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LO SVILUPPO DEL CAPITALE
Forme di sovrapprodotto agricolo
Il sovrapprodotto agricolo è la base
di ogni sovrapprodotto e quindi di ogni civiltà. Se la società dovesse
consacrare tutto il proprio tempo di lavoro alla produzione dei mezzi di
sussistenza, non sarebbe possibile nessun'altra attività professionale, sia
essa artigianale, industriale, scientifica o artistica.
Il sovrapprodotto agricolo può apparire nella società sotto tre forme diverse.
Già il filosofo cinese Mencius, nel IV secolo avanti Cristo, aveva distinto
queste tre forme essenziali di sovrapprodotto agricolo: sovrapprodotto sotto
forma di lavoro (corvées), sotto forma di prodotti (valori d'uso) o sotto forma
di denaro 1*.
Il sovrapprodotto agricolo, fornito sotto forma di lavoro non pagato o di
corvée, appare dagli albori di qualsiasi società di classe. All'inizio del
Medioevo nell'Europa occidentale, la terra del villaggio era divisa in tre
parti: le terre che i contadini coltivavano per i loro bisogni; le terre che il
signore sfruttava direttamente per mezzo del lavoro non pagato dei contadini
costretti alla corvée; le terre comunali, boschi, prati, terre incolte, ecc.,
che restavano piú o meno liberamente a disposizione dei contadini e del signore
2. Il contadino doveva suddividere la settimana di lavoro tra il lavoro sui
propri campi e il lavoro sui campi del signore.
Il primo, lavoro necessario dal punto di vista sociale, fornisce il prodotto
necessario per la sussistenza dei produttori. Il secondo, pluslavoro dal punto
di vista sociale, fornisce il sovrapprodotto necessario alla sussistenza delle
classi possidenti, che non partecipano alla produzione.
Un sistema analogo ha funzionato in innumerevoli paesi in diverse epoche della
storia. Nel sistema feudale che esisteva alle isole Hawai prima dell'arrivo dei
Bianchi, il contadino doveva lavorare una giornata su cinque sulle terre
sfruttate dal proprietario terriero 3. Nel Messico, prima della riforma
agraria, esisteva «l'uso (!) secondo cui, per piccoli lotti di terreno
necessari alla loro sussistenza, i salariati agricoli pagavano un affitto ai
proprietari delle terre sotto forma di due o tre giorni alla settimana di
lavoro non retribuito » 4.
Parallelamente al sovrapprodotto fornito come lavoro non pagato può apparire il
sovrapprodotto pagato in natura. I servi dell'alto Medioevo nell'Europa
occidentale dovevano fornire ai signori, oltre alla corvée, una rendita in
natura (in prodotti agricoli o artigianali). Egualmente, alle isole Hawai la
rendita in natura doveva essere fornita in piú della corvée 5.
In Giappone, la rendita in natura (so) esiste parallelamente alla corvée
(etachi). In Cina, la rendita in natura appare accanto alla corvée e poco a
poco la scaccia, tranne per quanto riguarda i grandi lavori di pubblica
utilità. Di fatto, il pagamento della rendita in natura, cioè del
sovrapprodotto agricolo sotto forma di valori d'uso (grano, riso, vino, stoffe
fabbricate nella casa del contadino, ecc.), è divenuto assai presto nella
storia la forma predominante di sovrapprodotto e si è mantenuto per millenni
con poche modificazioni. Nella storia dell'Egitto, il sovrapprodotto agricolo
ha conservato questa forma di fornitura di beni in natura dal tempo dei Faraoni
sino all'impero di Roma e di Bisanzio. Ogni anno, durante sette secoli, furono
trasportati, come pagamento della rendita, 20 milioni di modii di grano in
Italia e poi 24 milioni di modii a Bisanzio, cioè circa il 12,5% dell'intera
produzione egiziana 7. Sinché il sovrapprodotto agricolo conserva questa forma
di rendita in natura, il commercio, il denaro, il capitale sussistono solo nei
pori di un'economia naturale. La gran massa dei produttori, i contadini, non
compaiono quasi mai sul mercato: consumano solo quello che essi stessi
producono, defalcato il sovrapprodotto. L'aumento progressivo della produzione
agricola è accaparrato dai signori che, per parte loro, la vendono al mercato.
Ma per la stessa ragione la gran massa della popolazione non è in grado di
acquistare prodotti artigianali fabbricati nelle città. Questi prodotti restano
dunque, soprattutto, prodotti di lusso. La ristrettezza del mercato limita
all'estremo lo sviluppo della produzione artigianale. È cosi che sono vissuti
La trasformazione del sovrapprodotto agricolo che da rendita in natura si
trasforma in rendita in denaro sconvolge da cima a fondo la situazione sociale.
Per poter pagare la rendita, il contadino è d'ora innanzi obbligato a vendere
egli pure i prodotti sul mercato. Esce da uno stato di economia naturale e
chiusa ed entra in un'economia essenzialmente monetaria. Il denaro, che
permette l'acquisto di una infinita varietà di merci, consente lo sviluppo di
una infinità di bisogni 9. La vita economica esce dal suo torpore secolare e
dal suo relativo equilibrio per diventare dinamica, squilibrata, spasmodica.
Produzione e consumo si sviluppano parallelamente al fiorire incomparabile del
commercio. Il denaro penetra dovunque, scioglie tutti i vincoli tradizionali,
trasforma tutti i rapporti costituiti. Tutto acquista un prezzo. L'uomo non è
piú valutato se non sulla base dei suoi redditi. La venalità universale
accompagna il trionfo dell'economia monetaria, come già aveva constatato San
Tommaso d'Aquino 10. Allo stesso tempo, il denaro comincia a nascondere i
rapporti economici reali, una volta trasparenti, tra servi e padroni, tra
lavoro necessario e pluslavoro. Proprietari fondiari è affittuari, padroni e
salariati si incontrano sul mercato come liberi proprietari di merci e la
finzione di questo «libero scambio» maschera il permanere del vecchio rapporto
di sfruttamento sotto la sua nuova forma monetaria 9.
La trasformazione del sovrapprodotto agricolo da rendita in natura in rendita
in denaro non è il risultato inevitabile dell'espansione del commercio e
dell'economia monetaria, ma risulta da rapporti di forza dati tra le classi.
«L'ascesa dell'economia monetaria non è stata sempre la grande forza
emancipatrice, come avevano ritenuto gli storici del secolo XIX. In mancanza di
una grande riserva di liberi lavoratori senza terra e al di fuori delle
garanzie legali e politiche dello Stato liberale, l'espansione dei mercati e
l'aumento della produzione possono portare piuttosto al rafforzamento delle
corvées che al loro declino »11.
«Lo sviluppo degli scambi nell'economia contadina, siano serviti direttamente
al mercato locale o si siano indirizzati verso mercati piú lontani tramite
mercanti, porta allo sviluppo della rendita in denaro. Lo sviluppo degli scambi
nell'economia signorile porta all'aumento delle corvées » 12.
L'esempio tipico in proposito è l'evoluzione dell'economia di villaggio
nell'Europa occidentale, inclusa
Perché la rendita in denaro si sostituisca alla rendita in natura, bisogna che
l'estensione dell'economia monetaria sia accompagnata da condizioni economiche,
sociali e politiche (funzione del potere centrale basato sulla borghesia
urbana) tali che i proprietari fondiari si vedano costretti a lasciare nelle
mani dei contadini una frazione assai considerevole della loro produzione crescente.
Accumulazione di valori d'uso e accumulazione di plusvalore
Sinché il sovrapprodotto agricolo
conserva la forma di rendita in natura, l'accumulazione di ricchezza da parte
delle classi possidenti si realizza essenzialmente sotto forma di accumulazione
di valori d'uso. L'agricoltura fornisce, come valori d'uso, soltanto viveri,
abiti, legname e pietre per la costruzione delle abitazioni. Cosi le classi
dominanti non hanno nessun interesse a sviluppare la produzione agricola in
modo illimitato. La loro capacita di consumo rappresenta il limite massimo
dello sviluppo delle forze produttive:
«Non avendo nessun mezzo di produrre per la vendita, data la mancanza di
sbocchi, [il grande proprietario medioevale] non deve dunque ingegnarsi per
ottenere dai suoi uomini e dalla sua terra un surplus che per lui costituirebbe
solo un ingombro. Costretto a consumare egli stesso i suoi redditi, si limita a
commisurarli ai suoi bisogni » 14.
Alle isole Hawai, dove il sovrapprodotto si presenta quasi esclusivamente sotto
forma di prodotti alimentari, «le esigenze [dei proprietari fondiari] furono
ulteriormente limitate dal carattere deperibile della maggior parte dei
prodotti - pesci, banane, patate dolci, poi - e dal fatto che i signori non
avevano motivo di prendere piú di quanto potessero usare direttamente Benché
gli alii (signori feudali) fossero giustamente fieri della loro enorme statura
e della loro pinguedine - soprattutto le donne si vantavano del loro volume
monumentale - c'erano dei limiti alle loro capacità di consumo 15.
Quando lo scambio e il commercio cominciano a svilupparsi, le classi possidenti
hanno un interesse nuovo ad accrescere la produzione. In cambio della parte del
sovrapprodotto agricolo che non arrivano a consumare direttamente, possono acquistare
prodotti di lusso, gioielli, utensili domestici di grande valore e bellezza,
che tesaurizzano per acquistare un prestigio sociale e per sentirsi sicuri in
caso di catastrofi. L'Odissea enumera tesori di questo tipo accumulati nel
magazzino dell'eroe, il thalamos: giare di vino vecchio e vasi di olio
profumato, mucchi d'oro, di bronzo e di ferro; armi rare, ricche stoffe, coppe
finemente cesellate, ecc. 16.
