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ARTE (i numeri, l'arte, l'edilizia, la letteratura)




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ARTE (i numeri, l'arte, l'edilizia, la letteratura)


<<Dovunque ci sono numeri c'è bellezza e siamo
nelle immediate vicinanze dell'arte>>
(Andreas Speiser)



Vi ricordate la sfida che era stata proposta relativa alla presenza dei numeri nascosti? Avete frattanto iniziato a riflettere su cosa vi sta intorno e su quanti numeri nascosti vi siano?

Il più lampante tipo di numero che è possibile osservare è quello "geometrico" e quindi, successivamente, per traslazione pratica, quello "artistico".

Ogni aspetto della geometria, della volumetria e della fisicità è numerabile e calcolabile, quindi non dovete stupirvi se il totale dei "numeri nascosti" attorno a voi inizia subito a salire vertiginosamente.

Magari starete pensando: <<Ma che tipo di numeri possiamo trovare nell'arte? Si, magari un po' la prospettiva, ma poi che altro? Cosa c'è di geometrico, che ne so, nella Gioconda?>>

Osservatela con i vostri occhi e dite se, secondo voi, non vi sono geometria, numerologia e simbolismo in quest'opera d'arte, girate pagina e giudicate voi.

Per prima cosa inizia qui a delinearsi un concetto molto importante nella logica della fisionomia matematica della realtà, portata ad una certa notorietà dal romanzo di Dan Brown <<Il Codice Da Vinci>>: si tratta della proporzione aurea, o numero φ (phi), ma di ciò parleremo meglio fra un po'.

Torniamo all'opera leonardesca di cui si stava accennando prima.

Ne <<La geometria segreta dei pittori>>, Charles Bouleau sostenne la tesi secondo la quale un pittore maniacalmente affascinato dalla sezione aurea sarebbe stato Leonardo da Vinci e le prove sarebbero all'interno di alcuni dei suoi dipinti più famosi quali il San Gerolamo, La Vergine delle Rocce, la Testa di vecchio e la Monna Lisa.

In quest'ultima opera in particolare è presente un "rettangolo aureo" sebbene l'autore stesso del saggio pare essere piuttosto scettico riguardo questa tesi.

Nel momento in cui la si guarda, in più, la donna raffigurata (anche se secondo alcuni non si tratta di una donna) sembra sempre che stia puntando lo sguardo sull'osservatore, qualsiasi posizione esso assuma, come se cercasse un contatto visivo con lo spettatore, un dialogo senza parole ma fatto di sole emozioni, intimo e personale. Un simile effetto di sicuro non può dipendere

solamente dalla tecnica dello "sfumato", in cui Leonardo eccelleva e continua ad eccellere, ma anche, e soprattutto, per via di un complesso studio della geometria e della proporzione aurea. Guardate la pupilla sinistra della Gioconda, con occhi attenti e desiderosi di apprendere sarà facile notare quanto sia centrale la posizione dell'occhio. Infatti la linea che passa verticalmente per il centro del quadro tange perfettamente la pupilla sinistra della Monna Lisa. Nella costruzione del rettangolo aureo applicato all'intera struttura del dipinto si avrà la linea divisoria passante per la bocca della donna!

Una cosa è certa: Leonardo non dipinse nulla per caso o senza prima aver studiato a fondo ciò che doveva ritrarre. Il suo fu un genio polivalente, elaborò diversi progetti di macchine da guerra e macchine volanti, progetti dotati di una tale inventiva e genialità da potere fornire la prova sicura di una predisposizione e, soprattutto, la consapevolezza per l'apprendimento di conoscenze fisico-matematiche e la capacità di saperle applicare alle varie fasi progettuali.

Leonardo fu senza dubbio un genio polivalente, non si dedicò solo alla pittura, agli studi geometrico-fisico-matematici ed alla progettazione di diverse opere sia belliche che civili, ma anche allo studio anatomico.

Sappiamo infatti, anche se questa informazione è molto discussa, che fu tra i primi a praticare delle specie di "autopsie post mortem"  ante diem, grazie alle quali effettuò i suoi studi approfonditi sulle volumetrie umane, studiando il corpo dall'interno. Tutte le nozioni di questo tipo vennero puntualmente appuntate (scusate il gioco di parole) e disegnate con degli schizzi che divennero famosi per la loro perizia e precisione nella descrizione dei particolari.

