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"CON IL CUORE A FORMA D'AFRICA"
Giulia Milantoni
V° B Liceo delle Scienze Sociali
Anno scolastico 2008/09
"Sono convinto che esistano al mondo persone nate in una patria che non è la loro e che soffrano di nostalgia per una terra che non hanno conosciuto.
La casa dove vissero da bambini, le strade dove giocarono, non hanno fascino per loro.
Forse si tratta di un bizzarro fenomeno di atavismo che spinge alcuni individui, pellegrini erranti, verso i luoghi che i loro antenati abitarono secoli e secoli prima."
Aldous Huxley
INDICE
Introduzione
-Asante Sana Africa
S. Sociali:
-Tra coriandoli di etnie: il Kenya e la sua gente
-La donna: le braccia dell'Africa
-Mal D'Africa
Letteratura:
-Dalla Svizzera all'Africa per inseguire un sogno: "La masai bianca".
Storia vera di una passione africana
Storia:
-Nelson Mandela: eroico combattente per la libertà
Filosofia:
-La "Grande Anima": Gandhi
Diritto:
-L'Unicef
Inglese:
The African culture in the Chinua Achebe's work the novel
Matematica:
-Dati statistici sull'infanzia (Kenya)
ASANTE SANA AFRICA
E' uno strano e struggente richiamo che non riesco a spiegare, perché non trovo le parole, mai sufficientemente appropriate e piene per dire semplicemente quanto amo l'Africa.
La sua terra rossa, i sorrisi delle sue genti, occhi sorridenti ma anche tristi, case fatte di sabbia e fango, l'amore per la vita, gli odori prepotenti, e la lotta ogni giorno anche per un bicchiere d'acqua. I bambini in uniforme che vanno a scuola, madri con il loro carico di vestiti da lavare alla fontana d'acqua, uomini che si avviano a cercare un lavoro giornaliero, altre donne con bidoni carichi d'acqua, bambini scalzi che sguazzano tra i rifiuti in cerca di un gioco, famiglie che organizzano i loro banchetti ambulanti.rumori, colori, odori, sempre diversi ma sempre uguali.. Paesaggi che ti lasciano senza fiato, dove il caldo, il vero caldo non ti pesa, dove il paesaggio è formato solo da due colori, quello rosso della terra e quello verde degli alberi. Ogni tanto si incontrano piccoli villaggi, fatti di capanne di foglie, pietre e qualche pezzo di legno. Spiccano tra queste capanne gli abitanti, con i loro abiti variopinti, colori forti che rispecchiano la loro personalità.
L'Africa non è solamente un continente, non è semplicemente una Terra antica. L'Africa è un mondo. Un mondo che noi occidentali non potremo conoscere mai a fondo. L'Africa è la terra delle contraddizioni, la patria della povertà e della fame, il luogo dove chiunque deve cercare, come primo obiettivo, di sopravvivere! Conoscere, o meglio, "capire" l'Africa nella sua vera essenza vorrebbe dire "viverla", essere pronti a mettersi in discussione, a vedere le cose senza voler a tutti i costi lavarsi la coscienza, significa commuoversi di fronte al sorriso di un bambino, riempirsi gli occhi dei paesaggi sconfinati, dei colori intensi, inebriarsi di odori pungenti, fermarsi ad ammirare la bellezza delle sue donne, che da quando nascono a quando muoiono sono sacrificate alla famiglia e ai figli che allevano con amore e rassegnazione. Conoscere l'Africa vuol dire capirne anche i pericoli e scoprire che l'arte di sopravvivere cambia il cuore dell'uomo, spingendolo a volte a commettere azioni che non hanno giustificazione. Conoscere l'Africa vuol dire immergersi nel flusso dell'esistenza, dove nascere e morire non sono eventi, ma semplicemente lo scorrere della vita. Conoscere l'Africa significa innamorarsene e imparare da questa Terra il valore dell'umiltà e della dignità. Capire l'Africa significa cercare l'equilibrio in ciò che ci circonda per trovarlo in noi stessi, ridare valore e il giusto peso al quotidiano. Capire l'Africa non significa trovare il senso della vita, ma più semplicemente accorgersi che la vita ha un senso!
Voglio raccontare di un'Africa dimenticata e dire che l'Africa ESISTE!
Perché l'Africa è vita.
Perché
l'Africa ti abbraccia l'anima.
Perché l'Africa è vera e tocca il vero.
Perché l'Africa è natura vincente.
Perché l'Africa è nostalgia del mondo perduto.
Perché l'Africa è il fratello debole.
Perché l'Africa è madre ancestrale.
Perché l'Africa è la mia Africa.
Perché l'Africa è
TRA CORIANDOLI DI ETNIE: il Kenya e la sua gente
Possiamo conoscere il Kenya attraverso le sue tradizioni e il suo popolo, e attraverso l'analisi delle varie etnie possiamo già intravedere quale è la figura femminile, notando che in Africa la sua emancipazione è ancora ben lontana.
Il Kenya è
attraversato dall'equatore. Il clima è caratterizzato da un caldo più umido
verso la costa anziché sull'interno. Non c'è una forte escursione termica. E'
un paese dell'Africa Orientale, e pur essendo un paese equatoriale e tropicale,
presenta climi molto vari. Nel nord si trovano aree desertiche, e nel centro
sud altopiani, con boschi e savane. Il paese è attraversato da lunghe catene di
montagne. Complessivamente, l'elemento morfologico che più caratterizza il
Kenya è
La popolazione del Kenya continua a crescere a ritmi elevati: nel giro di vent'anni è pressoché raddoppiata e molto alta è la quota di popolazione giovane, con meno di quindici anni. La densità demografica è elevata nella regione interna degli altopiani; mentre la fascia costiera è poco abitata, fatta eccezione per l'area di Mombasa. Il tasso di urbanizzazione è alto, con il 40% della popolazione radunata in zone urbane che si stanno estendendo. La popolazione urbana si addensa soprattutto nelle città di Nairobi, la capitale, e di Mombasa, città araba sulla costa.
Il Kenya è una nazione ricca di storia, possiamo notarlo soprattutto dalla popolazione che non presenta precisi tratti somatici ma possiamo ritrovarci varie razze. Per non parlare delle numerose etnie presenti nella cultura keniota.
Dall'incontro tra i due popoli (quello arabo e gli indigeni bantù) nacque la cultura swahili, contraddistinta da due elementi di unificazione: la lingua kiswahili e la religione islamica.