Con la generalizzazione dello scambio e del commercio, le classi possidenti
subiscono un nuovo stimolo allo sviluppo della produzione. In cambio della
parte del sovrapprodotto agricolo che non consumano direttamente, possono ora
acquistare prodotti di consumo rari, giunti da contrade remote. I loro bisogni
si moltiplicano, i loro gusti si fanno piú raffinati. Si ammucchiano tesori di
valore inestimabile.
Non si tesaurizzano piú né grano, né vino, né olio, né metalli preziosi allo
stato bruto. Le pietre preziose e le opere d'arte degli artigiani (o artisti)
piú rinomati sono le sole degne di entrare nei palazzi dei grandi. Hitti
descrive come segue le ricchezze accumulate dal califfo d'Egitto Al-Mustansir
(1035-1094):
«Pietre preziose, vasi di cristallo, placche incrostate d'oro, calamai di
avorio e di ebanite, coppe d'ambra, ampolle di moscato, specchi d'acciaio,
parasoli con il manico d'oro o d'argento, scacchiere con pietre d'oro e
d'argento, pugnali e sciabole coperte di gioielli, tele fini manifatturate a
Dabiq e a Damasco, coperte di ricami » 17.
Ancora piú impressionanti i tesori della corte di Bisanzio nel IX secolo:
«[L'imperatore Teofilo che regnò dall' 829 all'842] amava la pompa e la
magnificenza: per accrescere lo splendore dei ricevimenti a palazzo, aveva
ordinato ai suoi artigiani meraviglie di oreficeria e di meccanica: il
Pentapirgiano, celebre armadio d'oro, in cui si esponevano i gioielli della
corona; gli organi d'oro che suonavano nei giorni delle udienze solenni; il
platano d'oro innalzato presso il trono imperiale e su cui volteggiavano e
cantavano uccelli meccanici; i leoni d'oro accucciati ai piedi del principe e
che a certi momenti si alzavano, sbattevano la coda e ruggivano; e i grifoni
d'oro dall'aspetto misterioso, che, come nei palazzi dei re asiatici,
sembravano vegliare sulla serenità dell'imperatore » 18.
L'impero cinese o quello dei Mongoli in India conobbe fasti dello stesso tipo.
Basti pensare alle pareti del Taj Mahal, coperte di pietre preziose!
Ma, in definitiva, tutti questi tesori rappresentano valori d'uso accumulati,
non consumabili, inutilizzati ai fini dello sviluppo delle forze produttive. La
concentrazione di una parte considerevole della ricchezza sociale a soli scopi
di lusso e di sperpero pare dunque una causa importante della stagnazione e
della decadenza di queste società.
La trasformazione del sovrapprodotto agricolo da rendita in natura in rendita
in denaro non modifica necessariamente questa situazione. Assicura alle classi
dominanti un piú facile accesso al mercato e il possesso di ricchezze ancora
piú stravaganti. Ma il denaro ricevuto resta sperperato come consumo
improduttivo. In queste condizioni, lo sviluppo dell'economia monetaria e lo
stimolo potente che questa economia esercita sui bisogni delle classi
dominanti, possono divenire motivi di esazioni insopportabili per le classi
lavoratrici, un fattore di impoverimento e di rovina per larghi settori della
società. È stato il caso del Giappone, a partire dallo sviluppo dell'economia
monetaria nel secolo XVIII 19.
Ma il denaro che le vecchie classi possidenti sperperano cosi in un lusso
stravagante, finisce con l'uscire dalle loro tasche e con il concentrarsi in
quelle degli usurai, dei commercianti e dei fabbricanti-manifatturieri. È
questa concentrazione della ricchezza sotto forma di denaro nelle mani di una
nuova classe possidente borghese che modifica completamente l'evoluzione
sociale. Nelle mani delle vecchie classi possidenti, ogni ricchezza accumulata,
compreso il denaro, non era che una ricchezza di valori d'uso o di mezzi per
acquistare valori d'uso. Il fine dell'accumulazione era il consumo (e la
tesaurizzazione in vista del consumo futuro). Nelle mani delle classi borghesi,
il denaro accumulato diventa capitale.
Il denaro viene accumulato per fruttare plusvalore. Il plusvalore cosi
accumulato, defalcato un minimo necessario per una sussistenza «degna del rango
», viene a sua volta capitalizzato, trasformato in capitale, allo scopo di
fruttare un nuovo plusvalore. Questa accumulazione di valori che fruttano nuovi
valori, alla lunga, è impossibile a mezzo di semplici trasferimenti periodici di
ricchezza da un paese all'altro, da una classe all'altra. O l'accumulazione del
capitale mantenuta entro i limiti di un tale trasferimento finisce con
l'arrestarsi, poiché le fonti necessariamente si esauriscono; oppure trova un
nuovo sbocco grazie all'introduzione del capitale nella produzione stessa,
approdo ultimo dell'economia monetaria. Questa penetrazione del capitale nella
sfera della produzione crea le condizioni di un fiorire illimitato delle forze
produttive. Non sono piú i bisogni ristretti di consumo della classe possidente
che possono d'ora innanzi avere la funzione di freno delle forze produttive. Il
bisogno di valorizzare il capitale, bisogno per sua natura illimitato, permette
al contrario la soppressione di ogni freno al loro sviluppo.
Il capitale usurario
La prima forma con cui il capitale si
presenta in una economia ancora fondamentalmente naturale agricola, produttrice
di valori d'uso, è quella del capitale usurario. Il capitale usurario, il
tesoro accumulato da una istituzione o da un individuo, sopperisce alla penuria
di riserve sociali. Esiodo racconta come gli antichi contadini della Grecia
arcaica, in caso di bisogno, chiedessero a prestito il grano ai vicini, per
renderlo piú tardi con un supplemento 20. Il capitale usurario che appare cosi
sotto forma di valori d'uso, è stato comune, attraverso i secoli, alle civiltà
essenzialmente agricole (Babilonia, Egitto, Cina, India, Giappone). In
sumerico, la parola mas (interesse) significa letteralmente «bestia giovane»
(Tierjunges) e prova chiaramente l'origine del capitale usurario nei prestiti
in natura.
Quello che il capitale usurario sotto forma di prestiti in natura rappresenta
per i contadini, lo rappresenta per i signori e per i re * il capitale usurario
sotto forma di anticipi di denaro.
Durante la fase di transizione dall'economia naturale all'economia monetaria,
la funzione essenziale degli usurai in Francia era quella di fare ai re
anticipi in denaro sulle imposte ancora essenzialmente pagate in natura 22. Le
guerre, la carestia, altre catastrofi naturali e sociali esigono eccezionali
concentrazioni di denaro. La trasformazione in capitale usurario dei tesori
costituiti da oggetti di metalli preziosi o l'uso del capitale mercantile di
mercanti stranieri come capitale usurario, costituiscono la fonte principale di
queste concentrazioni.
Quando lo scambio comincia a generalizzarsi e crea già nell'economia un vasto
settore monetario, ma allo stesso tempo la maggior parte dei produttori e delle
classi possidenti ricevono ancora i loro redditi sotto forma di valori d'uso,
il capitale usurario conosce la sua età dell'oro. Prestare denaro a tassi
usurari diventa la fonte principale del profitto. L'antica epopea indiana,
« Per mezzo dell'usura, dell'agricoltura, del commercio e dell'allevamento
possa tu conseguire la potenza della ricchezza, o Re dei Re » 23.
Nessun veto religioso e politico impedisce al capitale usurario di minare le
relazioni sociali dell'epoca. L'indebitamento dei grandi; la rovina dei
piccoli; lo sfruttamento dei contadini indebitati - se non la loro vendita come
schiavi; la concentrazione delle terre: ecco le calamità tradizionali che il
capitale usurario provoca in questa fase dello sviluppo sociale. La maggior
parte dei turbamenti sociali sono d'altronde rivolte contro questi effetti
dissolventi del capitale usurario. Nella Grecia del V e IV secolo avanti
Cristo, il grido di guerra generale era: «Ridistribuzione delle terre e
annullamento dei debiti » 24. Roma ai tempi della repubblica; la societa cinese
all'epoca del declino di tutte le dinastie; Bisanzio e l'India in varie epoche
della loro storia, offrono uno spettacolo niente affatto diverso.
Invano la legislazione di Solone ad Atene, quella dei decumviri a Roma o del
ministro cinese Wan An-Shi sotto la dinastia Sung; invano la legge agraria a
Bisanzio si sforzano di arrestare questa influenza del capitale usurario. Non
riescono che a ritardare le scadenze, senza poter modificare il senso generale
dell'evoluzione. Cesare intraprende la sua guerra di rapina contro
Nel corso del Medioevo la necessita di difendere un'economia fondamentalmente
naturale contro gli effetti dissolvitori dell'economia monetaria e del capitale
usurario, indusse
Il capitale usurario si manifestò allora in una forma particolare per aggirare
questa interdizione: l'acquisto della rendita fondiaria. In cambio di una somma
di denaro globale, un proprietario fondiario cedeva al prestatore i redditi
annui della sua terra sino al rimborso del capitale anticipato. La terra
diveniva di fatto proprietà del prestatore: il proprietario la ricuperava
pagando il suo debito 28*.
Questa non fu che una forma particolare del prestito con pegno che resta
nell'Europa medioevale come in India, in Cina e in Giappone, l'operazione
preferita del capitale usurario in una economia naturale in lento
dissolvimento. L'acquisto della rendita fondiaria che ha avuto una funzione
importante nell'economia europea medioevale, indica chiaramente quale sia la
fonte del plusvalore ottenuto dal capitale usurario: il trasferimento dei
redditi dei signori (o dei contadini) agli usurai. L'accumulazione del capitale
usurario a spese dei proprietari terrieri è essenzialmente un trasferimento del
sovrapprodotto agricolo nelle mani degli usurai.
