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L'infinito e l'indefinito di Giacomo leopardi
Anche Giacomo Leopardi colse una differenza tra l'infinito e l'indefinito. Secondo lui l'indefinito non è altro che una brutta copia dell'infinito,nel senso che,dato che l'uomo non sarà mai in grado di cogliere l'infinito che per lui è "un parto della nostra immaginazione,della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia[.]
L'infinito è un'idea,un sogno, non una realtà:almeno niuna prova abbiamo noi,dell'esistenza di esso,neppur per analogia",allora ci si rifugia nell'indefinito che ci da una sensazione simile a quella dell'infinito.
Egli nello zibaldone,infatti,scrive:"Non solo la facoltà conoscitiva o quella di amare,ma neanche l'immaginativa è capace dell'infinito,o di concepire infinitamente,ma solo dell'indefinito e di concepire indefinitamente".
Secondo Leopardi, anche il concepire l'indefinito dà un piacere all'animo: ".La qual cosa ci diletta perché l'anima,non vedendo confini,riceve l'impressione di una specie di infinità, e confonde l'indefinito con l'infinito,non però comprende né percepisce effettivamente nessuna infinità".Immaginando cose indefinite, però, l'animo umano riceve anche una certa sensazione di difficoltà a comprendere tutta la misura dell'idea e questo rivela proprio l'illusorietà dell'illimitato.
Per Leopardi è proprio questo infinito che non possiamo raggiungere la fonte da cui nasce ogni piacere e a cui tende ogni piacere. È il desiderio infinito di felicità che porta l'uomo a ricercare il piacere in un numero sempre maggiore di sensazioni nella vana speranza che si arrivi al piacere infinito, che non ha limiti né di durata né di intensità e proprio per questo impossibile da raggiungere dato che anche la vita umana è limitata dalla morte. A questo riguardo Leopardi scrive:"L'anima umana desidera sempre essenzialmente e mira unicamente al piacere,ossia alla felicità. Questo desiderio e questa tendenza non ha limiti, perché è ingenita e congenita con l'esistenza e perciò non può avere fine in questo o in quel piacere che non può essere infinito,ma termina con la vita".
Per superare i limiti del piacere fisico interviene l'immaginazione che ha come scopo principale proprio quello di procurare il piacere. L'immaginazione ha però bisogno di stimoli:"l'anima si immagina quello che non vede,che quell' albero,quella siepe,quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario,e si figura cose che non potrebbe se la sua vista si estendesse dappertutto,perché il reale escluderebbe l'immaginario". Questo tipo di immaginazione di cose vaghe e indefinite dà una sensazione molto simile a quella dell'infinito. Proprio per questo,però, rimane nell'animo un senso di insoddisfazione dato dal non poter abbracciare l'infinito ma solo l'indefinito che è un'idea più vaga e approssimata. Il pensiero non riesce,perciò,a concepire l'infinito nella sua totalità ma gli rimane comunque una sensazione piacevole data proprio dall'aver liberato il pensiero attraverso la libera immaginazione. Ci sono delle immagini che suscitano nell'animo un'idea di infinito come quelle di un oggetto antico che può dare una sensazione di eternità o immagini che nascondono una parte o tutto il paesaggio che c'è oltre che creano un "contrasto efficacissimo e sublimassimo tra finito e indefinito".L'idillio "l'infinito",scritto nel 1819 esprime in maniera chiarissima tutti questi concetti "L'infinito' di Leopardi è forse uno degli idilli più organici per quanto riguarda significato-struttura-significante, la disposizione delle parole, il loro potere semantico, l'uso stesso che ne fa il poeta contribuiscono a rendere questa poesia un 'viaggio interiore', una scoperta dello spirito, una illuminazione. L'infinito di cui parla è temporale e spaziale e viene evocato tramite il limite fisico(la siepe, il fruscio del vento) che porta il poeta da una dimensione fisica e sensoriale ad una 'metafisica'. I