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Taylor e Ford: i pionieri dei nuovi processi industriali
Le teorie riguardanti il management aziendale dell'ingegnere e imprenditore statunitense Frederick Taylor (Germantown, Pennsylvania 1856-1915), poi concretizzate dal connazionale Henry Ford (Dearborn, Michigan 1863-1947), un industriale tra i fondatori del marchio Ford Motor Company, costituirono il passaggio decisivo dalla produzione artigianale alla produzione industriale di massa. La produzione artigianale aveva caratterizzato gran parte dell' ottocento e si fondava su prodotti realizzati "su misura", in base alle richieste dell' acquirente, da un ridotto numero di operai altamente specializzati.
I limiti di questo tipo di produzione erano tuttavia evidenti: alti costi di produzione e vendita che si aggiungevano ad una qualità del prodotto non sempre affidabile, a causa di un carente processo produttivo, caratterizzato dalla mancanza di test sistematici per la verifica delle prestazioni del prodotto.
Henry Ford Frederick Taylor
Fu proprio da queste considerazioni che Taylor elaborò le sue teorie,
sintetizzate appunto con il termine Taylorismo. Egli prevedeva una vera e
propria organizzazione scientifica del lavoro industriale (Scientific
management), che si poneva come scopo quello di ottenere una maggiore
produttività tramite un basso costo della mano d'opera. Il principio base di
queste teorie nasceva dalla concezione secondo cui la migliore produzione si
determina quando a ogni lavoratore è affidato un compito specifico, da svolgere
in un determinato tempo e in un determinato modo. Ciò poteva realizzarsi solo
tramite una precisa suddivisione delle operazioni complesse compiute da un
operaio in segmenti di operazioni realizzate a tempo fisso. Standardizzando sia
il ciclo produttivo che le mansioni degli operai ed imponendo inoltre precisi
tempi di realizzazione monitorati da controllori, si otteneva la massima efficienza
dei processi produttivi e di conseguenza maggiori profitti. Questo metodo
consentiva poi di non dover più fare ricorso ad operai altamente specializzati,
offrendo l'opportunità di usufruire di una manodopera dequalificata, dal
momento che ogni singolo operaio aveva il compito di realizzare un piccolo e
semplice segmento di lavoro, da ripetersi continuamente per ogni prodotto, all'
interno dell' intero processo produttivo.
L'abbassamento dei costi di produzione, che comportava conseguentemente quello dei prezzi di acquisto del prodotto, richiedeva la semplificazione della tipologia di oggetti da realizzare, nonché un tipo di produzione più standardizzata e meno particolare di quanto non fosse stata invece quella artigianale.
L'applicazione pratica di queste teorie fu introdotta negli stabilimenti della Ford Motor Company. Fu infatti Henry Ford, che rifacendosi ai principi tayloristici, raggiunse una compiuta razionalizzazione del lavoro in fabbrica, meglio conosciuta con il termine Fordismo.
Ford, il cui marchio produceva (come ancora oggi) automobili, realizzò questo obiettivo tramite un mezzo che avrebbe rivoluzionato da li in avanti l'intera produzione industriale a livello mondiale: la catena di montaggio. Messa a punto a partire dal 1908, l'importanza della catena di montaggio risiedeva nell'opportunità che essa offriva di portare il lavoro dall'operaio e non più viceversa. In questo modo si risparmiava il tempo che l'operaio avrebbe impiegato per spostarsi da un macchinario all'altro ed inoltre, poiché si trattava di uno strumento in continuo movimento, ogni lavoratore sarebbe stato spronato a realizzare la propria porzione di lavoro, sotto la rigida supervisione di controllori, per evitare intralci al resto del processo produttivo.