Quando l'economia monetaria si generalizza, il capitale usurario propriamente
detto perde il suo posto preponderante e ripiega verso gli strati oscuri della
società, in cui sopravvive per secoli a spese delle gente minuta. Non che i
Grandi non abbiano piú bisogno di denaro: gliene occorre piú di prima. Ma nel
frattempo il commercio è divenuto il campo d'azione e la fonte di profitto
essenziale del capitale. Il credito e il commercio si combinano: è l'epoca dei
grandi mercanti-finanzieri italiani, fiamminghi e tedeschi, che si apre in
Europa occidentale a partire dal XIII e XIV secolo.
Il capitale mercantile
La comparsa di una classe autoctona di
mercanti nel seno di una economia fondamentalmente naturale presuppone una
accumulazione primitiva di capitale monetario. Questa accumulazione proviene da
due fonti principali: la pirateria e il brigantaggio da un lato, l'appropriazione
di una parte del sovrapprodotto agricolo o persino del prodotto necessario del
contadino dall'altro.
E&Mac226; con razzie in terra straniera, con operazioni di brigantaggio e
di pirateria che i primi mercanti navigatori raccolgono il loro piccolo capitale
iniziale. In tutti i tempi il commercio marittimo si è confuso alle origini con
la pirateria 30*. Il professor Takekoshi constata che il primo afflusso di
capitale monetario nel Giappone (XVI e XV secolo) è stato ottenuto per mezzo di
pirati che agivano sulle coste cinesi e coreane.
«Mentre il governo giapponese faceva del suo meglio per guadagnare denaro con
il commercio estero, i pirati giapponesi impiegavano il mezzo piú diretto del
saccheggio e siccome il loro bottino consisteva in oro e in argento, in
numerano di rame e altri tesori, non è possibile in nessun modo valutare il
valore delle ricchezze apportate a Kyushu, Shikoju e alle regioni marittime
delle isole nelle province centrali del Giappone. Successivamente, questi
tesori saccheggiati iniettarono una vita nuova in tutto il paese » 31.
L'accumulazione del capitale-denaro dei mercanti italiani che dominarono la
vita economica europea dall'XI al XV secolo, proviene direttamente dalle
crociate 32: se vi fu mai un'operazione di rapina, è proprio questa.
«Sappiamo per esempio come i Genovesi abbiano aiutato nel 1101 i crociati nella
conquista e nel saccheggio del porto palestinese di Cesarea. Ricevettero ricche
prede per i loro ufficiali e ricompensarono i proprietari delle navi con il 15%
del bottino. Il resto del bottino fu distribuito tra 8000 marinai e soldati:
ciascuno ricevette 48 solidi e una libbra di pepe. Ciascuno fu cosi trasformato
in un piccolo capitalista » 33.
Il cronista medioevale Geoffroi de Villehardouin riferisce la risposta data dai
Dogi di Venezia alla richiesta di aiuto per la quarta crociata da parte dei
nobili occidentali (1202):
« Daremo navi da carico per trasportare 4500 cavalli e 9000 scudieri e navi per
trasportare 4500 cavalieri e 20.000 sergenti a piedi. E per tutti questi
cavalli e per tutta questa gente ci impegnamo a fornire il cibo per nove mesi.
Tutto questo sarà il minimo che faremo, e voi ci pagherete quattro marchi per
ogni cavallo e due marchi per ogni uomo. L'ammontare del vostro pagamento sarà
dunque di 85.000 marchi. E faremo di piú; daremo un contributo di 50 galere per
amore di Dio (!), se resta convenuto che avremo una metà (e voi l'altra) di
tutte le conquiste che faremo per mare e per terra».
Piú tardi, nei secoli XV-XVI, l'accumulazione primitiva del capitale-denaro da
parte dei mercanti portoghesi, spagnoli, olandesi e inglesi avrà esattamente la
stessa fonte.
In una economia basata essenzialmente sulla piccola produzione mercantile, il
commercio in dettaglio e anche il commercio all'ingrosso di prodotti di prima
necessità è, agli inizi, strettamente limitato e regolato 36. Distaccatosi
appena dall'artigianato, non può in nessun modo consentire una accumulazione
notevole di capitale mercantile 37. È solo il commercio estero internazionale a
consentire questa accumulazione. Questo commercio riguarda essenzialmente
prodotti di lusso destinati alle classi possidenti. Grazie ad esso i mercanti
si appropriano di una parte del sovrapprodotto agricolo di cui vivono queste
classi possidenti terriere. Lo sviluppo del commercio medioevale in Europa
occidentale, commercio di spezie e di prodotti orientali, come pure il
commercio di panni italiani e fiamminghi, è lo sviluppo di un commercio
tipicamente di lusso 38.
Lo stesso vale per qualsiasi società in cui si sia sviluppato il capitale
mercantile. L'ispettore di dogana della provincia cinese di Fukien, Chan
Ju-Kua, ha lasciato un quadro del commercio cinese nei secoli XII e XIII della
nostra era. Egli enumera 43 articoli di importazione, dalla canfora, l'incenso,
la mirra, l'ambra, le squame di tartaruga, la cera d'api sino ai pappagalli,
tutti articoli di lusso e spezie 39. Nell'antichità giapponese il commercio fu
esclusivamente un commercio di lusso, riferisce Georges Bonmarchand 40.
Andréadès precisa che le esportazioni bizantine erano quasi esclusivamente
esportazioni di prodotti di lusso 41. Anche il commercio dell'impero dell'Islam
all'epoca del suo apogeo si limita in gran parte ai prodotti di lusso. Lopez
enumera come segue le merci che questo commercio includeva:
« Smeraldi dell'Egitto, turchesi di Nishapur, rubini dello Yemen, perle del
golfo Persico, corallo dell'Africa nord-occidentale, marmo della Siria e
dell'Azerbaigian, panni dell'Egitto, dello Yemen e della Persia, cotone di
Marv, della Persia orientale e della Spagna, seta del Turkestan e della regione
al Sud del mar Caspio, tappeti di Persia, cuoio dell'Andalusia, vasellame del
Khorassan, vetrerie della costa siriana, ferro di Farghana acqua di violetta
dell'Iraq, acqua di rosa dell'Iran, incenso e ambra grigia arabi, fichi del
Magreb e della Spagna, datteri dell'Irak e dell'Africa, meloni del Turkestan,
olio d'oliva di Tunisi, zucchero della Persia, storione del lago di Van,
'terra commestibile 'del Kuhistan, vini eccellenti dell'Irak e della
Spagna » 42.
Prima dell'arrivo degli Olandesi in Indonesia, i mercanti cinesi portano nel
grande centro commerciale di Bantam porcellana, seta, damasco, velluto, fili di
seta, fili d'oro, tele d'oro, occhiali, ventagli di valore, medicine, mercurio
ecc. per acquistare spezie, moscato, avorio, squame e indigo; da una parte e
dall'altra si tratta sempre di prodotti di lusso 43*.
Per poter effettivamente realizzare il plusvalore a spese dei compratori
nobili, i mercanti di prodotti di lusso debbono assicurarsi veri e propri
monopoli di vendita e di acquisto: «Non avendo alcuna ambizione di egemonia
territoriale, essi [i Fenici e i Cartaginesi] non aspiravano a penetrare
nell'interno [dell'Africa], poiché per lunga esperienza sapevano bene di
poterne dominare efficacemente gli abitanti per mezzo di monopoli commerciali
abilmente combinati » 45.
Tutto il commercio medioevale di lusso è un commercio di monopolio. La
prosperità di Bisanzio si è basata per sei secoli sulla sua funzione di
deposito esclusivo di seterie e di spezie orientali. La perdita di questo
monopolio a vantaggio di Venezia segnò la fine della potenza bizantina.
Quando le città italiane dominavano il commercio mediterraneo, avevano a loro
volta ottenuto monopoli per il commercio con l'Egitto, nuovo deposito delle
spezie orientali, e con i popoli rivieraschi del Mar Nero. Il commercio delle
aringhe, del grano, del legname, nel Baltico e nel Mar del Nord, si trasformò
nella stessa epoca in un commercio con largo impiego di capitali, grazie ai
monopoli di fatto stabiliti dai commercianti tedeschi in Scandinavia e nelle
regioni dell'Est di recente colonizzazione. Ma questi monopoli furono spezzati
dalla concorrenza accanita tra borghesie commerciali di parecchie città e
soprattutto dalla concorrenza olandese. Questa concorrenza consenti ai
venditori di aumentare i prezzi e costrinse contemporaneamente i mercanti a
diminuire i loro prezzi di vendita, riducendo cosi brutalmente il loro margine
di profitto 46.
Il capitale accumulato dai grandi mercanti che operano in una società fondata
sulla piccola produzione mercantile non può dunque essere di continuo
reinvestito nel commercio internazionale stesso. A partire dal momento in cui
il capitale mercantile si è esteso sufficientemente, deve sforzarsi di limitare
qualsiasi nuova espansione, pena il distruggere per sua stessa opera le radici
monopolistiche dei profitti. I mercanti dell'epoca finiscono con l'investire
una parte considerevole dei guadagni in altri campi la proprietà fondiaria,
l'usura, il grande credito internazionale. Cicerone 47 consiglia ai mercanti
all'ingrosso d'investire i loro profitti in proprietà fondiarie. Nel III secolo
della nostra era il Talmud (commento ebraico del Vecchio Testamento) consiglia
di investire un terzo della fortuna in terreni, un terzo nel commercio e
nell'artigianato, e di conservare un altro terzo sotto forma di denaro liquido
48.
Le cose non andarono diversamente nell'antica India, in Cina, nel Giappone e a
Bisanzio. Nei secoli XI e XII, i mercanti ebrei possedevano press'a poco un
terzo delle terre della contea di Barcellona 49. Gras riferisce che il trattato
di prosa norvegese Lo specchio del re, redatto verso il 1260, consiglia ai
mercanti viaggianti di investire in terreni i due terzi dei loro grossi
profitti
Per quanto riguarda i grandi mercanti italiani e tedeschi dei secoli XIII, XIV,
XV e XVI, i Bonsignori, gli Scotti, i Peruzzi, i Bardi, i Medici, i Fugger, i
Welzer e gli Hochstatter, il capitale che acquisiscono tramite il commercio,
viene usato per grosse operazioni di credito e una parte considerevole dei
guadagni è usata per l'acquisto di proprietà fondiarie.