La popolazione è suddivisa in più di settanta etnie, appartenenti a quattro famiglie linguistiche: i bantu, i nilotici, i paranilotici e i cusciti. Un tempo il paese era abitato da gruppi stanziati lungo la costa e, nelle regioni interne, dai Masai, che oggi vivono soprattutto nelle regioni meridionali. Attualmente l'etnia più numerosa è rappresentata dal gruppo bantu dei Kikuyu (21% della popolazione); altri gruppi relativamente numerosi sono i Luhya (14%), i Kamba (11%), tutti di lingua bantu, i Luo (13%), di lingua nilotica, e i kalenjin (11%), paranilotici. Nel paese vivono inoltre esigue minoranze di asiatici, europei e arabi.
MAASAI
I Maasai, mantengono una certa tradizione per l'abbigliamento, infatti, sono considerati il simbolo del Kenya. I Masai (o Maasai) vivono sugli altopiani intorno al confine fra Kenya e Tanzania, parlano il 'maa', da cui il nome dell'etnia che è da loro pronunciato 'maasai'.
È difficile dire quanti siano, visto che non esistono censimenti accurati né in Tanzania né in Kenya. La tendenza dei censimenti nei due paesi è quella di esagerare il numero di persone appartenenti all'etnia.
Tra il 1883 e il 1902, i Masai soffrirono a causa della peste bovina e del vaiolo. Negli stessi anni, una serie di siccità - non piovve totalmente nel 1897 e 1898 - portò alla morte di gran parte del bestiame e forse di un terzo della popolazione. Allo stesso tempo, lotte interne portarono alla scomparsa quasi totale di alcuni clan, quali i Laikipia, e a nuovi rapporti tra i diversi clan. L'arrivo dei colonizzatori inglesi corrisponde a questo periodo di debolezza sociale dei Masai che, con due trattati nel 1904 e 1911 videro il loro territorio drasticamente ridotto Figura 38: Tipica Danza Maasai in Kenya.
Curiosità:
Una tradizione molto diffusa dei Masai sono le danze con salti. Questi balli vengono utilizzati nelle cerimonie di benvenuto e nelle feste. Incominciano nell'accendere un grande fuoco e poi iniziano a saltare, prima in modo normale poi sempre più in alto finché non raggiungono un'altezza elevatissima.
Un altro costume è l'allungamento del lobo dell'orecchio. Iniziano con i bucarsi le orecchie e poi a mano a mano mettono dei cerchietti dentro il lobo finché non raggiungono grandezze dei cerchi grandissimi. Dopo tolgono i cerchietti e si arrotolano il lobo sull'orecchio e rimettono i cerchi solo nelle feste. I cerchi possono cambiare aspetto rispetto alla classe sociale: il capo tribù ha i cerchi dorati, il figlio adornato di perline (tipiche nel Kenya) e tutti gli altri hanno dischetti di bronzo rivestiti in pelle.
Vivono in capanne che loro
chiamano manyatta ed hanno un recinto
spinoso all'esterno per proteggersi dagli animali selvatici, e un recinto
spinoso all'interno per mettere il bestiame alla sera. Nel secondo recinto vi
sarà anche un reparto separato per vitelli e agnelli. La prima casa sulla
destra dell'entrata principale sarà la casa del capo famiglia, la seguente
quella della prima moglie. La prima casa sulla sinistra sarà quella della
seconda moglie, se presente. A seguire sono le casette per i bambini e le
bambine. I figli vivono con la madre fino a circa 5 anni di età, dopo dormono
da soli. L'uomo dorme da solo e visiterà la moglie quando necessario. Le
singole case sono fatte con sterco mescolato a fango e posto su di una
struttura di rami flessibili. La forma è ovale con l'entrata bassa e all'interno
la casa è divisa in tre sezioni: al centro un focolare dove cucinare, ad un
capo il letto dell'occupante, dall'altro lato il letto per i bambini o un
piccolo ripostiglio. L'altezza massima della casa è di circa
È il padre a dare il nome ai figli, a volte la madre da o suggerisce il nome delle figlie.
Se arriva qualcuno di nuovo al villaggio, le donne anziane prendono le loro mani e ci sputano sopra, il che costituisce un'attribuzione di onore particolare.
I Masai possono sposare tante donne quante ne riescono a mantenere ed è una cerimonia molto coinvolgente perché arrivano centinaia di persone da ogni parte. Naturalmente la sposa è giovanissima (non più di dodici o tredici anni) e viene accompagnata dalle altre mogli.
Quando la prima bambina del figlio maggiore è abbastanza grande, viene affidata alla madre di quest'ultimo per aiutarla a procurare la legna e l'acqua.
I Masai non possono mangiare quello che ha toccato o guardato una donna, infatti mangiano prima loro dopo aver ucciso per esempio una capra. Non tagliano la gola, ma viene soffocata perché il sangue non può scorrere prima che l'animale sia morto. I loro avanzi vengono portati alle donne.
Le regole dell'ospitalità impongono di offrire a chiunque tè, zucchero ed acqua.
L'OMO è l'unico detersivo disponibile in Kenya che viene usato per la cura dei capelli e del corpo.
C'è una festa molto importante tra i Masai ed è quella che sancisce il passaggio dei guerrieri alla classe d'età successiva. Solo dopo questo rito potranno cercarsi una donna e sposarsi.
La celebrazione avviene in un posto preciso in cui si raduneranno tutte le madri che hanno il compito di costruire nuove capanne. Il tutto durerà tre giorni e fissano la data in base alla posizione della luna. I festeggiamenti iniziano la sera dopo il rientro delle capre, e i guerrieri per essere ammessi alla cerimonia hanno il compito di macellare un grande bue.
I KIKUYU
Kikuyu o Gikuyu che sono il gruppo etnico più numeroso del Kenya, parlano la lingua gikuyu o kikuyu. Il loro territorio tradizionale è il fertile altopiano centrale del Kenya, che essi coltivano.
Nella religione tradizionale kikuyu esiste un solo dio, chiamato Ngai o Mogai, adorato anche da Maasai e Kamba.
I KAMBA
I Kamba (al singolare Mukamba, al plurale Akamba), sono uno dei maggiori gruppi etnici del Kenya. Risiedono nell'area situata ad est di Nairobi.
