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Le vicende storiche della regione che prende il nome di Mesopotamia sono molto complesse e gli scavi archeologici in corso stanno rivelando documenti e tracce che costringono a rivedere le affermazioni storiografiche precedenti. Le intricate vicende politiche e militari, come pure la complessa organizzazione dei rapporti tra città stato, richiede una particolare cautela nel cercare di delineare un quadro unitario della civiltà mesopotamica. Infatti l'organizzazione sotto forma di impero non cancella mai una certa forma di orgogliosa autonomia politica della singola città-stato. Spesso accade che una entità politica prevale sull'altra assoggettandola ad un tributo, ma sua volta potrebbe essere soggetta alla protezione di un'altra, determinando una realtà intricata che gli archivi scoperti non sempre contribuiscono a dipanare. Tuttavia il continuo avvicendarsi delle dominazioni, le intricate interrelazioni tra le città stato ed infine il complesso sistema integrato di vita sociale, economica, politica e religiosa che caratterizza questa civiltà porta ad una sostanziale unificazione del tessuto culturale dell'intera area che consente di delineare un unico profilo della civiltà mesopotamica, anche se non vanno trascurate le infine sfumature che la diversificano nel tempo e nello spazio.
I sumeri
Pare che la civiltà e la religione numerica abbiano influenzato in modo determinante tutti gli sviluppi successivi della regione mesopotamica. Le prime tracce di agglomerati cittadini numerici risalgono al 7000-6000 a.C. Sono uomini che hanno appreso l'arte della caccia e dell'agricoltura e si organizzano per affrontare insieme le difficoltà dell'esistenza. Scavano rudimentali canali di irrigazione, plasmano l'argilla per costruirsi abitazioni ed utensili, scoprono la terracotta e alla fine imparano l'arte di fondere i metalli. Non si sa di dove provenissero i Sumeri, si presume che siano entrati in Mesopotamia da oriente. Verso il 3000 a.C. esiste un gran numero di città stato, ciascuna delle quali organizzata in modo proprio, sotto il simbolo e la protezione di una divinità venerata in un tempio.
Gli accadi e gli assiri
Verso il 2500 si affianca ai Sumeri un'altra popolazione, detta degli 'Accadi', che poi assumerà il nome di Babilonesi, dalla capitale Babilonia (Bab el = porta della divinità). Con Hammurabi, verso il 2000, si arriva alla creazione di un grande impero che raccoglie gran parte delle città stato della Mesopotamia e raggiunge un livello di civiltà estremamente raffinato.
Dopo qualche secolo, la potenza civile e militare degli Accadi subisce un grave tracollo per opera degli Ittiti e dei Cassiti che, secondo modalità particolari e in diverse zone del territorio, dominano fino alla metà del sec. XIV In questo periodo fioriscono innumerevoli città-stato, straordinarie per il livello di civilizzazione e organizzazione sociale raggiunta, tra le quali Ur ecc. Alla fine di questo periodo una nuova popolazione, che prende il nome dalla città-stato di Assur, prende il sopravvento sulle principali città stato della zona, ma viene contrastato dalle città stato che fanno capo a Nimrud (Kalah) e a Ninive. Dopo varie traversie, Babilonia riesce a ristabilire il proprio predominio verso il sec. IX, per poi cadere definitivamente sotto l'impero persiano che dominerà incontrastato sull'intera Mesopotamia fino a cadere a sua volta sotto i colpi di Alessandro Magno.
La cultura che ne è risultata esprime un livello assai raffinato, che ci ha lasciato innumerevoli tracce di costruzioni civili, militari e religiose, oggetti d'uso quotidiano, strumenti di lavoro, armi, monili ecc. di rara bellezza e soprattutto una letteratura talmente ricca che finora è stata pubblicata e interpretata solo in minima parte. Se poi si considera che tutto ciò che possediamo si è salvato per puro caso alle innumerevoli distruzioni, che i testi sono molto spesso soggettivi e di parte (la scienza storica 'oggettiva' - pur con tutti i suoi limiti - doveva ancora nascere), si comprende come il quadro globale vada preso con grande cautela, rimane sostanzialmente incerto e frammentario.
La cultura che ne è risultata esprime un livello assai raffinato, che ci ha lasciato innumerevoli tracce di costruzioni civili, militari e religiose, oggetti d'uso quotidiano, strumenti di lavoro, armi, monili ecc. di rara bellezza e soprattutto una letteratura talmente ricca che finora è stata pubblicata e interpretata solo in minima parte. Se poi si considera che tutto ciò che possediamo si è salvato per puro caso alle innumerevoli distruzioni, che i testi sono molto spesso soggettivi e di parte (la scienza storica 'oggettiva' - pur con tutti i suoi limiti - doveva ancora nascere), si comprende come il quadro globale vada preso con grande cautela e rimane nel suo complesso sostanzialmente incerto e frammentario.
