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Derivazione ed integrazione multidimensionali (IIa)
L'analisi standard (che non utilizza l'algebra dei numeri iperreali) si estende alle funzioni di più variabili (scalari o vettoriali) partendo dalle definizioni usuali di differenziale, derivata e retta tangente. Senza scendere nello specifico, definiamo i concetti che ci consentono di operare per la derivazione e l'integrazione di funzioni nel caso tridimensionale.
Dal punto di vista analitico, la derivata
misura il tasso di crescita o decrescita di una funzione, o più in generale di
una curva (sotto certe condizioni). L'interpretazione geometrica del valore
della derivata prima di una curva in un suo punto è legata al problema
dell'approssimazione lineare (locale) di detta curva: si dimostra che il valore
assunto dalla derivata prima in, diciamo, , è la pendenza della retta tangente al grafico della curva
in
.
Nel caso tridimensionale ci troviamo di
fronte, invece che a curve, a delle superfici; un'equazione del tipo ha come luogo
geometrico una superficie che può o meno essere espressa da una funzione.
L'approssimazione lineare questa volta sarà data da un piano tangente alla superficie in un suo punto, e la caratteristica di una superficie di ammettere tale approssimazione è detta differenziabilità. Vedremo nel seguito che una condizione sufficiente perché una funzione sia differenziabile in un suo punto è la sua regolarità in quel punto.
Il concetto fondamentale da cui partiremo è stato già utilizzato nella definizione (I.X) della sezione precedente: le derivate parziali di una funzione.
L'intuizione geometrica di retta tangente al grafico non può più servire nel caso tridimensionale, in cui questa non è definita univocamente; è però altrettanto vero che, se fissiamo una direzione lungo la quale vogliamo valutare il tasso di crescita o decrescita della funzione, essa ci appare, lungo quella direzione, come una curva in un piano.
Il campo di definizione di una funzione può
essere immaginato, nello spazio, come un certo dominio bidimensionale sul piano
xy (il piano ); la direzione lungo la quale vogliamo valutare la derivata
di
può essere indicata da
un vettore
contenuto nel piano xy.
Definizione (IIa.I)
La derivata di una funzione del tipo nel punto
secondo una direzione
parallela ad un vettore
è detta derivata direzionale di
in
; essa si indica con:
Per semplicità mi limiterò a considerare il caso in cui il legame funzionale sia esplicito, cioè il caso in cui z dipenda manifestamente sia da x che da y; in realtà un teorema (sulla derivazione implicita) assicura che sotto certe condizioni sia possibile valutare derivate direzionali anche nel caso di superfici espresse da equazioni più complesse, come ad esempio una sfera. Questo problema è interessante anche nel caso bidimensionale, ma non lo tratterò.
Passiamo a ciò che ci serve.
Definizione (IIa.II)
Le derivate parziali non sono altro che
particolari derivate direzionali di ; precisamente, esse sono le derivate direzionali calcolate
lungo direzioni parallele ai versori coordinati
e
.
In altri termini, esse sono le derivate di calcolate considerando
costante una delle due variabili; questa è l'idea che facilità i calcoli delle
derivate parziali e che consente di ricondurre il problema al calcolo delle
derivate studiate al liceo. Le regole di somma, differenza, prodotto, rapporto
e composizione di funzione continuano a valere. In effetti la regola di
composizione è complicata dalla molteplicità di legami che possono esistere tra
le variabili di una funzione, ma ci arriveremo.
Si può immaginare di secare la curva con un piano parallelo al piano xz o yz (e perpendicolare al piano xy in ogni caso); i punti di intersezione tra quel piano e la superficie luogo geometrico della funzione in questione disegnano la curva di cui si calcola la derivata prima.
Ora in termini formali.
Definizione (IIa.III)
Le derivate parziali di nel punto
sono i limiti:
,
Il primo limite mostrato è il valore della
derivata parziale di in
secondo x, l'altro è calcolato secondo y.
