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Meccanica dei fluidi
Ramo della fisica che si occupa del comportamento dei fluidi, ossia delle sostanze liquide e gassose, dal punto di vista statico e dinamico. La meccanica dei fluidi trova moltissime applicazioni in vari campi dell'ingegneria chimica, civile e meccanica, ed è fondamentale in aeronautica, in meteorologia, in architettura e ingegneria navale, in oceanografia e in molti altri settori delle scienze applicate.
Si possono distinguere due rami diversi nell'ambito della meccanica dei fluidi: la fluidostatica, che si divide in statica dei gas e idrostatica, che studia le condizioni di equilibrio dei fluidi in quiete; e la fluidodinamica, divisa in aerodinamica e idrodinamica, che si occupa in generale dei fluidi in moto. Il termine idrodinamica si applica più propriamente al flusso di liquidi o al flusso a bassa velocità di gas che possano essere considerati essenzialmente incomprimibili. L'aerodinamica, o dinamica dei gas, indaga invece il comportamento dei gas quando le variazioni di pressione sono sufficientemente alte da non permettere che vengano trascurati gli effetti della comprimibilità.
Tra le numerose applicazioni della meccanica dei fluidi sono da menzionare la propulsione a getto, le turbine, i compressori, e le pompe. Lo sfruttamento della pressione dell'acqua e dell'olio in ingegneria è invece un argomento di competenza dell'idraulica.
Fluidostatica
Una delle caratteristiche fondamentali di un fluido a riposo è che la forza esercitata su ciascuna delle particelle che lo costituiscono ha uguale intensità in tutte le direzioni. Ciò può essere compreso facilmente se si tiene conto che se le cosiddette forze interne fossero diverse, ogni particella si muoverebbe nella direzione della risultante di esse, e il fluido non sarebbe in quiete. Come conseguenza, se il fluido è contenuto in un recipiente di forma qualunque, tutte le componenti della forza dirette tangenzialmente alle pareti sono bilanciate, quindi la forza per unità di area, cioè la pressione, esercitata dal fluido contro le pareti è perpendicolare, in ogni punto, alle pareti stesse.
Questa proprietà venne espressa per la prima volta in forma leggermente più estesa dal matematico e filosofo francese Blaise Pascal, nel 1647. La legge di Pascal afferma che la pressione applicata a un fluido contenuto in un recipiente è trasmessa in ugual modo in tutte le direzioni e in ogni parte del recipiente, posto che possano essere trascurate le differenze di pressione dovute al peso del fluido.
La superficie libera di un liquido a riposo in un recipiente aperto è sempre perpendicolare alla risultante delle forze che agiscono su di esso. Così se l'unica forza applicata è quella di gravità, la superficie è orizzontale, mentre se agiscono forze di natura diversa, essa può assumere varie forme. Ad esempio, le forze che agiscono su un bicchiere d'acqua in rapida rotazione intorno all'asse verticale sono la gravità e la forza centrifuga; la superficie libera dell'acqua, di conseguenza, si inarca assumendo profilo parabolico (vedi Parabola), in modo da mantenersi perpendicolare alla direzione della risultante delle due forze.
In un liquido sottoposto alla sola forza di gravità e contenuto in un recipiente aperto, la pressione in ogni punto interno al liquido è direttamente proporzionale al peso della colonna di liquido soprastante, e quindi all'altezza di quest'ultima, ma è totalmente indipendente dalle dimensioni o dalla forma del contenitore. Questo risultato, noto come legge di Stevino, permette di concludere che la pressione esercitata sul fondo di un tubo verticale pieno d'acqua, lungo 15 m e di diametro pari a 2,5 cm, è uguale a quella presente sul fondale di un lago profondo 15 m. Analogamente, se si riempie d'acqua un tubo verticale lungo 30 m in modo che la superficie libera del liquido si trovi solo a 15 m dal fondo, l'acqua esercita sul fondo del condotto esattamente la stessa pressione dell'esempio precedente. Il peso di una colonna di acqua alta 30 cm e con sezione di 6,5 centimetri quadrati è 195 g; questo valore rappresenta la forza applicata al fondo della colonna d'acqua. Una colonna dello stesso liquido e della stessa altezza, ma di diametro 12 volte maggiore, occupa un volume 144 volte maggiore e ha un peso 144 volte maggiore, tuttavia la pressione, che viene definita come la forza per unità di superficie, non cambia. La pressione esercitata sul fondo di una colonna di mercurio della stessa altezza è invece 13,6 volte maggiore, dal momento che la densità del mercurio supera di tale quantità quella dell'acqua. Vedi anche Atmosfera; Barometro; Capillarità.