La rivoluzione commerciale
L'espansione del commercio a partire
dall'XI secolo aveva accelerato lo sviluppo di un'economia monetaria in Europa
occidentale. Ma il numerano restava assai raro. Dopo la fine del declino
economico che accompagna la guerra dei Cento anni, la mancanza di numerano
diviene opprimente. Dovunque si riaprono le antiche miniere, abbandonate
dall'epoca romana, o si cerca di scoprirne dí nuove 52 . Progressi dei Turchi e
gli sconvolgimenti che si producono lungo le antiche vie commerciali nell'Asia
centrale accentuano gli sforzi per spezzare il monopolio veneziano del
commercio delle spezie. Alla fine, si ottiene un successo imprevisto. La
scoperta dell'America, il saccheggio del Messico e del Perú, la
circumnavigazione dell'Africa, il contatto marittimo stabilito con l'India, con
l'Indonesia, con
I metalli preziosi, il cui prezzo di produzione era rimasto stabile da un
millennio, persero bruscamente di valore in seguito a importanti rivoluzioni
tecniche (separazione dell'argento dal rame con l'aiuto del piombo; impiego di
macchine di drenaggio; scavo di gallerie di scorrimento perfezionate; uso della
macchina trituratrice ecc.) ecc. 53. Ne consegui una considerevole rivoluzione
nei prezzi, dato che una stessa quantità di denaro non era piú l'equivalente che
di una quantità inferiore di merci. Dai paesi in cui questi metodi di
sfruttamento furono applicati prima 54 - Boemia, Sassonia e Tirolo nel XV sec.
- questa rivoluzione dei prezzi si estese rapidamente alla Spagna nel XVI
secolo. Il saccheggio del tesoro di Cuzco e l'apertura delle miniere d'argento
di Potosi diminuirono ancor piú radicalmente le spese di produzione dei metalli
preziosi con l'impiego di manodopera servile. In seguito, l'aumento dei prezzi
dilagò in tutta l'Europa, dove la nuova massa di metalli preziosi fini
naturalmente con il disperdersi.
La rovina della nobiltà e delle classi salariate fu cosí accelerata. Per la
prima volta nella storia umana, la proprietà fondiaria perdeva il predominio
economico acquisito dagli albori della civiltà. La diminuzione dei salari reali
che si manifestava in particolare con la sostituzione del pane con le patate a
buon mercato come alimento popolare di base - diveniva una delle fonti
principali dell'accumulazione primitiva del capitale industriale dal XVI al
XVIII secolo.
«In Inghilterra e in Francia, il grande scarto tra [l'aumento dei] prezzi e
[quello dei] salari che risultava dalla rivoluzione dei prezzi, sottrasse una
gran parte dei redditi che i lavoratori avevano ottenuto sino allora, sviò
questa ricchezza verso i beneficiari di altre parti distributive. Come abbiamo
indicato, la rendita, al pari dei salari, rimase indietro rispetto al movimento
dei prezzi; i proprietari fondiari non ricavarono alcun guadagno dalle perdite
dei lavoratori». Queste perdite andarono dunque a vantaggio dei soli
imprenditori capitalisti. In Inghilterra, tra il 1500 e il
In seguito al deficit della bilancia commerciale della Spagna, alla stagnazione
e al declino del suo artigianato, la massa dei tesori d'oro e d'argento
saccheggiati o acquisiti con l'asservimento di Indiani e di Negri, finí nelle
mani della borghesia dell'Europa occidentale, della Germania, della Francia,
dei Paesi Bassi e della Gran Bretagna. Le forniture di guerra per i numerosi
conflitti dinastici che lacerarono l'Europa nel corso di tre secoli, furono
pure leve importanti di questa accumulazione del capitale commerciale. I
fratelli Pàris, i piú grossi capitalisti francesi del XVIII secolo, devono la
loro fortuna a queste forniture. La comparsa del debito pubblico *, del
prestito sotto forma di titoli di Stato negoziabili in borsa - innanzi tutto
nelle borse di Lione e di Anversa, poi in quella di Amsterdam, prevalente per
un lungo periodo - rappresentò una altra leva di questa accumulazione primitiva
dei capitali, forniti d'altra parte dal saccheggio dell'America e dell'India
**.
Al pari dell'accumulazione primitiva del capitale mercantile, l'accumulazione
primitiva del capitale commerciale si è effettuata innanzi tutto tramite il
brigantaggio e la pirateria. Scott 57 constata che verso il 1550 si produsse in
Inghilterra una forte penuria di capitali. In alcuni anni le imprese piratesche
contro la flotta spagnola, tutte organizzate sotto forma di società per azioni,
mutarono la situazione. La prima impresa piratesca di Drake, che è del
1577-1580, fú lanciata con un capitale di 5000 sterline con la partecipazione
della regina Elisabetta.
Questa impresa rese circa 600000 sterline di profitto, di cui la metà per la
regina. Beard valuta che i pirati introdussero in Inghilterra durante il regno
di Elisabetta, circa 12 milioni di sterline. È nota la spaventosa barbarie dei
conquistadores spagnoli nelle Americhe. Nello spazio di cmquant'anni,
sterminarono 15 milioni di Indiani, se si presta fede a Bartholomeo de las
Casas, e 12 milioni secondo critici piú «conservatori». Regioni densamente
popolate come Haiti, Cuba, il Nicaragua, la costa del Venezuela, furono
interamente spopolate
«Il secondo viaggio di Vasco de Gama (1502- 1503), alla testa di una vera
flotta da guerra di 25 vascelli, porta alla sostituzione del monopolio egiziano
e veneziano con un monopolio nuovo (per quanto riguarda il commercio delle
spezie). Questo nuovo monopolio non viene stabilito senza episodi sanguinosi. È
una specie di crociata (!) di mercanti di pepe, di garofano, di cannella,
crociata contraddistinta da spaventose atrocità. Tutto sembrava permesso contro
i Mussulmani aborriti che il Lusitano aveva la sorpresa di incontrare in capo
al mondo dopo averli cacciati da Algarve e combattuti sulla terra berbera.
Incendi e massacri, distruzioni di ricche città, vascelli bruciati con i loro
equipaggi, prigionieri sgozzati le cui mani, il cui naso e le cui orecchie sono
inviati per derisione ai re 'barbari': ecco la prodezze del Cavaliere
di Cristo: non lasciò in vita che un bramino che, dopo aver subito le stesse
mutilazioni, fu incaricato di recare ai sovrani locali questi orribili trofei »
59.
Hauser ha dimostrato come la nuova espansione commerciale resti basata sul
monopolio. Non c'è quindi da meravigliarsi che i mercanti olandesi, i cui
profitti dipendevano dal monopolio delle spezie ottenuto grazie alla conquista
dell'arcipelago indonesiano, procedessero alla distruzione massiccia degli
alberi di cannella nelle piccole isole delle Molucche non appena i prezzi in
Europa cominciavano a diminuire. I «viaggi Hongi» per distruggere questi alberi
e massacrare la popolazione che, da secoli, traeva la propria sussistenza dalla
loro coltura, hanno marcato di una impronta sinistra la colonizzazione
olandese. D'altronde, questa colonizzazione si era iniziata sotto lo stesso
segno, poiché l'ammiraglio J.P. Coen non aveva esitato a sterminare tutti gli
abitanti maschi delle isole Banda 60.
La fonte del plusvalore ottenuto dal capitale commerciale precapitalista è dunque
identica a quella del plusvalore accumulato dal capitale usurario e dal
capitale mercantile. Ne troviamo una notevole illustrazione nella seguente
tavola dei prezzi di acquisto e di vendita della Compagnia francese delle Indie
orientali nel 1691:
prezzo d'acquisto in sterline prezzo di vendita in sterline
cotonati bianchi e mussolina 327.000
1.267.000
seterie 32.000 97.000
pepe (
seta greggia 58.000 111.000
salnitro 3.000 45.000
filo di cotone 9.000 28.000
totale tenendo conto di alcune voci minori
487.000 1.700.000
Cioè un tasso di profitto circa del
250 per cento e questo nel commercio «normale»!
Uno dei grandi pionieri del grande commercio olandese, Guglielmo Wisselinx,
scrive d'altronde chiaramente in un opuscolo uscito agli inizi del XVII secolo:
«Il commercio sulla costa della Guinea fú in effetti profittevole al paese in due sensi: anzitutto vi si acquistarono merci di grande valore da popolazioni che ne ignoravano ancora il valore reale (!); in secondo luogo, si scambiarono questi merci con merci europee di valore assai piú ridotto » 62.
Se la rivoluzione commerciale provocò
un rincaro generale delle merci, tuttavia, determinò pure un ribasso relativo
dei prezzi dei prodotti di lusso dell'Oriente. Parallelamente al piú ampio
rifornimento, si è cosi determinato un allargamento del mercato e dei bisogni.
Quello che prima era stato l'appannaggio di rarissime famiglie nobili diveniva
ora il consumo abituale di tutte le classi possidenti (zucchero, tè, spezie,
tabacco, ecc.). Il commercio di prodotti coloniali si accrebbe
considerevolmente e fu rapidamente monopolizzato da alcune grandi società per
azioni:
Come nei secoli oscuri del Medioevo e agli albori del commercio antico, queste
compagnie combinarono il commercio di spezie con il commercio di schiavi. Cosi
furono realizzati enormi profitti. Dal 1636 al 1645
Tutte le classi agiate della popolazione desideravano partecipare a questa
pioggia d'oro proveniente dal sacco delle colonie. Re, duchi, principi, giudici
e notai cercarono di collocare depositi presso grossi commercianti per ottenere
interessi fissi, acquistarono azioni o partecipazioni delle compagnie
coloniali. Nel XVI secolo, Eochstàtter, il banchiere di Norimberga, grande
concorrente dei Fugger, deve aver ricevuto depositi di questo tipo per piú di
100 milioni di sterline 65.
