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Egitto (antichità)
Sullo scorcio del IV millennio, una potente spinta unitaria, ancora oscura nelle sue origini, portò all'unificazione - o, forse, alla federazione - di alcune piccole entità territoriali, stanziate sui margini del basso corso del Nilo, che intorno al 3000 a. C. appaiono organizzate in due Stati, probabilmente a regime monarchico: uno settentrionale, comprendente la vasta e fertile pianura del delta del Nilo, l'altro meridionale, comprendente la lunga e stretta fascia di terra bagnata dal corso medio del fiume, dopo la prima cateratta. Secondo l'antico storico Manetone - al quale si deve anche la suddivisione della storia dell'Egitto faraonico in tre grandi periodi (oggi detti Antico, Medio e Nuovo Regno) e in trenta dinastie - l'unificazione avvenne ad opera di un re del regno meridionale, Menes il quale assunse il titolo di ''re dell'Alto e del Basso Egitto'', rimasto poi titolo ufficiale dei faraoni. I limiti cronologici dell'Antico Regno sarebbero 3200-2270 ca. secondo alcuni, 2778-2200 circa secondo altri. Poco sappiamo delle prime due dinastie, durante le quali l'Egitto si consolidò come Stato unitario. Ma con la III dinastia, iniziata da Gioser (circa la metà del III millennio), la civiltà egiziana mostrò di aver già raggiunto un altissimo livello. Gioser portò la capitale a Menfi e fu il primo faraone a farsi costruire un grandioso e originale monumento funerario: la piramide a scalini di Saqqara. Con la IV dinastia si raggiunse l'apogeo dell'Antico Regno e si consolidarono le strutture politiche e amministrative dello Stato, organizzato come una monarchia autoritaria e accentratrice. Alla sommità vi era il faraone, che non era soltanto sovrano assoluto, ma il figlio di dio e dio stesso, incarnatosi per governare il mondo.
Sotto di lui, esecutore umano dei voleri del diore, vi era il visir, coadiuvato da una folta schiera di funzionari che nei gradi più elevati costituivano una vera e propria aristocrazia burocratica, dislocata spesso in provincia per ragioni di ufficio (il territorio dello Stato era diviso in 42 distretti o ''nomi'') ma gravitante sempre intorno alla corte. A partire dalla V dinastia (ca. 2480-2350), tuttavia, fu proprio questa aristocrazia, insieme alla casta sacerdotale, a spingere l'Egitto verso una grave crisi, esplosa nella seconda metà del III millennio, quando il particolarismo dei governanti distrettuali - i nomarchi -, che in molti casi avevano reso ereditaria la carica, e dei sacerdoti, nel tentativo di affrancarsi dall'autorità del faraone, provocò, forse attraverso lunghe lotte, una frattura nell'unità dello Stato. Ebbe così inizio quello che si indica come il ''primo periodo intermedio'', tra i più oscuri della storia dell'Egitto. La ripresa si ebbe con i faraoni dell'XI dinastia (2070-1991 ca.), con i quali inizia il cosiddetto Medio Regno, un'età tra le più luminose e prospere di tutta la storia egiziana. Ricostruita l'unità dello Stato e riaffermata l'autorità del faraone, si iniziò una politica di ampio respiro entro e fuori i confini del Paese; con Mentuhotep II e III, dell'XI dinastia, che spostarono la capitale a Tebe, e poi soprattutto con Amenemhat II e Sesostri III, della XII dinastia (1991-1778 ca.), che riportarono la capitale al Nord, si roalizzarono vasti programmi di riforme e di opere pubbliche all'interno (specialmente notevole la bonifica di El Faiyum, esteso territorio paludoso a sud di Menfi) e audaci piani di espansione all'esterno, che portarono alla conquista della Nubia e all'assoggettamento di vasti territori in Siria. Ma ancora una volta l'Egitto si avviò, con la XIII e la XIV dinastia (1778-1670 ca.), verso un lento declino che lo rese debole e impreparato di fronte ad un avvenimento del tutto nuovo nella storia egiziana: l'invasione (intorno al 1700 a. C.) di un popolo straniero, gli Hyksos, che, infrante le vacillanti difese, si impossessarono del Paese dominandolo per circa un secolo. La riscossa contro gli stranieri invasori, e insieme l'avvio verso un periodo di rinascita e di nuovo splendore, partirono ancora da Tebe, con Kamose e Ahmose, fondatori della XVIII dinastia (1570-1320 ca.). Con loro si fa iniziare il Nuovo Regno. Fu questo l'ultimo grande periodo della storia dell'Egitto faraonico, che si trasformò in una potenza militare, forse la più forte di quell'età. La Nubia, che durante il ''secondo periodo intermedio'' si era sottratta al dominio egiziano, fu riconquistata; la Siria, la Palestina, la Mesopotamia conobbero la potenza delle armi egiziane. Alla morte di Thutmose III, intorno al 1448 a. C., l'impero faraonico si estendeva dalla Nubia - dalla quarta cateratta del Nilo - all'Eufrate.