Le derivate parziali sono definite in solo se tali limiti
esistono e convergono ad un numero reale. Esse sono indicate, rispettivamente
con:
[derivata parziale di
secondo x]
[derivata parziale di
secondo y]
La notazione che usa gli infinitesimi, alla Leibniz, ha la forma seguente:
ed è quella che utilizzerò per la maggiore chiarezza con cui permette di svolgere operazioni di calcolo (una volta che si accetti il concetto di numero infinitesimo).
L'estensione a funzioni di tre variabili ci è
necessaria, anche se talvolta comporta difficoltà aggiunte. Sia , allora le derivate parziali di w si indicano con:
dal punto di vista algebrico questo caso non ha varianti rispetto al precedente.
Ora estendiamo concetti dall'analisi monodimensionale alle nostre nuove necessità.
Definizione (IIa.IV)
Il differenziale di vale:
con x, y, z, variabili indipendenti
La "d" dell'alfabeto cirillico aiuta a non
fare confusione con i differenziali delle diverse variabili (dx non è uguale, sopra, a ). L'interpretazione geometrica del differenziale di una
funzione a più variabili è analoga a quella per funzioni di una sola variabile.
Non ci interessiamo all'incremento totale.
Teorema (IIa.II)
Se una funzione ha derivate esistenti e
regolari in un suo punto , allora essa è differenziabile in tale punto; vale a dire,
tale funzione è approssimabile linearmente da un piano tangente al suo grafico
in
.
Teorema (IIa.III)
Il piano tangente di una funzione , regolare in
, ha equazione scalare:
con tutte le derivate parziali calcolate in .
La regola di derivazione delle funzioni composte è complicata, avevo detto, dalla molteplicità dei rapporti che possono sussistere tra le variabili della funzione da derivare.
Poniamo ad esempio di avere una funzione in cui, a loro volta, x e y
dipendano da altre due variabili, diciamo s
e t; allora si ha:
e
in questo caso z si dice variabile indipendente, x e y sono variabili intermedie mentre s e t sono variabili indipendenti.
La funzione può riscriversi come:
Teorema (IIa.IV)
Nel caso sopra descritto, le derivate parziali di z secondo s e secondo t si calcolano come segue:
Esistono varie altre possibilità che non discuto; mi limito a ricordare che fu Dini (matematico fiorentino di fine '800 e normalista) a esporre alcuni teoremi che esploravano queste regole di composizione, partendo da un problema diverso (la derivazione implicita di una funzione).
La derivazione parziale porta anche al calcolo
di derivate parziali di ordine superiore al primo. Per semplicità e perfetta
analogia tra i due casi, consideriamo la classica funzione di due variabili .
Teorema (IIa.V)
Una funzione ammette quattro
possibili derivate parziali seconde, dovute alle possibili combinazioni dei due
operatori
e
.
Esse sono:
le ultime due sono dette derivate parziali
seconde miste di . La notazione leibniziana è comoda e ci consente di definire
la seguente uguaglianza:
che chiarisce la notazione usata sopra.
Si dimostra poi che una funzione regolare possiede derivate parziali seconde miste uguali.
Teorema (IIa.VI)
Sia regolare in un punto,
allora in quel punto:
la convenzione vuole che si indichino nel primo dei due modi.
Questo riduce le derivate terze distinte di una funzione di due variabili a quattro sole:
E via dicendo.
Lo studio delle derivate parziali seconde permette di scoprire se la funzione presenta, in un punto del suo dominio, un minimo un massimo o un punto di sella (un punto in cui entrambe le derivate parziali prime si annullino, ma la funzione presenti un massimo secondo una direzione e un minimo secondo un'altra). In generale, un punto in cui entrambe le derivate parziali di una funzione di due variabili si annullano è detto punto critico; nei punti critici la funzione è tangente ad un piano orizzontale.
Teorema (IIa.VII)
Si supponga che abbia derivate
parziali prime e seconde continue in un rettangolo D, e che P(a,b) sia un punto critico di
in D.