sensi, in questo caso la vista e l'udito, conducono all' intuizione di qualcosa che è al di là del tangibile.L'osservazione del paesaggio si svolge come in meditazione: il paesaggio, la natura, la fisicità vengono interiorizzati ed entrano a far parte dello 'spirito' del poeta, o meglio: il poeta riesce a calarsi nell'infinito. Parte da una visione familiare, la vista del colle, il Monte Tabor, ermo, ma caro, ovvero solitario ma già appartenente alla esperienza personale del poeta, spettatore ma anche compartecipe della sua vita, così come familiare è la siepe. Questa diventa un limite, evoca il desiderio, l'immaginazione di ciò che il guardo esclude, di ciò che non si può raggiungere con il solo ausilio dei sensi. Da un connotato fisico della realtà, si risveglia l'immaginazione di uno spazio ben più ultimo. Ed ecco sia il colle e la siepe, prima indicati con gli aggettivi questo/questa ad indicarne la vicinanza sia fisica che spirituale, diventano la porta per l'infinito. La siepe diventa quella, è già posta in un'altra dimensione, decisamente diversa da quella fisica. Il poeta siede e guarda, in uno spazio senza tempo, e la sua immaginazione coglie e crea (io nel pensier mi fingo) interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete. Leopardi ha colto, ha intuito l'infinito spaziale, che viene visto nella negazione della realtà fisica a cui è sempre abituato. Infatti gli spazi sono interminati, i silenzi sono sovrumani, la quiete è profondissima. Danno l'idea di una dimensione impossibile da paragonare con quella 'solita', 'abituale'. Anche la disposizione nel verso, con l'enjambemant tra interminati e spazi e tra sovrumani e silenzi e la dieresi sul termine quiete danno la sensazione di una vastità infinita.Questi pensieri portando all'interno sel suo animo, rivelano il confine tra la limitatezza della vita umana e l'immensità della Natura, di cui l'uomo fa parte, ma che non può cogliere appieno . Questa intuizione gli dà un senso di paura (ove per poco il cor non si spaura), un senso di smarrimento in una dimensione mai conosciuta prima, mai immaginata con tale chiarezza.Il cuore quasi non riesce a sostenere la potenza di questa visione, è sgomento per la consapevolezza di aver superato i suoi limiti, di aver trasceso la sua quotidianità. Il vento, espressione della sua limitatezza fisica, lo riporta all'esistenza terrena e non più cosmica, ma gli dà l'impulso per spaziare di nuovo nell'infinito temporale perché la voce della realtà (odo stormir tra queste piante) viene paragonata al silenzio dell'infinito. Il senso della vita terrena si rianima nel vento, e con esso il limite temporale dell'uomo, la morte. Ma il pensiero riprende il suo corso e fluisce (l'affollarsi dei pensieri è sottolineato dall'anafora della 'e') nell'eterno, nella distensione temporale della vita dal passato al presente, che è vivo, mentre il passato è morto. Tutto si riduce a un suono, è il respiro della vita universale, il suo battito eterno, smorzato, affievolito e quindi morto nel passato e invece vivo e prepotente nel presente. Il pensiero e l'uomo vengono sommersi da questa immensità, e il mare, simbolo della vastità, fa annegare il suo pensiero, la sua mente, la sua razionalità, lo fa perdere in una dimensione universale in comunione con l' infinito , tanto più dolce perché inaspettata. E in Leopardi(ma soprattutto in ognuno di noi )resta la consapevolezza di poter annegare in quel mare solo per un breve istante, perché come basta una siepe ad evocarlo, è altresì bastante un soffio di vento per riportarlo alla sua essenza limitata. Molti filosofi e scienziati stranieri hanno detto che in questa poesia c'è un'idea che la fa sembrare una meditazione filosofica sull'infinito. Infatti Leopardi,anche secondo l'espressione di Nietzsche, è soprattutto un poeta che pensa e quindi nelle sue opere poetiche non si può mai separare la poesia dalla filosofia.
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