Qualche decennio più tardi una crisi religiosa arrestò, ma per breve tempo, il prospero cammino dell'Egitto. Iniziatore ne fu il faraone Amenofi IV (1377-1358) che tentò di affermare il culto del dio Aton (il disco solare) ai danni di quello di Ammone: perciò egli fondò una nuova capitale, Akhetaton, e cambiò addirittura il proprio nome in quello di Ekhnaton. Evidentemente dietro la crisi religiosa si nascondeva una crisi politica e la riforma di Amenofi aveva soprattutto lo scopo di limitare l'eccessiva potenza del clero tebano di Ammone. Comunque la crisi fu superata senza gravi scosse, alla morte di Ekhnaton, col giovanissimo Tutankhamon, che riportò la capitale a Tebe e ripristinò il culto di Ammone: così che quando, alcuni decenni più tardi, un altro popolo asiatico, gli Ittiti, minacciò l'impero egiziano, questo era saldo e prontamente reagì bloccando l'invasione. Sulla fine del XIII sec., tuttavia, un'altra più grave minaccia sovrastò l'Egitto l'invasione dei ''Popoli del Mare'' - indeuropei - che si abbatté sulle sponde del Mediterraneo orientale distruggendo l'impero ittita e minacciando seriamente quello egiziano. Dopo una lunga serie di scontri di esito incerto, fu Ramesse III (1197-1165), della XX dinastia, l'ultimo grande faraone d'Egitto, che scongiurò definitivamente il pericolo. Ma l'impero egiziano uscì logorato dalla lotta, sgretolato ai margini ed ebbe inizio, da allora, una lunga, inarrestabile decadenza. All'interno riacquistò vigore l'antico particolarismo di tipo feudale, mentre le milizie mercenarie nubiane e libiche negavano l'autorità centrale, giungendo a fondare proprie dinastie, e la stessa autorità religiosa si poneva in posizione di antagonismo rispetto a quella politica. All'esterno, le province orientali e meridionali dell'impero non riconobbero più l'egemonia egiziana, mentre pericolosi focolai di rivolta covavano nelle zone occidentali; tentativi di restaurare l'antica autorità - come quello di Sheshonq I, fondatore della XXII dinastia, che invase la Palestina e conquistò Gerusalemme alla morte di Salomone - non ebbero seguito. Dopo un lungo periodo di anarchia (XXIII-XXV dinastia), dominato dalle lotte tra sovrani libici ed etiopici che si contendevano il dominio del Paese, avvenne, inevitabile, l'invasione straniera: fu prima la volta degli Assiri, che invasero a più riprese l'Egitto fra il 671 e il 664 a. C. e saccheggiarono la stessa Tebe. Seguì, con la XXVI dinastia (663-525), un periodo - detto saitico, dalla capitale Sais - di relativa floridezza, ma nel 525 a. C. la conquista persiana ridusse definitivamente l'Egitto al rango di provincia di un grande impero. L'età faraonica si conclude ufficialmente con la conquista di Alessandro Magno (332 a.C.), accolto dagli Egiziani come un liberatore. Benché alla morte di Alessandro, però, l'Egitto si ricostituisse in monarchia indipendente sotto Tolomeo di Lago - capostipite della nuova dinastia detta appunto dei Tolomei o dei Lagidi, che resse per tre secoli il Paese - esso era ormai aperto all'influenza greca. La stessa monarchia dei Lagidi, che doveva rinnovare la potenza e la floridezza delle più felici epoche faraoniche, fu una monarchia indipendente, ma non nazionale. Alessandria, la nuova capitale fondata dal conquistatore macedone, diventò il centro della cultura ellenistica, detta anche, per antonomasia, alessandrina. All'epoca della conquista romana, in seguito alla battaglia di Azio (31 a.C.), l'Egitto era ormai completamente ellenizzato: perfino la lingua ufficiale dello Stato non era più l'egiziano ma il greco. Alla morte di Teodosio l'Egitto entrò a far parte dell'impero romano d'oriente, restando ancora nella sfera d'influenza greca fino alla metà del VII sec. d.C., con la breve parentesi di un'invasione persiana fra il 616 e il 627.
