere dell’eterno rispetto Civitas vestra perpetuo laetetur honore , il pontefice tuttavia richiede, in cambio della concessione, il pagamento una tantum di una somma iniziale – decem milia unciarum auri – da corrispondere alla Santa Sede, oltre ad un contributo annuale; inoltre esige la clausola che i futuri consoli della città dovessero essere approvati
dal papa stesso
Anche se purtroppo non siamo sufficientemente informati sul seguito di questa trattativa con il pontefice, la proposta di Gregorio IX, non ebbe evidentemente accoglimento a causa del forte impegno economico: ma s e onerosa appariva questa via, altrettanto difficile appariva intraprendere il percorso che poteva portare verso una concessione imperiale, ovvero di Federico II.
Già dal , con l emanazione delle Costituzioni di Melfi 2 Federico II aveva
dotato il suo regno di un codice realmente organico di leggi, ispirate alla tradizione giuridica romana ed alla legislazione normanna.
Il riordinamento amministrativo e la riorganizzazione del potere erano giunti ad un culmine di sorprendente modernit , guidato da una concezione assai alta dello Stato e della giustizia: un monumento” del pensiero laico del Medioevo. Segnando una tappa fondamentale nel rafforzamento del potere imperiale nell Italia meridionale e nella conservazione della pace, le Costituzioni, tra i vari intendimenti, proibiscono espressamente (al terzo libro, titolo ) la costruzione di torri e qualsivoglia opere difensive, ritenendo sufficienti, per la sicurezza dei fedeli sudditi, le opere fatte già costruire dall autorità sveva.
Federico II aveva inoltre riordinato giuridicamente la regione abruzzese, creando lo Iustitieratus Aprutii e fissando il capoluogo nella fiorente città di Sulmona, che fu cinta di una nuova cerchia di mura, dotata di una cattedra di diritto canonico e sede di fiera mercantile
La lungimirante politica in funzione antipapale dell Imperatore svevo aveva dunque già spostato il baricentro nell Abruzzo peligno, concentrandovi risorse ed energie in dialettica con Roma: insomma, in tali condizioni, il disegno di una grande città fortificata mai avrebbe potuto prendere forma.
Non posso addentrarmi ulteriormente negli avvincenti aspetti della politica federiciana e rimando ai fondamentali contributi di Galasso e di Tabacco – Vivanti 5 ben sapendo quanto furono tormentati gli ultimi anni di Federico II, scomunicato per ben due volte e dichiarato decaduto dal concilio di Lione nel
; accompagnato da una crisi del potere imperiale – si vedano gli episodi di Parma e Fossalta – ed immerso in un clima di sospetto fino alla propria morte, avvenuta il 3 dicembre del .
Non sappiamo purtroppo, mancando fonti documentarie, cosa stesse esattamente accadendo – tra gli anni Trenta e Quaranta – nel mondo in fermento dell alto e medio Aterno. Si rileva, piuttosto, l emergere nei luoghi di cerniera tra Lazio, Abruzzo e Marche di alcune personalità che si contendono, in un certo senso, i limina territoriali che ben conosciamo.
Sotto il difficile regno di Corrado IV , le popolazioni del contado di Amiternum e Forcona inviano a Rieti, il 6 maggio , il loro procuratore e sindaco, Notar Pietro di Bazzano, presso il potente consigliere regio Tommaso conte di Mareri una figura misconosciuta fino a qualche tempo fa, sulla quale si stanno concentrando gli studi più recenti
Con rinnovata ambizione, gli abitanti chiedono al consigliere di interessarsi attivamente, tam per se quam apud regem, per l’edificazione della città usque ad complementum civitatis ipsius. In cambio, essi si impegnano a corrispondere al Mareri mille once d oro, un palazzo con cortile, terra da coltivare a vigneti e due mulini, di cui uno a Poppleto l attuale Coppito, in territorio amiternino) e l’altro
a Bazzano in territorio forconese
Questa onerosa mediazione” nei confronti di re Corrado non ottiene, come il caso precedente, alcun esito tangibile né minimamente rintracciabile tra le fonti documentarie.
La svolta per la fondazione della città si determina ne ll inasprimento delle vicende tra il papato e gli eredi di Federico, Corrado IV e il fratellastro Manfredi. Nell anno della richiesta a Tommaso di Mareri dobbiamo trovare la chiave giusta per leggere l’avvenimento di fondazione, il cui diploma arriverà in quello successivo – il 4 – tormentato dalla morte di papa Innocenzo IV, che tanto osteggiò gli svevi, e da quella dello stesso giovane Corrado, rendendo vacante il trono ed il titulus imperiale.
