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La matematica oltre il numero




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La matematica oltre il numero


La matematica, considerata nel modo giusto, possiede. una bellezza suprema: una bellezza fredda e austera, come quella della scultura, priva di richiamo per le parti della nostra natura, priva degli sgargianti ornamenti della pittura o della musica, eppure di una bellezza sublime, e capace di una severa perfezione quale soltanto l'arte più grande può rivelare. Il puro spirito di gioia, l'esaltazione, il senso di qualcosa di più umano che è la pietra di paragone della massima eccellenza, si trova nella matematica non meno che nella poesia.

Bertrand Russell


Nonostante l'opinione comune, per quanto giustificata possa esser in relazione all'insegnamento della matematica che si fa nelle scuole, la decisione del profano di ignorare la matematica è sbagliata. L'argomento non si esaurisce in una serie di tecniche. Queste sono, di fatto, l'aspetto meno importante e sono altrettanto poco adeguate a rappresentare la matematica quanto un miscuglio di colori è adeguato a rappresentare la pittura. Le tecniche sono la matematica spogliata di motivazione, ragionamento, bellezza e significato.

La matematica non p fine a se stessa: uso fondamentale della matematica, che ha acquistato rilievo eccezionale in tempi moderni, è stato quello di fornire un'organizzazione razionale dei fenomeni naturali. I concetti, metodi e conclusioni della matematica sono il sostrato delle scienze fisiche. La matematica ha restituito la vita alle ossa aride di fatti sconnessi e , agendo come tessuto connettivo, ha legato serie di osservazioni staccate in corpi di scienza.

Anche studi puramente astratti, e non solo quelli motivati da esigenze scientifiche e tecniche, si sono dimostrati di grandissima utilità. La scoperta delle sezioni coniche (parabole, ellissi e iperboli) per duemila anni erano state considerate nulla di più dell'"inutile divertimento di un cervello speculativo", hanno reso possibile in secoli recenti la moderna astronomia, la teoria del moto dei proiettili e la legge gravitazionale universale.

Le applicazioni della matematica sono notevoli e alcuni anche molto conosciuti: solamente osservando la natura ne troviamo tantissima, un esempio siamo noi umani, in quanto il nostro corpo ha come caratterista evidente la simmetria che è un concetto matematico. Un altro esempio, magari meno conosciuto, è la struttura olocristallina delle rocce magmatiche intrusive: queste rocce si sono formate nella crosta terreste, ossia il magma si è raffreddato lentamente e gli elementi di cui è composto hanno il tempo necessario per distribuirsi in maniera ordinata (formando appunto dei cristalli). Un altro campo in cui possiamo trovare molta matematica è l'informatica, un esempio è la crittografia che si fonda sull'uso di un problema complesso, ovvero un'operazione matematica semplice da eseguire ma dal cui risultato è difficile risalire agli argomenti della stessa. L'esempio classico è il problema della fattorizzazione di un numero (trovare i numeri primi che lo producono se moltiplicati tra loro, ad esempio è facile moltiplicare 17*23 ottenendo 391, ben più difficile è per esempio la fattorizzare il numero 377 nei fattori primi 13 e 19) usata nel primo e più famoso sistema crittografico a chiave pubblica: RSA. Le conoscenze di matematica pura sviluppate dall'uomo negli ultimi secoli hanno reso sempre più efficiente fattorizzare, ma nessuno è mai riuscito a far fare quel 'salto' che porta il problema da complesso a non essere più complesso, il problema diventa quindi intrattabile per numeri oltre una certa dimensione, attualmente per la crittografia RSA vengono considerati 'sicuri' numeri di almeno 300 cifre (chiavi da 1024 bit e oltre). Altro esempio di problema complesso è il logaritmo discreto, usato nella nascente crittografia ellittica.

È meno nota invece l'applicazione della matematica nella Divina Commedia e come si sono sviluppate le filosofie della matematica soprattutto dopo la crisi dei fondamenti.