L'aumento dei prezzi impoverí la popolazione che viveva di redditi fissi. I
debiti pubblici *, la speculazione e il commercio all'ingrosso concentrarono i
capitali nelle mani della borghesia. Il commercio internazionale restò, fondamentalmente,
un commercio di lusso 68. Tuttavia, le ordinazioni di Stato e le esigenze
crescenti delle classi agiate stimolarono la produzione di merci non agricole.
Accanto al commercio di prodotti coloniali e di metalli preziosi, il commercio
di prodotti artigiani e manifatturati assunse un'estensione piú grande che nel
Medioevo.
L'industria inglese dei panni, l'industria lionese della seta, l'industria
metallurgica di Solingen, l'industria tessile di Leida, della Bretagna e della
Westfalia, lavoravano già per mercati internazionali, inclusi quelli delle
colonie d'oltremare, e superavano lo stadio della manifattura di lusso. Questa
estensione del mercato accelerò l'accumulazione del capitale dei grandi
commercianti e creò una delle condizioni per il dischiudersi dell'industria
capitalistica.
L'industria a domicilio
Malgrado l'estensione del grande
commercio internazionale a partire dall'XI secolo nell&Mac226;Europa
occidentale, il modo di produzione urbano era rimasto fondamentalmente quello
della piccola produzione mercantile. Maestri artigiani, che lavorano con alcuni
garzoni, producono una quantità di prodotti determinati in un determinato tempo
di lavoro, e questi prodotti vengono venduti direttamente al pubblico a prezzi
stabiliti anticipatamente. Durante il censimento di un quartiere della città di
Ypres nelle Fiandre nel 1431, si trovano 704 persone occupate in 161 mestieri
diversi. Nelle imprese di 155 professioni distinte, non sono impegnati che 17
garzoni! In totale, piú della metà delle persone censite sono imprenditori
indipendenti 69. Le differenze di condizione sociale tra maestri artigiani e
garzoni sono limitate: ogni garzone, alla fine dell'apprendistato, ha la
possibilità di accedere alla dignità di maestro.
Questo modo di produzione si urta tuttavia a molte contraddizioni. In primo
luogo, contraddizioni inerenti al sistema stesso: l'aumento progressivo della
popolazione urbana e del numero degli artigiani non è compensato da un
allargamento del mercato. Porta a una concorrenza crescente tra una città e
un'altra, a un'accentuazione delle tendenze protezionistiche delle corporazioni
artigianali stesse, che cercano di chiudere le porte a nuovi maestri-artigiani.
Si impongono agli apprendisti condizioni sempre piú dure per accedere alla
dignità di maestri. Di fatto questa promozione diviene ben presto impossibile.
Secondo Hauser, ciò si verificò in Francia a partire dal 1580 70 Kulischer cita
numerose dichiarazioni apertamente monopolistiche delle corporazioni, a partire
dal XIV e XV secolo 71.
D'altra parte, gli artigiani fiamminghi e Italiani che, a partire dal XII
secolo cominciano a lavorare per mercati piú vasti del mercato urbano,
finiscono con il perdere il controllo sui prodotti del loro lavoro 72. Per
portare i propri prodotti a una fiera lontana, un tessitore o un ramaio deve
arrestare la produzione e non può riprenderla che al suo ritorno. È inevitabile
che taluni di essi, in particolare i piú ricchi, in grado di procurarsi un
sostituto in casa, si specializzino ben presto nel commercio. In un primo
momento portano al mercato, assieme ai loro prodotti, i prodotti dei vicini
solo per rendere un servizio. Finiscono poi con l'acquistare direttamente i
prodotti di una gran massa di maestri artigiani e con l'incaricarsi
esclusivamente della vendita in luoghi lontani. Questo sistema non implica
necessariamente una subordinazione dell'artigiano al mercante. Ma la favorisce,
soprattutto nel settore tessile dove numerose corporazioni eseguono
successivamente una serie di lavori sul medesimo prodotto, e si trovano dunque
di fronte a un acquirente monopsonico 73. Lo stesso accade per la fabbricazione
di selle di cuoio a Londra, dove i «selliers» riducono a una condizione
subordinata i mestieri secondari a partire dai secoli XIV e XV 74.
Questa subordinazione diviene completa sin dal XIII secolo nell'industria
fiamminga dei panni e nell'industria italiana della lana e della seta. Il
mercante di panni si trova sempre di fronte a maestri artigiani, proprietari
dei loro mezzi di produzione. I salariati propriamente detti rappresentano
un'eccezione, salvo nell'industria della lana a Firenze, dove dalla metà del
XIV secolo si annoverano 20.000 giornalieri 75. Ma i maestri artigiani sono
obbligati a comperare dal mercante di panni le materie prime; sono pure obbligati
a vendergli i loro prodotti finiti. «Avendo potuto vendere evidentemente ai
prezzi piú alti, [il mercante di panni] tenderà a comperare al prezzo piú basso
» 76*. Nello studio dedicato a un grande mercante di panni di Douai della fine
del XIII secolo, sir Jehan Boinebroke, Espinas constata che i mercanti di panni
tendono già a obbligare gli artigiani ad abitare in case di loro proprietà e
cominciano anche ad acquistare mezzi di produzione. L'inevitabile indebitamento
degli artigiani nei confronti dei mercanti, traccia la naturale via di questa
subordinazione **.
Gli artigiani non accettarono senza resistenza questa subordinazione parziale o
completa. Nel XIII e XIV secolo i comuni fiamminghi e italiani furono lacerati
da violente lotte di classe che spesso si conclusero con la vittoria degli
artigiani.
Ma questa vittoria non poté che accentuare la decadenza della piccola
produzione mercantile urbana, giunta a una impasse: spesso la fece precipitare
con misure protezionistiche. Per sfuggire alle regole rigide delle corporazioni
urbane e agli alti salari degli artigiani, i mercanti cominciarono a fare
ordinazioni ad artigiani a domicilio residenti nelle campagne, che ricevono dai
mercanti-imprenditori materie prime e mezzi di produzione e lavorano non piú di
fatto, ma in linea di diritto per un semplice salario.
A partire dal XV secolo, questa industria a domicilio si diffonde nelle
campagne del Belgio, dell'Italia, della Francia, della Gran Bretagna. I grandi
commercianti di Anversa fanno ordinazioni per i «nuovi panni» delle Fiandre
francesi, per i tappeti di Audenarde e di Bruxelles 79. Ma l'evoluzione resta
lenta. Nel secolo XVI, per diventare mercante di panni in Inghilterra occorrono
sette anni di apprendistato 80. Nel secolo XVII, nella seteria lionese, i
maestri-commercianti non sono proprietari dei telai, benché detengano i
capitali, forniscano la seta e i disegni ai maestri operai e riprendano da
costoro il prodotto finito 81.
Al contrario, nelle miniere, dove s'impongono maggiori spese di installazione,
la borghesia commerciale è riuscita prima ad appropriarsi dei mezzi di
produzione
Le Saigerhútten (fabbriche di separazione dell'argento dal rame) della Sassonia
e della Turingia, del Tirolo e della Carinzia, per il costo delle installazioni
e la concentrazione della manodopera salariata, sono le piú importanti imprese
industriali del XVI secolo. Con queste fabbriche siamo già passati dal piano
dell'industria a domicilio a quella della manifattura moderna 83. Nel secolo
seguente, i mercanti olandesi piú ricchi acquisirono immense fortune ottenendo
il monopolio dello sfruttamento delle miniere di mercurio dell'imperatore (i
Deutz) e delle miniere di ferro e di rame della Svezia, combinate con
manifatture d&Mac226;armi e di munizioni (i de Geer e i Trip) 84.
È interessante notare che questa separazione dei produttori dai mezzi di
produzione per opera dei mercanti intermediari si è realizzata in modo del
tutto analogo in società diverse da quelle dell'Europa occidentale. Peter H.W.
Sitzen descrive il sistema in funzione nelle campagne di Giava:
«Nella parte centro-orientale di Giava, gli operai a domicilio quasi
indipendenti avevano sempre accesso al credito in caso di necessità Il Bakul
o intermediario era il finanziatore e il dirigente reale dell'industria a
domicilio Per mezzo dei debiti contratti con lui e che incoraggia in tutti i
modi, egli mantiene i produttori apparentemente indipendenti in un tale stato
di dipendenza da poter prendere la parte migliore dei loro redditi. Nella
industria dei mobili, per esempio, piú della metà dei redditi lordi andavano
nel 1936 al Bakul » 85.
Raymond Firth ha scoperto un sistema identico in Malesia, dove «il sistema di
prestare denaro o utensili si è spesso cristallizzato in rapporti particolari
tra pescatori e acquirenti di pesce, soprattutto coloro che fanno la salatura
per la esportazione » 86.
S. F. Nadel ha trovato un sistema analogo nell'industria a domicilio che
fabbrica perle di vetro a Bida, in Nigeria. In India, i mahajans anticipano la
materia prima e i prodotti di trasformazione per l'industria a domicilio.
L'industria tessile di Suchu, in Cina, sembra essere stata organizzata nello
stesso modo nei secoli XVI e XVII, secondo i cronisti della dinastia Ming 87.
L'industria a domicilio è lo sbocco logico della subordinazione della piccola
produzione mercantile al capitale monetario, in un'economia monetaria in cui la
produzione per mercati lontani ha eliminato ogni possibilità di fondare
l'esistenza del piccolo produttore su basi stabili.