Quando si parla di letteratura mesopotamica, va tenuto presente che la quasi totalità del materiale disponibile è riportato su tavolette di argilla ricuperate dagli archivi dei palazzi 'reali' distrutti dagli incendi. Accanto a questa massa enorme di documenti, in continuo aumento attraverso gli scavi sistematici condotti in zona, esistono solo iscrizioni su materiale vario (pietra, metallo, stoffa) e citazioni di altri autori. Ciò deve indurre a una grande cautela nel valutare il carattere di queste popolazioni e sui loro gusti, tenuto conto che non possiamo avere il quadro generale degli scritti circolanti effettivamente, sia quanto a contenuto, sia quanto a massa.
Inoltre la preponderanza di scritti di tipo commerciale e legale a nostra disposizione dipende esclusivamente dal luogo in cui sono stati rinvenuti, ossia gli archivi si stato delle città distrutte, non quindi biblioteche nel senso moderno del termine. Ciò significa che la scarsità di scritti poetici o narrativi d'intrattenimento, di scritti scientifici o tecnici ecc. non significa che le popolazioni non avessero il gusto per l'intrattenimento, la poesia o la scienza, ma purtroppo questi testi sono andati perduti in quanto non erano conservati negli archivi giunti fino a noi. Di qui la grande precauzione nel formulare giudizi sulla letteratura mesopotamica, nella consapevolezza che i continui scavi potrebbero modificare anche di molto la nostra visuale su questa grande civiltà.
Gli scritti mesopotamica attualmente in nostro possesso si possono classificare nei seguenti generi letterari: testi giuridico-amministrativi (contratti, conteggi, normativi e giuridici in senso stretto), miti, carmi epici, inni, testi sapienziali, oracoli magici e scongiuri, iscrizioni storiche e cronologie
Le nostre conoscenze sul mondo religioso di queste civiltà sono ricavate dai testi letterari in cui troviamo moltissimi rimandi alle concezioni della natura e delle funzioni della divinità, dei suoi rapporti con mondo umano. La cultura mesopotamica antica è impregnata di spirito religioso che permea ogni aspetto della vita. Non si è ancora operata la distinzione di ambiti e di competenze che noi diamo per scontata.
Perciò ogni atto della vita, anche il più comune e insignificante ha sempre una valenza religiosa, più o meno sentita, rispettata, ma sempre condivisa. Per questo motivo manca una letteratura religiosa in senso stretto, non abbiamo testi sacri, né leggi religiose. La letteratura in quanto tale è un fenomeno ritenuto religioso, il rapporto interpersonale ha valenza religiosa e ogni forma di legge ha sempre un riferimento alla divinità che ne è la garante e l'origine.
In un certo senso, gli unici testi 'religiosi' nel senso che noi attribuiamo oggi a questa espressione sono le raccolte di oracoli, scongiuri e formule magiche in uso nei templi, ma che avevano solo una funzione pratica di indicazione per i sacerdoti che svolgevano il loro servizio. Invece quelle che noi diciamo raccolte di preghiere, sia private che pubbliche, non sono solo testi di devozione personale o pubblica, come intendiamo noi, sono invece principalmente espressione dell'intera vita sociale. Non di rado infatti i sentimenti religiosi s'intrecciano con considerazioni pratiche, sentimenti e desideri profondamente umani, speranze del tutto terrene e ben poco spirituali - nel senso che noi attribuiamo oggi al termine.
Invece molto più ricche di indicazioni sulle idee religiose, sulle forme di culto, sull'organizzazione dei templi e delle classi sacerdotali ci vengono fa tutti gli altri scritti, persino quelli di carattere economico, dove tutto fa riferimento alla divinità, persino la sfera più profana qual è il commercio, la guerra di conquista, se non addirittura l'inganno a danno degli avversari. Così come permeata di religiosità è la vita personale, anche quella più intima dell'uomo, com'è quella che si esprime nel gusto della bellezza, dell'amore 'profano', oppure il desiderio del successo, del potere, addirittura della prevaricazione sull'altro. Perciò tutte le nostre conoscenze derivano dalla sterminata letteratura mesopotamica e sono in continuo sviluppo grazie ai rinvenimenti che si susseguono ogni anno e alle nuove interpretazioni degli studiosi che si occupano di tale argomento.
