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Le tre risposte filosofiche alla crisi dei fondamenti: logicismo, intuizionismo e formalismo




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Le tre risposte filosofiche alla crisi dei fondamenti: logicismo, intuizionismo e formalismo


1. Il logicismo: l'ascesa del programma di Frege.

La filosofia logicista ritiene, come già detto nel paragrafo precedente, di poter trovare nella logica il fondamento ultimo non solo dell'aritmetica (scopo in parte già raggiunto da Peano con la sua assiomatizzazione), ma addirittura dell'intera matematica. La tesi logicista è sostenuta dal tedesco F.L.G. Frege.

Nell'intraprendere il suo programma di indagine dei fondamenti della matematica (la cui necessità è per Frege dovuta alla mancanza di rigore che contraddistingue alcune parti della matematica, come l'analisi), il logicista tedesco parte dall'aritmetica e dunque dalla fondazione rigorosamente logica del concetto di numero; tuttavia, esclude dalla sua analisi filosofica la geometria, che viene intesa, kantianamente, come fondata sull'intuizione (e pertanto non suscettibile di fondazione logica).   

Secondo Frege, l'aritmetica è una vera e propria branca della logica; pertanto, le verità aritmetiche sono unicamente delle verità logiche, dimostrate a partire da un insieme finito di verità primitive logiche (le quali, indimostrabili, vengono a noi date attraverso un processo di intuizione intellettuale), facendo uso solo di leggi logiche generali e di definizioni: questo è, in sintesi, il "succo" del programma fregeano, che egli si propone appunto di dimostrare.

La fondazione logica del numero è strettamente coniugata, in Frege, alla teoria degli insiemi (la quale, cosa molto importante, era ai tempi di Frege considerata una branca della logica). Nella teoria degli insiemi, sono in particolare importanti il principio di Estensionalità e il principio di Astrazione, che ora definiamo e che serviranno per capire gli sviluppi del programma fregeano.

Il principio di Estensionalità afferma che, dati un generico insieme A e un generico insieme B, A è uguale a B se e solo se, dato un qualsiasi altro C, C è un elemento di A se e solo se C è un elemento di B. Da questo principio discende la basilare conseguenza che un insieme è interamente determinato dalla totalità dei suoi elementi, perciò esso rileva solo l'estensione, ossia la totalità degli oggetti che soddisfano una condizione o proprietà. Una conseguenza di tutto questo è che due proprietà differenti possono dare luogo ad uno stesso insieme, nel caso in cui una di tali proprietà sia goduta da tutti e soli gli elementi che godono dell'altra proprietà.

Il principio di Astrazione afferma invece che esiste un insieme y, tale che, per ogni x, x appartiene a y se e solo se x gode di una determinata proprietà (indicata ad esempio con il simbolo a[x]). Dal principio di Astrazione si deduce un importante modo di concepire gli insiemi; in base ad esso, infatti, per una qualsiasi proprietà o condizione dovrebbe intuitivamente esistere l'insieme corrispondente: un insieme non è altro che l'estensione di una condizione arbitraria.          

Torniamo ora al progetto logicista di Frege, e alla sua fondazione del concetto di numero. Frege vuole ridurre il numero a concetti logici ancora più fondamentali, derivanti dalla teoria degli insiemi; precisamente, vuole definire i numeri in termini di proprietà di, e relazioni tra, insiemi. La fondamentale intuizione di Frege consiste appunto nel considerare i numeri come proprietà di insiemi. Ora, se ci si riconduce a quanto poc'anzi affermato a proposito del principio di Astrazione e delle sue conseguenze, si capisce chiaramente che tutto questo equivale a considerare i numeri come insiemi di insiemi.

Facendo un passaggio logico in più, e ricollegandosi alle definizioni cantoriane di potenza, cardinalità ed equipotenza, si può arrivare a definire il numero cardinale di un insieme qualsiasi come l'insieme di tutti gli insiemi equipotenti ad esso. Ciascun numero è dunque caratterizzabile come una proprietà comune che lega tra loro tutti gli insiemi equipotenti.

Questa riconduzione del concetto di numero a quello di insieme, che costituisce una delle più geniali e importanti intuizioni del logicismo di Frege, per la prima volta definisce pertanto il numero (da sempre considerato un ente primitivo e indefinibile) riducendolo al concetto, ancora più astratto, intuitivo e irriducibile ad alcunché di primitivo, di insieme, e dunque, di fatto, ad un concetto puramente logico: la prima parte del progetto logicista può dunque considerarsi conclusa.