LA MATEMATICA NELLA DIVINA COMMEDIA


Paradiso, XIII, 96-102

Non ho parlato sì, che tu non posse

ben veder ch'el fu re, che chiese senno

acciò che re sufficiente fosse;



non per sapere il numero in che enno

li motor di qua su, o se necesse

con contingente mai necesse fenno;


non, si est dare primum motum esse,

o se del mezzo cerchio far si pote

triangol si ch'un retto non avesse.




Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio,


non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano ad una conclusione necessaria;


né per sapere se è possibile (est) ammettere che esista (nell'universo) un moto primo dal quale dipendono tutti gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere un triangolo che non sia rettangolo.


Dove siamo

San Tommaso ha già narrato al poeta la vita di san Francesco, e si accinge a sciogliere l'altro dubbio, suscitato in lui quando, parlando di Salomone, aveva detto:" a veder tanto non surse il secondo". Egli gli spiega che lui crede in Adamo e in Cristo sia stata infusa da Dio tanta sapienza quanta può esser concessa alla natura umana, e perciò ti meravigli che io abbia detto che Salomone non ebbe chi lo uguagliasse in sapienza, e successivamente gli rammenda di stare bene attento a quello che dirà poiché la sua opinione e le sue parole si incontreranno. Le creature incorruttibili e le corruttibili non sono che il riflesso di quella idea (il Verbo divino), che Dio genera con l'atto d'amore, perché la luca del Verbo divino, che deriva dal Padre senza separarsi né dal Padre né dallo Spirito Santo, raccoglie e concentra spontaneamente i suoi raggi, come in altrettanti specchi, nelle nove gerarchie angeliche, pur rimanendo sempre una. Da queste gerarchie tale luce discende di cielo in cielo fino agli elementi del mondo sublunare attenuandosi dino al punto da non produrre che cose corruttibili e di breve durata, cioò le cose generate, organiche od inorganiche. La materia di queste cose generate, e il cielo che con la sua influenza la informa, possono trovarsi in varia condizione, e perciò tale materia, sotto il suggello dell'Idea divina, risplende più o meno; per cui avviene che alberi della stessa specie procudano frutti buoni o cattivi, e che gli uomini nascano con diverso ingegno. Se la materia si trovasse nella condizione più conveniente e il cielo operasse con tutta la sua virtù, si manifesterebbe nelle cose tutta la luce dell'Idea divina, ma la natura presenta tale luce sempre imperfetta, come l'artista che pur avendo disposizione all'arte, non riesce nell'opera sua perché gli trema la mano. Ma se Dio, per mezzo dello spirito Santo, crea direttamente, nella cosa creata si ha tutta la perfezione possibile; e poiché in tal modo fu creato Adamo e fu resa madre della Vergine, ha ragione Dante di credere che la natura umana non fu mai e non sarà mai così perfetta come lo fu in Adamo e in Cristo. Quanto a Salomone, bisogna riflettere quale era la condizione di lui e quale fu la cagione che lo spinse a domandare a Dio il dono della sapienza. Egli era re e chiese a Dio il senno necessario per governare il popolo e non per conoscere la teologia, l'astrologia, la metafisica o la matematica.


Qualche breve commento

Dante opera in queste terzine una distinzione fra la sapienza propria del re, che deve governare il suo popolo secondo giustizia, e il sapere teologico, logico, metafisico, geometrico: Salomone chiese a Dio la saggezza politica e, in questo campo, non ci fu nessuno che lo eguagliasse. La discussione sulla sapienza di Salomone serve per altro al poeta per ampliare e precisare il suo concetto di sapienza, estendendolo alla sapienza dell'agire, segnandone nel contempo i confini: piena è la sapienza solo di Adamo e di Cristo-uomo; non quella di qualsiasi altro uomo.


Il riferimento

Esaminiamo le due affermazioni di carattere scientifico:

- è possibile che vi sia un moto primo, cioè a sua volta non causato da un altro moto;

- è possibile che esista un triangolo inscritto in una semicirconferenza ma non rettangolo.

Ebbene, Dante le prende come esempi palesi di qualche cosa di falso perché contraddicono alla

modalità della necessità logica:

- se c'è un moto, allora c'è anche necessariamente qualche cosa che l'ha generato, una causa

- se un triangolo è inscritto in una semicirconferenza, allora necessariamente quel triangolo è rettangolo cioè ha un angolo retto.