I Kamba sono suddivisi in 25 clan totemici patrilineari (mbai) ulteriormente divisi in muvia, ovvero famiglie estese congiunte che comprendono tre o quattro generazioni. I principali clan kamba sono quelli degli Ulu, dei Kikumbuliu o Kibwezi, dei Kitui e dei Musoni. I membri di un clan condividono un totem comune, un animale sacro, rispettato come un membro del clan, protetto dall'assoluto divieto di uccisione e da un tabu alimentare.
I LUO
I Luo (anche detti Lwo) sono una famiglia di gruppi etnici relazionati fra loro che vivono in un'area che si estende dal sud del Sudan fino al Kenya occidentale e alla parte nord della Tanzania. Come per i Kikuyo e i Kamba, anche i Luo indossano abiti non più tradizionali, salvo occasioni particolari (ricorrenze, celebrazioni), ma abiti occidentali. Le etnie non finiscono qui.
Queste persone parlano una lingua Sudanese orientale (Nilotica), una branca della famiglia linguistica Nilo-Sahariana; I Luo in Kenia, che chiamano loro stessi Joluo (oppure Jaluo, persone di Luo) sono la terza comunità dopo i Kikuyu e i Luhya.
Le etnie non finiscono qui. Esistono, anche se in cifre minori, i Luhya; I Samburu che vivono oggi principalmente nel nord del Kenya, vicino al lago Turkana, nella regione Rift Valley; i Gyrama; Mijikenda; i Kelenjin. Nel paese vivono anche esigue minoranze di asiatici, europei e arabi.
Mogli
Madri
Infaticabili lavoratrici
Le donne africane sono le spine dorsali della società. Sulle loro spalle gravano il peso e le responsabilità del vivere quotidiano.
Un proverbio ugandese recita: in Africa se educhi un bimbo educhi un uomo, se educhi una bimba educhi una nazione.
CONDIZIONE DELLA DONNA
Possiamo intuire la sostanziale differenza tra uomo e donna, nonostante molte siano le etnie, e quindi modi differenti di vivere la giornata. Parlare della condizione della donna in Africa non è questione da poco, nascono polemiche quando parliamo dell'emancipazione femminile nella nostra realtà, l'argomento si fa ancor più complesso quando le realtà da considerare e trattare sono tanto frammentate e diversificate.
Se in occidente lavoro significa spesso emancipazione, realizzazione personale e autonomia, nei paesi africani la questione diventa vitale, parlare di lavoro porta il discorso sulla vita stessa delle donne, il loro valore e la loro sopravvivenza. A questo proposito si può parlare di mani invisibili che silenziosamente, da sempre, costruiscono l'Africa, ne strutturano la società.
Nel passato mentre gli uomini pensavano alla guerra e al potere, le donne si rimboccavamo le maniche per la ricostruzione del paese e per la protezione dei propri figli. Le donne hanno un ruolo importantissimo all'interno di queste comunità. Si occupano della casa/capanna, dell'approvvigionamento dell'acqua, della preparazione del cibo, della cura dei piccoli animali, della mungitura delle capre, della trasformazione del latte in prodotti derivati, della gestione dei bambini. Ma approvvigionare l'acqua può voler dire ore di cammino per arrivare al pozzo più vicino o al fiume e trasporto di pesi importanti. Preparare il cibo vuol dire raccogliere la legna, macinare i cereali, cuocere il cibo, attività da ripetere quotidianamente, non essendoci armadi o magazzini che consentano di avere riserve. Occuparsi della casa vuol dire costruire la casa capanna, tessere le stuoie necessarie per il rivestimento della struttura, preparare le suppellettili e gli utensili necessari per la gestione quotidiana della capanna.
Le donne in Africa le troviamo anche all'interno dei cantieri edili, il loro compito sta nel rifornire gli uomini di ghiaia e sabbia per fare il cemento. Trasportano il materiale, che non è per niente leggero. Il lavoro delle donne inizia all'alba e termina quando tutto il resto della famiglia è a riposare.
Resta il fatto che l'Africa sub sahariana è una delle regioni al mondo in cui le donne, indipendentemente dall'età, lavorano di più. Le ore di lavoro di una donna senegalese che vive nelle zone agricole possono arrivare a diciotto e la situazione non cambia di molto per chi vive nei paesi vicini. Per milioni di donne il lavoro è la vita e questa vita si divide fra lavori domestici e agricoli, raccolti da portare al mercato, oltre, naturalmente, all'educazione dei figli. Da non sottovalutare un altro dato molto preoccupante, è il pericolo di rimanere vedove e con figli a carico; difficilmente la donna troverà lavoro, proprio appunto perché il suo posto è a casa.
Si ricordi che il valore primo di una donna, quello per cui essa viene data in sposa e per la quale la sua famiglia riceve una dote dal marito, è, oltre alla sua forza lavoro, la sua fertilità.
All'uomo spetta tradizionalmente il lavoro cosiddetto pesante, (la caccia, la pesca, la costruzione delle capanne, l'abbattimento degli alberi) ma alla donna spetta in genere l'intera gestione del lavoro all'interno della casa e, in caso, della campagna. L'essiccazione e la conservazione delle carni, quindi, è affar suo, come la cura dell'eventuale orto e la cottura e vendita del cibo per arrotondare, come accade di frequente, le magre entrate familiari. Oltre alla preparazione dei cibi (che impegna numerose ore al giorno) e, come già detto, avrà il compito quotidiano e pesantissimo di andare tutti i giorni a prendere l'acqua al pozzo (spesso lontano diversi chilometri dal villaggio) e procurare la legna da ardere (impresa anche questa spesso gravosa, vista la vastità dei territori deserti o in via di desertificazione); non è raro che la donna si impegni nella vendita e in altre attività il cui reddito servirà totalmente ai fabbisogni della famiglia, mentre i guadagni dell'uomo spesso non sono messi a disposizione dei bisogni comuni e le donne non gestiscono le proprie entrate. La maggior parte delle donne che vivono nelle campagne (ma non solo) sono date in spose a un'età giovanissima e cominciano a far figli quando sono poco più che delle bambine; questo, aggiunto alla frequenza delle gravidanze e al fatto che non esista riposo per la donna gravida (che continua a faticare fino alle ultime settimane prima del parto) porta a un tasso altissimo di mortalità. Una cifra per tutte: 160.000 donne africane muoiono ogni anno durante il parto (o nelle settimane seguenti) o dopo aborti clandestini ad alto rischio.