Tutto il sapere che Leonardo acquisì venne dunque convogliato all'interno di un'altra delle sue opere universalmente conosciute, l'<<Uomo vitruviano>>, perfetta sintesi di sapere anatomico e geometrico-matematico.

Certamente qualcuno poco attento non si ricorderà subito di cosa stiamo parlando; si tratta della figura incisa anche sul retro delle nostre monete da un euro. In pratica basta frugare un po' in tasca per avere un esempio tangibile del numero φ  all'interno del corpo umano!

Ma, precisamente, che cos'è la proporzione aurea?

Essa era conosciuta come divina proportione e veniva considerata quasi la chiave mistica dell'armonia nelle arti e nelle scienze.

Il concetto non è precisamente fra i più comuni soggetti di discussione quotidiana, quindi può risultarne difficile la comprensione immediata.

Preliminarmente si fornisce di seguito una coordinata essenziale: il suo valore approssimativo. Si aggira intorno a 1,618 e si tratta di un numero irrazionale esprimibile in termini frazionari come

Per via delle sue proprietà geometriche e matematiche, frequentemente riproposte in svariati contesti naturali, apparentemente slegati tra loro, la proporzione aurea ha impressionato nei secoli la mente dell'uomo, che è arrivato a cogliervi, col tempo, un ideale di bellezza e armonia, spingendosi a ricercarlo e, in alcuni casi, a ricrearlo nell'ambiente antropico quale canone di bellezza. Su questa proporzione sono stati fatti studi artistici di altissimo livello, e una delle migliori creazioni è la spirale aurea.

Il concetto di sezione aurea è strettamente legato all'arte, in quanto è la riproposizione grafica del numero φ, il quale è a sua volta legato alla sequenza di Fibonacci, anch'essa resa nota al grande pubblico dal sopraccitato romanzo di Dan Brown. La sequenza segue uno schema fisso ed infinito, che riporto di seguito:


1° elemento: m

2° elemento: n

3° elemento: m + n

4° elemento: m + 2n

5° elemento: 2m + 3n

6° elemento: 3m + 5n

7° elemento: 5m + 8n

8° elemento: 8m + 13n

9° elemento: 13m + 21n

10° elemento: 21m + 34n

Sommando tutti i dieci elementi, si otterrà 55m + 88n che è proprio uguale a 11 volte il settimo elemento. e ritorna pure il fatidico sette di prima, la firma di Dio.

Vaneggiamenti sul sette a parte, la relazione fra numero φ  e sequenza di Fibonacci potrebbe ancora risultare oscura. Si pongono allora "a sistema".

Il rapporto Fn / Fn-1 al tendere di n all'infinito tende al numero irrazionale φ. Quindi:

Il rapporto tra un numero di Fibonacci e il suo successivo tende al reciproco di φ:

Questa relazione non rimane soltanto a livello puramente teorico, bensì riveste un'incredibile importanza nell'arte di tutti i tempi, soprattutto in quella più moderna.

I numeri di Fibonacci sono stati usati in alcune opere d'arte; ad esempio Mario Merz li ha usati nell'installazione luminosa denominata Il volo dei numeri su una delle fiancate della Mole Antonelliana di Torino.

Anche a Barcellona e a Napoli è stata creata un'installazione luminosa: nella città spagnola si trova nell'area della Barceloneta, all'interno dell'area pedonale, dove i numeri sono posti a distanze proporzionali alla loro differenza, mentre a Napoli sono disposti a spirale all'interno della stazione "Vanvitelli" della Linea 1 della Metropolitana e, più precisamente, sul soffitto che sovrasta le scale mobili quando, superate le obliteratrici, si scende all'interno della stazione vera e propria.

Ma ciò che più interessa in questo istante è l'apporto fornito all'operato dell'architetto svizzero Le Corbusier.

Le Corbusier aveva individuato nella proporzione aurea la proporzione dell'uomo, la "misura d'uomo" e, quindi, per la sua "architettura a misura d'uomo", non poteva che scegliere l'enigmatico numero φ come base e fondamento delle sue opere.

In questa sede non ci si può dilungare sull'aspetto architettonico delle opere dello svizzero sebbene vi sarebbe tanto da dire in proposito; basti pensare alle sue varie Unités d'Habitation ed alla cattedrale di Notre Dame du Haute per trovare riscontro diretto dell'architettura a misura d'uomo. Ma qui preme di più la questione che ne sta alla base, cioè la misura d'uomo.