Ora, mentre l'affermazione di carattere fisico è legata al discorso che si sta facendo (che porta, com'è ben noto, alla esistenza di un unico Ente in grado di causare senza precedente causa, un Motore a sua volta Immobile), come campo di riferimento analogico, per prelevare un esempio di qualche cosa di altrettanto necessario, Dante avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro dominio, anche e soprattutto del mondo dell'esperienza, ma sceglie la geometria perché gli è facile, consono, immediato, E forse perché, insisto, quel tipo di competenze era diffuso ed ovvio tra i letterati dell'epoca e tra le persone colte. (Si noti anche lo stile di queste due affermazioni, pedante e scolastico, ripetitivo: sembrano voler richiamare alla mente un insegnamento accademico cattedratico; ed è verosimile che questioni di filosofia e di teologia venissero davvero insegnate così; la geometria sembra più pertinente a quei campi che non ad altri).





Dimostrazione dell'enunciato matematico secondo cui un triangolo inscritto in una semicirconferenza è necessariamente un triangolo rettangolo:

noi sappiamo che un angolo alla circonferenza è la metà dell'angolo al centro che sottende lo stesso arco di circonferenza. Nel caso particolare in cui l'angolo al centro è un angolo di 180°, poichè sottende una semicirconferenza, il suo rispettivo angolo alla circonferenza sarà di 90°. Da ciò si può affermare che un qualsiasi triangolo inscritto in una semicirconferenza questo sarà un triangolo rettangolo.










Paradiso, XVII, 13-15

"O cara piota mia, che sì t'insusi,

che come veggion le terrene menti

non capere in triangol due ottusi,



così vedi le cose contingenti

anzi che sieno in sé, mirando il punto

a cui tutti li tempi son presenti;


O cara radice della mia famiglia, che t'innalzi così in alto, che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo,


con la stessa chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti

Dove siamo

Siamo all'inizio del canto XVII, Cacciaguida, alla fine del canto precedente, ha accennato alla divisione di Firenze in Guelfi e Ghibellini, Dante sente il vivo desiderio di conoscere la verità intorno alle future vicende della sua vita, e paragona il suo stato d'animo a quello di Fetone, quando corse da sua madre per conoscere se egli fosse o no veramente figlio di Apollo. Beatrice e Cacciaguida si accorgono di questo desiderio, e la donna lo invita ad esprimerlo, non perché esso sia a loro ignoto, ma perché egli si abitui a manifestare ciò che desidera, in modo da esser soddisfatto. Dante prega allora il trisavolo, poiché egli vede in Dio con certezza matematica le cose che dovranno avvenire, di chiarirgli ciò che, durante il suo viaggio attraverso l'Inferno e il Purgatorio, ha udito intorno alle future vicende della sua vita.


Qualche breve commento

Dante spiega che Cacciaguida può vedere gli eventi prima che siano accaduti con la stessa chiarezza con cui la mente umana capisce che in un triangolo non può avere due angoli ottusi. L'Assoluta certezza che hanno i beati su quello che dicono riguardo gli eventi futuri è simile ad un'indubitabile certezza geometrica.


Il riferimento

Dante si riferisce al teorema XVII del I libro degli "Elementi" di Euclide.

Dimostrazione che un triangolo non può avere due angoli ottusi.


 

 

 

  Questo teorema è un corollario del teorema che afferma: in ogni triangolo, la somma degli angoli interni è un angolo piatto. Per il teorema dell' angolo esterno è un angolo piatto perché l'angolo esterno è, per definizione, supplementare al relativo interno. Da queste due considerazioni ne segue la tesi per la transitività dell'uguaglianza. In base a questo teorema ogni triangolo può avere al più un solo angolo ottuso (cioè maggiore dell'angolo retto).


Paradiso, XXXIII, 133-141

Qual'è 'l geomètra che tutto s'affige

per misurar lo cerchio, e non ritrova,

pensando, quel principio ond'elli indige,




tal era io a quella vista nova:

veder voleva come si convenne

l'imago al cerchio e come vi s'indova;



ma non eran da ciò le proprie penne:

se non che la  mia mente fu percossa

da un fulgore in che sua voglia venne.