La vicenda aquilana si inserisce dunque con evidenza nel clima di questi anni, lacerati da conflitti, incertezze ed aspri affanni politici, religiosi ed istituzionali, che vedranno a brevissimo la fine della dinastia sveva e l’avvento di quella angioina.
In tali condizioni di generale vuoto di potere, il sogno di città si realizza; ed è molto probabile che la grande feudalità si limiti ad osservare, senza troppi contrasti, questo irresistibile inurbamento, le ggendo nel sorgere di L Aquila più un fenomeno da seguire e controllare che da osteggiare direttamente
Come altrove accennato, la nuova città avrebbe costituito un nuovo punto di riferimento strategico nella vasta area di cerniera dell impervio nord del Regno di Sicilia e lo Stato della Chiesa, ed avrebbe garantito sicurezza e governabilità del territorio da parte della popolazione stessa; facile controllo finanziario per ogni attività manifatturiera, economica e commerciale.19
. Dall avvio della fabbrica urbana ai secoli d oro
Il diploma per la fondazione della città in loco qui dicitur Aquilae 0 è emesso dalla cancelleria di Corrado IV di Svevia.
Il fervore per gli studi storiografici e diplomatici ha fatto a lungo dibattere gli eruditi, tra fine Ottocento e i primi del Novecento, se le due trascrizioni a noi pervenute fossero copia di un originale o di un falso di cui è piena la storia medievale), poiché le prime copie a noi giunte sono quattrocentesche
Una trascrizione è riccamente miniata ed apre solennemente la Seconda Raccolta dei Privilegi presso l Archivio di Stato, ed è oggetto di questo lavoro.
La critica è da tempo concorde nell’accogliere la tesi dello storico e giurista Gennaro Maria Monti , il quale illustrò i risultati delle sue ricerche paleografiche e diplomatiche in un convengo nel , attribuendo senza dubbio il Privilegio di fondazione alla cancelleria sveva e datandolo al
Il Privilegium concessum de constructione Aquil ae 3 definisce l’area geografica da coinvolgere nel processo di edificazione della citt à; ordina la distruzione dei castelli di provenienza delle popolazioni interessate cosa che, nei fatti, non avverrà) e il loro trasferimento nella citt ; elargisce grandi concessioni, che saranno ulteriormente cristallizzate nella loro sostanza nella Concessio di Carlo II l’Angiò del ; afferma il diritto ereditario di demanio regio sull intero territorio – di circa 0 km2 – e libera le popolazioni dei circa sessantotto centri fondatori dai vincoli di vassallaggio cui fino a quel momento erano state sottomesse; concede inoltre la costruzio ne della città e fissa i principali parametri amministrativi ed edilizi
In cambio del privilegio, la Cancelleria di re Corrado chiede alle comunità delle vallate che venga costruito in città il luogo simbolo del potere imperiale: la reggia, il cui cantiere sarà avviato nel medesimo anno del diploma.
Come precedentemente accennato, che il diploma fosse l emanazione di una diretta volontà corradiana piuttosto che il legittimare o il rivendicare la paternità d una fondazione avvenuta in un momento di crisi dell autorità regia, è un problema relativo che tuttavia sembra vedere la città proiettata sotto le insegne del crepuscolo degli svevi.
Si avvia dunque la fabbrica urbana, ed immediatamente entra in gioco, nelle vicende aquilane, il grande elemento antagonista del Regum Siciliae: il papato. Papa Alessandro IV ) non fa altro che favorire le iniziative locali, incoraggiandole ad autogovernarsi, ergendosi a tutore delle autonomie e delle libertates appena conquistate, contro l’assolutismo svevo.
Nella bolla Purae Fidei Claritate 5 del , indirizzata ai dilecti filiis Communi Aquilensi, il pontefice comunica al vescovo Berardo di Forcona, al clero ed ai fedeli aquilani il trasferimento della sede vescovile da Forcona a L’Aquila e l’annessione dei beni della diocesi di Amiternum da tempo senza vescovo , fino allora sotto la giurisdizione del vescovo di Rieti . Eleva la chiesa dei Santi Massimo e Giorgio, che nella bolla è specificata essere già edificata, a chiesa Cattedrale; concede inoltre al nuovo vescovo di intitolarsi Aquilensis e non più Furconensis, completando la riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche.
Con questo atto il papa eleva L’Aquila alla dignità di civitas 6 e l immagine che
si deduce dalla lettura della bolla ci convince che la città è già solida poiché la fama della sua eccellenza risuona chiara non solo attraverso le città del Regno, ma anche più lontano, dove le trombe bandiscono la sua g loria, e le sue gesta diffondendosi sulle ali della fama si propagano . 7 Insomma, la città sembra cedere alla lusinghiera politica di Alessandro IV vestendo abiti guelfi.
