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Arte Contemporanea: il "vuoto" concettuale in Manzoni e Ryman




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Arte Contemporanea: il "vuoto" concettuale in Manzoni e Ryman



Premessa: l'arte contemporanea

L'arte contemporanea è uno strumento per indur­ci a riflettere sul nostro presente, e un po' sul nostro fu­turo. È uno stimolo a comprendere che il solo fare non basta. L'arte concettuale ha in sé una grande potenzialità, forse più energica della classica opinione di arte: la riflessione, l'immaginazione nonché l'immediatezza dei concetti. Esempio calzante di questa nuova espressione artistica sono sicuramente le opere di Piero Manzoni che hanno destato non pochi interrogativi non solo a livello estetico ma anche nella concezione di opera d'arte.

Verso la fine degli anni Cinquanta alcuni giovani artisti tra cui lo stesso Manzoni iniziarono a considerare l'arte come un'attività specifica e autonoma dalle necessità espressive dell'artista derivate dalla sua esistenza. Per questi artisti la creazione si fonda un progetto mentale e tecniche specifiche che portano a considerare l'opera come una realtà a parte, rispetto allo scopo soggettivo dell'artista. Essi si oppongono quindi al concetto di arte come "avventura liberatoria" e vanno verso l'acquisizione di una coscienza più riflessiva del proprio ruolo, distinto da quello dell'opera che comincia a vedersi come conseguenza dell'operare, del fare arte.

"Non ci si stacca dalla terra correndo o saltando; occorrono le ali; le modificazioni non bastano: la trasformazione deve essere integrale. Per questo io non riesco a capire i pittori che pur dicendosi interessati ai problemi moderni, si pongono a tutt'oggi di fronte al quadro come se questo fosse una superficie da riempire, di colori o di forme, secondo un gusto più o meno apprezzabile, più o meno orecchiato.[..] Il quadro è finito: una superficie d'illimitate possibilità è ora ridotta ad una specie di recipiente in cui sono forzati e compromessi colori innaturali, significati artificiali. Perché invece non vuotare questo recipiente? Perché non liberare questa superficie? Perché non cercare di scoprire il significato di uno spazio totale, di una luce pura ed assoluta?  Non c'è nulla da dire: c'è solo da essere, c'è solo da vivere." [Piero Manzoni]

Protagonista indiscutibile delle arti visive del '900 Manzoni ha letteralmente sconvolto le sorti dell'arte contemporanea nel giro di sette anni di produzione infaticabile e sfrenata, ridefinendo il (non) senso del fare arte, inoltrando, senza punto di ritorno, il margine della sperimentazione verso le fondamenta stesse della creazione intesa in senso assoluto, fino a quando essa non arrivi a coincidere con la vita stessa, laddove l'opera diviene l'artista, e quindi: l'umano proteso in una materialità sviscerata.

Eppure la soluzione che Manzoni suggerisce non sta tanto nel levare, sottrarre, per arrivare al minimale dell'espressione, quanto nell'eliminazione stessa del creare, dell'idea di io, di persona che si cela dietro una tela. Incalzante, serrata, rigorosa, la ricerca di Manzoni ambisce al mito: come fondamento poetico, materico, sostanziale dell'umano, sgombro da sofisticazioni e sovrapposizioni falsanti. Sicché, tutta la prima fase è volta a liberare la pittura da se stessa. L'arte deve essere materia emancipata: dalla stesura del colore, dal disegno e l'ornamento, dalla rappresentazione, dalla forma, dal colore. Nascono così gli Achromes: spogliazione della pittura attraverso l'emersione non del bianco come non-colore, ma della materia sintomatica del bianco: gesso; caolino; ovatta; lapin; polistirolo espanso. Queste sostanze, trasbordando sulla tela, imprigionando panini, uova o fili di paglia, sono i significanti assoluti e irriducibili di un'arte liberata da alcunché d'espressivo, personale, comunicativo, lirico: il vuoto e l'incomunicabilità.



Piero Manzoni (1933-1963)



Piero Manzoni: "Achromes" 


Il termine "a-chrome" significa letteralmente "non-colore" ed è scelto da Manzoni per designare un ciclo di opere che, nato nell'autunno del 1957, accompagnerà ininterrottamente la ricerca dell'artista fino al 1963, anno della sua morte. I primi Achrome si presentano come superfici bianche ricoperte di gesso grezzo o imbevute di caolino (argilla liquida che si stende sulle tele perché su esse si possa poi stendere il colore). In queste opere la creazione dell'immagine è affidata al processo stesso di solidificazione della materia piuttosto che all'intervento diretto dell'artista. In altre parole l'artista lascia che l'opera si generi e definisca da sé, emergendo direttamente dalla vitalità intrinseca alla materia di cui è fatta.

