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Dall'Edipo "accecato" all'Edipo salvato
Sogno d'un ombra,
l'uomo.
Ma quando, dono di Dio, un raggio venga,
fulgida luce sovrasta allora
gli umani è dolce vita.
-Pindaro, Pitica VIII-
Edipo, l'uomo di successo, il cui nome tutti conoscono; l'uomo reietto il cui nome tutti hanno orrore di pronunciare..
L'uomo che, con la sua ansia di sapere, ha contribuito lui stesso alla sua disgrazia: Tiresia, che già sa tutto, si era mostrato reticente alle sue domande incalzanti sull'assassino e, una volta pronunciata la terribile verità, non viene creduto; anche Giocasta vuole proteggerlo dalla scoperta di questa (si veda, in particolare il terzo episodio, vv.1054-1068), perfino il messaggero ed il servo.
Edipo, però, non si arrende.Egli porta su di sé due responsabilità che gli impediscono di non desiderare la conoscenza della verità: quella verso il suo popolo afflitto dalla peste e quella verso se stesso, che si radica in lui, dopo aver scoperto, (sempre nel Terzo episodio), di non essere il figlio del re di Corinto.
Queste due ricerche, dell'identità del colpevole e di lui stesso, sembrano inspiegabilmente legate a doppio filo e coincideranno drammaticamente, nell'ultima battuta di Edipo del Quarto episodio:
"Ahi, Ahi! Ogni cosa risulta chiara! O luce, possa adesso, per l'ultima volta, vederti, io che mi sono rivelato nato da chi non dovevo, unito con chi non dovevo, e assassino di chi non dovevo."
In questi pochi versi, Edipo ha compreso,finalmente, tutta la verità: sulla sua identità di figlio e di sposo della madre, di assassino del padre e quindi, di contaminatore della città e, come tale, vittima della sua maledizione (vv.246-251: ".Impreco contro colui che ha compiuto il delitto e prego, inoltre, qualora il colpevole fosse partecipe del mio focolare, essendone io a conoscenza, di subire, io stesso, le maledizioni che ho lanciato verso costoro.")
Il peso di questa realtà, è però, troppo grande per lui che, seppure inconsapevole, non riesce a perdonarsi, per aver infranto ciò che impongono le più elementari leggi della morale, alle quali egli faceva riferimento, come tutti gli uomini giusti, né per non essere stato in grado, lui risolutore di enigmi, di usare la ragione nel modo giusto, cercando, se non di evitare l'accaduto, (cosa che egli aveva in buona fede tentato, allontanandosi da quelli che credeva fossero i suoi genitori), di comprendere prima la realtà.
A questo punto, in lui, irrimediabilmente colpevole, "naufraga" ogni certezza di conoscenza della realtà e con essa, ogni conclusione logica, l'intera ragione e anche lui stesso.
Egli, così, annichilito nelle parti più profonde del suo essere, si acceca, autopunendosi per non essersi fidato del responso degli dèi, senza rendersi conto del limite della ragione umana. I Greci, infatti, a sovrastare la potenza di questa facoltà tutta umana, ponevano la c il Fato che, superiore persino agli dèi, dirigeva dall'alto, le vite umane, distribuendo a caso, o meglio, per ragioni incomprensibili agli uomini, gioie e dolori.
E all'uomo, allora quale libertà resta?
Questa è la domanda che si pone Edipo, e ancor prima di lui, il suo creatore Sofocle che, emblematicamente, sembra fornirci, nel finale del suo primo capolavoro, una risposta: la libertà di cercare, almeno per quanto gli sia possibile, di evitare il male per se stessi e per i propri cari, tenendo sempre presente l'imprevedibilità della vita. Una domanda che è sullo sfondo della seconda parte delle vicende esistenziali dell'eroe tebano:" Edipo a Colono". Quest'opera si apre con l'apparizione di un vecchio lacero e cadente, sorretto con amore e pietà da una fanciulla. E' Edipo, ormai giunto al tramonto della sua vita di peregrinazioni, proprio come il suo creatore, Sofocle, il cui suddetto componimento costituisce "l'addio al teatro". La giovinetta che gli sta accanto è Antigone, una delle sue figlie-sorelle, che incarna il coraggio di andare oltre il male compiuto inconsapevolmente, guarendo le ferite di una colpa enorme con l'amore. E' già questa una prima "salvezza" per Edipo, alla quale si aggiunge la mano tesa di Teseo, nella cui terra il mendicante è giunto. Terra baciata dal sole e dagli dèi, con i grappoli di narciso e le fonti di acqua chiara, che ricorda "l'isola dei beati". Teseo lo accoglie con generosità, consapevole di essere anche egli mortale e "non più re di lui sui giorni del domani" [1] e promettendogli di "dargli sepolcro", dove è "fermo destino che egli rimanga sempre" .(Da notare che, Edipo, in questa seconda parte della sua vita, si affida alla sapienza oracolare e quindi agli dèi). Prima però, di giungere all'estremo passo, deve affrontare, ancora una volta, il mondo d'odio e rancore che egli si è creato intorno: Creonte e il figlio-fratello Polinice. Entrambi, sono ridotti ad esuli anch'essi, l'uno perché considerato, in quanto cognato e zio di Edipo, "impuro" e quindi bandito dalla città e privo di patria potestà, l'altro scacciato dal fratello perché aveva avanzato diritti sul trono e, pur non avendo dimostrato pietà per il loro consanguineo, costringendolo ad andarsene da Tebe, ora, prima l'uno, poi l'altro,si presentano supplici davanti a lui.