Infatti, quando Manfredi , fratellastro di Corrado IV, diffonde nel
8 la falsa notizia della morte del figlioletto di lui, Corradino 2 , e si proclama re di Sicilia, riprendendo con decisione il disegno egemonico del padre Federico II, immediatamente reagiscono il Papa ed i Comuni guelfi, compresa L’Aquila, che pagherà le ire di Manfredi stesso, da lui incendiata e semidistrutta nel .
La popolazione abbandona la cerchia muraria, tornando nei castelli circonvicini, e il vescovo risiede di nuovo a Forcona
Il sogno degli Aquilani sembra essersi dunque infranto; ma sappiamo come i papi francesi Urbano IV ) e Clemente IV , stessero disegnando quello scenario in favore filoangioino che avrebbe visto consumarsi definitivamente la dinastia degli ultimi svevi, con le battaglie di Benevento ) e di Tagliac ozzo
Quell’anno vede buona parte d Italia consegnata ai francesi di Carlo d’Angiò , ed anche nella terra d Abruzzo si avvia in tal modo l egemonia Angioina, destinata a perdurare fino all ultima e tormentata erede, Giovanna II . E’ dunque Carlo d’Angiò a prendere a cuore” la città dell Aquila: il favore del re mostrato già dal 6 con un privilegio per la riedificazione, si tramuta in aperta protezione e riconoscenza per i notevoli aiuti offert igli dagli Aquilani a Tagliacozzo.
Stavolta L’Aquila cresce rapidamente e risponde ad un disegno urbanistico organico e particolarissimo. La città è cinta da mura che hanno ottantasei torrioni e dodici porte d’accesso. La grande intera superficie da esse racchiusa, di circa centosettanta ettari, viene suddivisa in modo tale che ad ogni castello del Comitatus Aquilae venga riservato uno spazio, detto locale, entro il quale tutti coloro che provengono dai centri fondatori – castello, terra o villa – possono costruirvi le loro dimore e la loro chiesa, che solitamente conserva il titolo e il patrono di quella di origine. Inoltre ogni locale è dimensionato secondo la consistenza demografica del centro di provenienza.
Gli Statuta della nuova citt , che vedremo a breve, precisano che gli abitanti , trasferitisi nel frattempo in gran numero all interno delle mura, possono insediarsi uti singuli nei locali solo dopo aver realizzato collettivamente, uti socii, la piazza, la chiesa, la pubblica fontana 0 cio , all’epoca, le opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Si disegna in tal modo una sorta di tessuto urbano “cellulare .
L’attività edilizia civile procede con grande vigore, e facilmente si potrebbe immaginare la città come un immenso cantiere, che vede co struita nel 2 la Torre Civica e la grande fontana pubblica della Rivera, lavatoio oggi notissimo con il nome di Fontana delle Novantanove Cannelle; nel 8 viene realizzato il grande acquedotto che dal monte San Giuliano porta l ’acqua in citt , e nel 6 vengono completate le mura
Il fenomeno di inurbazione è dunque davvero impressionante, e un ulteriore aspetto di questo fenomeno che qui accenno e che riprendo tra breve è che gli abitanti del Comitatus vanno a ricalcare, nel micro territorio cittadino, la dislocazione macroterritoriale dei castelli d origine: divengono cittadini aquilani non perdendo la cittadinanza primitiva. Pertanto i castelli dentro la città ed i castelli fuori la città costituiscono una realtà sola, ed il nome L’Aquila indica insieme la città e il territorio.
Anche la divisione in quartieri, definita nel , non interessa solo la citt , ma si estende a tutto il territorio e corrisponde alle quattro zone d immigrazione”: due quartieri, San Pietro – con San Pietro di Coppito come chiesa capo–quartiere – e San Giovanni – con San Marciano di Roio come chiesa capo –quartiere – racchiudono il vecchio territorio di Amiternum; e gli altri due, San Giorgio (con chiesa principale Santa Giusta di Bazzano) e Santa Maria (con chiesa principale Santa Maria di Paganica , racchiudono il territorio di Forcona.