La seconda parte del programma fregeano consiste nel ricavare dai concetti insiemistici primitivi (intesi come nozioni logiche) tutta la matematica, attraverso definizioni e inferenze puramente logiche. Il successo della teoria degli insiemi come base per la fondazione del numero fa in effetti pensare a Frege, e in generale ai logicisti, che essa costituisca la chiave di volta per la realizzazione del loro ambizioso intento.


2. .e il suo crollo. L'antinomia di Russell

Purtroppo però, la realtà dei fatti si rivela essere molto diversa da come i logicisti la immaginano; infatti la teoria degli insiemi, sulla quale Frege aveva fondato logicamente il concetto di numero, paradossalmente ingenera una serie di contraddizioni logiche, che metteranno fine, per quanto concerne Frege stesso, agli intenti fondazionali basati sulla riduzione della matematica alla logica.

La più semplice e nota di queste contraddizioni è conosciuta con il celebre nome di antinomia di Russell. Essa viene comunicata dal logico Bertrand Russell a Frege in una lettera del 1902 (anno al quale si fa risalire l'inizio della crisi dei fondamenti, la quale tuttavia trova i suoi antefatti molto più indietro nel tempo, in relazione ai fermenti culturali connessi allo sviluppo delle matematiche di cui si è sopra discusso), e fa riferimento a problemi di carattere logico derivanti dal Principio di Astrazione, il quale sembra garantire che a qualsiasi proprietà o condizione debba corrispondere un insieme.

Seguendo il ragionamento svolto da Russell, suddividiamo tutti gli insiemi possibili in due grandi categorie: quella degli insiemi che non appartengono a se stessi (che vengono detti normali) e quella degli insiemi che appartengono a se stessi (detti invece non normali). Questa distinzione porta a considerare l'insieme R degli insiemi normali, cioè un insieme contenente tutti gli insiemi non autoappartenentisi. È proprio questo nuovo insieme il responsabile dell'antinomia di Russell. Infatti, in virtù del Principio di Astrazione applicato alla proprietà di non appartenenza a se stessi, deve esistere un insieme y, a cui ogni insieme x appartiene se e solo se x non appartiene a se stesso. Inoltre, per il Principio di Estensionalità, l'insieme y corrispondente a tale condizione è proprio R: di conseguenza si può affermare che un insieme x appartiene a R se e solo se non appartiene a se stesso.

Ci chiediamo ora se R stesso goda o meno della proprietà di non autoappartenenza: per verificare l'una o l'altra eventualità, sostituiamo nella asserzione precedente R al posto di x, ottenendo così che "l'insieme R appartiene a R se e solo se non appartiene a se stesso", che è come dire che "l'insieme R appartiene a se stesso se e solo se non appartiene a se stesso". È del tutto evidente che quest'ultimo enunciato è una contraddizione.      

I logicisti e Frege scoprono così, loro malgrado, che il Principio di Astrazione non ha una portata così grande da poter essere applicato, come essi credevano, a tutti i tipi di proprietà (infatti alcune di esse, come abbiamo appena visto, possono produrre delle contraddizioni). Pertanto il progetto fregeano di fondare l'aritmetica, e con essa tutta la matematica, sulla logica della teoria degli insiemi fallisce, risultando niente di più che una mera utopia.

3. L'intuizionismo di Brouwer e i suoi limiti

Dal 1902, con la scoperta dell'antinomia di Russell e con il conseguente crollo della filosofia logicista, si affermano nel dibattito fondazionale numerose scuole filosofiche, le quali tentano di risolvere, in una prospettiva polemicamente antilogicista, i paradossi che minacciano sempre di più le precarie basi su cui si erge la conoscenza matematica. Tra queste, particolarmente importanti e radicali risultano essere l'intuizionismo del matematico olandese Jan Luitzen Egbertus Brouwer (1881-1966) e il formalismo di David Hilbert (cui ci siamo già più volte riferiti, in particolare descrivendo la sua opera di formalizzazione della geometria euclidea).