1) z ha un minimo nel punto P se
> 0 e
> 0
2) z ha un massimo nel punto P se
> 0 e
< 0
3) z ha un punto di sella in P se
< 0
Passiamo a dare una formalizzazione più precisa della derivata direzionale di una funzione, sempre limitandoci ad un legame funzionale esplicito e al caso in cui le variabili indipendenti siano due.
Definizione (IIa.V)
Sia il versore nel piano xy dato da:
e sia l'angolo compreso tra
e l'asse x.
Questo vettore, di cui ho già parlato senza
mai definirlo, può essere il vettore direttore di una retta passante per di equazione:
dove è il vettore posizione
del punto A; ciò è vero per quanto
spiegato nella sezione (I).
Intersecando una superficie con il piano verticale
per la retta r si ottiene la curva:
Il seguente teorema estende la definizione (II.I).
Teorema (IIa.VIII)
La pendenza della curva
in
è la derivata
direzionale di
secondo
.
Questo è più chiaro se si considera che la retta r ha equazione scalare parametrica:
Definizione (IIa.VI)
Dati una funzione ed un versore
, la derivata di f
in (a,b) secondo la direzione
è il limite:
Introduciamo il gradiente per effettuare con più semplicità la determinazione della derivata direzionale di una funzione.
Definizione (IIa.VII)
Il gradiente
di una funzione , denotato con
, è definito da:
Il gradiente è la funzione vettoriale le cui componenti sono le derivate parziali di f.
Useremo la notazione:
Teorema (IIa.IX)
Si supponga regolare in (a,b). Allora per ogni versore
la derivata
direzionale di f esiste e:
Di ciò presento anche una dimostrazione.
Dimostrazione del teorema (IIa.IX)
Sia e
. Poniamoci nel punto di coordinate (a,b,f(a,b)) e scriviamo x, y,
z in funzione di un parametro t:
Allora la derivata di f secondo è semplicemente
.
Per la regola della composizione:
ciò completa la dimostrazione.
In realtà non avevo trattato questo caso per la regola della composizione.
Un corollario porta a dimostrare che la
lunghezza di in (a,b) è la massima derivata direzionale
di f in (a,b) e la sua direzione è la direzione della massima derivata
direzionale di f in (a,b). L'estensione per tre variabili è
banale.
Ciò conclude l'approfondimento sulla derivazione multidimensionale. Dobbiamo ora considerare l'integrazione di funzioni scalari e vettoriali in più variabili; mi terrò ad un livello superficiale e non discuterò delle tecniche pratiche di calcolo che consentono di risolvere questi integrali.
Abbiamo, ad ogni modo, due sistemi per generalizzare l'integrale alle funzioni di due o più variabili, vale a dire l'integrale curvilineo o l'integrale multiplo.
Il primo si può motivare come la nozione di
lavoro in fisica; se un vettore forza costante (in modulo,
direzione e verso) agisce lungo un vettore spostamento
, si ha:
dove W è la grandezza scalare lavoro.
Se il vettore forza è libero di variare, per esempio, con le coordinate del punto in cui è applicato, si ha:
che è una funzione (o un campo) vettoriale.
Se poi il vettore forza non agisce lungo un vettore rettilineo ma lungo una curva C del piano, il lavoro totale è la somma di contributi infinitesimi di lavoro calcolati lungo tratti infinitesimi di detta curva. Un singolo contributo è del tipo:
considerando che un tratto infinitesimo di
qualunque curva continua è approssimabile con un errore piccolo a piacere da un
segmento rettilineo, lungo il quale l'angolo tra e
non varia (cioè lungo
il quale si possa calcolare il prodotto scalare tra i due) e il modulo di
rimane costante.