Se volessimo contare i centri che concorsero a far parte del Comitato, aventi cioè diritto ad insediarsi nei locali cittadini, veniamo aiutati da alcuni documenti fiscali, in particolare un censimento del 1269 e l’altro del 1294.32
Il primo di essi annovera cinquantotto centri, il secondo settanta. Ciò non deve far pensare che il Comitato si accresca con nuove annessioni: si è fatta semplicemente più particolareggiata l’enumerazione dei centri che lo costituiscono.33
Gli storici calcolano che il numero di persone della popolazione all ’epoca gravitante nel comprensorio aquilano e coinvolto nel processo di edificazione della città arrivi a trenta–quarantamila unità, di cui circa un quarto abitante dentro le mura.34
Questo fenomeno coinvolge anche gli Ordini religiosi che fondano in città i loro conventi o monasteri: la presenza francescana è già documentata in una testimonianza nel 1256, e nel 1275 è in costruzione il monastero dei benedettini (i futuri Celestiniani). Ad essi si aggiungono i Cistercensi, e – nei rami sia maschili che femminili – gli Ordini di San Domenico e di Sant’Agostino.35
Naturalmente non si forma immediatamente un’omogenea comunità urbana: l’integrazione fra i nativi delle numerose terre che avevano costitu ito sino ad allora unità demografiche diverse non è facile, ma la città è un forte attrattore di interessi economici, anche lontani.
L’Aquila riesce infatti a trovare quello “spirito di comunità” nella congiuntura di una certa tranquillità politica e nel motore economico–istituzionale del territorio dell’Abruzzo montano.
La città scopre la propria vocazione specializza ndosi in campo mercantile e artigianale, e determina massimamente il proprio sviluppo negli anni successivi, in un’ascesa rapidissima. Afferma infatti la studiosa Maria Rita Berardi che
«L’Aquila nel giro di pochi decenni divenne crocevia per il traffico commerciale con le altre città del Regno ed extra Regno, con le quali era collegata per mezzo della cosiddetta “via degli Abruzzi” che univa – cavalcando da mattina a sera, in undici o dodici giorni – Firenze a Napoli, passando per Perugia, L’Aquila, Sulmona, Isernia, Venafro, Teano, Capua».36
Via comunque piuttosto faticosa, fino ai confini della Campania, e spesso infestata da ladri e predoni: anche gli ufficiali regi, preposti ai controlli, spesso compiono eccessi nei confronti dei mercanti.37
Trovano accoglienza nella nuova realtà anche i pellegrini che si recano alla tomba di San Nicola di Bari come al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano o in Terrasanta, dopo aver percorso la via Salaria, le gol e del Velino e la Claudia Nova: la città diviene dunque anche uno snodo importante per i pellegrinaggi .38
Proprio a L’Aquila, inoltre, ha luogo un evento di eccezionale importanza per la storia tardo medioevale, che ne diffonderà allora la fama ben al di là dei confini del regno. Si tratta della consacrazione, il 29 agosto 1294, di Pietro Angeleri dal Morrone (1215c.–1296) come Sommo Pontefice col nome di Celestino V.
La città diviene teatro della cerimonia d’incoronazione, ed accoglie il re Carlo II d’Angiò (1248–1309) e la sua corte, così come accoglie la Curia romana. L’alto prelato Jacopo cardinale Stefaneschi39 – conosciuto nella storia dell’arte per aver commissionato a Giotto il polittico per l’altar maggiore in San Pietro in Vaticano
– guida la delegazione cardinalizia e definisce la città – a Celestino «più cara fra tucte le terre» – «non plenam civibus urbem sed spatiis certis segnatam ob spemque futuram».40
Circa un mese dopo, il 28 settembre, re Carlo II d’Angiò, con la Concessio Castrorum et Casaluim,41 ratifica, se così si può dire, la “nascita” della città, ormai quarantenne, e del Comitatus Aquilanus; pone L’Aquila in perpetuo nel demanio regio.
Tale concessione è davvero elitaria: gli aquilani, come accennato, ottengono la “doppia cittadinanza” (quella del castello originario e quella della nuova città), pagando le tasse – il focatico – una volta sola rivendicando la rappresentanza dei castelli e villaggi fondatori presso la città, nonché l’uso collettivo, libero ed esclusivo dei pascoli sterminati delle montagne circonvicine. 42
Insomma, una delle più grandi imprese urbanistiche dell ’Europa tardo–
medioevale è finalmente compiuta.
Non ci sono giunti documenti che illustrano il primitivo ordinamento legislativo del comune aquilano, che si genera nel corso del Trecento ed avrà preso forma e fisionomia definitiva, nei primi anni del Quattrocento, negli Statuta Civitatis che tratterò nel prossimo capitolo e a cui rimando per l ’esame dettagliato delle magistrature cittadine.