Naturalismo della religione mesopotamica
Le più antiche divinità sumeriche sono strettamente collegate ad una prospettiva naturalistica in cui l'idea centrale è quella della fertilità. Dato il profondo legame di Sumer con la terra - non dimentichiamo che i Sumeri sono anzitutto coltivatori - l'osservazione del ciclo vitale della riproduzione dei vegetali porta a considerare l'acqua dolce la causa misteriosa della vita (mentre l'acqua salmastra del mare, nonostante il pullulare di esseri viventi che vi si muovono, è considerata fonte di pericolo, il mare è il nemico per eccellenza della vita, il luogo del rischio e della morte, indica il caos e la distruzione). In questa fase parliamo di religione naturalistica, ossia la divinità viene indicata, simboleggiata da un elemento della natura che aiuta a ricordare il principio trascendente da cui tutto trae significato (i Greci daranno a tale principio il nome astratto di avrch,, che significa appunto principio ultimo)
Il segno che rappresenta l'acqua, pertanto, diventa inizialmente anche il simbolo che indica la realtà misteriosa che è la vita, in assoluto, ossia la divinità che è principio della fertilità e della fecondità. Nella fase arcaica tale divinità rimane indistinta, puro principio assoluto, priva di personalità, mentre col passare del tempo tende a scindersi in due esseri strettamente collegati, una coppia divina (come troviamo spesso nelle civiltà agricole e sedentarie e come indicano chiaramente alcuni passi dei miti cosmogonici e teogonici). A questo periodo protostorico, anteriore al 3400 a.C., risalgono le raffigurazioni della 'dea madre' o 'dea nuda'.
A questa divinità, singola oppure coppia indivisa, simboleggiata dall'acqua fecondatrice era innalzato un tempio in ogni villaggio e la vita degli abitanti ruotava attorno a questo polo, tanto che peri primi tempi della civiltà sumerica si arriva a parlare di un socialismo teocratico. Il terreno appartiene solo ad esclusivamente alla divinità, sembra che a volte fosse indicato col nome di Enki/Ea (appunto terra fecondata dalle acque/acque fecondatrici), rappresentata dal suo sacerdote - identificato col capo del villaggio - e indicato con lo stesso nome. Gli abitanti lavorano la terra che rimane proprietà della divinità, e quindi si ritiene permeata di sacralità essa stessa, nessuno oserebbe dichiarare sua proprietà il terreno che coltiva e sul quale sparge le sementi, fornite dal tempio, nel momento indicato dal sacerdote, secondo le norme consolidate da disposizioni secolari fatte risalire alla divinità stessa.
Enoteismo
Tale situazione dura parecchi secoli, forse millenni, finché arriviamo in epoca storica, quando ai Sumeri si affiancano gli altri popoli, e ormai questa realtà è stata soppiantata da diverso tempo da una nuova concezione del divino. Ora la divinità non è più solo quella simboleggiata dall'acqua, ma uno dei tanti elementi naturali che in qualche modo ha a che fare con la fecondità/fertilità. Era accaduto infatti che i diversi villaggi avevano assunto a simbolo identificatore del dio uno dei simboli più significativi per la realtà locale e con questo indicava appunto la divinità, il villaggio e il sacerdote nonché capo del villaggio. (per fare alcuni esempi Ningizzida = albero della vita; Shara = recinto frondoso; Ningirsu = inondazione; Abu = vegetazione; Anu = il cielo; Enlil = vento e pioggia; Sin/Nanna/Enzu = luna (a Nippur, Ur e Lagash); Enki = terra fertile; Nergal = sottosuolo; Ishtar = femminilità/fecondità).
Questa fase della religione si definisce col termine di enoteismo naturalistico, nel senso che si venera un solo principio indeterminato, che tuttavia viene indicato con nomi e simboli diversi, secondo i villaggi che lo venerano, senza essere definibile quindi come politeismo. Anche i culti sono differenziati, pur rimanendo tutti legati al ciclo naturale delle stagioni e delle riproduzioni - umane ed animali - secondo le diverse caratteristiche del simbolo che indica la divinità. A questi riti, che prevalgono nettamente per numero e importanza, si trovano affiancate altre pratiche di carattere magico-sacrale, molto diffuse in tutte le civiltà di agricoltori ed allevatori.
