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Gli intellettuali di fine '900.un dialogo sempre aperto




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GLI INTELLETTUALI DI FINE '900.UN DIALOGO SEMPRE APERTO




Di difficile definizione è il termine "intellettuale", soprattutto se esso viene utilizzato per indicare una classe molto generale di uomini o persone. La società attuale abusa di tale concetto, generalizzando o restringendo a piacere questa categoria, sempre se di categoria si può ancora parlare. Nel mio percorso interdisciplinare, ho voluto trattare della figura dell'intellettuale prima, seguendo un panorama piuttosto generale attraverso il '900, per poi giungere ad analizzare più approfonditamente la città di Trieste e le personalità che hanno costellato il suo panorama culturale nella seconda metà del secolo.


ALLE SOGLIE DEL '900


Noi, in quanto figli del '900, ci portiamo dietro un senso di smarrimento e di inquietudine, il quale si sviluppò principalmente in letteratura con la figura dell' "inetto", come possono dimostrarci alcuni semplici titoli di romanzi, saggi o poesie (Magris "La perdita della totalità", Rimbaud "Je est un autre", Debenedetti "Morte del personaggio uomo", e Montale "Il male di vivere"). La letteratura del '900, dunque, vede sorgere un nuovo eroe, o meglio un anti-eroe: l'inetto, come recitava il primigenio titolo del romanzo "Una vita" di Svevo. Ed è proprio di questa letteraria incapacità di vivere che si fecero carico gli intellettuali come Romain Rolland , Benedetto Croce e Thomas Mann, che alla vigilia di una prima catastrofica Guerra Mondiale o negarono di pronunciarsi, richiudendosi nella loro raffinata aristocrazia intellettualistica oppure furono accesi e accecati interventisti, per sostenere l'inizio di un tale massacro. La prima tesi, quella del "neutralismo intellettuale", fu sostenuta proprio dal musicologo francese Romain Rolland, il quale riteneva che l'uomo di cultura avesse il dovere di restare "al di sopra della mischia", au-dessus de la melée (come recita il titolo di un suo celebre articolo del 1914), senza contaminare la sua ricerca della verità con la difesa di interessi di parte. Una posizione analoga fu sostenuta da Benedetto Croce, il maggiore filosofo italiano neoidealista del tempo. Egli, riprendendo l'espressione divenuta celebra di Rolland, scrisse nel 1919: " Io non mi sono mai collocato au-dessus de la melée; ma ho stimato dovere di conoscenza di non falsificare mai la scienza e la storia per un presunto dovere patriottico". La seconda tesi, quella della partecipazione attiva, soprattutto in senso patriottico, alle vicende politiche e militari, fu di gran lunga prevalente, specialmente in Germania. La gran parte degli intellettuali tedeschi mise la propria voce a disposizione della patria. Una delle figure più autorevoli della cultura tedesca, Thomas Mann, prese posizione a favore dell'intervento, dichiarando che sui campi di battaglia, oltre alle armi e ai soldati, si scontravano la Kultur e la Zivilisation. Tali idee furono rinnegate alcuni anni dopo dallo stesso Mann, mentre invece lo scienziato tedesco A. Einstein non smise mai di opporsi strenuamente alle guerra, scrivendo in collaborazione con S. Freud il volume "Warum Krieg?", all'interno del quale l'intellettuale presenta una sorta di "pacifismo militante", rivolgendosi a tutta la società e soprattutto agli educatori delle nuove generazioni.


GRAMSCI E L'INDIFFERENZA


E come tralasciare all'interno di questo quadro la figura di Antonio Gramsci. Il quale nel 1919 fondò il settimanale "L'Ordine Nuovo" e nel 1929, in carcere iniziò la stesura di quegli appunti che poi sarebbero andati a formare i "Quaderni del carcere". Gramsci tratta in particolare dell'importanza di quelli che da lui vengono chiamati gli "intellettuali organici"alla classe. Infatti egli sostiene che, l'elemento popolare "sente", ma non sempre comprende e sa, mentre l'elemento intellettuale "sa", ma non sempre "sente".  L'errore dell'intellettuale sta nel "credere che si possa sapere" senza sentire ed essere appassionato, cioè nel credere di poter essere un intellettuale staccato dalle concezioni del mondo e dalle passioni del popolo-nazione.

