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Botticelli (1445-1510)
Sandro Filipepi nasce a Firenze, in borgo Ognissanti, nel 1445, da Mariano di Vanni d'Amedeo Filipepi, conciapelli, e da Smeralda, sua moglie. E' l'ultimo di quattro figli. Nessun altro artista del Quattrocento, salvo Leonardo, presenta una cronologia altrettanto incerta e ha subito interpretazioni altrettanto fantasiose. Già il Vasari aveva segnalato il corso capriccioso della sua attività: accanto alle commissioni ufficiali, che fanno di Botticelli un tipico pittore dell' "età dell'oro" di Lorenzo il Magnifico, si collocano lavori a carattere artigianale (fronti di cassoni, modelli per ricami e tarsie), e opere di un tono del tutto personale e insolito, come la Natività del 1500. Un artista, inoltre, che ha sempre suscitato valutazioni e critiche appassionate, il che ha pesato a lungo sulla ricostruzione storica della sua opera e della sua personalità. Fiorentino schietto, Sandro prese il soprannome di suo fratello maggiore, detto appunto il Botticello (o, secondo il Vasari, da un orafo presso il quale il padre lo aveva messo a bottega); pare avesse ricevuto una buona istruzione, e che non fosse "sanza lettere", il che spiega il suo interesse per Dante. Per comprendere appieno la sua formazione, bisognerebbe conoscere meglio i suoi legami con i decoratori, ricamatori, intarsiatori del momento, e con i pittori "illustratori" del tipo del Pesellino e di Apollonio di Giovanni, dai quali trasse le figure aggraziate e i costumi fantasiosi.
Le opere
Il suo stile è caratterizzato da un forte particolarismo e dall'uso di un'ideale linea sinuosa e morbida che circonda tutti i personaggi e gli elementi dei suoi dipinti e che li rende più volumetrici staccandoli dallo sfondo. La produzione artistica di Botticelli si può dividere in tre grandi periodi:
Il periodo delle opere giovanili in cui produsse tele di argomento sacro;
Il periodo delle opere di maturità in cui produsse tele di argomento mitologico (La Primavera, La Nascita di Venere, Pallade doma Centauro);
L'ultimo periodo in cui produsse tele di argomento sacro riprendendo composizioni e schemi della pittura anteriore a Giotto.
Prima di essere, nel 1470, maestro in proprio, Botticelli lavorò con Filippo Lippi e col Verrocchio (che in seguito divenne scultore e pittore), come mostrano chiaramente le prime opere: Madonne in atteggiamento raccolto, a mezza figura (Madonna del roseto, Parigi, Louvre); la Fortezza (1470, Firenze Uffizi) dal contorno vibrante; il grande tondo con l'Adorazione dei Magi (Londra, Nat. Gal.), condotto con un ingegnoso effetto di prospettiva rialzata; e infine i due piccoli pannelli con Storie di Giuditta (Firenze, Uffizi), splendenti di colori saturi come smalti. In questo periodo anche alcuni splendidi ritratti. Di originale impostazione, condotti sul puro gioco del contorno (Ritratto di giovane donna, Firenze, Pitti), rivelano la tipica attitudine a trattare la "silhouette" e a fissare la struttura lineare dei corpi, che caratterizza la sua arte, e che appare pienamente dispiegata in quel capolavoro che p l'Adorazione dei Magi di Santa Maria Novella (ora agli Uffizi), affollata di ritratti di personalità fiorentine chiuse nel ritmo serrato del disegno.
Nel corso degli anni seguenti, le commissioni si moltiplicano, indicando in Botticelli un artista privilegiato alla corte dei Medici: nel 1475 egli aveva dipinto lo stendardo di Giuliano per la celebre giostra; qualche anno dopo, Pallade e il Centauro (Firenze, Uffizi) celebra, in un'immagine sapiente e astratta, leggermente bizzarra, il governo illuminato da Lorenzo. La Primavera, destinata alla villa di Castello del cugino del Magnifico, Lorenzo di Pierfrancesco, appare come la prima grande composizione mitologica dell'artista e di tutta la pittura fiorentina: versione umanistica del tema di Flora, è il fregio si allegorie su un fondo fiorito, il capolavoro prezioso e lambiccato, deliziosamente astratto, dell'estetismo fiorentino, più ricco d'invenzioni che non le successive allegorie delle arti dipinte a Villa Lemmi (ora al Louvre) per il matrimonio di Lorenza Tornabuoni. La Nascita di Venere (Firenze, Uffizi), sempre per la villa di Castello, offre lo stesso tipo di stilizzazione, favorevole all'arabesco delle figure. Dieci o quindici anni più tardi, Botticelli dipingerà in circostanze che ci sfuggono (forse per suggerimento di Piero de' Medici) una ricostruzione della Calunnia d'Apelle (Firenze, Uffizi) secondo la descrizione di Luciano: la composizione serrata, il disegno secco, i rialzi in oro, la prospettiva di arcate aperte sull'orizzonte azzurro, danno all'opera uno splendore particolare. I due ultimi dipinti citati richiamano le celebri opere di Apelle, il pittore di Alessandro Magno.