L'intuizionismo brouweriano, lungi dal dichiarare il primato della logica nei confronti della matematica, pone invece a fondamento del numero e di tutta la matematica l'intuizione, recuperando così, almeno in parte, la teoria kantiana (infatti pone come primario lo studio dell'aritmetica a scapito della geometria, e si basa sull'intuizione di tempo, abbandonando quella spaziale).

Questo comporta, da parte di Brouwer, un disconoscimento di tutta la fondazione dell'analisi infinitesimale operata da Weierstrass, Dedekind e Cantor, i quali hanno introdotto oggetti e metodi astratti che non possono essere dati dall'intuizione. Di conseguenza Brouwer mette a punto un nuovo programma di fondazione di una "matematica intuizionista", la quale, sulla base dei seguenti due princìpi, pone notevoli restrizioni ai metodi dimostrativi comunemente usati dalla matematica classica:

Si considerano 'esistenti' solo gli oggetti matematici costruibili, cioè che possono essere costruiti con un numero finito di passi. Tutti gli altri non hanno senso alcuno, per cui è perfettamente inutile speculare su di essi. Ciò comporta il rifiuto dell'infinito attuale (cioè dell'infinito concettualizzato come esistente di per sé, in contrapposizione all'infinito potenziale, costruito intuitivamente attraverso una serie illimitata di singoli passaggi finiti); 

Si rifiuta la legge del terzo escluso - cioè la legge logica secondo la quale esistono per ogni enunciato solo i due valori di verità "vero" e "falso", e pertanto, se è vero l'enunciato A, allora sarà falsa la sua negazione ¬A, e viceversa - e, conseguentemente, non si riconosce valido il metodo di dimostrazione indiretta (cioè per assurdo).

Questi principi sono importanti in quanto, lontani dal poter influenzare unicamente il dibattito filosofico, limitano fortemente l'attività matematica dal punto di vista pratico.

Per quanto riguarda invece il ruolo della deduzione nella matematica intuizionista, la dimostrazione concepita da Brouwer è una dimostrazione di tipo assiomatico, dove gli assiomi vengono forniti immediatamente dall'intuizione, e così anche le inferenze deduttive che accompagnano il ragionamento, fino ad arrivare a nuove relazioni non percepite immediatamente. 

Brouwer, dopo essersi scagliato contro l'analisi infinitesimale concepita classicamente, elabora inoltre una analisi infinitesimale del tutto rispondente ai principi fondanti l'intuizionismo, raggiungendo così finalmente il suo scopo di costruire una nuova matematica basata sull'intuizione. 

Tuttavia, l'intera matematica intuizionista presenta gravi limiti, derivanti in primo luogo dall'assenza, in essa, di molteplici concetti e costruzioni di cui la matematica classica si serve senza troppe titubanze, e con fecondi risultati nell'ambito delle scienze sperimentali (irrimediabilmente preclusi alla matematica brouweriana). Pertanto, anche il programma di fondazione intuizionista, così come in precedenza quello logicista, si risolve in un fallimento.


4. L'impossibile programma formalista di Hilbert. I teoremi di Gödel e la fine della crisi

In risposta al logicismo di Frege e all'intuizionismo di Brouwer, prende vita, all'interno del pensiero del matematico tedesco David Hilbert (1862-1943), la filosofia formalista, di cui è il teorizzatore ed il massimo esponente. Anch'egli è mosso dalla volontà di fondare la certezza della matematica, dopo i paradossi logici derivanti dalla teoria degli insiemi e dopo l'affermarsi in misura sempre maggiore delle tesi intuizioniste di Brouwer, che egli ritiene possibile attraverso la dimostrazione della non-contradditorietà dei sistemi assiomatici formali utilizzati per costruire l'aritmetica (alla quale, come sappiamo, era stata ridotta una buona parte della matematica).

Anche Hilbert, come già Brouwer e Frege prima di lui, dà quindi vita al suo programma, detto appunto programma di Hilbert, e articolato nei seguenti punti:

Individuare un sistema assiomatico formale molto semplice tale che: a) la sua non contraddittorietà sia dimostrabile direttamente, senza ricorrere alla presunta non contraddittorietà di altri sistemi; b) la sua non contraddittorietà implichi quella di tutti i sistemi assiomatici formali con i quali si può ricostruire tutta la matematica classica;

Dimostrare la non contraddittorietà del sistema individuato con metodi di dimostrazione costruttivi, così che tutta la matematica sia al riparo dalle obiezioni degli Intuizionisti.