Il termine usato dallo stesso Le Corbusier è <<modulor>> e così si intitola anche la sua opera dove espone le sue idee sulla proporzione aurea.

Il numero φ  è presente all'interno della stessa costituzione fisica dell'uomo, è un suo costante denominatore, è un qualcosa di insito in lui, e quindi deve essere anche la base sulla quale costruire ciò che sta al di fuori dell'uomo, ciò che è la realtà esterna.

Ovviamente sorgerà spontanea una domanda del tipo <<Come può il nostro corpo essere costituito e regolato secondo un numero, per giunta irrazionale?>>.

Sarà lo stesso Le Corbusier a fornire la risposta, mediante il suo celebre disegno (peraltro copertina del suo scritto sopraccitato), denominato ovviamente modulor, raffigurante la proporzione aurea su un soggetto che si potrebbe descrivere come un uomo di media statura di circa 1,81 m e corporatura media.

Guardando attentamente si nota come l'immagine sia tripartita: al centro troviamo la scala che segue contemporaneamente la sequenza di Fibonacci e la proporzione aurea, sulla sinistra vi è impressa l'immagine dell'uomo medio con un braccio alzato e, sulla destra, vi è già una riproposizione geometrica che ricorda vagamente il progetto di una casa.

Probabilmente a questo punto le volumetrie geometriche dei dipinti leonardeschi saranno per il pubblico di maggior gradimento rispetto alle espressioni più moderne de Le modulor o della sequenza di Fibonacci e quindi della proporzione aurea e delle sue applicazioni e, magari, si riconoscerà anche una maggior vicinanza a quelle che sono le reali volumetrie del nostro corpo umano. Bisogna darne atto, Le Corbusier era molto più dotato nel disegno tecnico e strutturale che in quello fisionomico. Però ciò non toglie che i due artisti siano pienamente d'accordo per quanto riguarda la questione del numero nella realtà: stili dissimili per fini simili.


Ma non è solo nell'arte pittorica o in quella architettonica che è possibile ritrovare un impianto stilistico sì vicino alla matematica: ne è impregnata anche la letteratura.

Spesso si immagina che la matematica non possa realmente permeare un capolavoro della letteratura, perché da sempre la mente matematica è sembrata essere "altro" dalla mente letteraria. E invece due discipline così apparentemente distanti, trovano a volte un punto di unione, un qualcosa di criptico, nascosto, a volte esplicito ma che, in genere, va ricercato fra le righe con occhi attenti e desiderosi di apprendere.


Sin dall'età di Cesare, infatti, abbiamo testimonianza di importanti autori che utilizzano anche dei numeri per esprimere al meglio le loro idee. Non sto parlando solo di "tecnici" delle scienze che possono scrivere trattati matematici. Sto parlando anche di poeti: per esempio un carme impregnato di numeri è il carme 5 di Catullo


Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,

rumoresque senum severiorum

omnes unius aestimemus assis.

Soles occidere et redire possunt:

nobis, cum semel occidit brevis lux,

nox est perpetua una dormienda.

Da mi basia mille, deinde centum,

dein mille altera, dein secunda centum,

deinde usque altera mille, deinde centum.

Dein, cum milia multa fecerimus,

conturbabimus illa, ne sciamus,

aut nequis malus invidere possit,

cum tantum sciat esse basiorum.

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo(ci), 

e le chiacchiere dei vecchi troppo arcigni 

consideriamole tutte un soldo (bucato). 

I giorni [i soli] possono tramontare e ritornare; 

noi, una volta che la breve luce è tramontata,

dobbiamo dormire un'unica notte eterna. 

Dammi mille baci, (e) poi cento, 

poi mille altri, poi ancora cento, 

poi di seguito altri mille, (e) poi cento. 

Poi, quando ne avremo totalizzate [avremo fatto] molte migliaia, 

li rimescoleremo, per non conoscere il totale,

o perché nessun maligno possa gettar(ci) il malocchio, 

sapendo che è così grande il numero dei baci [che c'è tanto di baci].