Il secondo principio della fluidostatica, scoperto dal greco Archimede, afferma che un corpo immerso in un fluido riceve una spinta idrostatica, diretta dal basso verso l'alto, di intensità pari al peso del volume di fluido spostato (vedi Principio di Archimede). Si può allora comprendere il motivo per cui alcuni corpi possono galleggiare. Il peso totale di una nave a pieno carico, ad esempio, eguaglia quello della quantità d'acqua spostata e il fatto che la risultante delle due forze sia nulla è sufficiente per garantire l'equilibrio.
Si può pensare che la spinta idrostatica sia applicata a un punto, detto centro di galleggiamento, che coincide con il centro di gravità della massa di liquido spostato. Il centro di galleggiamento di un corpo in equilibrio sulla superficie di un fluido si trova esattamente sopra il baricentro. Maggiore è la distanza tra i due punti, maggiore è la stabilità del corpo.
Una delle possibili applicazioni del principio di Archimede consiste nel determinare la densità di un oggetto di forma irregolare, del quale non sia possibile calcolare il volume per via geometrica. Se si pesa il corpo prima in aria e poi in acqua, la differenza tra le due misure fornisce il peso del volume di acqua spostato, uguale al volume dell'oggetto. La densità si ottiene allora semplicemente dividendo la massa del corpo per il volume così determinato. Nelle misure di peso ad altissima precisione si deve tenere conto anche della spinta di Archimede dell'aria, che nella maggior parte dei casi risulta invece trascurabile (data la minore densità dell'aria rispetto all'acqua).
Fluidodinamica
Le leggi che regolano il comportamento dei fluidi in moto sono piuttosto complesse per cui, nonostante la notevole importanza pratica della fluidodinamica, potremo esporre qui solo alcuni concetti base.
L'interesse per la fluidodinamica risale alle primissime applicazioni ingegneristiche delle proprietà dei fluidi e alla necessità di realizzare macchine adibite a varie funzioni. Archimede fornì probabilmente il primo contributo in questo campo con l'invenzione della pompa a vite. Altre macchine idrauliche vennero in seguito costruite dai romani, che non solo adottarono la vite di Archimede per l'irrigazione e per l'estrazione dell'acqua dai pozzi, ma costruirono nuovi sistemi idraulici, alcuni dei quali sono tuttora in uso. Nel corso del I secolo a.C. l'architetto e ingegnere romano Vitruvio introdusse la ruota idraulica, una macchina che rivoluzionò il sistema di macinazione del granturco.
Gli ulteriori sviluppi in questo campo furono ritardati dal fatto che, nonostante le numerose precoci applicazioni della fluidodinamica, poco o nulla si sapeva allora dei suoi principi teorici fondamentali. Dopo il contributo di Archimede, dovettero passare più di 1800 anni prima che venisse compiuto un significativo progresso. Ciò avvenne per merito di Evangelista Torricelli, il quale nel 1643 inventò il barometro e formulò l'importante legge tuttora nota con il suo nome. La legge di Torricelli stabilisce la relazione tra la velocità di efflusso di un liquido da un foro praticato nel recipiente che lo contiene, e l'altezza del liquido al di sopra di esso. I successivi progressi della meccanica dei fluidi si ebbero per opera del matematico svizzero Leonhard Euler (Eulero) che, applicando allo studio dei fluidi i tre principi della dinamica enunciati da Isaac Newton, scrisse le equazioni fondamentali per il moto di fluidi ideali, cioè non viscosi.
Eulero per primo riconobbe che l'unica possibiltà di enunciare leggi relativamente semplici per la dinamica dei fluidi fosse quella di limitare lo studio ai fluidi incomprimibili e ideali, ossia di trascurare gli effetti dell'attrito interno. Naturalmente, essendo i fluidi ideali mere approssimazioni dei fluidi reali, i risultati dell'analisi di Eulero possono essere considerati solo una stima approssimata del comportamento di fluidi reali caratterizzati da bassi valori di viscosità.