"L'indifferenza è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendidi, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica."


UN INTELLETTUALE AD AUSCHWITZ


Ed è proprio dall'indifferenza denunciata da Gramsci che nacquero i crimini contro l'umanità, dei regimi totalitari, contro i quali l'umanità stessa, e in primo luogo gli intellettuali si trovarono senza armi abbastanza forti fin dall'inizio. Nel saggio di Primo Levi "I Sommersi e i Salvati"del 1986, l'autore realizza un interessantissimo compendio di quella che fu la sua esperienza ad Auschwitz, sviluppando l'argomento con lucidità, analizzando il problema della memoria, e trattando della psicologia malata che si sviluppa di conseguenza al rapporto vittima-carnefice. Il sesto capitolo, intitolato "L'intellettuale ad Auschwitz" tratta della figura del filosofo suicida e teorico del suicidio Hans Mayer, alias Jean Améry. Levi, in questo capitolo mette a confronto la sua figura con quella del compagno di prigionia, paragonando idee e prospettive.

Améry sostiene: "Un intellettuale, come io vorrei fosse qui inteso, è un uomo che vive entro un sistema di riferimento che è spirituale nel senso più vasto. Il campo delle sue associazioni è essenzialmente umanistico o filosofico.."

Levi replica: "A me pare più opportuno che nel termine intellettuale vengano compresi, ad esempio anche il matematico o il naturalista(.)intellettuale sarò forse oggi, anche se il vocabolo mi da un vago disagio; certamente non lo ero allora, per immaturità morale, ignoranza ed estraniamento; se lo sono diventato poi, lo devo paradossalmente proprio all'esperienza del Lager", dove anche la cultura sembra non essere più utile, ma fra "la noia trapunta di orrore", certe volte l'unico scampo è impegnare la mente in ricordi scolastici lontani.


FINO A GIUNGERE NELLA TRIESTE D'OGGI


Bruno Maier, grande studioso triestino, invitava a non " forzare i termini di cittadella e di tradizione sino a farne alcunché di concluso e necessariamente angusto", in riferimento alla città di Trieste. Spesso infatti, durante il corso della storia, Trieste è passata fra "dislocazione storica" e "condizione di mitteleuropeità"(come l'ha definita il professor Elvio Guagnini), e ha vissuto da città di frontiera eventi storici e culturali.

Per osservare meglio i frutti della cultura triestina, e per riuscire a dare una definizione esaustiva di che cosa sia realmente la figura dell' "intellettuale" sono andata direttamente da quattro personaggi che hanno contribuito allo sviluppo culturale di Trieste, e che con tanto impegno si sono meritati il ruolo di "intellettuali".


INTERVISTA1: il regista Franco Girali


Esordì nel western all'italiana e nella commedia di costume con La bambolona (1968) e Cuori solitari (1970). E' comunque nella regia televisiva che ha trovato la sua migliore forma di espressione, realizzando sceneggiati di ambientazione mitteleuropea come La rosa rossa (1972), Il lungo viaggio (1975), da Dostoevskij, Un anno di scuola (1977), Mio figlio non sa leggere (1984), da Ugo Pirro, Nessuno torna indietro (1987), Quattro storie di donne: Luisa (1988), Danubio (1991). Nel 1996 ha girato un film ambientato durante la prima guerra mondiale La frontiera.


"Molto vaga è la definizione di intellettuale, forse colui che cerca di decifrare e interpretare il mondo che gli sta intorno, nella decifrazione della realtà. La più grande difficoltà sta nell'atteggiamento onesto per la verità, e inoltre l'intellettuale deve prescindere dalla propria personalità."


"L'intellettuale non viene tanto nella pratica quanto nell'elaborazione mentale della realtà.uno scrittore non ha diaframmi, mentre un regista no, ha un caravanserraglio di persone attorno, ed è immerso nelle situazioni."