Gli studi storici, fin da fine Ottocento,43 hanno acclarato come la situazione
giuridica dell’Aquila fosse di una particolare autonomia: condizione ampiamente affrontata – negli aspetti storici – dai contributi di Giovanni Vitolo,44 e – negli aspetti giuridici – da un importante studioso di diritto come Matteo Gaudioso.45
L’importanza del ruolo politico dell’Aquila rispetto ad altre città del Mezzogiorno nei secoli XIV e XV è stata ben messa recentemente in risalto da Giuseppe Galasso, il quale evidenzia che «sono ben pochi i casi in cui le città come tali possano essere considerate quali protagoniste sostanzialmente autonome della vita politica del Regno […]. Delle città si può dire che soltanto L’Aquila presenti una effettiva e lunga costanza di personalità e di iniziativa politica».46
Come chiave di lettura fondamentale per la genesi delle autonomie cittadine voglio qui segnalare le riflessioni di Paolo Grossi,47 in particolare le intuizioni riguardo il tema della “percezione” del potere temporale da parte delle diverse componenti della società, nel tardo medioevo.
Sul procedere della storia italiana, nella nascita dei comuni tra i secoli XII e XIV, restano invece imprescindibili le indicazioni di Paolo Cammarosano.48
Nel corso del Trecento e del Quattrocento, L’Aquila diviene senza dubbio punto di riferimento commerciale per l’intero Abruzzo montano, mostrando una grande vitalità ed intrattenendo rapporti anche con mercanti fiorentini, milanesi e veneziani.
Diverse testimonianze e fonti tipologicamente varie delineano con precisione un quadro della rigogliosa vita quotidiana, religiosa, culturale ed economica della città. Senza annoverarle dettagliatamente, menziono il Libro mastro (degli anni 1471–73) del mercante–imprenditore aquilano Pasquale di Santuccio di Pizzoli,49 testimonianza di una ricchissima rete di traffici che esulano appunto dai confini cittadini e si rivolgono all’intera penisola ed all’Europa centrale, data la varietà e la quantità dei prodotti commerciati. In fondo, L’Aquila nasce come mercato dei prodotti della pastorizia e dell’agricoltura e si affermano potenti famiglie di mercanti, specialmente di lana, come i Gaglioffi ed i Fidanza.
La toponomastica cittadina50 evidenzia tutt’oggi la presenza di veneti, senesi, albanesi, tedeschi, lombardi permanentemente residenti tra le mura aquilane (cito, inoltre, l’altare seicentesco fatto erigere in Duomo dai milanes i a devozione di San Carlo Borromeo: ma essi già nel Quattrocento avevano una loro cappella nel medesimo edificio, distrutta dal terremoto del 1703).
I prodotti principiali protagonisti della ricchezza commerciale cittadina sono i pannilana51 e lo zafferano,52 coltivato in tutto l’Abruzzo aquilano. Il pannolana è molto richiesto, acquistato dall’Arte fiorentina che lo rifinisce e rivende. I pascoli montani circostanti che alimentano nei mesi estivi numerosissime greggi di ovini transumanti, producono abbondante materia prima, recata in città per essere semi–lavorata e destinata, in somma parte, all’esportazione.
La manifattura locale diviene monopolio di un gran numero di “aziende” fi latrici e tessitrici, le quali – grazie anche all’opportunità di reperire l’acqua sul posto, indispensabile nel processo di lavorazione – danno origine ad una vera e propria industria armentizia i cui guadagni sono assai lucrosi, aggiungendo a tale
industria quella del pellame e dei derivati.53
Lo zafferano, la cui coltura colora di rosso ancora oggi gli altipiani aquilani, costa più dell’argento54 e le terre che lo producono sono annue miniere. Utilizzato in medicina, cosmetica, come principalmente nell’arte tintoria ed in pittura, esso apre vie commerciali che raggiungono regolarmente Venezia, Milano, Marsiglia e città tedesche. I mercanti giungono d’Oltralpe giustamente motivati dal fatto che appariva loro più conveniente comperare l’“oro rosso” direttamente a L’Aquila piuttosto che ricaricato di prezzo dagli intermediari veneziani.
Già re Roberto il Saggio (1277–1343), per favorirne il commercio, aveva nel
1317 abolito alcune gabelle, mentre con adeguate “politiche fiscali” – come le chiameremmo oggi – fu possibile per gli aquilani costruire nel 1445 l’Ospedale Grande, ed avviare la fabbrica della contigua e grandiosa basilica di San Bernardino, nelle cui edificazioni le ricche famigl ie più in vista (i Carli, i Dragonetti, i Pica) videro la celebrazione della loro potenza.