Cosa si può notare in quest'opera? L'approccio numerico non è scientifico e non è neanche molto esoterico, è solo espressione di un sentimento che non saprebbe come altro tracimare dalle parole del poeta se non grazie a un paragone matematico, a un'iperbole numerica.

Il numero dei baci infatti è 100 e 1000, baci che simboleggiano l'enorme e quindi l'infinito e che, sommati e mescolati, acquistano un significato così potente da mettere l'autore e l'amata quasi in una condizione di forza anche verso chiunque volesse creare ostacoli al loro amore.


Continuando a trattare il nostro tema fondamentale, "ovvero come i numeri si sono impadroniti del mondo", all'interno della produzione letteraria, non è possibile fermarsi al "semplice" esempio catulliano, (dove per altro i numeri non sono "numeri nascosti" ma palesemente utilizzati dall'autore).


Si tratta quindi di fare un balzo nel tempo, si tratta di arrivare all'età vittoriana inglese, e prendiamo ad esempio il capolavoro di Lewis Carroll, "Alice's adventures in wonderland , volgarmente detto "Alice nel paese delle meraviglie : ad occhi poco scrupolosi potrebbe anche presentarsi come una semplice favola per bambini, ma forse questa è una delle poche cose che non è. È vero, generazioni di bambini hanno potuto vivere e vedere con gli occhi della fantasia le avventure di questa bimbetta un po' folle, a sprazzi saggia, un po' furbetta e, talvolta, un po' leziosetta; ma Alice va ben oltre le apparenze!

Negli anni tanti si sono prodigati nel tentativo di capire cosa volesse realmente comunicare l'autore. Carroll era più che un semplice letterato: era un matematico ed un religioso ed aveva, quindi, una visione complessa e forse un po' contorta della vita, caratterizzata da un approccio nei confronti della realtà di tipo speculativo-filosofico-materialistico-visionario, approccio che spesso trasfondeva nella fotografia, una delle sue molteplici passioni.

Si prenda, per esempio, una delle prime scene descritte nel I capitolo, quello della caduta di Alice nella tana del Coniglio:


The rabbit-hole went straight on like a tunnel for some way, and then dipped suddenly down, so suddenly that Alice had not a moment to think about stopping herself before she found herself falling down a very deep well.

Either the well was very deep, or she fell very slowly, for she had plenty of time as she went down to look about her and to wonder what was going to happen next. First, she tried to look down and make out what she was coming to, but it was too dark to see anything; then she looked at the sides of the well, and noticed that they were filled with cupboards and bookshelves; here and there she saw maps and pictures hung upon pegs. She took down a jar from one of the shelves as she passed; it was labelled 'ORANGE MARMALADE', but to her great disappointment it was empty: she did not like to drop the jar for fear of killing somebody, so managed to put it into one of the cupboards as she fell past it.

'Well!' thought Alice to herself, 'after such a fall as this, I shall think nothing of tumbling down stairs! How brave they'll all think me at home!

Why, I wouldn't say anything about it, even if I fell off the top of the house!' (Which was very likely true.)

Down, down, down. Would the fall NEVER come to an end! 'I wonder how many miles I've fallen by this time?' she said aloud. 'I must be getting somewhere near the centre of the earth. Let me see: that would be four thousand miles down, I think-' . '-yes, that's about the right distance-but then I wonder what Latitude or Longitude I've got to?' (Alice had no idea what Latitude was, or Longitude either, but thought they were nice grand words to say.)

Presently she began again. 'I wonder if I shall fall right THROUGH the earth! How funny it'll seem to come out among the people that walk with their heads downward! The Antipathies, I think-' (she was rather glad there WAS no one listening, this time, as it didn't sound at all the right word) '-but I shall have to ask them what the name of the country is, you know.

. She felt that she was dozing off, and had just begun to dream that she was walking hand in hand with Dinah, and saying to her very earnestly, 'Now, Dinah, tell me the truth: did you ever eat a bat?' when suddenly, thump! thump! down she came upon a heap of sticks and dry leaves, and the fall was over.


La buca della conigliera filava dritta come una galleria, e poi si sprofondava così improvvisamente che Alice non ebbe un solo istante l'idea di fermarsi: si sentì cader giù rotoloni in una specie di precipizio che rassomigliava a un pozzo profondissimo.