Come per gli integrali semplici, si può
suddividere la curva C in un numero
grande a piacere di tratti , e sommare i contributi
per ogni intervallo
così ottenuto; questa somma prende il nome di somma di Riemann (che si utilizza anche per definire gli integrali
multipli). Senza scendere nel dettaglio, si dimostra che una tale somma può
essere effettuata anche per un numero infinito di partizioni (mediante un
limite), arrivando a convergere o meno ad un numero reale. Se converge, il
valore di quella somma è pari all'integrale curvilineo lungo C di
, altrimenti diremo che l'integrale non è definito (in quanto
divergente, ma è più una questione di convenzione in questo caso).
Quanto appena detto, formalizzato dal teorema della somma infinita (che non presento in forma precisa) porta a dimostrare il seguente teorema.
Teorema (IIa.X)
Il lavoro compiuto da una forza variabile del
tipo lungo una curva C del piano è dato da:
dove =
In forma scalare si ha:
=
Con ciò l'integrale diventa:
Per completare la nostra definizione di integrale curvilineo, di cui abbiamo visto un'applicazione che ne chiarisce il senso, necessitiamo di un altro elemento.
Definizione (IIa.VIII)
Una curva regolare da A a B è una curva C data da equazioni parametriche:
con
dove e
L lunghezza della curva
l lunghezza della curva da A a
Purché siano continue in
.
Definizione (IIa.IX)
Sia una funzione
vettoriale continua in un dominio piano D
e sia C una curva regolare in D. L'integrale
curvilineo di
lungo C si definisce come il seguente
integrale semplice:
Abbiamo un teorema che consente di semplificare il calcolo degli integrali curvilinei nel piano che può essere esteso con facilità anche allo spazio.
Teorema (IIa.X)
Sia un integrale
curvilineo calcolato lungo una curva C del piano xy;
1) se C
è un segmento orientato orizzontale dove ,
, allora:
2) se C è
un segmento orientato verticale dove ,
, allora:
3) se C
è data dalle equazioni parametriche e
sono continue in
, allora:
4) cambiando l'orientamento della curva C si cambia il senso dell'integrale curvilineo; cioè se C' è la curva con l'orientamento opposto, allora:
Gli integrali ai punti 1 e 2 sono spesso chiamati integrali parziali.
Definizione (IIa.X)
Una curva è detta regolare a tratti se può essere suddivisa in un numero finito di curve regolari, dove il punto estremo di una curva è l'origine della successiva.
Definizione (IIa.XI)
L'integrale su una curva regolare a tratti C è la somma degli integrali calcolati
su ogni curva regolare in cui essa è stata suddivisa. Queste curve saranno .
Si usa indicare con un integrale curvilineo calcolato in senso antiorario lungo una curva chiusa semplice
(cioè una curva regolare i cui punti di origine e di estremo coincidano e che non interseca o ripercorre il suo cammino). Vale il seguente.
Teorema (IIa.XI)
Prima di definire gli integrali multipli, impadroniamoci di qualche nozione in più sui campi vettoriali.
Definizione (IIa.XII)
è un potenziale del
campo
se
è il gradiente di f .
Teorema (IIa.XII)
Un campo vettoriale ammette potenziale se
e solo se:
Un campo che ammetta potenziale è conservativo, vedremo che tale è il campo elettrico. Il lavoro compiuto da un campo di forze conservativo lungo una qualsiasi curva dipende solo dall'origine e dall'estremo di tale curva ed è uguale alla diminuzione di energia potenziale tra i punti agli estremi della curva.
Il prossimo teorema è analogo ai due teoremi fondamentali del calcolo (la prima parte, nello specifico, al teorema di Torricelli-Barrow).
Teorema (IIa.XIII)
Sia un campo conservativo.
sia f un potenziale di . Per ogni curva regolare da A a B ,
g è
un potenziale di se e solo se:
per qualche costante K.
se ha derivate seconde
continue allora:
cioè, il lavoro compiuto da una forza in un campo conservativo lungo un circuito chiuso è nullo.
Arriviamo infine agli integrali multipli; prima i doppi. Darò la loro definizione in termini intuitivi, senza una formalizzazione eccessiva.