Ma nell'illustrare i temi umanistici, egli resta molto al di qua delle ricerche archeologiche di un Mantegna, di cui non vanta la forza e l'erudizione. Quando dipinge "mitologie", Botticelli trasporta le formule dell'arte sacra. Nelle sue famose Madonne, come nelle più tarde grandi pale (Pala di San Barnaba, 1486-88, Firenze, Uffizi, con fondo a nicchia e baldacchino; Pala di San Marco, 1488-90, Firenze, a doppio registro, terrestre e celeste), egli opera nel senso del raffinamento più che dell'innovazione. Chiamato a Roma da Sisto IV nel 1481 con l'équipe umbro-toscana cui era stata commessa la decorazione della Cappella Sistina, nei due affreschi con Storie di Mosè veste di costumi di fantasia i personaggi biblici, mentre l'impronta "romana" è fornita dagli edifici dello sfondo (l'Ospedale di Santo Spirito e l'Arco di Costantino), che in un certo qual modo danno unità ai molteplici episodi delle due composizioni. Invero appaiono condotte con maggior rigore le due opere fiorentine precedenti il viaggio a Roma: l'affresco con Sant'Agostino (1480, Ognissanti), su commissione dei Vespucci, capolavoro di precisione e acutezza, di elevato respiro intellettuale, e l'immensa Annunciazione di San Martino alla Scala (1481, ora, staccata, al Forte del Belvedere), fondata su un doppio effetto prospettico che accompagna magistralmente le due figure. Opere forti, e sentite come tali dai contemporanei, come attesta un documento di capitale importanza per correggere tante interpretazioni avventate: rigore intellettuale e una certa fierezza di stile lo raccomandavano dunque all'attenzione dei conoscitori, come un pittore completo, e attento alle regole dell'Alberti. Aspetti che saranno completamente smentiti dalla sua evoluzione finale, nei venticinque anni seguenti. Botticelli aveva saputo impiegare il repertorio di figurette, costumi, ornamenti degli illustratori fiorentini, in creazioni sapienti, che davano spazio alla preziosità del dettaglio e all'intensità dei tratti fisionomici; ma le sue invenzioni più incantevoli si trovano in scomparti di predelle e nelle composizioni narrative destinate a cofani o a pannelli decorativi, come quello segnalato da G.Vespucci per Le Storie di Lucrezia, e altri con Storie di Virginia e della Vita di San Zenobi, tutti con figure sommarie e nervose, inquiete, con fondi d'architettura (secondo la tradizione su modelli di Giuliano da Sangallo), mentre il paesaggio è assente. Si trova in tali opere una piacevole formula, facilmente utilizzabile in lavori di bottega, ma che non fa alcuna concessione allo stile morbido e al modellato alla moda. Botticelli si ostina ad andare controcorrente: un insieme di dipinti "mistici" (La Crocifissione simbolica, Cambridge, e la Natività di ispirazione escatologica, come mostra l'iscrizione profetica redatta in greco), uniscono la raffinatezza dello stile alla crisi morale. Vasari ha dato di questa evoluzione due spiegazioni: l'ambizione di Sandro di illustrare Dante, e la sua adesione alla setta dei "piagnoni"; in effetti, fu probabilmente perché si interrogava sui fini dell'arte, colpito dalla predicazione del Savonarola, che Botticelli rinunciò al "grande stile" per creazioni tutte personali.
Dopo un tentativo, fallito, di illustrare con incisioni l'edizione del 1482, egli intraprese per Lorenzo di Pierfrancesco, divenuto suo principale protettore, il commento grafico della Divina Commedia, che per molti aspetti è il suo capolavoro (93 fogli in pergamena di cui otto alla biblioteca Vaticana, il rimanente al Gabinetto delle Stampe di Berlino). La singolarità di quest'opera ne fa veramente un caso a parte: il lirismo lineare del Botticelli supera ogni difficoltà, a contatto della poesia dantesca, soprattutto nel Paradiso. Purificata da questa esperienza, la sua maniera ritrova una accento fermo, insieme nobile e patetico, nella grande Pietà (1498, Monaco). Il suo isolamento è ormai evidente; ricacciato nell'ombra agli inizi del Cinquecento, che sarà dominato dagli orientamenti del tutto opposti di Leonardo e Michelangelo, Sandro non sarà tuttavia dimenticato dai maestri del primo manierismo, come Pontormo. In fondo egli appartiene interamente al Quattrocento, per il disegno dalla cadenza melodiosa, la candida volontà di illustratore; la stessa crisi della sua arte va spiegata come un aspetto di quel riflusso di emotività e di gusto tardogotico, che attraversa l'Italia alla fine del secolo.