Per non parlare delle complicazioni che possono seguire il parto, le infezioni e le malattie che una pressoché assente copertura sanitaria non riesce a prevenire e curare. Possiamo considerare questa situazione come un vortice che non si ferma: donna- lavoro- gravidanza- lavoro- parto- lavoro- vita o morte.
L'Africa dell'Ovest e del Centro conosce i più alti tassi di fecondità del mondo e oltre il 10% delle ragazze del Camerun e della Nigeria partorisce prima dei 15 anni. Molte donne giungono al termine della gestazione in gravi condizioni di denutrizione, col risultato di non essere in grado di sostenere la fatica del parto e le frequenti complicazioni che in tali condizioni facilmente si presentano. La malaria rappresenta un pericolo particolarmente grave: il 75% delle africane vive in zone malariche, il che provoca frequenti crisi di paludismo con distruzione dei globuli rossi; si accentua così il rischio di anemia per le gravide, particolarmente vulnerabili alla malattia.
A questo si aggiungano le pratiche, purtroppo sempre diffusissime in campagna come in città, dell'escissione e dell'infibulazione che minano la salute delle ragazze fin dalla più tenera età.
Come se ciò non bastasse, le donne sono, da sempre, le vittime più esposte all'infezione del virus dell'HIV: per quanto la conoscenza sui rischi è abbastanza diffusa, le donne in Africa subiscono, una volta di più, la loro
scarsissima facoltà decisionale all'interno dei rapporti familiari e di coppia.
Pochissima prevenzione per quanto riguarda l'Aids, dunque, e il discorso non migliora se si considerano le donne più anziane, perché superato il periodo della menopausa nessuna si occupa più della loro salute. Nessuna campagna sanitaria si occupa del cancro al seno o al collo dell'utero, sempre più frequenti, o di patologie legate all'invecchiamento.
Come si vede, dunque, la situazione di vita, prima ancora che lavorativa delle donne è una realtà dura e difficilmente risolvibile.
MAL D'AFRICA
Il mal d'Africa è quel senso di nostalgia che assale il viaggiatore che ha avuto la fortuna di avvicinarsi a quel continente.
Per chi c' è
già stato, tornarci è quasi un obbligo, per chi non lo ha ancora fatto, sarebbe
un peccato vivere senza mai esserci stati.
Ho imparato a conoscere due tipi di questo male: il nostro (il mal d'Africa del
viaggiatore, bianco), che è positivo, provoca sensazioni forti e fa
sognare; il loro (il mal d'Africa degli abitanti di questa terra, nero) che è
negativo, è un incubo.
Per noi il mal d'Africa è un bellissimo ricordo, per loro è un triste futuro.
Un triste futuro anche se, inconsapevolmente, vivono nella terra più ricca
del mondo, infatti, non è la ricchezza a mancare, quello che manca è la
ridistribuzione del denaro. I soldi si fermano in mano ai potenti, in mano a
coloro che governano.
Il mal d'Africa colpisce di solito tutti
quelli che mettono piede in questo continente e manifesta i suoi sintomi appena
lo si lascia. Se si è vissuti almeno un po' in Africa non si può fare a meno
di volerci
ritornare.
E' una malattia senza guarigione. E' una cosa difficile da spiegare ai 'non malati'. In Africa uomini e donne non possono concepirsi gli uni senza gli altri, esistono in quanto amano, interagiscono, partecipano, condividono.
DALLA SVIZZERA
ALL'AFRICA PER INSEGUIRE UN SOGNO: "
Storia vera di una passione africana
"[]Mi colpisce come un fulmine. Là, sul parapetto del traghetto, sta seduto un uomo bellissimo, alto, scuro di pelle, esotico. Con i suoi occhi neri guarda noi, gli unici bianchi in quella confusione. Indossa solo un succinto panno rosso, ma porta dei ricchi ornamenti. Sulla fronte ha un grande bottone di madreperla, i lunghi capelli rossi sono raccolti in treccine e il viso è dipinto di segni che arrivano fino al petto []"
Questa è una storia vera, la storia di un amore folle sbocciato nel fantastico e pericoloso paesaggio del Kenya.
Durante una vacanza con il suo fidanzato Corinne incrocia per la prima volta lo sguardo del suo amore, Lketinga, un guerriero Masai completamente lontano dalla civiltà svizzera da cui proviene lei, vestito di un solo panno e armato di lancia, con le perline intrecciate tra i capelli e il volto bellissimo.
Da qui comincia la follia di Corinne, follia perché qualsiasi donna che legge questo libro rimane inorridita ed esterrefatta di tutto ciò a cui rinuncia per stare con il guerriero Maasai. Quello che è successo a Corinne Hofmann non succede di certo a tutte le donne: lascia il suo fidanzato, la sua casa, la sua vita agiata, i suoi soldi, la sua famiglia, per inseguire il suo amore, per vivere in una capanna di sterco di vacca, senza acqua, senza cibo, senza letto, alla mercé delle malattie che si prende, come la malaria, la scabbia, l'epatite.Corinne si scontra con una cultura a noi, occidentali, totalmente impossibile da comprendere, i matrimoni combinati, la poligamia, le mutilazioni genitali, la sottomissione della donna, la totale mancanza di igiene, l'analfabetismo, la lentissima burocrazia.
Tutte cose che lei sembra non vedere pur di essere felice accanto al suo guerriero di cui si è innamorata a prima vista senza nemmeno averci parlato. Non si comprendono per molto tempo perché lei non parla l'inglese. Eppure guidata dall'ostinata forza del suo amore Corinne sfida l'abisso che li divide e concepisce con lui una figlia, Napirai.
Ma nemmeno l'amore più puro, nemmeno questo sentimento che la porta ad abbandonare tutto può vincere l'enorme divario che c'è tra due mondi troppo lontani.
Dopo quattro anni di avventure in quella terra che richiama tutti a se con il suo odore selvaggio, Corinne torna alla sua vita portandosi dietro la figlia.
Non si tratta di un saggio
né tantomeno di un librone impegnato ma di un semplicissimo romanzo e l'ho
apprezzato perché Corinne con la sua intraprendenza riesce a portare un pò del
suo spirito imprenditoriale anche lì.
In questo libro ci sono tutte le speranze di una donna innamorata che crede in
questo rapporto, accetta di vivere dentro una capanna con altre tre persone, va
al fiume a lavarsi ogni mattina, fa i suoi bisogni nei cespugli, partecipa alle
cerimonie tradizionali e accetta la cultura e le usanze del villaggio che la
ospita e dell'uomo che le è accanto, sacrificando spesso delle esigenze in nome
dell'amore.