Il capitale manifatturiero
L'industria a domicilio separa il
piccolo produttore di merci anzitutto dal controllo del suo prodotto,
successivamente dal controllo dei suoi mezzi di produzione. Ma la produzione
progredisce solo lentamente, parallelamente alla lenta estensione del mercato.
La borghesia commerciale, come prima di essa la borghesia mercantile, non
investe che una frazione dei suoi capitali e profitti nell'industria a
domicilio. La maggior parte è riservata al commercio stesso, alla speculazione
sui valori mobiliari, all'acquisto della proprietà fondiaria. I Fugger,
all'inizio semplici artigiani-tessitori di Augsburg, fanno fortuna nel
commercio internazionale di spezie e di stoffe, che continuano mentre hanno già
avuto le concessioni delle miniere di argento dell'Europa centrale e hanno
costruito le manifatture piú importanti dell'epoca. Finiscono con il dedicarsi
essenzialmente alle operazioni di credito per la casa degli Absburgo, che li
portano d'altronde alla bancarotta.
Per la consistenza della manodopera impiegata, l'industria a domicilio resta la
forma principale di produzione non agricola dal XVI al XVIII secolo, in Europa
occidentale. Ma accanto ad essa si sviluppa un altro sistema di produzione che
costituisce in un certo modo il ponte verso la grande fabbrica moderna: il
sistema della manifattura.
La manifattura è l'unione sotto un solo tetto di operai che lavorano con mezzi
di produzione messi a loro disposizione e con materie prime loro anticipate.
Ma, invece di essere pagati per il valore totale del prodotto finito, defalcati
il valore della materia prima anticipata e il prezzo di affitto degli strumenti
di lavoro, come è il caso dell'industria a domicilio, la finzione della vendita
del prodotto finito all'imprenditore viene abbandonata. L'operaio non riceve piú
che quello che già di fatto guadagnava con il sistema dell'industria a
domicilio: un semplice salario.
Si può seguire passo passo questa evoluzione nella storia dell'industria del
panno di Leida, magistralmente analizzata da Posthumus. Questa industria è sulle
prime organizzata su una base artigianale. Dalla fine del XVI secolo, si
estende nelle campagne e i mercanti prendono il sopravvento sui tessitori di
panni; questi ultimi cominciano a perdere innanzi tutto la proprietà della
materia prima e del prodotto finito, poi quella dei mezzi di produzione. Verso
il 1640 nuovi intermediari, i reeders, si frappongono tra i mercanti e i
tessitori di panni. Si passa alla manifattura e verso il 1652 si parla persino
di fabbricanti » 88!
Il nuovo sistema comporta due vantaggi per coloro che ricevono le ordinazioni.
Da una parte, possono eliminare i faux frais determinati dalla necessità di
mantenere un gran numero di intermediari per raggruppare i prodotti finiti,
distribuire la materia prima ecc. D'altra parte, possono eliminare gli storni
considerevoli di materia prima che inevitabilmente hanno luogo nell'industria a
domicilio per compensare l'insufficienza dei salari. Nelle manifatture, la
concentrazione della manodopera, la sua subordinazione a un controllo diretto e
permanente da parte del capitale, ha già raggiunto uno stadio avanzato.
Ma la manifattura rappresenta pure un considerevole progresso dal punto di
vista della produttività del lavoro. Nella piccola produzione mercantile,
esiste solo una divisione del lavoro sociale tra diversi mestieri: all'interno
di ciascun mestiere, cioè nel corso del processo di produzione, la divisione
del lavoro è praticamente inesistente. Anche quando ciascun mestiere non
confeziona un prodotto finito, destinato direttamente al consumo, come avviene
per l'industria dei panni o per quella della lana, compie tuttavia un intero
processo di produzione: la tessitura, la pressatura, la tintura ecc.
Grazie alla manifattura diviene possibile suddividere ciascun mestiere, ciascun
processo di produzione, in una infinità di operazioni di lavoro meccaniche e
semplificate all'estremo. Ciò permette al tempo stesso di accrescere il
rendimento, il numero dei prodotti finiti fabbricati nello stesso lasso di
tempo, e di diminuire il prezzo di costo, sostituendo una manodopera
qualificata con una manodopera non qualificata di donne, di fanciulli, di
infermi, di vecchi, persino di malati di mente. E questo fatto che appare come
un fenomeno sociale interamente nuovo, soprattutto per quanto riguarda la manifattura
tessile: la sua manodopera è composta in gran parte da questi infelici. E
soprattutto il basso prezzo di questa manodopera che rende vantaggiosa una tale
concentrazione di salariati sotto uno stesso tetto. Tutt'al piú si può
stabilire una analogia con le miniere e le grandi manifatture di Stato
dell'antichità, della Cina, dell'India e di altri paesi, dove predominava la
manodopera servile o semiservile.
La massima brutalità e una sconcertante ipocrisia furono la consuetudine per
obbligare questi infelici a fornire una forza-lavoro a buon mercato al giovane
capitale manifatturiero *. Nel 1721, si decise di fondare a Graz una
manifattura di panni «perché centinaia di persone soffrono la fame e passano il
tempo a non far niente». Allo scopo di fornire la manodopera necessaria,
bisognava «catturare e rinchiudere» un numero corrispondente di mendicanti che
riempivano le vie della città. Ad Amsterdam, su proposta degli scabini, il
consiglio municipale considerò nel 1695 «se non fosse opportuno ricercare un
luogo propizio per [l'erezione di] una filatura, in cui poter impiegare delle
giovani, consentendo loro di sopperire ai bisogni, come pure altre persone che
si abituavano alla mendicità e all'ozio». Siccome alcuni commercianti
desiderosi di fare ordinazioni di filature di lana offrivano condizioni
favorevoli e i signori del Consiglio considerarono che si trattava di un'«opera
assai buona e cristiana» (!), diedero facoltà al sindaco di passare alla
realizzazione dell'affare 90. Sombart 91 cita numerosi esempi in cui lo Stato
obbligò la popolazione a compiere un vero e proprio lavoro forzato in certe
manifatture, in particolare in Spagna, in Francia, in Olanda, in Germania, in
Svizzera, in Austria e naturalmente in Inghilterra.
Nei paesi in cui sussisteva il servaggio, si obbligarono i servi a lavorare
nelle manifatture, particolarmente in Russia nella manifattura di rame di Tula.
Lo sviluppo della manifattura non elimina ancora nell'industria il lavoro
manuale come mezzo di produzione preponderante: la maggior parte delle spese
del capitale manifatturiero consistono ancora in spese per i salari. Ciò
nonostante, la manifattura si sviluppa piú rapidamente nei settori in cui si
moltiplicano le installazioni di apparecchi costosi. Nel XVIII secolo, a Reims
e a Louviers, migliaia di operai sono già ammassati in manifatture la cui
costruzione costava centinaia di migliaia di sterline 92.
Leida, che è il primo centro tessile d'Europa alla metà del secolo XVII, vede
svilupparsi le manifatture grazie all'impiego su larga scala dei mulini di
pressatura. Ma questo impiego è vantaggioso solo a condizione di disporre di
una manodopera giovanile o femminile. Gli imprenditori organizzano quindi vere
e proprie spedizioni sino nella regione di Liegi per reclutare questa manodopera
93.
Creazione del proletariato moderno
Parallelamente a questo allargamento
del campo d'azione del capitale, che si trasferisce decisamente nella sfera
della produzione, a partire dal XVI secolo si vide costituirsi una classe
sociale nuova, presente nella piccola società mercantile del Medioevo solo
sotto forma di «servitori» déracinés, erranti da una città all'altra. Questa
classe era nata dalla riduzione dei seguiti dei signori feudali, risultato del
loro impoverimento sotto i colpi della rivoluzione dei prezzi. Era nata dalla
decadenza dell'artigianato urbano dopo che i mercanti-imprenditori avevano
cominciato a collocare nelle campagne le loro ordinazioni. Il suo sviluppo fu
accelerato dalle grandi trasformazioni nel settore che includeva ancora la grande
maggioranza dei produttori: l'agricoltura.
Nel villaggio medioevale, le terre dei contadini erano suddivise in numerose
parcelle. Per poter lavorare su queste parcelle, i contadini dovevano aver
libero accesso alle terre che separavano le loro parcelle. Questo libero
accesso era legato al diritto di spigolatura e di stoppiatura, al diritto di
pascolo, alla riserva di terre per le nuove famiglie, all'avvicendamento
forzato, tutte cose indispensabili alla stabilità di una economia di villaggio
fondata sull'avvicendamento triennale e contraddistinta dall'impronta della
comunità di villaggio primitiva 94. Allo stesso tempo le terre comunali
offrivano risorse gratuite di pascolo per il bestiame, di legna per il
riscaldamento e per le costruzioni ecc.
A partire dal XV secolo, malgrado numerosi editti e leggi governative contro
questa evoluzione, i proprietari fondiari inglesi cominciano a dividere le
terre comunali e riunire le parcelle degli affittuari allo scopo di costituire
aziende di un solo conduttore. Questo movimento è favorito soprattutto dal
rapido aumento del prezzo della lana a partire dalla metà del secolo XV,
aumento che rende per i signori l'allevamento dei montoni piú vantaggioso della
coltura del suolo 95. Ma la pratica delle enclosures, della costruzione di
recinti attorno ai campi, resta assai frammentaria sino al XVIII secolo.
Questa pratica è allora accelerata da una rivoluzione dello stesso modo di
produzione nell'agricoltura: l'eliminazione del maggese; il passaggio dal
sistema dell'avvicendamento triennale alla coltura periodica dell'erba medica,
dei ravanelli, delle piante foraggere restauratrici della produttività del
suolo. E un sistema di agricoltura scientifico originario delle Fiandre e della
Lombardia che, dopo molti tentativi, comincia a generalizzarsi verso
quell'epoca in Inghilterra 96. Il sovrapprodotto agricolo si accresce
fortemente. I proprietari fondiari desiderosi di accaparrarsi questo
sovrapprodotto, modificano il sistema di affitto, e passano dall'affitto
enfiteutico (che garantisce alle famiglie contadine il mantenimento
dell'affitto per la durata di un secolo) al sistema detto del tenance at will o
del bail bref che comporta una modifica dell'affitto al massimo ogni nove anni
97.