La brillante idea di Ford prese avvio dallo stabilimento di Highland Park a Detroit, dove fu introdotta per la prima volta una linea di montaggio in movimento. Essa consisteva di due strisce di lamiera che percorrevano per intero lo stabilimento. All' estremità della linea, le strisce montate su un nastro giravano sotto il pavimento e ritornavano all'inizio. Dal momento che occorrevano soltanto un nastro e un motore elettrico per metterlo in funzione, il costo era minimo e consentiva di ridurre notevolmente la durata del ciclo lavorativo. Il lavoratore risparmiava infatti tempo rimanendo fermo nella sua postazione, evitando in questo modo la creazione di ingorghi con altri colleghi nonché ulteriori tipi di inconvenienti dovuti agli spostamenti. Si deve poi tenere presente che la catena di montaggio scandiva precisi ritmi di lavoro che gli operai erano per forza di cose obbligati a seguire se non volevano rischiare di ostruire l' intera produzione.
Scomposizione tayloristica del lavoro, standardizzazione dei gesti compiuti dall' operaio, facile intercambiabilità della manodopera e calcolo esatto dei tempi di lavoro rappresentavano l'approdo all'era della produzione di massa, come lo stesso Ford l' aveva definita.
Egli era inoltre convinto che esistesse un nesso tra l' aumento della produzione e l' allargamento del mercato. L'operaio diventava quindi anche consumatore e ciò si poteva realizzare tramite un innalzamento dei salari unito a un prezzo abbordabile del prodotto.
Fu da questa considerazione che nel 1908 nacque il "modello T" di Ford, una piccola utilitaria dal disegno semplice ed essenziale per poter essere prodotta velocemente, con minor costi di produzione e di vendita, offrendo in tal modo l'opportunità anche agli strati meno facoltosi della società di disporre di un'automobile. Il modello T raggiunse due obiettivi: costituiva un'auto progettata in funzione della produzione e di semplice utilizzo. Esso nacque infatti sulla base di un disegno semplice di una utilitaria. Tutto ciò contribuì a spiegarne il forte successo sul mercato automobilistico e rispose alla convinzione di Ford secondo cui esistesse un rapporto inscindibile tra l'aumento della produzione e l'allargamento del mercato. Dunque l'operaio stesso, diventato consumatore, iniziava ad assorbire gli influssi provenienti dalla nascente società di massa, in cui la standardizzazione e la semplificazione dei prodotti aprivano le porte del consumo anche a potenziali consumatori appartenenti alle fasce meno abbienti della società.
Si deve tuttavia ricordare che la forte carica rivoluzionaria di queste nuove concezioni comportò allo stesso tempo l'insorgere di fattori negativi nelle industrie. Tra questi furono in particolare ravvisabili la spersonalizzazione del lavoro, la meccanizzazione della vita e il controllo totale su ogni singola azione del lavoratore. La catena di montaggio, con i suoi ritmi scanditi e ripetitivi divenne infatti emblema di una società che si avviava a divenire sempre più conformista, standardizzata e omologata.
Catena di
montaggio Ford degli anni 10 Catena di
montaggio Ford mod. T
Queste condizioni ben si ricollegavano a quella che era stata fin dal secolo precedente la visione filosofica di Karl Marx, il quale aveva evidenziato come il fenomeno dell'alienazione, ovvero la condizione di scissione, dipendenza e autoestraniazione, caratterizzasse fortemente la figura del salariato . Infatti il lavoratore è secondo la visione marxista alienato rispetto:
Al prodotto della sua attività, poiché non gli appartiene e gli viene sottratto.
Al proprio lavoro, poiché è solo uno strumento per il fine capitalista.
Alla propria essenza, poiché compie un lavoro non "libero" che toglie umanità.
Al prossimo, poiché non fa che annullare le capacità relazionali.
Pertanto i mutamenti nei modi di organizzazione della produzione (fondamentale in tal senso è il passaggio dalla fabbrica ottocentesca a quella taylorista, poi a quella automatizzata del Novecento), sono alla base del nesso tra la nascita del moderno sistema di fabbrica, il macchinismo e la formazione della classe operaia.
L'alienazione
dell'operaio (dal film "Modern Times "
Charlìe Chaplin 1936 )
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