La lettura spesso è frettolosa, come se volesse trasmettere il vortice dei suoi impulsi ed emozioni ma è una storia meravigliosa ed avvincente che attira pagina dopo pagina in un solo respiro.
Lo consiglio per subire anche solo un pizzico del fascino africano
Il romanzo è stato scritto da Corinne Hoffman (4 giugno 1960 Svizzera) un'imprenditrice che attualmente vive in Svizzera con la figlia Napirai ed è conosciuta grazie alle numerose vendite del suo libro (The white masai).
NELSON MANDELA:
EROICO COMBATTENTE PER
"Ho lottato contro il dominio
bianco e contro il dominio nero.
Ho coltivato l'ideale di una società libera e democratica nella quale tutti
possano vivere uniti in armonia, con uguali possibilità.
Questo è un ideale per il quale spero di vivere"
Nelson
Mandela (Qunu, 18 luglio
1918) è un politico sudafricano, primo Presidente del Sudafrica dopo la fine
dell'apartheid, e Premio Nobel per
Segregato e incarcerato per lunghi anni durante i governi sudafricani pro-apartheid prima degli anni '90, oggi è considerato un eroico combattente per la libertà.
I primi passi verso una vita volta alla conquista della libertà degli uomini, Nelson Mandela li mosse nel 1940, all'età di 22 anni quando, insieme al suo cugino Justice, fu messo di fronte al fatto di doversi sposare con una ragazza scelta dal capo thembu Dalindyebo. Questa imposizione di matrimonio obbligatorio era una condizione che né Mandela né il cugino volevano tollerare. La scelta era molto delicata: o si sposava e andava contro il suo massimo principio, cioè la libertà, oppure non si sposava mancando così di rispetto alla sua tribù e alla sua famiglia. Così decise di scappare insieme al cugino in direzione Johannesburg.
Unitosi all'African National Congress (partito per difendere i diritti e la libertà della popolazione sudafricana) nel 1942, dopo la vittoria elettorale del 1948 da parte del Partito Nazionale, Mandela si distinse nella campagna di resistenza del 1952 organizzata dall'ANC, ed ebbe un ruolo importante nell'assemblea popolare del 1955, la cui adozione della Carta della Libertà stabilì il fondamentale programma della causa anti-apartheid (Apartheid è un termine afrikaans usato per definire il sistema di rigorosa segregazione razziale nei confronti della gente di colore attuato nel Sud Africa a partire dal 1954).
Inizialmente coinvolto nella battaglia di massa, fu arrestato insieme ad altre 150 persone il 5 dicembre 1956, ed accusato di tradimento. Il processo durò 5 anni ma tutti gli imputati furono assolti. Nel 1961 divenne il comandante dell'ala armata Umkhonto we Sizwe dell'ANC ('Lancia della nazione'), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l'esercito e gli obiettivi del governo, e elaborò piani per una possibile guerriglia per porre fine all'apartheid. Nell'agosto 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana e fu imprigionato per 5 anni con l'accusa di viaggi illegali all'estero e incitamento allo sciopero. Mentre era in prigione, Mandela riuscì a spedire un manifesto all'ANC, pubblicato il 10 giugno 1980. Il testo recitava:
Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l'incudine delle azioni di massa ed il martello della lotta armata dobbiamo annientare l'apartheid! » |
Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990. Le crescenti proteste dell'ANC e le pressioni della comunità internazionale portarono al suo rilascio l'11 febbraio del 1990, su ordine del Presidente sudafricano F.W. De Klerk, e alla fine dell'illegalità per l'ANC. Mandela e De Klerk ottennero il premio nobel per la pace nel 1993.
Diventò presidente del Sudafrica guadagnandosi il rispetto mondiale per il suo sostegno alla riconciliazione nazionale ed internazionale.
Dopo aver abbandonato la carica di Presidente nel 1999, Mandela ha proseguito il suo impegno e la sua azione di sostegno alle organizzazioni per i diritti sociali, civili ed umani.
Nel giugno 2004, all'età di ottantacinque anni, Mandela ha annunciato di volersi ritirare dalla vita pubblica e di voler passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia, finché le condizioni di salute glielo avrebbero concesso.
Il 27 giugno
Curiosità:
Nelson Mandela il 28 ottobre 1985, dopo ventuno anni di prigionia, ricevette la cittadinanza onoraria dalla città di Firenze.
Il 3 novembre 2004 è stato stipulato
un accordo tra
"Chi non conosce se stesso, è perduto."
E' una delle
figure storiche più note e più carismatiche del Novecento; nacque il 2 ottobre
del
Gandhi, soprannominato il Mahatma, cioè la "grande anima", dedicò quasi tutta la sua vita adulta prima alla lotta contro la discriminazione della minoranza indiana in Sudafrica, dove visse per poco più di vent'anni a partire dal 1893; poi rientrato in patria nel 1918, alla causa dell'indipendenza.
Uomo politico e figura spirituale affascinante, Gandhi fu maestro di vita e pensiero per molti discepoli e collaboratori. Ci ha lasciato, oltre a scritti teorici, filosofici e religiosi, un'autobiografia di grande interesse. L'efficace metodo d'azione politica non violenta da lui affinato negli anni trascorsi in Sudafrica e poi in India è ancora oggi oggetto di studio e ammirazione.
In Sudafrica (1893-1914)
Gli anni
sudafricani di Gandhi, poco più di venti anni, coincisero con la seconda metà
della Belle Epoque e
Egli sbarca
a Durban nel maggio del
Dopo un anno di permanenza in Sud Africa, ed ormai risolta la questione legale per cui vi si era recato egli decise di reimbarcarsi per tornare in India, ma la gente che aveva conosciuto lo esortò a restare ancora per almeno un mese in modo da far da guida per gli analfabeti di colore; egli accettò ma non sapeva che vi sarebbe rimasto, invece, per vent'anni.
Nel maggio 1894 fondò la 'Natal
Indian Congress', l'associazione nata per la difesa degli interessi
indiani nell'unione sudafricana. Nel
1896 tornò in India per cercare appoggi alle sue teorie.
Nel 1907 fu arrestato e
ricevette l'intimazione di lasciare il paese entro 48 ore. Avendo disobbedito
fu processato e chiese al giudice di accusarlo in modo tale da avere una pena
superiore ai suoi compagni.