Flusso di liquidi incomprimibili e non viscosi
I fluidi incomprimibili e non viscosi, ossia privi di forze di attrito interne, si comportano come previsto dal principio di Bernoulli. Enunciato dal matematico svizzero Daniel Bernoulli, esso afferma che l'energia meccanica totale associata al flusso di un liquido ideale e incomprimibile è costante lungo le linee di flusso. Queste ultime sono linee ideali parallele in ogni punto alla direzione di flusso del liquido che, nel caso particolare in cui il moto sia stazionario, coincidono con le traiettorie seguite dalle singole particelle del fluido. Il principio di Bernoulli mette in relazione gli effetti della pressione con quelli della velocità e della gravità, ed evidenzia il fenomeno per cui la velocità di un fluido aumenta al diminuire della pressione. Esso si rivela estremamente importante nella progettazione degli effusori, nelle misure di flusso, e per gli studi di aerodinamica.
Moto di fluidi viscosi: moto laminare e turbolento
I primi esperimenti sul moto a bassa velocità di fluidi viscosi furono probabilmente condotti nel 1839 dal fisiologo Jean-Louis-Marie Poiseuille, interessato a determinare le propietà della circolazione del sangue, e nel 1840 dall'ingegnere idraulico tedesco Gotthilf Heinrich Ludwig Hagen. I primi tentativi di includere gli effetti della viscosità nelle equazioni matematiche del moto dei fluidi si devono invece all'ingegnere francese Claude-Louis-Marie Navier, e al matematico britannico George Gabriel Stokes il quale, nel 1845 formulò le equazioni fondamentali per i fluidi viscosi incomprimibili. Note come equazioni di Navier-Stokes, esse risultano talmente complesse da poter essere applicate soltanto a flussi semplici, qual è, ad esempio, quello determinato dal moto di un fluido reale in un condotto rettilineo. In questo caso il principio di Bernoulli non è applicabile perché l'energia meccanica totale viene dissipata per effetto dell'attrito viscoso, col risultato che si verifica una caduta di pressione lungo tutto il condotto. Dalle equazioni si evince che tale calo di pressione, per un determinato sistema di condotto e fluido, dovrebbe essere proporzionale alla velocità di flusso.
Gli esperimenti realizzati verso la metà del XIX secolo mostrarono che ciò è vero solo nei limiti di basse velocità, e che a velocità maggiori il calo di pressione dipende invece dal quadrato della velocità. Il problema non trovò soluzione fino al 1883, quando l'ingegnere britannico Osborne Reynolds distinse due tipi diversi di moto di un fluido viscoso all'interno di un condotto. Egli osservò che a basse velocità le particelle seguono le linee di flusso (regime laminare), secondo le previsioni delle equazioni analitiche, mentre a più alte velocità il flusso si rompe in una serie di gorghi (regime turbolento) non perfettamente prevedibili neppure con le moderne teorie. Reynolds stabilì inoltre che la transizione dal regime laminare a quello turbolento dipende da un solo parametro, detto in suo onore numero di Reynolds, che può essere calcolato moltiplicando il prodotto della velocità e della densità del fluido per il diametro del condotto e dividendo il risultato ottenuto per la viscosità. Se per un certo sistema fluidodinamico il numero di Reynolds risulta minore di 2100, il flusso all'interno del condotto è di tipo laminare; per valori più alti di tale parametro si instaura invece un regime di moto turbolento.
Lo studio dei moti turbolenti non può essere unicamente teorico, ma dipende da una sintesi tra dati sperimentali e modelli teorici, che è ancora da perfezionare. Il fenomeno della transizione da regime laminare a regime turbolento e la complessità di quest'ultimo possono essere osservati nella diffusione del fumo di una sigaretta in aria ferma. Dapprima esso sale verso l'alto dando luogo a un flusso di tipo laminare, ma dopo una certa distanza diventa instabile e si rompe in una serie di gorghi e circonvoluzioni.