Di questo programma Hilbert propone una personale soluzione, articolata anch'essa in due punti:

Il sistema assiomatico da prendere in esame deve essere in grado di esprimere tutta e sola l'aritmetica degli interi, che è né più né meno di quel che serve per costruire l'intera matematica.

La non contraddittorietà deve essere dimostrata con metodi finitistici o finitari, cioè tali che: a) fanno uso di un numero finito di enti; b) ogni oggetto deve poter essere costruito con un numero finito di passi; c) non è lecito parlare di un oggetto senza mostrare come è stato costruito; d) non è lecito assumere come date collezioni infinite; e) dire che una data proprietà vale per un numero infinito di oggetti, vuol dire che è possibile verificare tale proprietà su di essi, uno per uno.

Il punto 2 della soluzione di Hilbert richiama la distinzione fatta appunto da Hilbert tra matematica finitaria e matematica infinitaria. Con la prima si vuole indicare una parte della matematica fondata esclusivamente sull'intuizione sensibile pura e che non tiene conto degli sfuggevoli metodi astratti di fondazione dell'analisi infinitesimale classica di Dedekind, Weierstrass e Cantor, e dell'infinito attuale (la matematica finitaria ricalca quindi da vicino quella intuizionista di Brouwer). Con la seconda si vuole invece indicare la matematica nel suo complesso.

Per Hilbert e i formalisti, la matematica può essere completamente dedotta da un sistema assiomatico formale; infatti, per Hilbert, la matematica consta unicamente di una arbitraria combinazione di segni di per sé privi di un autonomo significato, le cui regole di combinazione vengono prefissate dagli assiomi del sistema considerato: in quest'ottica, gli assiomi devono garantire, se si vuole che il sistema funzioni, la non-contraddittorietà del sistema stesso. Per dimostrare, dunque, che la matematica è non contraddittoria è sufficiente dimostrare che quel sistema è non contraddittorio, cioè che, applicando agli assiomi e a ogni espressione correttamente formulata nel linguaggio del sistema, le regole di inferenza stabilite, non è possibile giungere a due espressioni che siano l'una la negazione logica dell'altra. La dimostrazione della non-contraddittorietà del sistema formale esprimente l'intera matematica (che si riduce, nel programma di Hilbert, alla dimostrazione della non-contraddittorietà del sistema formale esprimente l'aritmetica) deve essere affidata ad una nuova disciplina, detta metamatematica o teoria della dimostrazione (che costituisce, come già detto nella sezione 1, la metateoria che studia il linguaggio formale in cui è espressa la matematica).

In seguito a questa teorizzazione, Hilbert si rende conto del fatto che la dimostrazione della non-contraddittorietà o coerenza sintattica dell'aritmetica non basta per raggiungere il suo scopo: serve infatti anche una dimostrazione della completezza sintattica dell'aritmetica (sempre compito della metamatematica). Per completezza sintattica, come già detto nel paragrafo 1.2.3, s'intende quella proprietà dei sistemi formali tali che, per ogni enunciato A, sia possibile in essi dimostrare o A o la sua negazione ¬A.    

È evidente, a proposito della fondazione metamatematica della coerenza e completezza sintattiche del sistema formale dell'aritmetica, che Hilbert auspicava che questa fosse formalizzabile all'interno dello stesso sistema dell'aritmetica, così da realizzare l'ambizioso progetto di autofondazione formalista di tutta la matematica.

Tuttavia, a svegliare bruscamente Hilbert dal suo sogno è il logico Kurt Gödel, il quale nel 1931 dichiara impossibile da realizzare il programma formalista, attraverso i suoi due Teoremi di Incompletezza dell'Aritmetica (di cui si è già ampiamente parlato nella sezione 1 riguardante i sistemi formali, alla quale rimandiamo).

I Teoremi di Incompletezza di Gödel del 1931 chiudono così la stagione formalista, oltre che la cosiddetta "crisi dei fondamenti della matematica", inaugurata nel 1902 dalla scoperta dell'Antinomia di Russell. Pertanto con essi si chiude qui anche la sezione seconda, riguardante la matematica nel dibattito filosofico-culturale del primo Novecento.    




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