Creonte, la cui arma più potente è la lingua, con un ipocrita discorso, simula disinteressata compassione per Edipo e Antigone, tentando di muovere i sentimenti del vecchio con l'esposizione dei pericoli e delle miserie che deve affrontare la fanciulla.
Edipo, però, non si lascia ingannare e reagisce con aspra violenza, non ora, ma quando la sua sventura era fresca avrebbe dovuto soccorrerlo.
Egli, con la saggezza dell'esperienza, già sa quale sia il suo piano: riportarlo nella sua patria per fargli condurre una vita da reietto.
Di fronte ad un rifiuto che non lascia speranza, Creonte getta la maschera e minaccia Edipo di strappargli la figlia Antigone per costringerlo a seguirlo.Per convincerlo delle sue intenzioni, gli comunica di aver già preso in ostaggio Ismene, l'altra sua figlia. Così anche Antigone è strappata a viva forza dagli uomini di Creonte, ma è tratta in salvo da Teseo.
L'atteggiamento di Polinice, invece differisce da quello di Creonte: la vita del padre sfinito e coperto di stracci, squarcia il suo egoismo giovanile e gli suggerisce pietosi accenti di pentimento.
Chiede il perdono, ma il padre tace.
Infine, da un'incolmabile distanza scavata dal dolore e dal tempo, non vinta nemmeno dall'intercessione di Teseo; da un "labbro di padre ad ogni voce chiuso" non scende altro che la maledizione del figlio tebano che lo respinse ed ora gli si prostra supplice. E nemmeno questa fatale certezza, lo piega alla rinunzia e all'amore.
Così, Edipo, carico di tutto il suo odio, è pronto per andare verso la morte come uomo mortificato dal dolore.Egli respinto ogni aiuto, si avvia verso il bosco sacro di Colono, siede, dove riposano eterni i cimeli di Teseo e Piritoo, prega le figlie, che lo seguono attonite, di attingere acqua pura di sorgente, per la purificazione.
Poi un tuono, la voce di un Dio: <<Edipo, Edipo!O tu, o tu, che mai s'attende ancora? E' lungo ormai, da parte tua l'indugio>>.
Sentendosi chiamato da un dio, il mendico cieco, abbraccia con commozione le sue figlie, una scena di estrema tenerezza. Poi, come stabilito dall'oracolo, va incontro alla morte, accompagnato solo da Teseo:"Io non guidato più, del tutto libero, ecco ti guiderò verso quel luogo che il fato attende il mio morire".Egli, dice anche a Teseo, che il suo sepolcro proteggerà per sempre la generosa città di Atene, che lo accolse, a patto che non riveli a nessuno il posto esatto dove giacerà.
Dopo ciò, Edipo, è circondato di luce e scompare.Egli ha trovato la tanta sospirata pace, abbandonandosi al "naufragio ultimo" della sua esistenza. La sua morte, nella perdita totale, darà seguito a battaglie e azioni e lo costituirà una sorte di demone per la città di Atene. Quasi, un immortale, da misero mortale. Finalmente, infatti, è stato assolto dagli dèi, resisi conto della sua innocenza ed è stato salvato, simbolo della fede religiosa nel metafisico. Una fede che verrà meno nell'età moderna, nella quale non c'è spazio per "deriva di salvezza"così impregnata d'"Assoluto".
N.B.
Le tesina di Greco è stata sviluppata dopo la lettura in traduzione italiana di:
Sofocle, "Edipo re"
Sofocle,"Edipo a Colono"
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