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Schopenhauer, la liberazione nel piacere estetico
Negli scritti di Arthur Schopenhauer ( ), e in particolare nel libro Terzo della sua opera fondamentale del 1818, Il Mondo come volontà e rappresentazione, si può spesso incontrare il tema della bellezza e del piacere estetico, che fin qui abbiamo trattato ampiamente in relazione all'utilizzo della sezione aurea nelle arti.
Il Mondo come volontà e rappresentazione.
Schopenhauer si richiama direttamente a Kant per proseguirne il lavoro: il principale merito che gli riconosce è quello di aver distinto il fenomeno dalla "cosa in sé". Il filosofo di Danzica dichiara però definitivamente preclusa la via della conoscenza di quest'ultima, ritenendo possibile la conoscenza obiettiva - applicando il principio di ragione - del solo mondo fenomenico. Quando il soggetto poi si rivolge all'autocoscienza, scopre che la "cosa in sé" si rivela come "la mia volontà". Il fenomeno risulta quindi il mondo inteso come rappresentazione, immagine ingannevole ed illusoria che non corrisponde al mondo vero.
L'unica esperienza del concetto di "cosa in sé" che l'uomo può fare è quella della sua stessa volontà. Il progetto di una metafisica empirica proposto da Schopenhauer assume l'ipotesi che tutte le forze presenti in natura siano identiche alla volontà nota all'autocoscienza. E' possibile conoscere la volontà solamente come manifestazione esterna e quindi come oggettivazione nella natura. Questo processo è guidato unicamente da un'affermazione irrazionale della volontà, che si manifesta come volontà di vivere, come forza senza senso a cui si lega una visione pessimistica della vita.
La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.»
La via della liberazione.
La via di liberazione che Schopenhauer vuole aprire parte proprio dall'arte: ad essa viene riconosciuto un valore metafisico, in grado di esprimere e rendere intuitivo il vero aspetto delle manifestazioni della volontà, oltre il semplice fenomeno. Il momentaneo distacco da ogni considerazione utilitaria dell'io nella contemplazione estetica di un'opera d'arte permette sia allo spettatore che all'artista che la crea di sottrarsi dal servizio alla volontà. «È come se, nel mondo dell'arte, in cui tacciono il bisogno e il dolore connessi con la volontà di vivere, il volere deponesse il proprio tendere oscuro e cieco per assumere un volto innocente»[1].
La contemplazione estetica nell'arte.
Nel capitolo 42 del Terzo libro, si legge come nella contemplazione estetica della natura inorganica e vegetale, sia nella realtà che per mezzo dell'arte, si possa giungere al godimento della conoscenza pura, priva di volontà. Queste idee, infatti, essendo espressione di gradi inferiori della volontà risultano prive di significato profondo e contenuto espressivo. È nel mondo animale e degli uomini che le idee diventano chiare «rivelazioni della volontà» , mostrando la moltitudine di forme e la profondità di significato dei fenomeni, l'essenza stessa della volontà.
Soffermandosi poi sulla bellezza umana, Schopenhauer spiega come quello che la contraddistingue sia l'armonia che si manifesta nonostante la complessità delle parti che compongono la forma umana. Secondo il filosofo, tutti riconosciamo la bellezza quando la vediamo, ma solo nell'artista, nel genio, questo avviene nel modo più chiaro possibile: egli «comprende per così dire la natura da mezze parole ed esprime in maniera chiara e pura ciò che essa soltanto balbetta»[3].
L'idea che viene colta nell'opera d'arte riesce a manifestarsi ad ognuno solo per mezzo del suo valore intellettuale, ragione per cui proprio le opere più grandi del genio restano inaccessibili alla maggior parte degli uomini.
La musica, «lingua universale» e «panacea di tutti i nostri mali».