INTERVISTA2: il critico d'arte Sergio Molesi


"L'arte è dare forma a pensieri e sentimenti d'autore. L'arte fa pensare; chi pensa di più sceglie meglio; chi sceglie meglio è più libero; e chi è più libero è felice e dunque più buono. L'intellettuale dunque è contemporaneamente un uomo che crea e un uomo che "succhia"la luce del pensiero altrui."


"L'intellettuale è colui che svolge un'operazione di confronto, che si accorge della novità, della creatività, del salto concettuale fra un pensiero ormai condiviso e uno innovativo che segnerà la futura storia dell'Umanità."


INTERVISTA3: lo scrittore-giornalista Claudio Magris


Ha insegnato letteratura tedesca prima presso l'Università di Torino, poi presso quella di Trieste. Impostosi giovanissimo all'attenzione della critica con Il mito Asburgico nella letteratura austriaca moderna (1963, da una sua tesi di laurea), è stato fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all'interno della letteratura mitteleuropea con Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971). Danubio (1986), forse il suo capolavoro, lo consacra come uno dei massimi scrittori italiani contemporanei. Con questo libro vinse il Premio Bagutta nel 1986 e successivamente il Premio Strega nel 1997 con il romanzo Microcosmi e il Premio Principe delle Asturie nel 2004 nella sezione Letteratura e nel 1999 gli viene assegnato il Premio Chiara alla carriera. Scrive per il Corriere della Sera. È stato senatore dal 1994 al 1996 eletto nella 'lista Magris'.



"Molto vaga è la definizione di intellettuali. Costoro possono essere coloro che insegnano il sapere, una sorta di preti laici che conoscono meglio la vita, ma è profondamente errato credere che uno che si occupa di letteratura possa essere più intellettuale di un falegname, e di certo la portinaia di Pirandello capiva meglio la politica di Pirandello stesso. I letterati abbagliati dalla produzione delle loro opere, non sono meglio degli operai che lavorano alla catena di montaggio."


"Milosz, premio Nobel per la letteratura, sostiene che i poeti hanno il cuore freddo, e guardano con maggiore interesse alle loro rime rispetto alle persone che descrivono nelle loro poesie, spesso però un romanzo può farci capire certi aspetti della società in modo molto migliore rispetto a qualunque resoconto politico economico.intellettuale è chiunque abbia capacità di giudizio critico e autocritico."


INTERVISTA4: il professore di estetica Gillo Dorfles


Professore di estetica presso le Università di Trieste e di Milano, nel 1948 fu tra i fondatori del Movimento per l'arte concreta (insieme ad Atanasio Soldati, Gianni Monnet, Bruno Munari) e nel 1956 diede il suo contributo alla realizzazione dell'ADI (Associazione per il disegno industriale).

Per tutti gli anni 1950 prende parte a numerose mostre del Mac, in Italia e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano nel 1949 e nel 1950 e in numerose collettive , tra le quali la mostra del 1951 alla Galleria Bompiani di Milano, l'esposizione itinerante in Cile e Argentina nel 1952, e la grande mostra 'Esperimenti di sintesi delle arti', svoltasi nel 1955 nella Galleria del Fiore di Milano. Nel 1954 risulta componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE.


"Una persona saggia dovrebbe avere orrore del troppo: troppe informazioni, troppa tv, troppa politica.l'unico rimedio è dentro di noi."


"L'arte è così libera al giorno d'oggi che la trasgressione non è più possibile, quello che una volta era esagerato ora è arte."


"Io fui precocemente intellettuale, crebbi con Svevo e Saba e il mio unico meccanismo di difesa fu l'ironia."



BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA


PRIMO LEVI, I Sommersi e i Salvati, Giulio Einaudi editore s.p.a, 1986, Torino

ELVIO GUAGNINI, Introduzione alla cultura letteraria italiana a Trieste nel '900, tipografia Villaggio del Fanciullo Opicina (TS), 1980, Trieste

ALBERTO DE BERNARDI e SCIPIONE GUARRACINO, I saperi della storia 3 il '900, Edizioni Scolastiche Bruno Mondatori, 2008, Milano


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