Il complesso delle credenze egiziane sfugge a un'esposizione organica e sistematica per il frazionamento geografico dell'Egitto, il mutare degli eventi e delle concezioni e infine il fondamentale eclettismo religioso degli Egiziani, pronti ad accogliere credenze apparentemente in contrasto fra di loro e a mantenerne altre ormai sorpassate. In mancanza di trattati organici esistono - oltre ai racconti degli autori classici, spesso travisatori del vero fenomeno religioso - fonti indigene consistenti in testi e monumenti figurativi. Tra gli importantissimi testi di carattere e uso funerario ricordiamo in ordine di tempo: i Testi delle Piramidi, i Testi dei Sarcofagi (chiamati dagli egittologi Libro dei Morti) raccolte estremamente eterogenee comprendenti formule magiche e d'offerta, rituali, inni, ecc., prima riservate al solo sovrano, poi passate anche ai privati. Tra quelle a carattere non funerario si hanno testi mitologici e magici, inni a divinità e infine resoconti di templi, dediche, iscrizioni storiche o racconti con accenni a pratiche religiose o a fatti del mito. Il frazionamento geografico ha dato luogo fin dalla preistoria, a tutta una serie di divinità locali, il cui aspetto originario si è spesso modificato in seguito ad avvenimenti storici. Alcuni dei avevano aspetto animalesco o umano con testa animale, probabilmente più come marchio di qualità superumana (spesso il nome stesso dell'animale è un aggettivo e ne indica l'aspetto o la qualità) che non come ricordo di un originario culto totemico. Molti animali erano ritenuti esseri divini o loro incarnazioni, quindi venerati e dopo la morte imbalsamati e sepolti: come il toro Apis a Menfi, l'ariete a Mende e inoltre il falco, l'ibis, il coccodrillo, il gatto, il babbuino, l'ippopotamo, talune varietà di serpenti, ecc. Si hanno così, procedendo da Sud verso Nord: a Elefantina il dio Khnum a testa di ariete, custode delle acque del Nilo e dotato di capacità creatrice, con le dee Sati e Anuki, a Edfu una forma del dio falco Horo, a El Kab la deaavvoltoio Nekhbet, a Hierakonopolis un'altra forma di Horo, a Tebe il dio guerriero Mont, poi soppiantato da Ammone e dalla sposa Mut. A Copto, presso la carovaniera che portava al Mar Rosso, era venerato il dio Min, itifallico, a testa umana fin dall'origine, venerato anche ad Akhmim; a Dendera la dea Hathor, spesso rappresentata in forma di giovenca. Dei con aspetto canino, protettori dei morti, erano oggetto di culto ad Abido, a Cynopolis, a Siut con i nomi rispettivamente di Khenty Amentyu, ''il primo degli occidentali'', Anubi e Wewaut, ''colui che apre le strade''. A Hermopoli si venerava Thot, dio della saggezza e della Luna rappresentato ora come ibis e ora come cinocefalo; nel Faiyum, zona di laghi bonificata durante la XII dinastia, un dio coccodrillo, Sobek; a Menfi, Ptah, patrono degli artefici, con la sposa Sakhmet a testa di leonessa e il figlio Nefertum, in origine un fiore di loto; a Sais la divinità locale era Neith, a Busiri Osiride, a Behbet Iside; vi erano poi molte divinità minori. Altre divinità, pur essendo venerate specialmente in alcune città, godevano anche di un culto esteso a tutto il regno. Così le divinità cosmiche Ra (il Sole), Gheb e Nut (la Terra e il Cielo), le grandi divinità funerarie, come Osiride e Iside, gli dei nazionali come Horo e Ammone. Alcune città avevano sviluppato poi un loro sistema teologico tendente a illustrare le origini e la finalità del cosmo. A Heliopoli la cosmogonia s'incentrava su Atum (''il completo''), ben presto assimilato a Ra (Atum-Ra) cui erano legati gli altri otto dei per generazioni successive: Atum generò Sciu (l'aria) e Tefnut (forse l'ipostasi femminile di Sciu) e da questi nacquero Gheb e Nut, che a loro volta diedero origine a Osiride, Iside, Seth e Nefti, che costituirono altre due coppie. In tutto erano nove dei, che venivano comunemente contraddistinti come ''la grande enneade''. Una seconda cosmogonia elaborata a Hermopoli faceva derivare da un caos liquido (Nun) un tumulo di terra sul quale, da un uovo misterioso, era nato il Sole bambino. Numerosi miti univano tra loro gli dei; il più noto era quello di Osiride, ucciso dal fratello Seth, resuscitato per opera della sua sposa Iside e vendicato prontamente dal figlio Horo. Questo quadro religioso, tuttavia, non si mantenne immutato, ma subì un complesso svolgimento storico. In età preistorica le credenze nell'aldilà e il culto dei morti sono testimoniati dalle sepolture e dai loro corredi. Per il resto data la mancanza di fonti scritte, possiamo ricostruire solo pochi aspetti, confortati dai ritrovamenti archeologici. Si è già fatto cenno al culto degli animali; inoltre è accertato che, per quanto più raramente, si veneravano piante e oggetti, quali pilastri, sisti (o scettri), pietre. All'inizio dell'Antico Regno si formarono o si stabilizzarono gran parte dei culti che continuarono poi in età posteriore, si tentò una sistemazione del pantheon, necessaria dopo l'unificazione e la fine delle indipendenze locali, e si formularono i primi sistemi teologici. Durante l'età menfita, il periodo fiorente dei costruttori delle grandi piramidi, la figura del re acquistò un risalto sempre maggiore anche nell'ambito della religione. Il faraone è la personificazione terrena di Horo, veglia sul benessere dei suoi sudditi, ne è il solo responsabile; i grandi monumenti funerari che sono elevati in suo onore proteggono anche il suo popolo. I sudditi fedeli restano sotto la protezione del sovrano anche dopo la morte: la tomba e le offerte funerarie stesse sono fatte in nome del re. La religione funeraria presentava in quest'epoca varie contraddizioni: il morto, se è un privato, può sopravvivere come stella, oppure viaggiare in un mondo sotterraneo, dove il Sole si rifugia dopo il tramonto. se è re sale al cielo nella barca di Ra. Grande importanza si annetteva alla conservazione del corpo del defunto: ciò si rivela nell'uso della mummificazione, apparso in tempi antichi e sviluppatosi ad altissima perfezione nel Nuovo Regno. A una concezione realistica dell'aldilà, immaginato simile alla vita terrena, si connetteva poi la credenza che il defunto fosse costretto a lavorare: per evitargli questa fatica, si ponevano nella tomba figurine di uomini che, chiamate in vita con formule magiche, dovevano lavorare per lui. Questa concezione subì una dura scossa alla fine dell'Antico Regno quando una violenta rivoluzione pose fine alle dinastie menfite, distrusse i privilegi ed estese in un ambito più ampio i vantaggi, anche religiosi, delle classi dominanti, facendo sorgere un'esigenza di uguaglianza tra gli uomini, di giustizia (maat) di norme morali. Anche i morti non sono più distinti, tutti diventano nell'aldilà personificazioni di Osiride e il loro destino è sottomesso a un giudizio in cui si pesano, davanti agli dei dell'oltretomba le azioni giuste e malvage compiute in vita (psicostasia). Solo ai giusti sarà concessa l'eterna sopravvivenza, i malvagi moriranno di nuovo e