Politeismo
Col passare del tempo, gli scambi commerciali sempre più fitti, le lotte tra città stato che porta a far convivere nello stesso ambiente persone di diversa provenienza e quindi legata a diverse visuali rispetto alla divinità, i vari contatti culturali tra le piccole entità socio-politiche che formavano Sumer, portano ad arricchire le reciproche conoscenze relative alla divinità. Si ha prima una sorta di culto sincretistico, ossia ora si venera la divinità anche con forme e riti, preghiere, invocazioni, titoli e invettive assunte dagli altri villaggi, senza integrarne anche le idee. Da questo inizio si passa poi a ritenere che di fatto esista una pluralità di dei ciascuno con una funzione di riferimento per il fedele che intende entrare in rapporto con la trascendenza.
Nasce in questo modo il primo nucleo di politeismo naturalistico che in seguito si sarebbe sviluppato nei secoli fino a portare ad una molteplicità di esseri divini, organizzati tra loro in modo simile alla società umana, ossia in forma gerarchica, ognuno con una sua funzione e non sempre in rapporti pacifici e sereni tra loro. È questo il livello religioso che troviamo nei molteplici miti a noi pervenuti.
Angeli e dèmoni
Nei miti più remoti della letteratura mesopotamica, il numero delle divinità è ancora piuttosto limitato, mentre ogni essere, persino le pietre, è animato da una forza propria, per cui l'universo è popolato da spiriti buoni, che intervengono a favore degli uomini, e spiriti cattivi, i demoni, che invece sono ostili. A questo riguardo, gli esempi che roviamo sono talmente complessi e contraddittori, che risulta impossibile tratteggiare una visuale organica del pensiero mesopotamico a proposito di angeli e demoni.
Il luogo di culto
Parlando di luoghi di culto, ci riferiamo naturalmente solo alle forme di culto pubblico che è possibile ricostruire sulla base dei reperti. Sfugge completamente all'analisi una valutazione seria delle forme di culto personali, che si possono ricavare dai cenni che si riscontrano in abbondanza dalla letteratura, ma non sono certo verificabili in modo attendibile. In tal senso tute le indicazioni relative alle pratiche magiche e divinatorie a cui ci riferiamo, sono soltanto quelle che venivano prestate al tempio, ossia ufficializzate da testi che ne indicavano sia il contenuto, sia la forma.
In Mesopotamia incontriamo sostanzialmente due tipi principali di luoghi di culto pubblico: il tempio tradizionale e la ziqqurat, ossia il tempio che simboleggia l'universo e si ritiene riservato ai culti di tipo astrale.
Il tempio di tipo tradizionale
Distinguiamo in questa tipologia di tempio tre fasi che riguardano le dimensioni e lo sfarzo del tempio, più che l'impianto fondamentale, che rimane immutato nel tempo.
Fase arcaica
Nella fase arcaica, il tempio è costituito da un piccolo edificio, molto semplice, in materiale deperibile (mattoni di argilla mista a paglia, pressati ed essiccati al sole), di forma cubica. L'ambiente ha un'unica apertura, quella dell'ingresso, non dispone di finestre, non contiene nulla, all'infuori dell'immagine della divinità e forse tavolo, su cui veniva posata l'offerta di cibo, e un piccolo incensiere in cui si bruciavano i profumi in onore della divinità. L'accesso a questo tempio era consentito solo al re-sacerdote, che nei tempi stabiliti svolgeva i riti previsti, mentre tutti i fedeli dovevano rimanere all'esterno, pena la condanna per profanazione dello spazio sacro (di solito l'uccisione rituale).
Davanti a questo tempio si trovava un altare per i sacrifici ai quali partecipavano anche i fedeli. Di solito questo altare era costituito da un cumulo di pietre (focolare), a volte un unico masso lavorato in modo artistico, su cui si accendeva un fuoco che doveva servire a cucinare la vittima destinata poi, in parte al pasto sacro dei fedeli, in parte ad essere bruciata quale pasto della divinità.
Seconda fase
In una seconda fase, tale edificio diventa assai più grande ed è costruito con materiale più duratura, quali mattoni cotti in fornace o, raramente, pietre pur mantenendo le stesse caratteristiche di non avere altra apertura che la porta d'ingresso e la forma più o meno cubica. Davanti continua a trovarsi l'altare per i sacrifici, ma anch'esso molto più grande, a volte addirittura rialzato su alcuni gradini.