Dal 1466, per dieci anni il Comune destinò a tal scopo gli introiti e la gabella dello zafferano, che annualmente ascendevano a circa duemila ducati :55 Cennino Cennini, figlio delle terre della Val d’Elsa, lo conosceva bene poiché anche nel senese ve ne erano – e ve ne sono – vaste colture.
Al colore gentile dello zafferano, Cennino dedica l’intero capitolo XLIX del suo celeberrimo Libro dell’arte:
«Giallo è un color che si fa d’una spezia che ha nome zafferano. […] Vène color bello da tignere panno lino, o ver tela. […] E se vuoi fare un colore il più perfetto che si trova in color d’erba, togli un poco di verderame e di zafferano, cioè delle tre parti l’una zafferano; e viene il più perfetto verde in color d ’erba che si truovi…».56
Dopo questa digressione, desidero rilevare come fosse molto fiorente l’artigianato, specializzato soprattutto nella lavorazione dei metalli (i metallieri si consorzieranno in una delle Arti che reggeranno la città), in particolare dell’argento, dell’oro e del rame.
All’intraprendenza economica ed al benessere diffuso della popolazione si unisce l’aumento della circolazione del denaro: nel 1344 L’Aquila ottiene dal sovrano il privilegio di battere moneta propria: i conii più antichi a noi giunti (bolognini) risalgono al 1381.57
Nel terzo e nel quarto decennio del Quattrocento, L’Aquila vive in prima persona le tormentate vicende che portano alla sostituzione, sul trono di Napoli, dei sovrani angioini con la dinastia aragonese, patendo eroicamente il lungo assedio (tra il 1423 e il 1424) di Braccio da Montone.58 Gli storici convengono nel ritenere che la città raggiungerà il suo massimo splendore negli anni immediatamente successivi, in particolare nella produzione artistica, di cui mi
occuperò in maniera particolare.
Nel 1458, il diploma di re Ferrante I d’Aragona concede alla città di fondare uno Studium, ovvero un’università di pari dignità di quelle di Siena, Perugia e Bologna. Di tale privilegio parlerò diffusamente più avanti, nel presentare la ricca miniatura che orna la pagina del placet.59
Circa vent’anni dopo (1481) si insedierà in città il primo laboratorio a stampa del tedesco Adamo da Rotweil, allievo del Gutenberg.60
1.3. Il patrimonio documentario della città. I luoghi della memoria
L’Aquila, come del resto ogni città, ci parla di sé non solo attraverso il visibile dei suoi monumenti, attraverso una pala d’altare in una chiesa nascosta o un bassorilievo incastonato nel tessuto murario urbano, oppure attraverso il suo paesaggio montano. Ci parla anche attraverso un luogo della memoria fatto di tutte quelle parole che – per necessità, motivi e finalità diverse – si sono posate nel tempo su libri, registri, documenti, atti, cronache…
Dal punto di vista della produzione culturale e storiografica L ’Aquila si distingue per una ricchezza senza pari nel Mezzogiorno quattrocentesco.
I luoghi della memoria, ovvero tutte quelle fonti storiografiche tipologicamente diverse – dalle cronache municipali, alle testimonianze dirette ed indirette di scrittori laici e religiosi, ai libri dei fuochi, alle scritture notarili – esprimono una fecondità culturale che segna indiscutibilmente il periodo per così dire dorato della città, ovvero i secoli XIV e XV.61
Anche se la pratica della scrittura non si tradu ce in prodotti letterari molto elevati,
lo sviluppo politico, civile, religioso ed economico dell’Aquila produce una identità culturale che si esprime nella fioritura di molteplici tipologie di scritture, le quali si possono ordinare in un sistema piuttosto organico .
Certamente una gran quantità, e ciò che rimane oggi è superstite della mole del grande patrimonio documentario andato purtroppo disperso o distrutto a causa di terremoti (del 1460–61, e quello rovinosissimo del 1703), incendi (dell ’archivio nel 1518), razzie (quelle francesi del 1799) od altre calamità.
Appare in primo luogo la produzione dei cronisti e dei diari, manoscritti, memorie, cronache, ricordi, custoditi presso gli archivi sia p ubblici che private, delle famiglie aquilane.