Una delle due: o il pozzo era straordinariamente profondo o ella ruzzolava giù con grande lentezza, perchè ebbe tempo, cadendo, di guardarsi intorno e di pensar meravigliata alle conseguenze. Aguzzò gli occhi, e cercò di fissare il fondo, per scoprire qualche cosa; ma in fondo era buio pesto e non si scopriva nulla. Guardò le pareti del pozzo e s'accorse che erano rivestite di scaffali di biblioteche; e sparse qua e là di mappe e quadri, sospesi a chiodi. Mentre continuava a scivolare, afferrò un barattolo con un'etichetta, lesse l'etichetta: "Marmellata d'Arance" ma, ohimè! con sua gran delusione, era vuoto; non volle lasciar cadere il barattolo per non ammazzare chi si fosse trovato in fondo, e quando arrivò più giù, lo depose su un altro scaffale.

"Bene, - pensava Alice, - dopo una caduta come questa, se mai mi avviene di ruzzolare per le scale, mi sembrerà meno che nulla; a casa poi come mi crederanno coraggiosa! Anche a cader dal tetto non mi farebbe nessun effetto!" (E probabilmente diceva la verità).

E giù, e giù, e giù! Non finiva mai quella caduta? - Chi sa quante miglia ho fatte a quest'ora? - esclamò Alice. - Forse sto per toccare il centro della terra. Già saranno più di quattrocento miglia di profondità. - . Sì, sarà questa la vera distanza, o pressappoco, ma vorrei sapere a qual grado di latitudine o di longitudine sono arrivata. (Alice veramente, non sapeva che fosse la latitudine o la longitudine, ma le piaceva molto pronunziare quelle parole altisonanti!)

Passò qualche minuto e poi ricominciò: - Forse traverso la terra! E se dovessi uscire fra quelli che camminano a capo in giù! Credo che si chiamino gli Antitodi. - Fu lieta che in quel momento non la sentisse nessuno, perchè quella parola non le sonava bene - Domanderei subito come si chiama il loro paese

Sonnecchiava di già e sognava di andare a braccetto con Dina dicendole con faccia grave: "Dina, dimmi la verità, hai mangiato mai un pipistrello?" quando, patapunfete! si trovò a un tratto su un mucchio di frasche e la caduta cessò.


Risulta interessante l'approccio di Piergiorgio Odifreddi allo sfondo matematico della novella; si riporta di seguito un passo del suo saggio "Meraviglie nel paese di Alice"  nel quale, tra le altre cose, si evidenzia bene che già Galilei, nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi, aveva dato una soluzione al problema che Alice si trova a fronteggiare nel suo avventuroso incidente: la caduta libera verso il . centro della Terra.

Dice testualmente Odifreddi, seguendo pedissequamente il ragionamento di Galilei:

<< . da un punto di vista puramente dinamico, e ignorando attriti e rotazione (ad esempio, supponendo che il buco colleghi i due poli), Alice cadrebbe con accelerazione decrescente ma velocità crescente fino al centro della terra, dove raggiungerebbe accelerazione zero, continuando poi a cadere con velocità decrescente fino agli antipodi, che raggiungerebbe a velocità zero dopo circa 42 minuti! Una volta dall'altra parte, poi, riprenderebbe a cadere "all'insù", con un moto oscillatorio che la farebbe salire e scendere in eterno, come se fosse attaccata ad un elastico. In presenza di attrito l'oscillazione sarebbe invece smorzata, e prima o poi ci si fermerebbe al centro della terra.>>

È alquanto curioso entrare nel ragionamento di Carroll e seguire questo approccio scherzoso ma anche estremamente interessante su cosa dovrebbe essere e non è la realtà che si immagina. Si guardi, ad esempio, questo continuo allungarsi e accorciarsi, espandersi e contrarsi, che sperimenta il corpo di Alice (con riflessi alquanto destabilizzanti, peraltro, sulla sua psiche):


.She found a little bottle on it, ('which certainly was not here before,' said Alice,) and round the neck of the bottle was a paper label, with the words 'DRINK ME' beautifully printed on it in large letters.

It was all very well to say 'Drink me,' but the wise little Alice was not going to do THAT in a hurry..

Alice ventured to taste it, and finding it very nice, (it had, in fact, a sort of mixed flavour of cherrytart, custard, pine-apple, roast turkey, toffee, and hot buttered toast,) she very soon finished it off.