Tutt'intorno adesso vengono a sorgere edifici funzionali al culto fino a recintare il tempio da tutti i lati creando un cortile che racchiude tutto lo spazio adibito al servizio religioso. Gli edifici contengono ad esempio le abitazioni degli addetti al culto, i magazzini dove si conservano gli oggetti per il culto, i viveri, le stalle con gli animali per il sacrificio, gli archivi dove si conservano i documenti relativi al mito della divinità, i registri dei beni offerti, degli acquisti ecc. Troviamo pure gli ambienti che servono alla classe sacerdotale per insegnare la scrittura (la casa delle tavolette), la scienza matematica e medica, l'arte divinatoria, le scienze misteriose della divinità e, nei templi dedicati al culto astrale, l'astrologia.
Al centro del complesso si trova il cortile accessibile a tutti, dove ferve la vita religiosa e pubblica del villaggio che un po' alla volta si va trasformando in città-stato. Qui si celebrano i sacrifici con i sontuosi banchetti che li accompagnano, le danze sacre, le processioni, i complicati riti di esorcismo e divinazione. Qui si pianifica la vita della città, l'uso delle sementi, la distribuzione della terra da coltivare, si creano gli attrezzi per il lavoro, gli animali da allevare. Di qui partono la carovane che esportano i prodotti del villaggio e arrivano i mercanti che portano le mercanzie che vengono da paesi lontani, si contratta e si scambiano informazioni di tutti i tipi. Al tempio si stringono alleanze internazionali e si progettano le guerre, si stipulano i trattati di pace e si tessono intrighi contro altre popolazioni. Tutto si svolge quindi sotto lo sguardo della divinità che dalla cella del tempio simboleggia il primato assoluto della trascendenza sulla vita umana.
Terza fase
Nella terza fase, quando ormai la città-stato ha acquistato la fisionomia di una metropoli, una parte del tempio diventa il palazzo del re. A volte il complesso degli edifici rimane unitario - il palazzo del re rimane addossato alle stanze del tempio - a volte invece la reggia è ben distinta dal tempio, secondo le esigenze. La complessità delle funzioni che si vanno svolgendo nel complesso templare è diventata ormai talmente articolata che si iniziano a distinguere i compiti prettamente civili e sociali, politici e militari, da quelli più specificamente religiosi, senza che per questo non si abbiano spesso 'interferenze' che ricordano l'unitarietà iniziale della cultura. Inoltre non di rado il re continua a svolgere la sua funzione di sacerdote, o quanto meno nomina chi lo deve sostituire in tale compito, oppure è il sacerdote che alla morte del sovrano si assume anche la sua carica.
Adesso la città-stato ha un enorme complesso templare, affiancato da una grandiosa reggia, ma spesso sorgono in città anche altri templi, a volte costruiti da persone di altri popoli che a vario titolo vivono nella città-stato (commercianti, prigionieri, artigiani), a volte realizzati da cittadini di una certa categoria (soldati, ufficiali pubblici), a volte come dono votivo della città ad una certa divinità specifica per ottenere un beneficio o per ringraziarla per l'aiuto ricevuto in determinate circostanze. In ogni caso lo schema strutturale continua a rimanere identico a quello del tempio precedente.
Il tempio a Ziqqurat
La grande differenza tra il luogo di culto tradizionale, simile a tutte le strutture templari del mondo antico - infatti lo ritroviamo immutato in tutte le civiltà del passato - e il tempio del culto astrale è dato dall'assenza della cella dove si conserva il simbolo della divinità. Infatti la parte più sacra del tempio, quella accessibile solo al sacerdote capo o al gruppo dei sacerdoti che presiedono al culto, è il ripiano che sta alla sommità dell'edificio ed è privo di qualsiasi struttura fissa. In qualche caso forse vi si erigeva sopra un riparo (di tela, una tenda, o di canne) puramente funzionale a proteggere dagli agenti atmosferici (pioggia, sole, vento) mentre vi si praticava l'osservazione rituale.
Il concetto fondamentale che sta alla base di questa struttura è essa riproduce lo schema tripartito dell'universo: mondo degli inferi, mondo terrestre e mondo celeste. Ecco quindi che si compone sostanzialmente di tre piani (o un loro multiplo), a volte differenziati anche dal colore delle piastrelle in terracotta che li ricoprivano per proteggere la struttura dalla disgregazione causata dalla pioggia e dal vento.
Ne risulta una forma sostanzialmente piramidale, a gradoni, congiunti tra loro da scale che potevano salire zigzagando da un piano all'altro, oppure succedersi in modo lineare le une alle altre in modo da dare l'impressione di un'unica scala che portava direttamente alla sommità dell'edificio. L'altezza del complesso poteva essere molto vario e, nei casi più mastodontici, si parla addirittura di novanta metri d'altezza per un numero imprecisato di ripiani che si andavano restringendo verso la sommità, di solito costituita da un piano di modeste dimensioni.
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