Come lo studioso di geometria si concentra con tutte le sue facoltà mentali per risolvere il problema della quadratura del cerchio, e non riesce a trovare quel principio di cui avrebbe bisogno,


tale ero io dinanzi a quella straordinaria visione, che invano volevo capire come l'effigie umana si adattasse alla forma del cerchio e potesse trovarvi luogo;


ma le mie ali non erano capaci di farmi volare tanto in alto: se non che la mia mente fu percossa da una folgorazione, grazie alla quale il suo desiderio si compì.

Dove siamo

Siamo alla conclusione dell'ultimo canto della Commedia: lo slancio creativo di Dante si tende in un supremo sforzo di esprimere l'inesprimibile. Ma, per dirlo con Salvatore Battaglia, 'considerando la molteplicità e la gravità dei problemi che il poeta-teologo aveva a disposizione, e che forse l'assediavano con la loro ardua responsabilità, ci colpisce l'apparente semplicità, si direbbe l'asciutta ed elegante trasparenza, con cui Dante ha ideato il 'capitolo' finale della sua 'Commedia'. E' sorprendente, come sempre d'altronde, ma qui in maniera singolare, il valore essenziale dell'espressione dantesca, la limpidezza del disegno, e soprattutto la severa selezione dei suoi elementi'.


Qualche breve commento

I versi citati tentano di spiegare la presenza contemporanea, nel Verbo, della natura umana e di quella divina. La difficoltà di questa spiegazione è paragonata a quello che può essere considerato il problema principe della geometria classica: la quadratura del cerchio. Forse proprio per questo Dante aveva riservato questa citazione al momento più complesso e delicato della sua opera.

's'indova': uno dei tanti neologismi di Dante, a partire da un avverbio usato come sostantivo, del tipo 'insemprarsi' o 'insusarsi'.


Il riferimento

La quadratura del cerchio è un classico problema di matematica, o più precisamente di geometria.

Il problema è quello di costruire, usando solo riga e compasso, un quadrato con la stessa area di un dato cerchio. Il problema risale all'invenzione della geometria, e ha tenuto occupati i matematici per secoli. Non fu che nel 1882 che l'impossibilità venne provata rigorosamente, anche se i geometri dell'antichità avevano afferrato molto bene, sia intuitivamente che in pratica, la sua intrattabilità. Si deve notare che è solo la limitazione ad usare una riga (non graduata) e un compasso che rende il problema difficile. Se si possono usare altri semplici strumenti, come ad esempio qualcosa che può disegnare una spirale archimedea, allora non è così difficile disegnare un quadrato ed un cerchio di area uguale.

Una soluzione richiede la costruzione del numero , e l'impossibilità di ciò deriva dal fatto che π è un numero trascendente, ovvero non-algebrico, e quindi non-costruibile. La trascendenza di π venne dimostrata da Ferdinand von Lindemann nel 1882. Risolvere il problema della quadratura del cerchio, significa aver trovato anche un valore algebrico di π - il che è impossibile. Ciò non implica che sia impossibile costruire un quadrato con un'area molto vicina a quella del cerchio dato.

La prova matematica che la quadratura del cerchio è impossibile non ha impedito a molti 'spiriti liberi' di spendere anni sul problema. La futilità di dedicarsi a tale esercizio ha portato ad usare il termine in contesti totalmente slegati, dove è usato semplicemente per indicare qualcosa di senza speranza, senza significato o un'impresa vana.

Leonardo comunque credeva che la soluzione stesse proprio nel corpo umano: si legge infatti, in uno scritto di Leonardo riguardo la sua opera:


«Vetruvio architetto mette nella sua opera d'architettura che le misure dell'omo sono dalla natura distribuite in questo modo. Il centro del corpo umano è per natura l'ombelico; infatti, se si sdraia un uomo sul dorso, mani e piedi allargati, e si punta un compasso sul suo ombelico, si toccherà tangenzialmente, descrivendo un cerchio, l'estremità delle dita delle sue mani e dei suoi piedi.»