Si può dimostrare, e non lo farò, che esiste
un'unica funzione di volume definita in (così come nel piano era definita un'unica funzione d'area,
ed era l'integrale definito); essa ha le seguenti proprietà:
associa ad ogni dominio piano D
su xy un numero reale [proprietà di unicità]
se D è divisa in due regioni che si incontrato
soltanto in una frontiera comune (una curva), allora:
[proprietà
additiva]
siano rispettivamente m ed M il minimo ed il massimo valore di una
funzione in D, e sia A l'area di D, allora:
[proprietà
cilindrica]
La terza è analoga alla proprietà rettangolare per l'integrale semplice.
Si può poi dimostrare che l'integrale doppio soddisfa le tre proprietà appena elencate; esso è dunque l'unica funzione di volume nello spazio (o meglio, ogni altra funzione di volume è ad esso equivalente, e ciò ci giustifica nell'usarlo).
Ciò ci conduce alla seguente definizione.
Definizione (IIa.XIII)
Sia . Il volume sopra D
tra
e
vale:
dove da è un elemento di area infinitesimo su D dato da incrementi infinitesimi sulle variabili x,y:
Corollario (IIa.I)
Se =1:
cioè, numericamente (a parte l'unità di misura) l'area di D è uguale al volume del cilindroide con base D e altezza 1.
L'integrale iterato è la chiave per risolvere integrali doppi.
Teorema dell'integrale iterato (IIa.XIV)
Sia D una regione definita da:
,
Allora:
Sotto ipotesi piuttosto generali per le funzioni integrande, valgono i seguenti risultati:
Regola della costante
Regola della somma
Regola della disuguaglianza
Se , allora:
Può essere talvolta più semplice calcolare un integrale in coordinate polari, ma mi limiterò a presentare le coordinate sferiche e cilindriche dopo aver definito gli integrali tripli. La loro caratterizzazione, in sintesi, è la seguente.
Definizione (IIa.XIV)
A secondo membro appare (ed era già comparsa) una sommatoria di Riemann tripla. In sostanza, la si può utilizzare come sistema approssimato per il calcolo di integrali tripli. Il suo limite mentre il numero dei suoi addendi tende ad infinito è, se essa converge, un integrale triplo.
In , l'integrale triplo è ancora utilizzato per il calcolo di
volumi, con più agevolezza del doppio; con esso si può considerare qualunque
superficie nello spazio tridimensionale, anche se non descritta da un'equazione
del tipo
. Si utilizza anche per il calcolo di ipervolumi in quattro dimensioni,
ma su ciò soprassiedo. L'integrale triplo ha inoltre applicazioni fisiche
immediate nel calcolo di masse di corpi solidi (nota la legge con cui varia la
loro densità rispetto alle coordinate di ogni loro punto), di momenti e di
centri di massa.
Prima di enunciare il teorema di Green, propedeutico per i due teoremi che occupano la sezione successiva, consideriamo ancora due sistemi di coordinate alternativi rispetto a quello cartesiano (o rettangolare).
Le coordinate cilindriche e sferiche conseguono da alcune sostituzioni effettuate sulle coordinate cartesiane (x,y,z) di un punto.
Per le coordinate cilindriche:
Con le convenzioni che si evincono dalla figura seguente.
In essa le coordinate cartesiane del punto P sono mostrate in blu lungo i tre assi coordinati, quelle cilindriche in verde e quelle sferiche (vedremo tra poco) in rosso.
Una funzione del tipo definisce un luogo
geometrico come ogni altra equazione scalare o vettoriale; con questo sistema
di coordinate, tuttavia, talvolta l'equazione di un luogo geometrico può
presentarsi in maniera più trattabile.
La seguente è la formula d'integrazione cilindrica.
Teorema (IIa.XV)
Sia E la regione cilindrica data da:
,
,
Allora l'integrale triplo di su E vale
Con e
Le sostituzioni in coordinate sferiche sono invece:
Con
La seguente è la formula d'integrazione sferica.