Nel 1914 Gandhi poté ritornare nella sua patria che ormai gli era divenuta straniera; ma prima volle trascorrere qualche settimana in Inghilterra che aveva appena dichiarato guerra alla Germania. Anche qui Gandhi non perse l'occasione per mettere in pratica le sue teorie, ed organizzò subito un corpo di volontari indiani residenti in Inghilterra per curare gli inglesi feriti. La fatica ed il freddo lo fecero ammalare di pleurite così, avendo bisogno di un clima caldo come quello dell'India per curarsi, il 9 gennaio 1915 Gandhi sbarcò a Bombay.
Pensiero Filosofico: ahimsa
Il pensiero di Gandhi relativo all' himsa fu influenzato dalla religione, e in minima parte dalla lettura del Vangelo. La verità e la non violenza costituiscono le colonne portanti dell'intero pensiero gandhiano.
La ricerca della verità
Per Gandhi l'uomo nella sua vita terrena deve cercare di avvicinarsi il più possibile alla verità, che è Dio: la fede nella Verità è il fondamento più solido della ricerca di una vita sociale improntata alla nonviolenza, all'amore, alla giustizia. Il sentiero che conduce a Dio è dentro ogni uomo, e consiste nel cercare quanto più di improntare la propria vita verso la giustizia e l'amore e il cammino verso la verità è irto di ostacoli, e colui che lo intraprende deve essere dotato di una grande volontà, oltre ad essere disposto a compiere grandi sacrifici.
L'ahimsa è una parola che tradotta nelle lingue europee moderne, vuol dire non violenza (a = non, a privativa; 'himsa' = 'violenza', 'ingiuria', 'male', danno). Ahimsa significa non usare violenza, non far del male, amare e anche essere giusti nei confronti degli altri. L'ahimsa è amore verso il prossimo, sentimento disinteressato di fare il bene degli altri, anche a costo di sacrifici personali: secondo Gandhi tutti gli esseri viventi, in quanto creature di Dio, sono legati tra loro e devono essere uniti da amore fraterno. Seguendo l'insegnamento cristiano dell' 'Ama il prossimo tuo come te stesso' Gandhi predica l'amicizia fraterna tra tutti gli esseri umani, musulmani e indù, uomini e donne, in nome dell'amore e dell'uguaglianza. Ognuno deve essere disposto anche a morire per l'altro, a lottare per le ingiustizie fino in fondo, purché la verità e la giustizia trionfino.
"Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non c'è nè nessuna per cui sarei disposto ad uccidere."
Se da una parte l'ahimsa è amore disinteressato d'altra parte essa è anche rifiuto totale di ogni tipo di odio verso gli altri: Gandhi afferma come anche se sottoposti ai più terribili soprusi, alle più gravi ingiustizie, ai più strazianti dolori, mai e poi mai si deve ricorrere alla violenza verso il prossimo. Si tratta di una negazione assoluta e senza appello di ogni forma di violenza, prima fra tutte la guerra: non è con la forza che si risolvono le controversie, ma con la volontà e il coraggio di sopportare il male pur di vincere l'ingiustizia. In questo senso Gandhi riveste un ruolo fondamentale nell'evolversi del pensiero pacifista, per il totale rifiuto della violenza e della guerra come strumenti per la soluzione di conflitti.
Non violenza e progresso
Possiamo affermare che Gandhi ha posto la non violenza al centro della sua concezione del progresso umano: l'essere umano è sia animale sia spirito. Come animale, l'essere umano basa il suo rapporto col mondo sulla trasformazione materiale dei corpi e dunque sull'uso della forza, sulla himsa; come spirito l'essere umano fonda le sue relazioni col mondo sulla comunicazione verbale e sulla persuasione razionale, dunque sulla ahimsa. Il progresso è l'umanizzazione dell'uomo, la graduale affermazione della sua identità specifica, del suo essere spirito. Il progresso è di conseguenza la graduale riduzione del tasso di violenza (himsa) presente nei rapporti umani e la graduale affermazione della verità e dell'ahimsa, cioè della nonviolenza, del bene, della giustizia, nella vita sociale e politica. Da questi concetti deriva naturalmente come per seguire la via della ahimsa sia preferibile per l'uomo distaccarsi dai bisogni materiali, da cui derivano i concetti di castità, povertà e digiuno.
Secondo Gandhi la giustizia risiede nella riduzione del tasso di violenza presente nella società. Se si utilizza la violenza, anche se per un breve periodo, per ottenere giustizia questa porta inevitabilmente a un aumento del tasso di violenza. Il mezzo deve essere coerente con il fine; non si può adottare un mezzo che porta alla negazione del fine. Se il fine della lotta per la giustizia è la ahimsa, cioè la negazione della violenza nei rapporti umani, non lo si può realizzare facendo ricorso alla violenza.
L'affermazione della Verità e della non violenza
Secondo Gandhi l'unico mezzo
con il quale l'uomo giusto può proporsi di affermare
I mezzi della persuasione (conversione, non costrizione), per Gandhi, sono essenzialmente due: la discussione e la lotta non violenta. La discussione consiste nel battersi contro un'ingiustizia sociale e politica appellandosi alle autorità ingiuste e all'opinione pubblica. La lotta non violenta (satyagraha) è la dimostrazione pratica della Verità; essa dimostra la superiorità morale del ribelle, il suo essere dalla parte della verità. Ed è a questo punto che il pensiero filosofico e morale di Gandhi si uniscono con quello politico: la nonviolenza per Gandhi è un mezzo per trovare la verità, che è il suo fine, e la satyagraha è l'arma con la quale l'uomo non violento lotta.
La differenza tra questi due metodi di affermazione della verità sta nel fatto che mentre la discussione fa appello esclusivamente alla ragione dell'avversario attraverso la dimostrazione teorica della sua ingiustizia la lotta non violenta fa appello anche al cuore dell'ingiusto, perché contiene una portentosa dimostrazione pratica della sua ingiustizia.
Riconoscimenti
Gandhi non
ricevette mai il Premio Nobel per
Su Gandhi furono dette molte cose. Winston Churchill, ad esempio, lo definì 'disgustoso' e 'fachiro mezzo spoglio' mentre Albert Einstein disse di lui: 'Forse le generazioni a venire crederanno a fatica che un individuo in carne e ossa come questo ha camminato su questa terra.'