definitivamente. Né mancarono in quest'epoca esempi di sfiducia in una possibile sopravvivenza, con conseguente invito a godere le gioie della vita finché si è in tempo. Il Medio Regno restaurò il vecchio ordine nel Paese. In questo periodo l'origine tebana dei faraoni dell'XI dinastia portò a grande importanza il culto di Ammone, un oscuro dio locale, che ben presto divenne il dio nazionale, talvolta assimilato a Ra nella forma Ammone-Ra. in suo nome vennero combattute le lotte d'indipendenza contro il dominio degli Hyksos; a lui il sovrano consacrava templi fastosi e dedicava le prede di guerra, con il risultato concreto che i templi si arricchirono notevolmente e il clero di Ammone assunse uno straordinario potere che scavalcava in qualche caso la stessa autorità regía. Nuove concezioni e nuove esigenze religiose penetrarono frattanto nel mondo egiziano attraverso le conquiste di Paesi stranieri e i contatti con popolazioni asiatiche. Tutto questo sfociò, verso la fine della XVIII dinastia, in una rivoluzione religiosa voluta da un sovrano, Amenofi IV, strana figura mista di poesia e di fanatismo religioso, non priva di un certo intuito politico. Egli abolì violentemente il culto di Ammone e degli altri dei per sostituirlo con il culto monoteistico e a carattere naturalistico del disco solare Aton cambiò anche il proprio nome da Amenofi (Ammone è contento) in Ekhnaton (Colui che è gradito ad Aton) e in onore del nuovo dio fondò anche una nuova capitale: Akhetaton. Questo straordinario tentativo però non sopravvisse al suo autore, la cui memoria venne anzi violentemente cancellata dai monumenti e dalle iscrizioni. Il culto di Ammone fu restaurato in tutto l'Egitto, protettore delle imprese guerresche dei sovrani ramessidi, e il suo culto rifiorì anche fra gli umili operai e artigiani, invocanti il favore, l'aiuto, il perdono del dio con accenti di commovente intimità. Si diffusero anche divinità straniere, soprattutto siriane. Il sacerdozio di Ammone finì col trionfare sulla sempre più debole monarchia e vi fu un periodo in cui il dio governò direttamente attraverso i suoi sacerdoti e le sue spose terrene, ''le divinità adoratrici'', fenomeno questo tuttavia più politico che religioso. In bassa epoca l'esperienza religiosa si frantumò in una serie di piccoli culti a divinità locali, a esseri semi-divini, geni o personaggi divinizzati. Anche nei confronti delle divinità tradizionali l'atteggiamento si fece più libero e la letteratura gettò talora il ridicolo sulle lotte e le vicende degli dei. Si diffuse sempre più il culto degli animali; la superstizione e il ritualismo si sostituirono spesso alla profonda religiosità dei tempi più antichi, le pratiche magiche assunsero un'importanza sempre crescente. L'età greca con le esigenze religiose dell'ellenismo ricercò nella religione egiziana elementi comuni alla propria religione, identificando con gli dei egiziani i propri dei, vedendo nei sacerdoti egizi i depositari di un'antica saggezza. Di qui una ricerca dei culti minori, una sistematizzazione delle credenze, una cura indefessa nel restauro e nella costruzione dei templi. È questo tipo di religione, sincretistica e arcaicizzante, che si diffuse, anche in età romana, oltre i confini dello stesso Egitto. Il cristianesimo penetrò nell'Egitto nel I sec. e una tradizione ne attribuisce l'evangelizzazione a San Marco; nel II sec. era già diffusissimo tanto che Alessandria divenne uno dei centri teologici più importanti del cristianesimo dei primi secoli.