'What a curious feeling!' said Alice; 'I must be shutting up like a telescope.' And so it was indeed: she was now only ten inches high, and her face brightened up at the thought that she was now the right size for going through the little door into that lovely garden. First, however, she waited for a few minutes to see if she was going to shrink any further: she felt a little nervous about this; 'for it might end, you know,' said Alice to herself, 'in my going out altogether, like a candle. I wonder what I should be like then?' And she tried to fancy what the flame of a candle is like after the candle is blown out, for she could not remember ever having seen such a thing.

. Soon her eye fell on a little glass box that was lying under the table: she opened it, and found in it a very small cake, on which the words 'EAT ME' were beautifully marked in currants. 'Well, I'll eat it,' said Alice, 'and if it makes me grow larger, I can reach the key; and if it makes me grow smaller, I can creep under the door; so either way I'll get into the garden, and I don't care which happens!'.

'Curiouser and curiouser!' cried Alice (she was so much surprised, that for the moment she quite forgot how to speak good English); 'now I'm opening out like the largest telescope that ever was! Good-bye, feet!' (for when she looked down at her feet, they seemed to be almost out of sight, they were getting so far off).

Just then her head struck against the roof of the hall: in fact she was now more than nine feet high, and she at once took up the little golden key and hurried off to the garden door.

. vi trovò invece un'ampolla, (e certo prima non c'era, - disse Alice), con un cartello sul quale era stampato a lettere di scatola: "Bevi."

- È una parola, bevi! - Alice che era una bambina prudente, non volle bere. - .

.Alice si arrischiò a berne un sorso. Era una bevanda deliziosa (aveva un sapore misto di torta di ciliegie, di crema, d'ananasso, di gallinaccio arrosto, di torrone, e di crostini imburrati) e la tracannò d'un fiato.

- Che curiosa impressione! - disse Alice, - mi sembra di contrarmi come un cannocchiale!

Proprio così. Ella non era più che d'una ventina di centimetri d'altezza, e il suo grazioso visino s'irradiò tutto pensando che finalmente ella era ridotta alla giusta statura per passar per quell'uscio, ed uscire in giardino. Prima attese qualche minuto per vedere se mai diventasse più piccola ancora. È vero che provò un certo sgomento di quella riduzione: - perchè, chi sa, potrei rimpicciolire tanto da sparire come una candela, - si disse Alice. - E allora a chi somiglierei? - E cercò di farsi un'idea dell'apparenza della fiamma d'una candela spenta, perchè non poteva nemmeno ricordarsi di non aver mai veduto niente di simile!

Ecco che vide sotto il tavolo una cassettina di cristallo. L'aprì e vi trovò un piccolo pasticcino, sul quale con uva di Corinto era scritto in bei caratteri "Mangia". - Bene! mangerò, - si disse Alice, - e se mi farà crescere molto, giungerò ad afferrare la chiavetta, e se mi farà rimpicciolire mi insinuerò sotto l'uscio: in un modo o nell'altro arriverò nel giardino, e poi sarà quel che sarà!

.- Stranissimo, e sempre più stranissimo! esclamò Alice (era tanta la sua meraviglia che non sapeva più parlare correttamente) - mi allungo come un cannocchiale, come il più grande cannocchiale del mondo! Addio piedi! (perchè appena si guardò i piedi le sembrò di perderli di vista, tanto s'allontanavano.)

. In quel momento la testa le urtò contro la volta della sala: aveva più di due metri e settanta di altezza! Subito afferrò la chiavettina d'oro e via verso la porta del giardino.


Questo continuo gioco di anormalità, dentro e fuori dalla normalità, viene commentato da Odifreddi in senso assolutamente improbabile, prendendo a sua volta spunto da Galileo che trattò tale argomento nei Discorsi intorno a due nuove scienze:

<<. le leggi della fisica non sono affatto invarianti rispetto a cambiamenti di scala: ad esempio, se un cane aumentasse anche solo di tre volte le sue dimensioni, le sue ossa dovrebbero essere completamente riprogettate (cosa che Galileo fa diligentemente), e non potrebbero soltanto essere aumentate proporzionalmente al resto del corpo. La povera Alice sarebbe dunque dovuta collassare sotto il suo peso, uscendo malconcia dalle sue avventure (o, più semplicemente, avrebbe potuto dedurre che stava solo sognando) >>

Ecco quindi - come già si diceva nella premessa di questo excursus - che la scienza matematica riesce a entrare dentro qualunque cosa, anche in un innocente gioco di bimba.