Dopo aver passato in rassegna tutte le arti secondo un criterio di crescente oggettivazione della volontà, Schopenhauer studia quella che egli definisce «una lingua universale oltrepassante in chiarezza la stessa evidenza del mondo intuitivo»[4]. Egli sostiene che la relazione tra il mondo e la musica debba essere molto intima poiché quest'ultima è compresa immediatamente da chiunque; la sua esattezza e precisione deriva dal fatto che la sua forma sia riducibile a rigorose regole aritmetiche.
Se le arti oggettivano la volontà solo attraverso le idee, la musica, invece, risulta riproduzione immediata della stessa volontà: nei suoni gravi dell'armonia i suoi gradi inferiori, in quelli acuti della melodia i gradi supremi. L'opera del genio consiste, quindi, nell'invenzione di una melodia che riveli i segreti più profondi riguardanti la volontà e il sentimento umano. La musica esprime l'essenza della vita, di tutti gli impulsi, gli slanci e movimenti della volontà, senza però soffermarsi sulle sue variazioni secondarie, gli accidentali, infondendo in sé quel carattere di universalità che le conferisce un valore così alto da poter essere considerata «panacea di tutti i nostri mali»[5]. Proprio come i concetti universali, che esprimono l'elemento metafisico del mondo fisico, anche le melodie possono essere classificate come astrazione della realtà., tanto da poter affermare che essa sia immagine immediata della volontà.
Una consolazione provvisoria.
L'intero mondo visibile, come abbiamo visto, non è altro che oggettivazione della volontà, ma quando ci si svincola dalla volontà, nella sua contemplazione, esso risulta ciò che di più rasserenante e innocente vi sia nella vita. L'arte va considerata di conseguenza il più alto grado e l'evoluzione perfetta di tutto ciò che esiste, poiché concentra in sé la stessa cosa che offre il mondo visibile.
Questa consolazione che deriva dal piacere estetico nell'ambito dell'arte non è altro che un rimedio provvisorio che non redime completamente l'uomo dal dolore che ne segna la vita, proprio a causa della brevità della sua realizzazione. Su queste considerazioni si chiude il Terzo libro che apre la strada alla completa liberazione dal dolore e dall'illusione, nell'etica e nell'ascesi.
Bibliografia.
Carrozzo, M. e Cimagalli, C., Storia della Musica Occidentale vol. 1 - Dalle origini al Cinquecento, Roma, Armando, 1997 (ristampa: 2008). Si veda cap. 9 La gestione della forma musicale nel Quattrocento.
Cricco, G. e Di Teodoro, F. P., Itinerario nell'arte, vol.2 e vol.3, Bologna, Zanichelli, 2005.
Enciclopedia della Musica, Garzanti, 1996 (ristampa: 2002).
Livio, M., La sezione aurea - Storia di un numero e di un mistero che dura da tremila anni, Trad. di S. Galli, Milano, Rizzoli, 2003(ristampa: 2004), [titolo originale: The golden ratio].
Ottolenghi, M. G., L'opera completa di Mondrian, Milano, Rizzoli, 1974.
Schopenhauer, A., Libro terzo, Seconda considerazione, da Il mondo come volontà e rappresentazione. A cura di S. Giametta, Bompiani, 2008.
Vigorelli, A., Schopenhauer da I filosofi e le idee, Da Kant a Schopenhauer, ed. scolastiche Bruno Mondadori, 2004.
Tratto da I filosofi e le idee, Da Kant a Schopenhauer - par.4 Schopenhauer, A. Vigorelli, ed. scolastiche Bruno Mondadori, 2004.
Cfr. Schopenhauer, A., Libro terzo, Seconda considerazione, cap.42, da Il mondo come volontà e rappresentazione. A cura di S. Giametta, ed. Bompiani, 2008.
Cfr. Schopenhauer, A., Libro terzo, Seconda considerazione, cap.45, da Il mondo come volontà e rappresentazione. A cura di S. Giametta, ed. Bompiani, 2008.
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