Tratto dall'oblio in cui era caduto nell'Ottocento Botticelli è divenuto, volta a volta, un rappresentante dell'arte pia, soave e delicata cara ai preraffaelliti e a Ruskin, poi il simbolo affascinante o detestabile dell'estetismo fiorentino: ai letterati fin de siècle l'eleganza delle sue figure appariva meravigliosamente inquietante, la Primavera era "satanica, irresistibile e terrificante". Alcuni hanno creduto di rintracciare nella sua arte l'eleganza di Utamaro o di Modigliani; altri vi trovarono qualcosa di artificioso e stentato. Curiosa sorte per l'artista che era stato chiamato "l'Apelle Fiorentino".
Nella Fortezza, del 1470 (Firenze, Uffizi), e nel San Sebastiano, del 1474, opere nate ancora sotto l'impressione viva dell'arte del Pollaiolo, la ricerca di un più armonioso equilibrio compositivo e l'uso di un disegno sottile, che modula i contorni della figura allegerendone la massa plastica, rivelano una concezione particolare del valore della linea, la quale muta la sua funzione da dinamico-costruttiva in armonico-compositiva, e del principio stesso dell'armonia formale, basata sull'accordo anziché sul contrasto degli elementi; accordo che risolve per il Botticelli nella scansione ritmico-melodica del motivo grafico, cui egli subordina ogni altro valore: cromatico, plastico e prospettico-spaziale.
Questo stile, che non trova corrispondenze se non in correnti di gusto nordico e senese (per esempio Liberale da Verona, attivo in questi anni a Siena) con le quali tuttavia è azzardato supporre l'esistenza di rapporti diretti, se chiarisce e si manifesta in modo più evidente in un'opera di poco posteriore, il Ritorno di Giuditta (Firenze, Uffizi), ove l'evoluzione ritmico-lineare dei panneggi delle fluttuanti vesti dell'eroina e della sua ancella assumono un valore quasi astratto-decorativo, di puro arabesco. Scompare inoltre qui del tutto il violento plasticismo e l'energica articolazione delle forme del Pollaiolo, alla cui vitalità si sostituisce la grazia patetica dei gesti e dei volti, al cui irruento movimento subentra una mimica elegante e contenuta, tutta in funzione dell'armonia compositiva anziché dell'espressione delle figure, che più che tornare da un'azione cruenta sembra si rechino ad un ballo. In questa già evidente indifferenza per il soggetto, o meglio riduzione e adattamento del contenuto alla sua poetica essenzialmente lirica, è un altro aspetto della complessa arte del Botticelli, che giungerà ad una ambiguità o ad una elusione di contenuto analoga a quella del Giorgione, ma per ragioni e con finalità affatto diverse. Mentre infatti Giorgione trascende il significato del soggetto di rappresentazione per un libero, incondizionato abbandono, per un godimento pieno dello spettacolo naturale, il Botticelli prescinde dall'aderenza al contenuto nella ricerca di un'armonia di una natura razionale, di una bellezza purificata, smaterializzata, che può vivere sempre, perché non contaminata dalla natura e dalla realtà. Tale concezione genera tuttavia nel Botticelli un inevitabile conflitto con il suo stesso mondo, con lo stesso realismo e umanesimo dello spirito rinascimentale. Di qui il suo misticismo estetico, di qui quel velo di malinconia che non è più malinconia serena d'abbandono, come in Giorgione, ma malinconia amara di rinuncia. Ad acutizzare tale tensione interiore dell'artista, che si manifesterà in frequenti mutamenti e revisioni del suo linguaggio formale, contribuirono in larga misura anche fattori esterni, prima di tutti l'influenza dell'ambiente di letterati, eruditi, filosofi della cerchia di Lorenzo il Magnifico, che egli cominciò a frequentare in questi anni. Il nuovo clima intellettualistico, oltre ad affinare, estenuare quasi la sua sensibilità estetica, lo orientò all'adozione di una tematica nuova, quella della favola antica, rispondente al gusto dell'ambiente e a lui congeniale, non come stimolo al classicismo, ché la visione del Botticelli fu assai lontana dall'arte classica, ma perché il velo dell'allegoria e del mito lo liberava finalmente dall'impegno della rappresentazione oggettiva, altrimenti che la pittura sacra.