In questo racconto l'insensatezza sembra essere il leitmotiv della storia, il filo conduttore dell'intera vicenda, ma, in verità, tutto è razionalmente e logicamente impostato in modo da trasmettere, a chi legge, un' immagine apparentemente "sconvolgente" dell'uso delle teorie fisiche e matematiche. Solo un grande conoscitore di tali teorie poteva fare ciò.

In "Alice" tutto ciò che è noto, lecito e riconosciuto viene reso irreale, irriconoscibile, impossibile; Lewis Carroll sembra stravolgere anche le stesse leggi della fisica, della geografia e della matematica. La realtà, per noi unica ed immutabile, proprio con questi artifici, qui diviene caleidoscopica, aperta a più vie che nel quotidiano non possono manifestarsi. Tutto ciò che a noi appare sicuro ed ovvio, nella realtà "altra" perde la sua affidabilità, e non sfugge a questo destino persino l'identità umana; infatti Alice cambia vistosamente statura così spesso da non riuscire a rispondere alla domanda del bruco parlante <<E chi sei tu?>>.

"Alice" riflette in pratica le reali insensatezze che dominano il mondo reale trattando l'estrema arbitrarietà delle leggi umane, le regole della società vigente. Esse vengono trattate con gli occhi, col cuore, con le parole, con i pensieri di un bimbo, quasi per rendere meno crudo e meno ingeneroso nei confronti dell'umanità il suo pensiero disfattista.

Un altro esempio che si riporta è quello di uno scrittore di cui si è già accennato nella sezione dedicata alla realtà: Italo Calvino.

In un'intervista del 1965 l'autore affermò di aver incominciato ad interessarsi di argomenti scientifici, non per trovare ispirazione letteraria, ma per semplice interesse.

La sua ispirazione fu semplice conseguenza delle materie trattate dai testi che leggeva.

Nascono così Le Cosmicomiche, 12 racconti brevi con un protagonista percorre le varie ere cosmiche e della realtà terrestre utilizzando differenti forme fisiche. Si va dal puntino di "Tutto in un punto", al giovinetto di "Un segno nello spazio" o "Senza colori", o ancora, ad un rettile ne "Lo zio acquatico" o ad un dinosauro ne "I dinosauri" , ad una conchiglia ne "La spirale", fino alle fattezze più umane di racconti quali "La distanza della Luna".

In questa sede prenderemo ad esempio un testo soprattutto, il cui titolo è Quanto scommettiamo. All'interno di questo racconto Calvino mostra come l'onnipresente Qfwfq ed il Decano (k)yK si intrattengano con scommesse alquanto bizzarre sugli avvenimenti dell'evoluzione del Cosmo.

Viene qui riportata una teoria quasi democritea, di un cosmo costituito da atomi che nel loro girovagare non possono che seguire delle traiettorie specifiche e calcolabili matematicamente.

Qfwfq, infatti, calcolando lo spostamento delle particelle atomiche, riesce quali sempre a prevedere esattamente il futuro delle galassie ed anche delle persone, in un contesto vicino a quello del mondo normale. Se ne riporta un esempio tratto dal racconto:

<<"L'8 febbraio 1926, a Santhià, provincia di Vercelli, d'accordo?, in Via Garibaldi al numero 18, mi segui?, la signorina Giuseppina Pensotti, d'anni 22, esce di casa alle 5 e tre quarti del pomeriggio: prende a destra o a sinistra?"

"Eeeh." faceva (k)yK.

"Dai, veloce. Io dico che va a destra".

E attraverso le nebule di pulviscolo solcate dalle orbite delle costellazioni già vedevo salire la nebbietta della sera per le vie di Santhià, accendersi fioco un lampione che arrivava appena a segnare la linea del marciapiede nella neve, e illuminava per un momento l'ombra snella di Giuseppina Pensotti, mentre voltava l'angolo dopo la pesa del Dazio, e si perdeva>>.


Questo breve excursus sull'arte e la letteratura dovrebbe avervi fornito ormai un numero sufficiente di prove di quanto i numeri si siano ormai impadroniti del mondo.

Ancora non ne siete convinti? Va bene, allora proseguiamo.


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