Spicca qui l’opera del cronista–poeta Buccio di Ranallo (1294c–1363) e dei suoi continuatori, come evidenziato all’inizio di questo lavoro, primaria fonte della storiografia cittadina. E’ inoltre da segnalare la Cronichetta anonima delle cose dell’Aquila dal 1055 al 1414 e la Cronaca Aquilana del cosiddetto Anonimo Ardinghelli (1254–1423).62
Contemporaneamente a queste cronache di ispirazione laica – che accentuano il
carattere cittadino aquilano in polemica col circostante mondo rurale – si affianca la produzione dei chierici, in particolar modo legati alla Curia, e dei frati francescani Osservanti,63 che danno un quadro abbastanza esauriente della storia religiosa, politica e sociale della città. Sono da menzionare i diari del vescovo Giacomo Donadei,64 il quale tiene personalmente memoria delle vicende cittadine dal 1407 al 1414 e che incarica un suo cancelliere, Teodorico de Dyest de Brabantia di documentare in un liber (oggi conservato alla Biblioteca Vaticana) tutte le testimonianze più antiche rintracciabili – storiche e giuridiche – riguardanti la Chiesa Forconese e quella Aquilana.
Il liber diventa luogo della memoria anche per i successori del Donadei, dall’Agnifili (enorme protagonista del Quattrocento aquilano, che affronteremo oltre), fino al vescovo Mariano de Racciacaris (1588). Esso in seguito sarà copiato e pubblicato col titolo Catalogus pontificus aquilanorum ab anno 1254 usque 1472 nel volume VI delle Antiquitates Italicae Medii Aevi di Ludovico Antonio Muratori.
Anche la Fraternita di San Massimo (la potente Confraternita legata alla Cattedrale, più tardi detta di S. Maria della Pietà) è un luogo della memoria.
Dal 1286 essa archivia testimonianze circa la storia della città, ma la sua importanza è dovuta al fatto che fornisce testi – tra i più antichi – in volgare aquilano e, con le Cose apertinenti ad fare le rapresentatiuni , testi di produzione teatrale riguardo le sacre rappresentazioni.65 Di particolare interesse dunque per questa cultura materiale, fatta di maschere per diavoli, teste, statue, ali per angeli, armi, scenografie e così via discorrendo.
Pari importanza hanno le scritture dell’Osservanza francescana: se nel Duecento e nel Trecento fu forte la presenza dei Celestini, la presenza osservante fu davvero incisiva nel Quattrocento aquilano.66 L’Aquila fu spesso scelta dai priori dell’Ordine Francescano come sede per i capitoli generali. 67 San Bernardino da Siena giunse qui per due volte, nel 1438 e nel 1444, quando vi morì.
Le prodigiose guarigioni operate post mortem da Bernardino generarono un fortissimo richiamo di pellegrini e mercanti verso questa cit tà che ne custodisce il corpo: l’anno successivo alla sua morte vennero istruiti i processi di canonizzazione, conclusi in appena sei anni, quando nel 1450 papa Niccolò V iscrive Bernardino nel registro dei Santi.
I processi produssero un cospicuo corpus di atti, tutti conservati presso l’Archivio di Stato.68 Siffatti documenti, per l’eterogeneità delle testimonianze e degli elementi pertinenti ad essi, costituiscono un rigoglioso spaccato non solo della storia cittadina, ma si può dire di uno sfaccettato modus vivendi dell’intera società di allora.
Concludo questa digressione soggiungendo che San Giovanni da Capestrano, in una lettera da Cracovia del 1454, dopo aver rimproverato il governo aquilano per aver disatteso tutte le promesse a lui fatte circa la costruzione della nuova chiesa dedicata al Santo, fa notare alla città che è «diventata grassa per lo sancto Bernardino» e gli rammenta che per fare «lo novo locho de sancto Bernardino» ha ottenuto dal re di Napoli cinquemila ducati.69 L’avvio della fabbrica della basilica genererà tutta una letteratura (dai registri contabili, al libro di fabbrica ecc .) insostituibile per la storia urbana.
Uno sguardo diverso sui vari aspetti della realtà aquilana nei secoli XIV e XV ci viene offerto inoltre dalle scritture dei mercanti che vivono ed operano a L’Aquila e lasciano testimonianze scritte (al di là dei documenti tecnici, come libri contabili ecc.).
Un mercante lombardo, Giuliano da Milano,70 ci racconta di eventi da lui vissuti in prima persona (essendo residente stabilmente a L’Aquila), in particolare riguardo gli episodi di Bernardino da Siena; Francesco d’Angeluccio di Bazzano,71 mio antenato, descrive sì (in volgare) il quotidiano della società aquilana, ma dal proprio punto di vista, di chi cioè, come cittadino aquilano, prende parte attiva alla vita pubblica, come mercante e come Sindaco, nel 1440, dell’Arte della Lana.72
Questa piccola letteratura mette in evidenza la dimensione imprenditoriale dei mercanti e l’identità politico–amministrativa della città nelle varie attività economiche, commerciali, finanziarie ed agro –pastorali.