L'appellativo mahatma che molti associarono a Gandhi, è un termine di venerazione il cui significato letterale è 'grande anima'. Shri Aurobindo Ghosh incoraggiò l'uso di questo appellativo per riferirsi a Gandhi, la cui figura fu venerata anche dalle masse contadine e operaie, coinvolte a partire dal 1927 nella lotta indipendentista.
L'UNICEF
L'UNICEF (Fondo delle
Nazioni Unite per l'Infanzia) è
Fondato nel 1946 su decisione dell'Assemblea Generale dell'ONU, l'UNICEF opera
attualmente in 156 Paesi in via di sviluppo, e la missione dell'Unicef
è di mobilitare in tutto il mondo risorse, consenso e impegno al fine di
contribuire al soddisfacimento dei bisogni di base e delle opportunità di vita
di ogni bambino, ragazzo e adolescente.
L'UNICEF esplica la propria azione attraverso programmi e progetti di sviluppo umano
concordati e realizzati, in ogni paese, assieme alle
istituzioni pubbliche e alle organizzazioni e associazioni locali, nel totale
rispetto delle diversità culturali e con particolare favore per coloro che sono
svantaggiati per ragioni legate al sesso, alla condizione sociale,
all'appartenenza etnica o religiosa.
L'UNICEF opera in Italia e nel resto del mondo mediante l'apporto indispensabile di tutti
quei soggetti che, con il loro spirito di volontariato, condividono e
sostengono le finalità e le strategie dell'UNICEF, avvalendosi di una struttura
operativa stabile (staff). I Volontari e la struttura operativa si
identificano e si fondono in un'unica realtà-forza allo scopo di assumere un
ruolo di guida e di servizio nella costruzione di un mondo in cui i diritti di
ogni bambina e ogni bambino siano realizzati
Come abbiamo detto in
precedenza l'UNICEF è la principale organizzazione mondiale per la difesa dei
diritti e delle condizioni di vita dell'infanzia e dell'adolescenza in tutto il
mondo, e per portare a termine questi obiettivi realizza in 156 Paesi in via di
sviluppo programmi
di sviluppo a lungo termine, intervenendo nei settori più
importanti per la vita del bambino: la salute materna infantile, la nutrizione,
l'istruzione, la protezione da abusi e sfruttamento, la prevenzione
dell'HIV/AIDS.
Per assicurare massima
efficacia e durata ai risultati concreti ottenuti con l'intervento diretto,
l'UNICEF conduce una continua azione di stimolo e supporto ai governi e alle
istituzioni pubbliche dei Paesi in cui opera, promuovendo
l'adozione di politiche sociali più attente ai bisogni dell'infanzia e
dell'adolescenza e offrendo a tal fine un prezioso sostegno tecnico,
finanziario e gestionale.
In Italia e in 35 altri Paesi industrializzati, compito dell'UNICEF è informare e sensibilizzare l'opinione pubblica e i media sui problemi che, nel mondo in via di sviluppo, limitano o negano i diritti dei bambini e il loro accesso alla salute e al benessere. Per tradurre questo impegno in realtà, l'UNICEF realizza una vasta serie di programmi e iniziative, cooperando con numerose istituzioni pubbliche, associazioni, enti locali.
L'UNICEF NELLE EMERGENZE
Guerre, conflitti non dichiarati, terremoti, epidemie, siccità in molte parti del mondo, emergenze naturali e disastri provocati dall'uomo continuano a colpire le popolazioni più indifese e, primi fra tutti, i bambini. L'UNICEF interviene nelle prime fasi di una crisi umanitaria con aiuti di primo soccorso (alimenti per l'infanzia, tende, attrezzature per la sopravvivenza, medicinali) e con team di specialisti locali e internazionali.
Nelle fasi successive garantisce condizioni sanitarie e igieniche accettabili per i bambini e le loro famiglie nei centri di accoglienza per sfollati e rifugiati, ad esempio rifornendo gli ambulatori, scavando pozzi e latrine o installando sistemi idrici provvisori. L'UNICEF, sempre in coordinamento con le altre agenzie ONU e con l'apporto delle Organizzazioni non governative (ONG) partner, partecipa in vario modo alle operazioni delle fasi post-emergenza ricostruendo le scuole, rifornendo e riabilitando i centri sanitari, formando nuovi insegnanti, realizzando programmi di educazione alla pace e prevenzione dei pericoli legati alle mine antipersona e con molte altre attività.
UNICEF & AFRICA
L'UNICEF opera in Angola, Benin, Congo, Costa d'Avorio, Eritrea, Etiopia, Kenya, Malawi, Mozambico, Senegal, Somalia e tanti altri, ponendosi degli obiettivi da raggiungere: sconfiggere l'analfabetismo, la malnutrizione, il lavoro minorile, traffico di minori; riaprire le scuole e i centri ricreativi, formare gli insegnanti e sostenere i bambini che vogliono proseguire gli studi. L'UNICEF si occupa anche della malaria, delle vaccinazioni, dell'HIV, dei bambini invalidi, delle minoranze degli orfani e delle donne che dai 15 ai 49 anni vengono sottoposte alle mutilazioni genitali.
THE AFRICAN CULTURE IN THE CHINUA ACHEBE'S WORK THE NOVEL
Chinua
Achebe was born in
Goal as a writer: While studying British literature and such works as Joseph Conrad's tales set in Africa, he felt that his people had been portrayed as strange beings "jumping up and down on the river bank, making horrid faces". This prompted him to provide a more realistic description of his culture in his works.
His novel Thing Fall apart appeared in 1958, the first novel in an extensive body of work. In 1960 and 1964 Achebe published the sequels to Things Fall Apart: No Longer at Ease and Arrow of God (1964). Other works include the novel A Man of the People (1966), the two volumes of poetry Beware, Soul Brother (1971) and Christmas in Biafra (1973), the short-story collection Girls at War (1972), the children's book How the Leopard Got His Claws (1972) and most recently Anthills of the Savannah (1987), which portrays a post-colonial independent African country trapped in the dramatis events caused by the continuing disruptive effects of neo-colonial Western economic and cultural influence.
"Things Fall Apart"
Theme: is an unsentimental account of Nigeria tribal life before and after its encounter with colonialism. It was one of the first books to examine the impact of European colonialism from an African perspective.
Narrative technique: a third-person omniscient narrator is used to tell the story. He has the characteristics of a wise Ibo elder who knows everything. He uses simple vocabulary and essential syntax. His narration is largely impartial, although occasionally he interrupts to comment on a situation.