L'egiziano appartiene, assieme al libico-berbero e al cuscitico, al gruppo camitico e presenta analogie con i linguaggi semitici: le consonanti ripetono sostanzialmente il fonetismo cananeo-ebraico e numerose voci sono identiche in entrambi i gruppi. Nella scrittura geroglifica non compaiono le vocali, ma esse si possono grosso modo ricostruire nei vocaboli rimasti nel copto e in quelli semitici o greci. Caratteristica fondamentale della lingua è il trilitterismo: ogni parola è composta generalmente da tre consonanti e può essere modificata con prefissi o suffissi; la costruzione è paratattica (proposizioni tutte principali). I documenti scritti più antichi risalgono al 3250 a.C., gli ultimi scendono fino al sec. V d.C. Un documento del sec. XIII a.C. rivela la presenza di dialetti con differenze piuttosto notevoli. Nel corso di circa 40 secoli la lingua subì mutamenti nella fonetica nella morfologia e nella sintassi: passaggio di s a t, di z a s, di g a h, di q a g, ecc. Ignoto ci è invece il linguaggio corrente degli Egiziani. Fino all'VIII dinastia fu di uso incontrastato l'antico-egiziano; nel Medio Regno (XI-XVII dinastia) accanto ad esso sorse il medio-egiziano (meno castigato e più corrente) per i racconti, le biografie e le pratiche commerciali. Con la XVIII dinastia s'impose il neo-egiziano e da questo si svilupparono, più tardi, il demotico e il copto. Nel periodo tolemaico-romano s'intensificò lo studio della lingua antica e le opere di quel tempo sono piene di arcaismi.
L'antico Egitto ci ha tramandato una produzione letteraria estremamente abbondante e articolata, sia per l'esteso arco cronologico cui essa si riferisce sia per la varietà dei generi e dei mezzi espressivi posti in opera. Dall'età più arcaica (V dinastia; XXV sec. a.C.) ci giunge la composita raccolta dei Testi delle Piramidi, una serie di formule, inni, narrazioni di tipo rituale, caratterizzata dal più ampio e complesso gioco delle immagini e delle allusioni, con artifici formali che appaiono già provvisti di un solido retroterra. Più controllata e stereotipa, la produzione di tipo tecnico dell'epoca (rituali di vario tipo, decreti regi, testi di carattere medico) mostra già le principali linee di sviluppo della letteratura posteriore e, in parallelo la narrativa storica regia trova i suoi inizi in testi concisi, quella biografica si esercita già in pacate narrazioni volte a cercare la causalità tra gli eventi (come nell'Autobiografia di Uni, della VI dinastia) e la letteratura sapienziale (come nell'Insegnamento di Ptahhotep) affronta fin d'ora i problemi dei rapporti con il prossimo e dell'essenza della saggezza. In tutti questi generi si rispecchiano la pienezza di vita e l'ordinato interesse per l'esistenza quotidiana propri dell'età delle prime dinastie. Nella successiva età feudale (dalla fine della VI dinastia) troviamo accenti ben diversi: dubbi e problematiche sociali, istituzioni nel disgregamento di una fase di transizione si rispecchiano in composizioni varie, dalle Ammonizioni ascritte a Ipu-ur, dense di impegno nella descrizione della realtà sociale, al racconto del Suicida (la discussione di un uomo con la propria anima sull'opportunità di vivere o meno). L'Istruzione per Merikara, di tipo sapienziale, è un opuscolo politico sulle responsabilità del regnante: in essa, come nel racconto (forse più tardo) dell'Oasita eloquente, troviamo la tensione e l'appassionato impegno di quest'epoca, l'attento studio dei rapporti di tipo politico e sociale. Rispetto alla sfiducia dell'età feudale, l'epoca del Medio Regno (XXI-XIX sec. a.C.) segna una fase di rinnovamento degli interessi e di maggiore coralità. Lo testimoniano sia il testo sapienziale di ambito politico attribuito a Neferty, con accenni profetici sulla restaurazione dell'ordine sia l'Insegnamento al figlio Sesostri I (XII dinastia), permeato di forte realismo nella valutazione dell'uomo solo di fronte ai pericoli, sia la Satira dei mestieri, testo scolastico molto apprezzato nell'Egitto di età posteriore, in cui l'elogio della cultura (cioè delle professione di scriba) si accompagna a un