Tali aspetti sono degni di attenzione, poiché diverranno ben visib ili nei disegni che decorano gli Statuti della città.
Le scritture notarili, delle quali l’Archivio di Stato è ricchissimo custode, ritraggono forse con maggior compiutezza il paesaggio umano dell’Aquila.
I notai, «concives nostri karissimi […] professionisti della scrittura, sono stimati dalla società come uomini integerrimi nell ’attività e nella vita privata».73 Essi interpretano la vita quotidiana che emerge con forza dalle loro memorie , e ci consentono di ricostruire tutta una rete di relazioni, connessioni tra diverse posizioni sociali, gradi di prestigio, poteri, matrimoni, committenze.
Degli atti notarili due e trecenteschi nulla ci è giunto; i protocolli quattro e cinquecenteschi sono stati oggetto di numerosi ed approfonditi studi, nel tempo, di personalità diverse;74 i cui contributi – che esaminerò oltre – si sono rivelati interessanti nel mio lavoro di ricerca.
Giungiamo così al luogo più importante della memoria “civile”, o “pubblica”, ovvero le scritture del Comune.
Oggi l’antico Archivio Civico Aquilano75, presso L’Archivio di Stato, costituisce la più cospicua raccolta di fonti storiche della regione abruzzese. Molte sono le scritture che ci sono pervenute, soprattutto della seconda metà del Quattrocento. Quelle dei secoli antecedenti andarono distrutte nel 1518, quando
« come testimonia il cronista Vincenzo Basilii da Collebrincioni, il convento di San Francesco, ove sussisteva l’archivio cittadino, prese fuoco per essere le camere quasi tutte di legname, e «specialmente l’archivio, così il fuoco divorò le migliori notizie e memorie che in esso esistevano». Si salvarono le serie documentarie della seconda metà del Quattrocento, che, invece, si conservavano per la consultazione presso la Cancelleria del Comune ».76
Nulla ci resta dunque della memoria civica dell’Aquila due e trecentesca: il sicurissimo convento di San Francesco – che sorgeva di fronte l’odierno palazzo comunale – era stato scelto proprio per sistemare al riparo i documenti d’archivio da scorribande, razzie o lotte nell’animosa vita cittadina. Tale circostanza rende la perdita ancora più amara.
Tra i documenti di notevole interesse scampati all ’incendio che sono giunti a noi, spesso in maniere davvero fortuite – spiccano i due manoscritti degli Statuta Civitatis Aquile (sic!), i due manoscritti delle Raccolte dei Privilegi (chiamate informalmente “prima” e “seconda” raccolta) , i Libri Reformationum, i Registra, ed infine il manoscritto della Riforma Costituzionale del 1476.
Come vedremo immediatamente, gli Statuta ed i Privilegi possiedono un valore documentario, storico e giuridico realmente inestimabile poiché racchiudono gli ordinamenti costituzionali cittadini in vigore nel XV secolo e definiscono le mutevoli relazioni con il potere regio, angioino ed aragonese.
La serie, purtroppo mutila, dei Libri Reformationum documenta la vita cittadina poiché raccoglie le delibere ed i verbali delle adunanze civiche ; i Registra, infine, costituiscono un’altra importante fonte di notizie storiche poiché rappresentano una sorta di “ufficio di protocollo” della città. Essi sono dei cartulari nei quali venivano registrate le lettere in entrata ed in uscita, oltre alle tipologie più diverse
di documenti: inventari, mandati, bandi.77
L’Archivio Civico Aquilano conserva inoltre fortunatamente pergamene e ricchi documenti cinquecenteschi tra i quali spiccano gli Statuti dell’Arte della Lana, unitamente a documenti seicenteschi risparmiati dalla successiva depredazione del patrimonio culturale cittadino, operata da parte dei Francesi nel 1799 .
Fanno parte di questo lavoro, tra i documenti di origine, finalità e fruizione pubblica – escludendo pertanto le altre tipologie di documenti, come le cronache, le scritture dei mercanti e tutta la produzione connessa all’ambito ecclesiastico – che presentano pagine in qualche modo decorate (da disegni, rubriche o miniature), ovvero quattro manoscritti: gli Statuti della Città nei due esemplari conservati presso l’Archivio di Stato (illustrazioni I e II), ai quali si unisce la riforma statutaria del 1476 operata dal commissario regio Antonio Cicinello (†1485), che trova corpo in un piccolo manoscritto conservato oggi, in una collocazione forse innaturale, presso la Biblioteca Provinciale di L’Aquila “S. Tommasi” (illustrazione III) , ed infine la Seconda Raccolta dei Privilegi (illustrazione IV).
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