Ne risultò un forte aumento della rendita fondiaria che accelerò la
espropriazione dei contadini poveri e accompagnò il movimento delle enclosures,
favorito anche dal fatto che, con la scomparsa del sistema dell'avvicendamento
triennale, la dispersione delle parcelle diveniva onerosa per i conduttori.
Verso il 1780, questo movimento aveva portato in Inghilterra alla quasi
liquidazione dei contadini indipendenti, sostituiti da grossi affittuari
capitalisti che lavoravano con manodopera salariata. In Francia un analogo
movimento di divisione delle terre comunali aveva avuto luogo nei secoli XVII e
XVIII ma in misura minore 98. Fu la rivoluzione francese a dargli un grande
impulso. Nella Germania occidentale e nel Belgio assistiamo a una evoluzione
parallela a quella della Francia.
Le trasformazioni economiche che, dal XVI al XVIII secolo, crearono nelle città
una massa di produttori separati dai loro mezzi di produzione, erano dunque
accompagnate da trasformazioni che in pratica privavano una parte dei contadini
della terra come mezzo di produzione della loro sussistenza. Cosi apparve il
proletariato moderno. Questa classe, sin dal XVI secolo, fu caratterizzata
dagli imprenditori di Leida come «gente povera e bisognosa, che spesso ha il
carico e il fardello di donne e di molti figli e non possiede nient'altro che
quello che può guadagnare con il lavoro delle proprie mani » 99.
Gli antenati di questo proletariato sono già caratterizzati nel 1247 come
ceur ki waignerent deniers a leur bras et a leur force 100, coloro che
guadagnavano denaro con la forza delle loro braccia. E anche nella nostra
epoca, quando il processo di formazione del proletariato si ripete presso
popoli ritardatari, si dice, in Malesia, dei pescatori che non possiedono in
proprio delle reti (mezzi di produzione): «Non possiedono nulla: non fanno che
aiutare gli altri
La rivoluzione industriale
Perché il capitale possa penetrare
nella sfera della produzione occorre che l'industria si trovi posta bruscamente
dinanzi a un mercato non piú stabile, ma allargato, al punto da sembrare pronto
ad assorbire una produzione costantemente accresciuta.
L'introduzione del macchinismo nell'industria e nel sistema dei trasporti e il
ribasso dei prezzi dei prodotti della grande fabbrica che ne risulta, hanno
creato questo mercato e segnato il trionfo definitivo del modo di produzione
capitalistico.
Per millenni le due soli fonti di energia a disposizione del lavoro furono
l'energia umana e la energia degli animali domestici. L'antichità ha saputo
costruire una prima macchina per sfruttare un'altra fonte di energia il mulino
ad acqua. Nelle miniere romane, la vite di Archimede e la pompa ad acqua di
Ctesibio furono impiegate per il drenaggio 103; ma non si diffusero largamente
nella agricoltura. Il Medioevo ereditò macchine di questo genere, le
generalizzò a partire dal X secolo, assicurando cosi un notevole aumento della
produttività del lavoro, e in seguito ricevette dall'Oriente il mulino a vento
*.
A partire dal XV secolo una lunga serie di piccole invenzioni e miglioramenti
tecnici trasformano progressivamente queste macchine, che si servono sempre
dell'acqua come fonte principale di energia. Si costruiscono mulini per
fabbricare la carta; mulini per far funzionare magli per fucine; mulini per
manifatturare la seta; mulini a pompa nelle miniere; mulini di pressaggio,
mulini per segare la legna ecc. 104. Sombart enumera una ventina di tipi
diversi di mulini risalenti a quell'epoca 105.
Ma i perfezionamenti tecnici non vengono applicati che sporadicamente sinché le
condizioni economiche e sociali non favoriscono un afflusso massiccio di
capitali verso la produzione industriale. Come abbiamo detto sopra, è
soprattutto nelle miniere e nella metallurgia che i progressi sembrano
considerevoli agli albori dei tempi moderni. Nelle miniere si svilupparono i
primi tipi di ferrovia per facilitare il trasporto del carbone 106. Il primo
altoforno fu costruito nel secolo XV 107. Ma lo sviluppo di questi altiforni fu
ostacolato sinché furono riscaldati a legna. Nel
L'uso della forza energetica dell'acqua nel mulino di pressatura e in altri
mulini e poi, soprattutto, l'invenzione della macchina tessitrice sconvolgono
l'industria tessile. Nello stesso tempo, il fiorire del commercio marittimo di
Liverpool apre al Lancashire sbocchi d'oltremare che sembrano illimitati. Con
le nuove macchine, i fabbricanti tessili producono i loro cotonati a prezzi
molto inferiori a quelli dell'artigianato e del lavoratore a domicilio, e si
lanciano alla conquista di quell'immenso mercato. Il capitale spezza anzitutto
le barriere doganali interne, reliquie del passato feudale: nel 1779 con la
costituzione degli Stati Uniti; nel
L'industria del ferro e del carbone trova nuovi immensi sbocchi nella
costruzione e nell'alimentazione delle macchine a vapore. A partire dal 1825,
la costruzione delle ferrovie generalizza questa marcia trionfale del
macchinismo e del modo di produzione capitalistico. Collegando intimamente la
città e la campagna, le ferrovie facilitano la penetrazione delle merci,
prodotte a buon mercato dalla grande industria, sino negli angoli piú remoti di
ogni paese. Nello stesso tempo, la costruzione ferroviaria rappresenta di per
sé, durante mezzo secolo, il principale mercato per i prodotti dell'industria
pesante (carbone, acciaio, prodotti metallurgici ecc.), innanzi tutto in Gran
Bretagna, poi sul continente europeo, quindi in America e nel mondo intero.
Particolarità dello sviluppo capitalistico in Europa occidentale
Nella piccola produzione mercantile,
il produttore, padrone dei suoi mezzi di produzione e dei suoi prodotti, può
vivere solo vendendo questi prodotti per acquistare mezzi di sussistenza. Nella
produzione capitalistica, il produttore, separato dai propri mezzi di
produzione, non è piú padrone dei prodotti del suo lavoro e può vivere solo
vendendo la propria forza-lavoro in cambio di un salario che gli consenta di
acquistare questi mezzi di sussistenza. Il passaggio dalla piccola produzione
mercantile alla produzione capitalistica propriamente detta è dunque
contraddistinto da due fenomeni paralleli: la trasformazione della forza lavoro
in merce da una parte, la trasformazione dei mezzi di produzione in capitale
dall'altra 110. Questi due fenomeni concomitanti non si sono mai prodotti su
larga scala prima di comparire, a partire dal XVI e soprattutto dal XVIII
secolo, in Europa occidentale e principalmente in Gran Bretagna.
Il capitale in quanto tale, nelle sue forme primitive di capitale usurario e di
capitale mercantile, non era tuttavia in alcun modo una caratteristica
esclusiva della civiltà occidentale. Molte civiltà che hanno conosciuto uno
stadio avanzato della piccola produzione mercantile, hanno visto un ampio
sviluppo di questo capitale: la società antica; la società bizantina; l'impero
dei Mongoli in India; l'impero dell'Islam;
Alla metà del XIV secolo, il re d'Inghilterra Edoardo III ricevette
complessivamente 1.365.000 fiorini dalle compagnie fiorentine Bardi e Peruzzi
111: Si trattava delle piú ricche famiglie borghesi dell'Occidente, prima dei
Fugger. Ora, verso la stessa epoca un gruppo di mercanti karimi (yemeniti) che
monopolizzavano il commercio delle spezie con l'India nell'Egitto dei
Mamelucchi, anticiparono 700.000 dirham d'argento a notabili di Damasco e
quindi 400.000 dinari d'oro al re dello Yemen (monete che contengono piú
metallo puro delle monete europee della stessa epoca) 112.
Nel IX e X secolo, all'apogeo dell'impero dell'Islam, troviamo molti mercanti
di Bassora con un reddito annuo di piú di un milione di dirham. Un gioielliere
di Bagdad, Ibn-al-Jassas, resta un uomo ricco dopo che gli sono stati
confiscati 16.000.000 di dinari-oro 113. Nel 144 avanti Cristo, il principe
imperiale Hsio, di Liang, morí in Cina lasciando una eredità di 400.000 catti
d'oro (1 catti equivale circa a
Non si può neppure dire che le forme di organizzazione intermediarie tra
l'artigianato propriamente detto e la grande fabbrica - il Verlagsystem
(commercianti che danno ordinazioni agli artigiani), l'industria a domicilio e
la manifattura - abbiano fatto difetto in queste civiltà precapitalistiche. A
Bisanzio, vere e proprie manifatture tessili appaiono sin dall'epoca
dell'imperatore Giustiniano, basate, certo, sull'artigianato, con una
manodopera che, benché concentrata in grandi stabilimenti, resta proprietaria
dei propri mezzi di produzione 115. Ma già verso il X secolo, «i mercanti di
seta greggia erano apparsi come i capitalisti (piú correttamente gli imprenditori)
piú potenti Essi si erano subordinati tutti i filatori di seta impoveriti.
Si era proibito a costoro di vendere direttamente ai mercanti di panni la seta
lavorata; erano obbligati a vendere ai mercanti di seta greggia da cui dovevano
comperare le materie prime in quantità limitata (non piú di quanto ciascuno ne
potesse filare nel suo laboratorio). I mercanti non potevano prendere in mano
direttamente la filatura, almeno in teoria; potevano tuttavia reclutare
lavoratori per farlo » 116.