acre umorismo sulle miserie delle altre occupazioni. Più coscientemente narrativo è il racconto di Sinuhe, divenuto presto un classico nelle scuole egiziane, della tarda fase di quest'epoca: i rapporti dell'''uomo del Delta'' con i barbari siriani, il duello con il capo straniero, il ritorno dell'esule in Egitto, la sua fine onorata mostrano un impianto letterario di respiro senza precedenti in Egitto, insieme ad un interesse per il mondo esterno che comincia ad imporsi al termine del Medio Regno. L'età della XVIII dinastia è appunto caratterizzata dall'espansione militare in Asia: dagli eventi politici deriva una maggiore attenzione letteraria al mondo esterno, mentre il gusto si raffina con il benessere economico. La controparte è un calo di passione e tensione creativa di cui è documento la Stele poetica, un inno al dio Amon Ra composto all'insegna della meccanicità e della ridondanza di immagini. Più stringente il resoconto delle imprese di Thutmose III, con precisione di annotazioni e scarsi elementi encomiastici, ma anch'esso presentante un ''filtro'' stilistico tra la vicenda e il suo più aulico resoconto. Una vena di distacco curiale segna anche la letteratura religiosa e solamente verso la fine della dinastia, con Thutmose IV e Amenofi III, troviamo accenti di minore freddezza e un sommovimento nelle capacità poetiche che culmina nella fase di appassionato misticismo sotto Amenofi IV-Ekhnaton. L'Inno ad Aton, attribuito al sovrano, è ricco di novità linguistiche e stilistiche, di profonda ispirazione religiosa, di impegno e moralismo. La restaurazione dopo Ekhnaton porta ad un nuovo mondo di cultura. Nuove classi, nuove forze si esprimono letterariamente in senso anti-tradizionalistico: una maggiore franchezza marca l'espressione una forte tensione di ricerca apre la via all'uso del neo-egiziano come lingua letteraria e al potenziamento delle scuole scribali. Ricordiamo le Miscellanee, collezioni di scritti scolastici: lettere, liste, brani estrapolati da vari contesti sono uno specchio concreto di questo afflato al nuovo, congiunto con l'uso accorto della tradizione. La Lettera polemica tra due scribi (uno militare, l'altro civile) riprende i temi della satira dei mestieri, della descrizione degli Asiatici, con un nuovo interesse per il particolare e il quotidiano - specie se comico e sapido -, per l'elencazione e l'esagerazione insieme. Nella novellistica neoegiziana, il Racconto dei due fratelli, di impianti in parte mitologico, è superato in qualità dal Giudizio tra Horo e Seth, in cui una ricca serie di storie mitiche si affianca in una narrazione organica. La lirica d'amore mostra di derivare da certa cultura popolare, che ad essa fornisce ricchezza e musicalità d'immagine, pur se il freno stilistico non viene mai a mancare: fantasticherie, intrecci psicologici, sensualità marcano i migliori esempi di questo genere. Nella letteratura epigrafica il Poema di Qadesh (celebrante la vittoria di Ramesse II sugli Ittiti) riecheggia tutta la migliore tradizione annalistica, pur usando tecniche espressive diverse e in tal modo rispecchiando fedelmente la novità, la complessità, la ricerca di tutto il periodo ''neo-egiziano''. L'età tarda abbraccia il periodo dall'XI sec. alla fine del I millennio: pur se ricca di differenziazioni interne, essa mostra una sostanziale unità in quanto periodo di relativa crisi e chiusura. La civiltà egiziana si isola progressivamente dalla storia mediterranea; in parallelo essa presenta un tenace attaccamento al proprio passato culturale. Nell'ambito di una continuazione di tutti i generi letterari precedenti, dalla sapienza al racconto, dall'annalistica alla lirica, si segnala per compiutezza stilistica il resoconto del Viaggio di Unamon. Il tono si è fatto cupo e pessimistico: la descrizione dell'Asia manca dell'afflato al nuovo di Sinuhe e del brio ironico della Lettera polemica; l'indagine psicologica si spinge oltre i risultati precedenti forse per contrappeso ad una scarsa fiducia nel divino e nella società insieme, che resta per noi come emblematica della tarda civiltà letteraria egiziana.