Teorema (IIa.XVI)
Sia E una regione sferica data da:
Allora l'integrale triplo di su E vale
Con
Ora siamo pronti ad enunciare i teoremi che
correlano alcuni integrali calcolati in zone estese di un campo vettoriale
dato. Il primo sarà il teorema di Green. Esso mostra che l'integrale curvilineo
di (un campo vettoriale
nel piano) lungo la frontiera di una regione piana D, che denoteremo con
, è uguale ad un certo integrale doppio su D.
Definizione (IIa.XV)
Sia D:
La curva che percorre il bordo di D in senso antiorario è la frontiera di D.
Teorema di Green (IIa.XVII)
Siano e
funzioni regolari su
una regione D con frontiera regolare
a tratti. Allora
|
|
|
|
Ciò fornisce un sistema semplice per calcolare certi integrali curvilinei, in generale più complessi degli iterati, ma ha anche un profondo senso fisico.
Dimostrazione del punto 1) del teorema di Green (per D rettangolare)
Sia D:
L'integrale curvilineo attorno a è la somma di quattro
integrali parziali
|
|
Poiché si ha:
Per il teorema di Torricelli-Barrow:
Quindi:
|
|
L'ultimo integrale mostrato è equivalente a:
e questo completa la dimostrazione.
Per capire cosa si celi dietro ai simboli, definiamo due importanti proprietà (o grandezze) scalari di un campo vettoriale bidimensionale.
Definizione (IIa.XVI)
Dato nel piano, il rotore di
è:
Definizione (IIa.XVII)
Dato nel piano, la divergenza di
è:
Vale inoltre il seguente.
Teorema (IIa.XVIII)
Sulla frontiera di una regione piana D, le forme differenziali
e
possono essere scritte
nella forma vettoriale:
con versore tangente a
e
versore normale a
Sostituendo la notazione vettoriale nella forma originaria del teorema di Green otteniamo quanto segue.
Teorema di Green in forma vettoriale (IIa.XIX)
|
|
|
|
Questo mette in luce il senso fisico del teorema.
Immaginiamo di avere una corrente di fluido in
una regione D del piano con frontiera
. Il campo
associ ad ogni punto
di questa regione il vettore velocità del fluido in quel punto (cioè sia un
campo vettoriale di velocità).
Allora l'integrale curvilineo della componente
della corrente nella direzione tangente alla frontiera della regione
considerata è la circuitazione ( o circolazione) di attorno a
. Essa esprime la tendenza del campo a ruotare attorno ad una
curva del piano; è collegata alla presenza di vortici del campo vettoriale, di
cui misura, appunto, la vorticosità.
Il teorema di Green stabilisce allora che la
circuitazione di attorno a
è uguale all'integrale
doppio del rotore di
su D. Quindi è una caratteristica estesa di
un campo.
L'integrazione lungo , d'altra parte, è ottenuta sommando i contributi
infinitesimi di circolazione del campo in ogni punto della frontiera; questi
contributi infinitesimi (l'integranda) sono dati dal rotore del campo
vettoriale. Allora possiamo dare la seguente definizione.
Definizione (IIa.XVIII)
Il rotore di in (x,y) è una misura della circuitazione
per unità di area in (x,y), ed è una
proprietà locale dei campi.
Ho scelto di enunciare questa proprietà del rotore come se ne fosse una definizione anche se essa discende dalle caratteristiche (chiarite poco sopra) che esso possiede; è altrettanto vero, però, che con questa definizione è possibile dimostrare che il rotore e il suo integrale di linea lungo una curva del piano posseggono le esatte proprietà che ho discusso in precedenza. Ne concludiamo che i due approcci sono logicamente equivalenti.
Teorema (IIa.XX)
Se il rotore di un campo è identicamente
uguale a zero, il campo è irrotazionale; tale
è, ad esempio, un campo elettrostatico. Un campo di questo tipo è conservativo,
in quanto
, che è condizione necessaria e sufficiente affinché un campo
ammetta un potenziale.