La teoria dello strato-limite
Prima del 1860 circa l'interesse ingegneristico nei confronti della meccanica dei fluidi si limitava quasi esclusivamente allo studio del moto dell'acqua. Lo sviluppo dell'industria chimica che ebbe luogo nella seconda metà del XIX secolo spostò l'attenzione anche sul comportamento di altri liquidi e di gas. Gli studi di aerodinamica vennero inaugurati dall'ingegnere aeronautico Otto Lilienthal, e conobbero i maggiori successi dopo il primo volo a motore compiuto nel 1903 dai fratelli Wilbur e Orville Wright.
La complessità del comportamento dei fluidi viscosi, in modo particolare in regime di moto turbolento, rappresentò un serio ostacolo agli ulteriori progressi della fluidodinamica. Nel 1904 l'ingegnere tedesco Ludwig Prandtl riconobbe che in un gran numero di casi è possibile e conveniente suddividere il fluido in moto in due regioni distinte: la regione di fluido prossima alla superficie del condotto, che consiste di un sottile strato limite in cui sono concentrati gli effetti della viscosità e all'interno del quale il modello matematico può essere semplificato significativamente, e la regione esterna a questo strato nella quale, potendosi trascurare gli effetti della viscosità, è possibile adottare le più semplici equazioni matematiche per i fluidi privi di attrito interno. È alla teoria dello strato-limite che si deve lo sviluppo delle più moderne applicazioni ingegneristiche nel campo della fluidodinamica, quali le ali dei velivoli, le turbine a gas e i compressori. Essa infatti non solo rese possibile una riformulazione più semplice delle equazioni di Navier-Stokes nella regione prossima alla superficie di corpo immerso in un fluido in moto, ma portò anche a ulteriori sviluppi della teoria sui fluidi ideali, nelle sue applicazioni alla regione esterna allo strato limite. Gran parte delle conquiste della meccanica dei fluidi che seguirono l'introduzione del concetto di strato-limite si devono all'ingegnere aeronautico di origine ungherese Theodore von Kármán, al matematico tedesco Richard von Mises e al fisico e meteorologo britannico Geoffrey Ingram Taylor.
Moto di fluidi comprimibili
L'interesse nella dinamica dei fluidi comprimibili scaturì dallo sviluppo delle turbine a vapore, dovuto all'inventore britannico Charles Algernon Parsons e all'ingegnere svedese Carl Gustaf Patrik de Laval, intorno al 1880. Il moto ad alta velocità del vapore all'interno di passaggi di flusso ricevette un notevole impulso dai successi della turbina a gas e della propulsione a getto, introdotte negli anni Trenta. Le prime ricerche sui flussi superficiali ad alta velocità vennero condotti nell'ambito degli studi di balistica, e in particolare del moto dei proiettili in aria. Gli sviluppi più rimarchevoli si ebbero verso la fine del XIX secolo e nel corso della seconda guerra mondiale, con la realizzazione di velivoli ad alta velocità e dei razzi.
Uno dei principi fondamentali del comportamento dei fluidi comprimibili prevede che la densità di un gas vari quando esso è sottoposto a notevoli variazioni di pressione e di velocità. Contemporaneamente inoltre, si manifestano anche variazioni di temperatura, ponendo problemi analitici ancora più complessi. Il comportamento di un fluido comprimibile in moto dipende dalla velocità di flusso, e varia in modo sostanziale a seconda che questa sia maggiore o minore della velocità del suono.
Il suono consiste sostanzialmente nella propagazione di una piccola perturbazione, o onda di pressione, all'interno di un fluido, e si propaga con velocità proporzionale alla radice quadrata della temperatura assoluta. Ad esempio, nell'aria alla temperatura di 20 °C, che equivale a 293 kelvin della scala assoluta, il suono si propaga alla velocità di circa 344 m al secondo. Se un aereo vola con velocità maggiore rispetto a quella del suono (volo supersonico), nelle estreme vicinanze dell'ala si verifica un'intensa compressione, o onda d'urto, che può essere percepita da un osservatore a terra, sotto forma di bang sonico. Il moto all'interno di fluidi comprimibili si identifica solitamente con un parametro detto numero di Mach, che è il rapporto tra la velocità di flusso e la velocità del suono. I flussi supersonici sono quindi caratterizzati
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