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In passato la piazza era il luogo dove si decideva la vita della città, in un incrocio di politica e società dove si aggregavano i pensieri per poi riversarsi sulla gente e sullo spazio circostante.
Nella modernità le piazze si svuotano, restano solo i monumenti e scompare l'umanità; le piazze d'Italia di De Chirico sono popolate da statue e architetture inquietanti, sagome di ciminiere all'orizzonte, dove l'umanità sembra scomparsa, l'essere umano appartiene ad un passato ormai scomparso ed ora popolano il mondo solo oggetti e luoghi inanimati.
Giorgio De Chirico essendo profondamente legato alla cultura classica ha ben presente la piazza del foro romano e dell'agorà greca, si ispira a queste ultime ma le svuota completamente, ne toglie il volto umano, è una visione nuova e deformata dell'ambiente posta in una ambiente illogico simbolo dell'età contemporanea piena di simboli da decifrare.
Le opere metafisiche di De Chirico, personaggio inquietante ed enigmatico, contraddittorio ed incomprensibile, sono caratterizzate da un diversificato ventaglio di soggetti e tematiche, tutte legate alla sua formazione culturale (la Grecia e il mito, la filosofia e la letteratura) e dall'enorme capacità percettiva dell'artista, che riesce a guardare dentro la realtà, e distorcere la fisicità in una nuova dimensione. Dai manichini alle piazze, dai cavalli alle nature morte, dai ritratti ai paesaggi.
Come nasce un quadro metafisico? Come si può modificare la realtà eppur rappresentarla? L'artista stesso ce lo suggerisce in un commento al suo primo quadro metafisico, (Enigma di un pomeriggio d'autunno del 1910)
".in un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue opere strette al proprio corpo e il capo coronato d'alloro pensosamente reclinato. Il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all'occhio della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento è un enigma per me, in quanto esso è inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera ad esso riservata".
Anche nei quadri di De Chirico la piazza muta. Non è mai statica esistenza, ma è la vita che si muove, che costruisce che perde gli accenni all'antichità e ne cerca di nuovi, tra le ombre dei portici e il desiderio di luce.
E poi ad un tratto, quando la presenza umana si è rilegata a sagome abbozzate e piccoli segni, rifiuti che non si possono rinnegare, né cancellare, arrivano i manichini, la nuova umanità, la filosofia, la saggezza, il pensiero. Allo stesso tempo ispirati ma dissimili da quelle figure che le piazze avevano ospitato fino ad ora.
C'è un messaggio che bisogna capire scorgendo nei colori caldi e fermi, privi di vibrazioni atmosferiche, in quella luce bassa opposta alle lunghe e definite ombre. Lo spazio, il nostro spazio, si è fatto allucinante. E' un luogo sognato? Esiste ancora la vita? Il filtro della mente e l'intuizione del genio.
Le nostre piazze come quelle di De Chirico. Piazze d'Italia popolate di manichini, siamo noi e sono loro, luoghi veri dalla logica impossibile, dove non c'è più il tempo, ma orologi fermi e treni che vanno, e che non arriveranno mai.
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