Il punto 2) del teorema in forma vettoriale ci dà informazioni diverse; il nostro esempio di campo vettoriale di velocità per una corrente fluida può ancora servire.
Stiamo valutando l'integrale curvilineo della
componente della corrente nella direzione normale (esterna) alla frontiera;
esso è il flusso del campo attraverso
, ed esprime la tendenza del campo a fluire allontanandosi da
una certa regione del piano (quella racchiusa dalla frontiera attorno alla
quale integriamo). Il flusso è collegato alla presenza di sorgenti del campo
vettoriale o, dove negativo, alla presenza di pozzi dello stesso. Si tratta, come
la circuitazione, di una proprietà estesa.
Un'altra interpretazione del flusso (se positivo) attraverso una frontiera è quella di tasso netto di decrescita della densità del nostro ipotetico fluido all'interno di quella regione del piano; ciò esprimerà, vedremo, il principio di conservazione della carica.
Il teorema di Green stabilisce allora che il
flusso di attraverso
è uguale all'integrale
doppio della divergenza di
su D. Con un ragionamento analogo al
precedente, possiamo allora definire la divergenza come faremo.
Definizione (IIa.XIX)
La divergenza di in (x,y) è il flusso uscente per unità di
superficie da (x,y), ed è una
proprietà locale.
Vale l'osservazione fatta per la definizione (IIa.XVIII)
Teorema (IIa.XXI)
Se la divergenza di un campo è identicamente uguale a zero, il campo è solenoidale (o incomprimibile); tale è, ad esempio, un campo magnetostatico. Un campo di questo tipo non è conservativo.
Altri due risultati, su cui tornerò, portano ad ulteriori conclusioni.
Un campo che fluisce in direzione radiale
rispetto ad un punto del piano (cioè che presenta simmetria centrale) non è
sempre divergente, al contrario di ciò che si potrebbe pensare. Si può dimostrare che un tale campo ha divergenza
positiva solo se la sua intensità decresce più lentamente di , dove r è la
distanza dal punto considerato. In termini intuitivi, la decrescita così veloce
dell'intensità del campo compensa la sua tendenza a divergere da quel punto.
Vedremo però che il campo elettrostatico, il cui modulo si riduce quadraticamente con la distanza dalla carica che lo genera, ha divergenza positiva in certi punti dello spazio. Questa proprietà locale del campo elettrico è espressa da una della equazioni di Maxwell in forma differenziale, e non si può evincere dalla sua analoga integrale, benché la descrizione che esse forniscano del campo sia la stessa.
Un enunciato simile si può fare per un campo
che circoli rispetto ad un punto fissato del piano; tale campo ha un rotore
positivo, e dunque è rotazionale, solo se la sua intensità diminuisce con una
legge più lenta della proporzionalità inversa rispetto alla distanza. Vale a
dire meno velocemente di .
Scopriremo che i rotori del campo elettromagnetico non saranno nulli in certe condizioni.
Termino questa sezione, come anticipato, con l'integrale di superficie di un campo vettoriale.
Definizione (IIa.XX)
L'area di una superficie regolare:
è data da:
Definizione (IIa.XXI)
Una superficie orientata S è una superficie regolare sopra una regione
piana D che presenti una frontiera
regolare a tratti e su cui sia definito un orientamento che designa un lato
della superficie come positivo e l'altro come negativo.
Definizione (IIa.XXII)
Sia S
una superficie orientata su D e sia
un campo vettoriale
definito almeno su S.
L'integrale di superficie di su S è:
Anche ciò corrisponde al concetto intuitivo di flusso attraverso, stavolta, una superficie nello spazio tridimensionale.
La componente del campo perpendicolare a S è data dal prodotto scalare , con
versore normale alla
superficie sul suo lato designato come positivo. Ciò suggerisce la notazione
per l'integrale di
superficie.
Siamo giunti al termine della sezione (IIa).
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