Dopo un'opera ancora in parte legata alla sua visione iniziale, l'Adorazione dei Magi (Firenze, Uffizi), ove compaiono ritratti realisticamente i personaggi di Casa Medici e lo stesso Botticelli (l'ultimo a destra in veste gialla), nasce il suo primo capolavoro nello stile nuovo, La Primavera, dipinta nel 1478 per l'amico e protettore Lorenzo di Piero de' Medici, che la destinava alla sua villa di Castello. Il quadro presenta immagini del mito antico in una oscura allegoria che sembra voglia illustrare il ritorno della Primavera, ma che appare piuttosto come un Trionfo di Venere, rappresentata in languida posa al centro della composizione tra due distinti gruppi: quello con Flora inseguita da Zefiro e con la Primavera inghirlandata e vestita di fiori che cosparge di rose il suo cammino, e l'altro con le tre Grazie danzanti e Mercurio col caduceo alzato verso il rami dei verdi alberi di arancio che formano l'ameno e fresco boschetto. Questi personaggi, evocati dalla mitologia o ispirati ai versi del Poliziano nelle "Stanze per la Giostra", raffigurati nel libero contesto della composizione senza alcun rapporto tra loro e meno ancora con l'ambiente circostante non hanno nulla di classico, ma anzi sembrano nati dalla fantasia di un novellista tardogotico. Lo stesso linguaggio formale, lungi da alcunché di classico, sembra addirittura antirinascimentale per l'assenza di rapporto prospettico-spaziale, di solidità d'impianto, di rilievo plastico e di relazione patetica o psicologica tra le figure. Eppure il pittore raggiunge una poesia altissima proprio in virtù di tale sublimazione delle forme, di tale perfetta armonia del ritmo lineare, lento, scorrevole, del disegno che crea da solo queste eleganti figure con i volti illanguiditi da una grazia aristocratica, quasi sofisticata, con le vesti di leggero velo che lasciano trasparire i corpi esili, quasi evanescenti, e del colore chiaro, liquido, della luce fioca e fredda del sottobosco, ove l'andamento danzante delle figure segue una mimica studiatissima, che in alcuni motivi, come per esempio nell'intreccio di mani delle Grazie, ricorda gli stilismi esasperati di un Crivelli.
Dopo il bellissimo San Girolamo di Ognissanti, del 1480, in cui il pittore sembra per un momento riacquistare il linguaggio energico ed espressivo del Pollaiolo, e dopo il soggiorno romano per eseguire, accanto ai più rinomati maestri del tempo, ben tre affreschi della Cappella Sistina (due Storie di Mosè e una Storia di Cristo, tra il 1481 e il 1482), ove l'artista, poco pratico di grandi Storie, si rivelò poetico illustratore di episodi isolate, come l'idillica scena di Mosè con le figlie di Jetro, il Botticelli tornava a dipingere quadri mitologici e allegorici per la cerchia di intellettuali fiorentini.
Tra il 1482 e il 1484 circa eseguiva i dipinti di Pallade e il Centauro (Firenze, Uffizi), forse allegoria della Saggezza che domina l'istinto bruto, di Marte e Venere (Londra, National Gallery), tra le composizioni sue meno felici, e della Nascita di Venere, che è invece la più alta creazione del genere e punto d'arrivo dell'estetica botticelliana. Ancor più che nella Primavera si nota qui la suprema armonia del raffinato disegno, la elegante modulazione della linea che crea giochi anche di valore astratto-decorativo, come nelle onde del mare, nell'intreccio dei corpi, nel fluire dei capelli, nell'ondeggiare leggero dei sottili veli, nella stessa veduta della costa, tutta ondulata in golfi e promontori. Anche qui i colori freddi e chiari, le forme purissime e idealizzate trovano la loro perfetta espressione poetica nel gelido nudo della dea. La decantata bellezza della figure femminili del Botticelli è invero una bellezza molto particolare, fuori dalla misura dei sensi, e che forse resta incomprensibile senza un richiamo diretto all'estetica neoplatonica di Marsilio Ficino, che tendeva a conciliare e, se possibile, a identificare, le doti spirituali dell'uomo con la sua avvenenza corporea. Il Botticelli, certo sotto l'influenza di tali dottrine filosofiche, mira quindi a suggerire valori imprescindibili dalla visione rinascimentale, e cioè il senso plastico e di sostanza corporea, con il minimo possibile di materia, e giunge ad estenuare la purezza delle forme senza per altro smaterializzarle del tutto.