Leonardo è riuscito a costruire, partendo da questo cerchio anche un quadrato (che tocca piedi e mani del suo 'uomo vitruviano'). In questo modo, il famoso disegno di Leonardo, che fino ad oggi è sempre stato collocato nell´ ambito dei tradizionali studi sulle proporzione umane, viene a rivelarsi un disegno matematico. La centralità dell'uomo nel pensiero dell'artista è punto focale di quest'opera.


FILOSOFIA DELLA MATEMATICA

La filosofia della matematica cerca di rispondere a domande come: perché la matematica è importante per la descrizione del mondo o per quale ragione e in che misure gli enunciati matematici sono veri. I matematici e i filosofi, per rispondere a codeste domande, utilizzarono vari approcci e nel XX secolo nacquero 3 scuole: logicismo, intuizionismo e formalismo. Proprio in questo periodo si ha una forte esigenza di rigorizzare  la matematica ossia di rendere espliciti i concetti delle varie teorie, ma soprattutto eliminare l'evidenza come criterio di fondazione e accettazione dei concetti.


Il riduzionismo

Il riduzionismo cerca nell'aritmetica il fondamento ultimo della matematica: i vari insiemi numerici sembrano solo un'estensione dei numeri naturali utile. Il problema principale dell'aritmetizzazione (fenomeno che vuol ridurre tutta la matematica all'aritmetica) è rappresentato dall'analisi, in particolare dal concetto di continuità (si dice f(x) continua in x0 se limx->x0 f(x)=f(x0)). Questo processo raggiunge il suo culmine nel 1872 con le due fondazioni classiche del sistema dei numeri reali da parte di Gorge Cantor e Richard Dedekind: questi, insieme a Weierstrass, avevano dimostrato che la teoria dei numeri reali deriva in maniera rigorosa dal concetto e dalle proprietà dei numeri naturali. In seguito alla teoria dei numeri reali, ad alcuni studiosi il numero naturale apparve come il materiale originario capace di stare a fondamento dell'intera matematica.



Dio fece i numeri naturali; tutto il resto è opera dell'uomo 

Leopold Kronecker         


Altri studiosi non accettarono come primitiva la nozione del numero naturale, anzi credevano di poter riportare il numero naturale ad un qualcosa di più profondo o più primitivo ancora. Ed è da qui che si dipartirono, sul problema della fondazione aritmetica, due linee fondamentali di sviluppo: una dovuta a Frege e una a Cantor.

La teoria degli insiemi di Cantor è ancora oggi uno dei capisaldi della matematica: Cantor riconobbe che gli insiemi infiniti possono avere differenti cardinalità, separò gli insiemi in numerabili e più che numerabili e provò che l'insieme di tutti i numeri razionali Q è numerabile mentre l'insieme di tutti i numeri reali R è più che numerabile, dimostrando in questo modo che esistono almeno due ordini di infinità. Egli inventò anche il simbolo che oggi viene usato per indicare i numeri reali. In seguito, cercò invano di dimostrare l'ipotesi del continuo. Cantor formulò un importantissimo principio per la definizione dei numeri reali, detto principio di localizzazione, che risulta fondamentale anche per poter operare sul suddetto campo numerico.


Frege e il logicismo

Il logicismo sostiene che la logica sia il giusto fondamento della matematica e che tutti gli enunciati matematici siano verità logiche. Esempio: " Se Socrate è umano e ogni umano è mortale, allora Socrate è mortale" è una verità necessariamente logica.

Il fondatore del logicismo è Gottlob Frege. Nel suo libro " Le leggi fondamentali dell'aritmetica" costruisce l'aritmetica da un sistema logico che comprendeva la V legge di base: "Dati i concetti F e G, l'estensione di F coincide con l'estensione di G se e solo se per tutti gli oggetti a, Fa se e solo se Ga'. Praticamente il numero per Frege è strettamente legato all'estensione dei concetti, ma, per garantire una fondazione logica, bisogna poterlo enucleare da concetti scevri da ogni riferimento empirico. Frege, quindi, definisce lo zero come il numero appartenente al concetto "esser diverso da se stesso" (concetto puramente logico, privo di concetto empirico); definisce, poi, il numero uno come quel numero che ha sotto di sé lo zero, e così per glia altri numeri: fondando così ogni numero sul numero precedente.