ARTE
Le manifestazioni artistiche dell'Egitto antico appaiono scaglionate in un periodo di tempo assai lungo (circa 3000 anni) senza però che venga mai meno una fondamentale unitarietà stilistica basata su un fortissimo senso della tradizione. Il compito dello studioso d'arte egiziana, se da un lato è facilitato dal fatto di trovarsi sempre di fronte a opere originali, dall'altro è ostacolato dalla mancanza di fonti scritte contemporanee che mostrino l'atteggiamento degli Egiziani verso il problema artistico. Un'altra difficoltà sorge dall'anonimato in cui sono avvolte le antiche opere egiziane e se anche in alcune di esse scopriamo l'impronta di una forte personalità artistica, la documentazione in nostro possesso non ci offre nessun elemento per identificarla. Le botteghe artistiche erano quasi sempre connesse con l'ambiente della corte e del tempio e ciò spiega sia la continuità di una tradizione, sia le straordinarie possibilità di adeguamento che anche le manifestazioni artistiche rivelano rispetto a certi repentini mutamenti della politica regale. Tra gli elementi immutabili dell'arte egiziana sono senz'altro le caratteristiche che ne regolano il ''linguaggio'': la rappresentazione del corpo umano come complesso di elementi frontali e laterali (la testa, p.e. è di profilo, ma l'occhio e il busto sono di faccia), la mancanza di prospettiva, i canoni di misura che regolano le proporzioni del corpo, la geometrica semplificazione dei volumi. Ciò che resta dell'arte preistorica proviene nella quasi totalità dalle tombe (necropoli di el-Badari, Abido, Naqada, ecc.): vasi in alabastro o in terracotta con semplici decorazioni incise o dipinte, con figurazioni geometriche o naturalistiche in bianco su fondo rosso o in rosso su fondo bianco-giallino; piccole statue di uomini o animali di terracotta o di avorio; oggetti da toeletta come pettini, spilloni, tavolette in scisto per polverizzare il belletto, spesso in forma di profili animali. All'inizio dell'età storica queste palette si arricchiscono di figurazioni, che talora acquistano una grandissima importanza storica, come la tavoletta del re Narmer con rappresentazioni della lotta e della vittoria del Sud sul Nord, con cui ebbe inizio il regno unificato. In questo periodo si nota una decisa volontà di ordine e di definizione: la libertà decorativa dell'età preistorica cede il campo a rigorose ricerche stilistiche i cui risultati sono validi per tutta l'arte egiziana anche dei periodi successivi. Nasce in questa epoca l'architettura monumentale, che si esplica soprattutto nelle sepolture dei sovrani e dei grandi funzionari, le cosiddette mastabe, grandi edifici in mattoni crudi con una parte sotterranea riservata alla sepoltura e alla conservazione del ricchissimo corredo funebre e una parte in superficie, a pianta rettangolare, articolata in una serie di nicchie susseguentisi per tutto il perimetro. Scarsi sono i resti della statuaria. Con la III dinastia un impulso fondamentale viene dato all'architettura dall'introduzione su larga scala della pietra. Il complesso più importante di questo periodo è il recinto funerario del faraone Gioser a Saqqara comprendente vari edifici destinati al culto.
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