Main character: Okonkwo is a respected Ibo leader who leads a peaceful and successful life in his village. The order is disrupted with the arrival of the British and the introduction of his people's traditional values by an alien and more powerful culture, struggles to maintain the cultural integrity of his people. This process, however, estranges him from his own people who gradually accept the new ways. His lonely fight destroys him and he commits suicide, thus going against the very tradition that he has defended.
A cross-cultural language: By telling his tale in standard English blended with Ibo words, proverbs, rhetorical devices and speech patterns, Achebe showed that the future of African literature did not lie in the imitation of European forms but in the integration of such forms into the rich lore of African oral traditions. This message challenged many writers to make their voices heard and contributed to the birth of modern African literature.
La statistica si occupa di studiare fenomeni collettivi, cioè quei fenomeni che riguardano un insieme di individui, raccogliendo su di essi informazioni, relative ad una o più caratteristiche, traducendole poi in un modello numerico che possa essere facilmente analizzato. Ci sono tecniche specifiche:
1. Decidere l'argomento da esaminare
2. L'argomento si chiama "carattere"
3. L'indagine si fa sulla popolazione o su un gruppo (intero o ristretto), e ogni elemento della popolazione si dice unità statistiche
4. Il carattere si manifesta in vari modi, e si chiama modalità che si divide in qualitativa e quantitativa (la prima può essere rappresentata da qualsiasi cosa, la seconda solo da numeri). I caratteri qualitativi possono essere sconnessi e ordinati, mentre quelli quantitativi discreti e continui
5. Si prepara un questionario (di tipo telefonico, con domande, sottoforma di interviste o tramite internet) e si decide il campione.
6. Il modo più semplice per elaborare un insieme di dati statistici è quello di rappresentarli graficamente con diagrammi a rettangoli distanziati, diagrammi circolari, ideogrammi, cartogrammi, diagrammi cartesiani o istogrammi.
DATI STATISTICI SULL'INFANZIA (KENYA)
Mortalità infantile entro il primo anno di vita 79 ogni mille nascite
Mortalità infantile entro il 5° anno di vita: 121 ogni mille nati vivi
Bambini registrati alla nascita:
Tasso netto di iscrizione alla scuola primaria: 79% femmine, 78% maschi
Tasso di analfabetismo giovanile (15-24 anni): 81% femmine, 80% maschi
Speranza di vita alla nascita: 53 anni
Prodotto nazionale lordo pro capite: 580 dollari USA
Crescita annua della ricchezza nazionale (PIL) nel periodo 1990-2006:
Accesso all'acqua potabile: 61% della popolazione (46% nelle aree rurali)
Accesso a servizi igienici adeguati: 43% della popolazione (41% nelle aree rurali)
Numero stimato di bambini (0-14 anni) affetti da HIV:
Fonte dei dati: Rapporto UNICEF '
Attraverso i seguenti dati statistici possiamo capire che la situazione nel Kenya, ma anche negli altri stati è critica, soprattutto per quanto riguarda i bambini che sono affetti dall'HIV e hanno un'aspettativa di vita molto bassa. Alcuni piccoli passi avanti sono stati fatti con la scolarizzazione, anche se l'analfabetismo è ancora molto diffuso e duro da sradicare. Insomma, c'è ancora tanto da fare ma occorre l'impegno e la consapevolezza di tutti noi affinché questo stato possa avere uno sviluppo concreto soprattutto per le giovani generazioni.
SONO UN'AFRICANA..
Sono un'Africana non perché sia nata lì ma perché il mio cuore batte con quello dell'Africa.
Sono un'Africana non perché la mia pelle sia nera ma perché la mia mente è catturata dall'Africa.
Sono un'Africana non perché viva sul suo suolo ma perché la mia anima si sente a casa in Africa.
Quando l'Africa piange per i suoi figli le mie guance sono segnate dalle lacrime.
Quando l'Africa onora i suoi vecchi il mio capo è chino in rispetto.
Quando l'Africa piange per le sue vittime le mie mani sono giunte in preghiera.
Quando l'Africa celebra i suoi trionfi, i miei piedi sono vivi danzando.
Sono un'Africana perché i suoi cieli azzurri mi tolgono il respiro e la mia speranza per il futuro è raggiante.
Sono un'Africana perché la sua gente mi accoglie come una famiglia e mi insegna il significato di comunità.
Sono un'Africana perché il suo essere selvaggio fa tacere il mio spirito e mi porta più vicino alla fonte della vita.
Quando la musica dell'Africa suona nel vento il mio sangue pulsa al suo ritmo e divento l'essenza della musica.
Quando i colori dell'Africa abbagliano nel sole, i miei sensi bevono nel suo arcobaleno e divento la tavolozza della natura.
Sono un'Africana perché lei è la culla della nostra nascita e nutre un'antica saggezza.
Sono un'Africana perché lei vive all'ombra del mondo e brucia di una luminosità radiante.
Sono un'Africana perché lei è la terra del domani e riconosco i suoi doni come sacri.
Per me l'Africa non è una meta turistica, ma è Volontariato. Voglio partire per aiutare chi è più sfortunato di me, chi non ha una casa o dei genitori. Voglio donare sorrisi.Voglio trasformare lacrime in coriandoli.
Più volte mi sono chiesta se sono davvero innamorata dell'Africa o se sono solo un'egoista in cerca di una via di fuga da un quotidiano sempre più fatuo, inutile, in cui non mi riconosco più?
Non lo so con precisione, ma quando l'Africa è nei pensieri e nei miei sogni la mia testa si riempie di emozioni e il mio cuore ricomincia a battere sempre più forte.
Per questo dico:
ASANTE SANA AFRICA, MIMI NAKUPENDA WEWE.
BIBLIOGRAFIA
https://www.africa.it/kenya/info.asp
Enciclopedia Geografica Universale vol. 4 Mondadori
https://it.wikipedia.org/wiki/Masai
La masai bianca di Corinne Hoffman 1999 Rizzoli
Lungo cammino verso la libertà: autobiografia di Nelson Mandela
Panorama: Icone vol. 6 di Maria Stella Rognoni - prefazione di Gianni Sofri 2004 Mondadori
https://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1
https://www.unicef.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/1676
The Contemporary Age - Voices from the English Speaking World
Statistica e Probabilità di M. Re Fraschini e G. Grazzi Atlas
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