Sia nella teoria di Cantor che in quella di Frege affiorarono delle antinomie, uno dei più famosi paradossi fu quello comunicato a Frege da Russell tramite lettera: Russell divide gli insiemi in due classi, a seconda che essi appartengono o no a se stessi, e considera l'insieme R di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi. Se R appartenesse a se stesso, dovrebbe essere uno degli insiemi che non appartengono a se stessi. E se esso fosse un insieme che non appartiene a se stesso, dovrebbe appartenere a R, e dunque a se stesso. Il paradosso di Russell, per la sua semplicità e per l'opera di incessante propaganda fattane dal suo stesso autore, divenne il simbolo della crisi dei fondamenti della matematica di inizio secolo.  Secondo Russell queste antonimie sono causate da una definizione impredicativa della classe (ossia un autoriferimento della classe a se stessa) e ciò può dar origine a un circolo vizioso: egli tentò quindi di risolvere il problema tramite la teoria dei tipi. Semplificando, in base a questa teoria, la classi per esser consistenti, devono esser costituite da elementi omogenei, appartenenti cioè a un medesimo livello logico. Esempio: al livello 0 si collocano pertanto gli individui, al livello 1 gli insiemi costituiti da individui, al livello 2 gli insiemi di insiemi di individui, così via. In questo modo si esclude ogni antonimia ma si bandisce dalla matematica procedimenti utili alla sua fondazione, creando con ciò nella sua struttura dei vuoti colmabili solo con degli assiomi, che non sono riducibili a principi puramente logici. Russell, in seguito, apportò diverse modifiche nella seconda edizione del "Principia mathematica" e quindi abbandonò il suo progetto logicista.


Assiomatizzazione di Peano

Importante per l'assiomatizzazione dell'insieme dei numeri naturali furono gli assiomi di Peano (scritti in modo informale):

1. Esiste un numero naturale, 0

2. Ogni numero naturale ha un numero naturale successore

3. Numeri diversi hanno successori diversi

4. 0 non è il successore di alcun numero naturale

5. Ogni insieme di numeri naturali che contenga lo zero e il successore di ogni proprio elemento coincide con l'intero insieme dei numeri naturali.

Peano, in realtà, definì la struttura dei numeri naturali piuttosto che il numero stesso, che egli ritiene un concetto primitivo impossibile da ricondurre a concetti più semplici.


Le geometrie non-euclidee

Nel ripercorrere il cammino della filosofia della matematica come eliminazione dell'evidenza è importante ricordare le geometrie non-euclidee. Inizialmente queste geometrie non erano molto conosciute e affermate, ma a partire dagli anni Sessanta diventano parte del patrimonio comune dei matematici che procedono verso generalizzazioni sempre più vaste come risulta nel famoso "programma di Erlangen" esposto da Felix Kein secondo il quale le varie discipline geometriche si possono disporre gerarchicamente giacché la geometria immediatamente inferiore è meno generale e profonda di quella immediatamente precedente. In ogni caso, la costruzione delle geometrie non-euclidee comporterà l'eliminazione dei poteri dell'intuizione della fondazione e della elaborazione di una teoria geometrica; gli assiomi non sono più "verità evidenti" che come solida roccia garantiscono la fondazione del sistema geometrico, ma, puri e semplici "cominciamenti", punti di partenza convenzionalmente scelti ed ammessi per effettuare la costruzione deduttiva della teoria. Ora, se gli assiomi sono considerati veri, saranno veri anche i teoremi correttamente dedotti da tali assiomi e quindi il sistema è garantito. Ma se, come le geometrie non-euclidee hanno dimostrato, gli assiomi sono puri "postulati", puri e semplici punti di partenza, chi garantirà il sistema? Come potremmo accertare, durante la dimostrazione di un teorema, di non inciampare in contraddizioni che non facciano saltare il sistema? La questione è centrale, infatti nelle geometrie non-euclidee la verità non sta nel principio di non contraddizione.