In questi anni e nei successivi il Botticelli dipinge comunque anche opere a soggetto sacro, in cui, malgrado una maggiore concretezza di forme e una maggior forza di colore, l'interesse dell'artista si concentra sempre su problemi di composizione e di accordo ritmico lineare. Così nel tondo degli Uffizi con la Madonna del Magnificat, ove le figure degli angeli seguono docilmente la forma circolare del campo, e in quello della Madonna della Melagrana, ove l'armonia compositiva è risolta nella convergente inclinazione delle teste delle figure.
A partire dall'ultimo decennio del secolo il Botticelli mostra un notevole mutamento di stile, che viene generalmente posto in rapporto con la predicazione del Savonarola che avrebbe provocato nell'artista una crisi religiosa. Malgrado l'inevitabile impressione subita da uno spirito inquieto e sensibilissimo come il suo, di una conversione vera e propria non è tuttavia mai stato eretico, secondariamente perché l'abbandono totale della tematica profano-mitologica si giustifica meglio con la mancanza di appassionati cultori del genere dopo la morte del Magnifico e dispersione della sua dotta cerchia. Per quanto concerne più specificatamente l'evozione stilistica dell'artista, va poi considerato che egli anche in passato aveva dato dimostrazione di uno stile narrativo più ricco, sciolto e vivo, non tanto nei soggetti sacri quanto nelle piccole storie dipinte su pannelli per cassoni e spalliere, come quella ispirata alla novella boccaccesca di Nastagio degli Onesti, del 1484 circa, con animatissima rappresentazione dell'episodio ambientato in una pittoresca pineta. Altri esempi si possono trarre dalla illustrazioni della Divina Commedia eseguite per Lorenzo di Pierfrancesco de'Medici. Questo stile, che testimonia il condizionamento culturale, se non l'insincerità, della sua arte di evocatore della favola antica per la clientela della cerchia medicea, cioè dell'arte sua più celebrata, non muta sostanzialmente, ma si evolve nelle opere dell'ultimo decennio e con una certa gradualità, come mostrano la Pala di San Barnaba, l'Incoronazione della Vergine e l'Annunciazione (oggi agli Uffizi), eseguite appunto intorno al 1490, quindi prima della morte di Lorenzo e del Savonarola, in cui c'è già un irrigidirsi della linea, un indurirsi delle forme e un incupirsi delle tinte.
D'altra parte, anche dopo tale data il Botticelli produrrà opere che, se non nel soggetto, almeno nella forma, ricordano la sua precedente maniera. Tra esse è la Calunnia, del 1495 circa, allegoria direttamente ripresa dalla descrizione di Luciano di un analogo dipinto di Apelle: la Calunnia, accompagnata dall'insidia e dalla Frode, con la fiaccola accesa e preceduta dal Livore, trascina un giovane nudo, la vittima, al tribunale di Mida, consigliato dall'Ignoranza e dal Sospetto, mentre a sinistra la Penitenza si volge verso la Verità. La movimentata scena è ambientata in un'architettura fastosamente ornata di statue e di rilievi dorati, inseriti persino nei lacunari delle volte.
Anche in dipinti di soggetto sacro, come le Pietà di Milano e di Monaco, non viene abbandonata del tutto la maniera precedente. Nella pietà di Monaco, per esempio, malgrado il maggior dinamismo, l'espressione e la mimica patetica delle figure e la semplificazione monumentale del gruppo, permangono elementi astratti, come l'inclinazione convergente delle teste, e irrazionali, come l'architettura di rocce che non può certo reggersi in virtù del cuneo centrale, come negli archi.
Ancora scenette assai vivaci, nelle quali Sandro Botticelli rispetta il rapporto tra figure e architetture recano i pannelli dipinti, come quello della Storia di Virginia, conservato a Bergamo, all'Accademia Carrara, del 1499 circa, con grandioso inquadramento architettonico, e , posteriori al 1500, quelli illustranti i Miracoli di San Zanobi (divisi tra i Musei di Londra, Dresda e New York), nei quali l'effetto drammatico appare fortemente accentuato dal dinamismo della composizione.
Ancora opere di un certo valore dà il Botticelli nella Crocifissione del Museo Fogg di Cambridge e soprattutto nella Natività della National Gallery di Londra, del 1501, tutta pervasa da un senso di inquietudine e di nuova complicazione drammatica (per esempio gli abbracci degli angeli e degli uomini in basso) davvero inconsueto, ma formalmente già indebolita dall'inaridirsi della vena poetica del pittore.
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