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Lo sport all'interno dei regimi totalitari
La funzione educativa del fenomeno sportivo è stata sfruttata da pedagoghi, riformatori e agitatori politici di ogni estrazione ideologica: nazionalisti, socialisti, cattolici, vi hanno visto da sempre un efficace strumento di aggregazione capace di coinvolgere soprattutto gli strati giovanili.
Oltre ad affascinare gli ambienti nazionalisti, lo sport moderno, nella sua concezione pedagogica, fu assunto dai movimenti cattolici ed introdotto negli oratori come strumento per insegnare ai giovani la disciplina, la tenacia, la perseveranza ed il coraggio del buon cristiano. Nei primi anni del Novecento, l'intellettuale Giovanni Semeria affermò che l'educazione fisica, per i suoi connotati vitalistici, avrebbe contribuito a sfatare l'immagine, offerta da Nietzsche, del cristiano fiacco e debole. Lo sport avrebbe dovuto irrobustire il fedele, nel fisico e nel carattere, contribuendo a fare del Cattolicesimo la religione dei forti.
Nell'Italia fascista lo sport era tra i principali strumenti di consenso sociale e di propaganda internazionale. La ginnastica era tra i cardini del sistema educativo, essendo finalizzata a forgiare la gioventù secondo quella visione eroica dell'esistenza che il fascismo, nella sua forma migliore, intendeva esprimere. Le manifestazioni sportive erano tra i momenti di aggregazione più idonei a comprovare l'efficienza del regime. Ogni vittoria, di un atleta o della squadra nazionale, era celebrata in chiave patriottica per dimostrare la superiorità della stirpe italica.
Il fascismo
italiano servì da modello a tutti i regimi autoritari che tentarono di ideologizzare lo sport
valorizzandone la funzione educativa.
Durante il Ventennio al CONI fu affidato il compito di gestire lo sport agonistico ed alle strutture del partito quello di curare la preparazione atletica e militare dei giovani. Invece all'Opera Nazionale Dopolavoro (OND) fu delegata l'educazione sportiva del grande pubblico.
A differenza dello sport spettacolo come veicolo di propaganda politica, quello svolto dal Dopolavoro restava finalizzato al puro divertimento senza eccessi agonistici. La preferenza era quindi accordata a giochi come le bocce, il tamburello, gli scacchi, il tiro alla fune, la corsa campestre. Ma venivano organizzati anche tornei di pallavolo, pallacanestro, hockey, tennis, nuoto, canottaggio, pugilato, scherma, tiro a segno, atletica leggera e pesante.
In sostanza il fascismo cercò di coniugare diverse concezioni dell'attività ludica mediante un insieme di strutture operanti in sinergia. Se tentativi analoghi a quello italiano di utilizzare lo sport come strumento di consenso sociale e di propaganda internazionale furono compiuti da altri regimi autoritari europei ispirati al fascismo, gli esempi più radicali di ideologizzazione del fenomeno sportivo sono stati offerti dall'Unione Sovietica e dai Paesi comunisti, specialmente all'epoca della guerra fredda.
Già all'indomani della rivoluzione d'ottobre, nel 1918, venne creato l'Istituto Centrale di Cultura Fisica con sede a Mosca. Tuttavia, sotto il profilo ideologico, l'atto di nascita dello sport sovietico va individuato nella risoluzione adottata, alla presenza di Lenin, al terzo congresso della Gioventù Comunista (1920). L'educazione fisica veniva definita 'elemento essenziale nell'intero sistema comunista per l'educazione dei giovani e per la creazione di gente armoniosamente sviluppata, di cittadini attivi nella società comunista'. Il suo scopo pratico era di 'preparare la gioventù al lavoro ed alla difesa militare del potere dei Soviet'. Compaiono quindi sia l'impostazione militarista tipica dei movimenti ginnici nazionalisti ispirati al modello tedesco di Jahn, sia la visione dello sport inteso come allenamento ai ritmi della produzione industriale, proprio quegli elementi che, agli albori dello sport moderno, i movimenti socialisti europei avevano condannato come degenerazioni tipiche della società borghese.
Negli anni Trenta l'Unione Sovietica varò un intenso programma di educazione fisica destinato a trasformare lo sport in uno dei veicoli principali dell'ideologia sovietica. L'atleta sovietico appariva come il corrispettivo del lavoratore stakanovista: la conquista del record e del primato, nello sport come nel lavoro, diventava uno dei principali obiettivi nella costruzione del socialismo. Nel secondo dopoguerra, allorquando lo sport divenne termine di confronto con le potenze occidentali, la politica sportiva dell'Unione Sovietica acquisì maggiore spessore. La sfida sportiva all'epoca della guerra fredda fu vinta dall'Unione Sovietica: dalle olimpiadi di Helsinki (1952) a quelle di Seul (1988), l'URSS vinse 1.010 medaglie contro le 874 degli Stati Uniti.
Il modello sportivo
sovietico fu imitato e portato ai massimi livelli di efficienza
nella Repubblica Democratica Tedesca. Nell'Università Tedesca per
Anche in tal caso si ottennero notevoli risultati agonistici. Per esempio
alle olimpiadi di Seul (1988), le ultime alle quali partecipò
autonomamente prima della riunificazione,
Se dal secondo
dopoguerra al crollo del muro di Berlino (1989) il modello sovietico e tedesco
orientale hanno costituito un sicuro riferimento per tutti i Paesi comunisti,
un ruolo del tutto originale rivestì l'attività sportiva, almeno fino a un certo periodo, nella Repubblica Popolare Cinese. La sua
rappresentativa, giova ricordarlo, ha esordito alle olimpiadi soltanto a
Barcellona nel 1992. Lontana dalle grandi competizioni internazionali,
Ma a partire dalla scomparsa di Mao, nel 1976, lo sport cinese ha subito profonde trasformazione fino ad assimilarsi ai modelli degli altri Paesi comunisti. Il percorso di questa evoluzione ha portato alla scoperta del primatismo, alla ricerca del confronto competitivo con gli Stati occidentali ed alla valorizzazione dello sport come veicolo di propaganda internazionale. Dopo la caduta del comunismo nell'Europa orientale, i migliori preparatori atletici tedeschi e russi si sono trasferiti in Cina per plasmare nuovi atleti bionici pronti a vincere ancora una volta la sfida con l'Occidente. I risultati ottenuti dalle nuotatrici cinesi ai Mondiali di Roma (1994) e la stazza fisica di queste atlete, sono stati il primo risultato evidente dell'utilizzo massiccio di steroidi, anabolizzanti ed anfetamine.
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