La geometria euclidea si basa su 5 postulati che sono predicati la cui verità è garantita dall'evidenzia: basta usare riga e compasso per verificare la loro autenticità, essi restano validi se ci limitiamo ad un piano finito. Il problema di questa geometria era il quinto postulato in quanto non era "evidentemente vero", infatti anche Euclide ne è a disagio e nelle prime 28 proposizioni non lo utilizza. Importanti nella storia delle geometrie non-euclidee furono Riemann, Beltrami e Poincaré che cercarono nuove geometrie.


Intuizionismo

L'intuizionismo è quella corrente filosofica (cui a capo vi è Brouwer) che pone a fondamento del numero e di tutta la matematica l'intuizione. Brouwer sostenne che il ruolo prioritario doveva esser attribuito alla matematica e non alla logica, in quanto essa non ha bisogno di alcuna fondazione perché ogni elaborazione di strutture concettuali se ne serve e dunque la presuppone.

Secondo gli intuizionisti gli enti matematici e i numeri matematici esistono solo perché possiamo costruirli mediante un numero finito di operazioni e sono presenti esclusivamente nella mente. Il problema dell'intuizionismo è che non ha trovato il fondamento della matematica, ma ha solo creato costruzioni successive rispetto la matematica interiore.


Formalismo

Il formalismo sostiene che gli enunciati matematici possono essere pensati come affermazioni intorno alle conseguenze di certe regole di manipolazione di stringhe: un esempio appena visto è la geometria euclidea, che da certi assiomi, attraverso alcune regole, ricava altri enunciati. Le obiezioni rivolte all'intuizionismo diedero sviluppo al formalismo di Hilbert: secondo Hilbert la matematica non può esser interamente risolta con la logica (già le antinomie lo avevano dimostrato). Egli sarà l'inventore della metamatematica (teoria della dimostrazione) attraverso cui vuol dimostrare la coerenza della matematica in quanto essa si esprime in un linguaggio costituito da un numero limitato di segni e di regole di funzionamento. Egli studia la matematica come linguaggio formalizzato nel quale sono completamente esplicitati sia il linguaggio sia le regole logiche di deduzione. Questo linguaggio è costituito da un insieme finito di segni, assunti indipendentemente dal loro significato, e da regole di combinazione dei segni, dalle quali scaturiscono le formule ammesse, e infine da regole di trasformazione che ci consentono di passare da una formula ad un'altra. Tra tutte le formule ammesse vi sono alcune dette "primitive" che costituiscono gli assiomi. La dimostrazione di una formula è soltanto una catena di trasformazioni, che ci consente di ricavare la formula data a partire dagli assiomi. Dalle formule primitive non devono essere ricavabili tutte le formule grammaticalmente corrette, pena la contraddittorietà del sistema; ma, se una formula non è deducibile, allora deve esser deducibile la sua negazione.

Hilbert riteneva che all'interno della metamatematica potesse dimostrarsi la struttura coerente e completa della scienza del numero e della matematica più in generale: dei sistemi formali della matematica era sufficiente dimostrare la non-contraddittorietà. Ma il programma si rivelò subito assai più arduo del previsto e come emerse dall'articolo di Ackermann del 1924: proprio sviluppando una dimostrazione di Hilbert, il matematico si accorse che nella metamatematica hilbertiana non era stata effettivamente raggiunta un'autentica dimostrazione della non-contraddittorietà per la matematica classica.


Godel

Godel dimostrò che il sistema, se pretende di costituirsi attraverso una scelta opportuna di assiomi in modo tale da dimostrare la propria non-contraddittorietà, diventa incoerente e in esso per tanto può dimostrarsi tutto e il contrario di tutto; se invece sceglie di salvare la propria coerenza interna, non può riuscire a darsi un fondamento e risulta necessariamente incompleto. La speranza di risolvere le difficoltà passando dalla teoria stessa alla metateoria risultava irrealizzabile perché quest'ultima si sarebbe necessariamente costituita come una teoria più complessa di quella della quale si proponeva di fornire la fondazione.



Bibliografia e sitografia


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Appunti su: principio di localizzazione di cantor,



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