Manzoni infatti non intende esprimere nell'opera un moto esistenziale o un valore emotivo, che il colore o la forma potrebbero veicolare. La sua è una ricerca dell'assoluto che intende confrontarsi col pensiero puro, un pensiero relativo allo statuto teorico dell'opera d'arte. La tela "achrome" per Manzoni è un frammento di infinito, lo dice lui stesso in una famosa dichiarazione di poetica: "il quadro che vediamo ha dei limiti fisici, ma potrebbe non averne affatto". L'osservatore non dovrebbe limitarsi a osservare quello che vede, ma immaginare una superficie infinita, senza confini, l'equivalente visivo del concetto di assoluto. La ricerca di Manzoni sposta l'opera d'arte verso un'altra dimensione, dove essa diventa spunto per una riflessione sulla natura stessa del linguaggio artistico che ha risonanze filosofiche. L'assenza di colore può essere anche interpretata come esito del disagio che l'artista prova nei confronti dei canoni dell'arte classica piena di forme, colori, tratti che rendono il dipinto quanto più lontano dalla naturalezza espressiva della realtà.



Coerentemente con le sue premesse, l'artista costruisce il quadro osservando canoni di radicale azzeramento espressivo, rendendo talvolta l'opera apparentemente "vuota". Avremo quindi, una superficie bianca, ottenuta stendendo il caolino sulla tela.
Esso vale dunque come matrice, come supporto fisico e grammaticale del linguaggio pittorico, e proprio in questa sua funzione Manzoni lo considera, rendendolo unico protagonista del suo linguaggio. La tela non subisce altre variazioni che non siano quelle dovute alla sua mera applicazione sul telaio: essa è stata pieghettata per assumere un minimo rilievo, che contribuisce a sospendere l'opera in una dimensione ambigua, a metà fra pittura e bassorilievo.









Robert  Ryman

il vuoto che precede la creazione


"L'arte da sempre, ci spinge a pensare, a riflettere, a meditare sulla nostra contemporaneità e sulla nostra civiltà, anche se, dinnanzi al capolavoro di Manzoni che altro non fece che esporre le proprie feci, non è facile trattenere una certa irritazione. Con ì soldi tutto si può fare ma poco si può inventare, immaginare, sognare. L'arte esiste anche, e soprattutto, per quelli che di denaro non ne hanno ma sanno sognare e  per farlo gli basta niente". [Francesco Bonami]

Il pittore americano Robert Ryman ha trovato un metodo per usare proprio il niente nelle sue opere. Dipinge le sue tele interamente di bianco, ripetendo continuamente questo rito dell'artista desolato davanti al nulla che precede ogni creazione.

Il problema di questa arte è che si basa sull'idea, non sulla tecnica. Se nell'antichità la tecnica era fondamentale per sviluppare un'idea, oggi non lo è più. Se nelle botteghe del grandi pittori gli allievi potevano seguire o ispirarsi allo stile del maestro, nell'arte contemporanea questo non è più possibile.

Non possono esistere artisti che lavorano nello stile di Robert Ryman perché se ci fossero non farebbero altro che copie di Ryman. Cosa imparano da lui allora e co­sa possono fare i suoi assistenti e allievi? L'insegnamen­to di Ryman è più profondo. L'artista in questo caso di­ce all'allievo: "Io non ho idee oltre la tela bianca e tu?". L'allievo deve quindi affrontare un problema che non riguarda solo Ryman ma tutti noi, vale a dire il dramma del vuoto e del modo in cui può essere colmato, nell'ar­te ma anche nella nostra vita quotidiana.

Un quadro tutto bianco, che sciocchezza! Certo, appa­rentemente è una sciocchezza, nessuno può negare che tutti sono capaci di realizzare un quadro bianco, ma il punto è che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di farlo. Perché? Perché la maggior parte di noi tende a ri­muovere dalla propria vita l'idea che il vuoto esista, che spesso quando siamo seduti in poltrona nella nostra te­sta non c'è nulla, solo uno spazio bianco.

I quadri bianchi di Ryman rappresentano questo: una possibilità in un mondo e in una realtà così stracolmi d'immagini e cose che tutto sembra impossibile da ave­re o raggiungere. Sì, lo avremmo potuto dipingere an­che noi un quadro tutto bianco, così come avremmo po­tuto riempire un barattolino con le nostre feci, ma l'ar­te, con i suoi capolavori di ieri, di oggi e di domani, sta lì appunto per ricordarci che, per un motivo o per un altro, noi non lo abbiamo fatto.











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