Uno sviluppo non meno impressionante dell'industria a domicilio e delle
manifatture si era verificato nell'impero dell'Islam. Piú di mille lavoratori
sarebbero stati concentrati nelle miniere di mercurio della Spagna islamica.
Nella città di Tinnis, celebre per la tessitura di panni, l'industria a
domicilio funzionava in modo perfezionato dall'anno 815 della nostra era. I
mercanti di panni passavano ordinazioni a uomini e donne per salari di mezzo
dirham al giorno 117. Anche
La piccola produzione mercantile è già una produzione di merci. Ma nella
maggior parte dei casi è una produzione di merci nel mezzo di una produzione di
valori d'uso. Sinché la schiacciante maggioranza della popolazione non
partecipa alla produzione di merci, o vi partecipa molto poco, questa
produzione resta necessariamente limitata. Il grande commercio conserva
fondamentalmente il carattere di un commercio di lusso. Dati i limiti ristretti
di questo mercato, il capitale trova sbocchi piú vantaggiosi dell'investimento
produttivo. Questo spiega d'altronde il fatto che manifatture e industrie a
domicilio a Bisanzio, nell'Islam, in Cina e in India, riguardino quasi
esclusivamente settori di lusso, se non lavorano per ordinazioni di Stato.
È la penetrazione dell'economia monetaria nell'economia contadina in seguito
alla trasformazione del sovrapprodotto agricolo da rendita in natura (o corvée)
in rendita in denaro che permette un considerevole allargamento della
produzione di merci in Europa occidentale e crea cosi le condizioni di un
dischiudersi del capitalismo industriale. Ora in nessun luogo, al di fuori
dell'Europa occidentale, il sovrapprodotto agricolo ha potuto assumere
durevolmente la forma di rendita in denaro. L'imposta in natura predominava
nell'impero romano e a Bisanzio 120. Nell'impero dell'Islam, l'imposta
fondiaria fu pagata in parte in natura e in parte in denaro sotto gli Abassidi,
ma poco dopo la rendita in natura ridiveniva preponderante e lo restava
nell'epoca turca
Il macchinismo, che è il solo a consentire alla grande fabbrica di spezzare la
concorrenza dell'industria a domicilio e dell'artigianato, è il prodotto
dell'applicazione delle scienze naturali alla produzione. Esige una fusione
della scienza con la produzione che richiede a sua volta la ricerca costante di
un'economia del lavoro umano. Ora, il prevalere del lavoro servile è la
presenza di una massa enorme di poveri non produttivi impedirono nell'impero
romano ogni ricerca in questa direzione *. È noto il significativo commento
dell'imperatore Vespasiano contro l'impiego di una gru meccanica: «Devo dar da
mangiare ai miei poveri 123».
Quanto all'Islam, all'India, alla Cina e al Giappone, erano civiltà
essenzialmente agricole, in cui l'irrigazione permetteva lo sviluppo di una
agricoltura fortemente intensiva che a sua volta assicurava un considerevole
aumento della popolazione. La concorrenza di una manodopera umana estremamente
a buon mercato doveva spezzare per millenni qualsiasi tentativo di introduzione
di macchine nell'artigianato. Allo stesso tempo, l'impiego produttivo
dell'energia idraulica a fini non agricoli, base del lento progresso del
macchinismo in Europa dal XIII al XVIII secolo, è fortemente ridotto nelle
civiltà agricole perché entrava in conflitto con le esigenze dell'irrigazione
del suolo 124.
L'accumulazione del capitale monetario, del capitale usurario, del capitale
mercantile e commerciale, si è realizzata in Europa occidentale dal X al XVIII
secolo nelle mani di una classe borghese che si emancipava progressivamente
dalla tutela delle classi feudali e dello Stato, e finiva anzi con il
subordinare a sé lo Stato e con il farne uno strumento per accelerare
l'accumulazione del capitale a proprio profitto. La sua costituzione come
classe, con una coscienza netta dei suoi interessi, si è realizzata nei liberi
comuni del Medioevo, in cui la borghesia ha fatto il suo apprendistato di lotta
politica. La costituzione degli Stati moderni centralizzati a partire dal XV
secolo non è il risultato di uno schiacciamento ma di una nuova elevazione
della borghesia urbana che infrange le strettoie della politica comunale per
contrapporsi alle vecchie classi dominanti come terzo stato, su scala nazionale
(
Nelle altre civiltà precapitalistiche, al contrario, il capitale resta costantemente
sottoposto all'arbitrio dello Stato dispotico e onnipotente. A Roma, è la
nobiltà fondiaria che, grazie al bottino delle guerre di rapina, finisce con il
subordinare a sé interamente il libero capitale del mondo antico 125.
Nell'antica India, monopoli di Stato fecero del re stesso il principale
banchiere, manifatturiere e commerciante all'ingrosso. Rostovtzeff nota
d'altronde che il fisco imperiale è già a Roma il principale usuraio 126. Il
predominio delle manifatture di Stato a Bisanzio, dove il tesoro imperiale
concentra nelle sue casseforti la maggior parte del capitale disponibile, è
altrettanto noto che la spietata superfiscalità che schiaccia la produzione
artigianale e industriale sotto l'Islam
In tutte queste società la borghesia nascente conosce una strana vita ciclica.
Ogni nuova favolosa accumulazione di profitti è seguita da confische e da
persecuzioni brutali. Bernard Lewis nota che anche le città islamiche del
Medioevo non hanno che un'esistenza effimera, con una prosperità che non dura
piú di un secolo ed è seguita da una lunga e spietata decadenza 129. La paura
della confisca dei capitali assilla i proprietari dei beni mobili in tutte
queste società. Spinge i borghesi a nascondere i loro profitti, a investirli in
dieci piccole imprese piuttosto che in una grande, a preferire la
tesaurizzazione dell'oro e delle pietre preziose alle imprese pubbliche e
l'acquisto di beni immobili all'accumulazione di capitali. Invece di
concentrarsi, questa borghesia si disperde come disperde i propri capitali.
Invece di progredire verso l'autonomia e l'indipendenza, marcisce nella paura e
nel servilismo 130. «Mai la classe dei mercanti cinesi è arrivata a
un'autonomia - dice Etienne Balazs
I privilegi dei grossi negozianti non sono mai stati strappati con una lotta
aperta, ma sono stati accordati con spilorceria dallo Stato. Il modo di
esprimere le proprie rivendicazioni resta per il mercante e per il resto della
misera plebs la petizione, la domanda timida umilmente rivolta alle autorità »
131.
Solo nel Giappone, i cui mercanti-pirati infestano il mare della Cina e delle
Filippine a partire dal XIV secolo, e accumulano un capitale considerevole
mentre contemporaneamente l'autorità dello Stato si dissolve, la supremazia
borghese commerciale e bancaria sulla nobiltà e poi lo sviluppo di una capitale
manifatturiero, hanno permesso di ripetere, dal XVIII secolo, cioè con due
secoli di ritardo, l'evoluzione del capitalismo in Europa occidentale,
indipendentemente da questo 132.
Il predominio dello Stato assolutista nelle civiltà precapitalistiche non
europee non è, a sua volta, casuale. È il risultato delle condizioni
dell'agricoltura con irrigazione, che richiede una amministrazione e una
centralizzazione rigorosa del sovrapprodotto sociale. Paradossalmente, è il
superiore grado di fertilità del suolo e la maggiore espansione della
popolazione che ha condannato queste civiltà ad arrestarsi a mezza via nel loro
sviluppo. L'agricoltura ben piú primitiva dell'Europa medioevale non poteva
sopportare il peso di una densità paragonabile a quella della Cina o della
vallata del Nilo nelle epoche di prosperità. Ma proprio per questa ragione
sfuggiva largamente al controllo di uno Stato centralizzatore 134, 133
Nelle città medioevali, la borghesia era favorita nei confronti di un potere
centrale indebolito che doveva appoggiarsi su di essa per ristabilire
prerogative perdute agli albori del feudalesimo. Agli inizi, i progressi di
questa borghesia furono lenti e discontinui. Parecchi finanzieri occidentali
hanno fatto la stessa fine dei loro confratelli islamici, cinesi o indiani,
vedendosi confiscare la fortuna dai re che avevano aiutato. Ma dal XVI secolo questa
discontinuità era divenuta una eccezione e non la regola. La superiorità della
fortuna mobiliare sulla fortuna immobiliare era definitivamente stabilita e di
conseguenza la subordinazione dello Stato alle catene d'oro del debito
pubblico. La via per un'accumulazione del capitale senza intralci politici era
aperta. Il capitalismo moderno poteva nascere.
Queste particolarità dello sviluppo economico in Europa occidentale (e in certa
misura in Giappone) non significano che il dischiudersi della rivoluzione
industriale fosse possibile solo in queste regioni, ma spiegano soltanto le
ragioni per cui il modo di produzione capitalistico è comparso innanzi tutto in
Europa. Successivamente, fu l'intervento violento dell'Europa nell'economia di
altre parti del mondo a distruggere gli elementi che avrebbero consentito un
piú rapido progresso economico, e a impedire o a ritardare la loro crescita.
Il parallelo tra il Giappone da una parte e l'India e
Capitale e modo di produzione capitalistico
Il capitale può comparire dal momento
in cui esiste un minimo di circolazione di merci e di circolazione di denaro.
Nasce e si sviluppa nel quadro di un modo di produzione precapitalistico
(comunità di villaggio, piccola produzione mercantile). Qualunque siano gli
effetti dissolvitori che esercita su questa società, sono limitati dal fatto
che esso non sconvolge il modo di produzione fondamentale, soprattutto nelle
campagne. Indebitato, assillato dai creditori o dal fisco, il contadino
precapitalistico trova sempre nella solidarietà dei paesani un appoggio che gli
assicura almeno un cibo modesto:
«Gli Ifugaos [abitanti delle Filippine] sono parzialmente dei capitalisti. Le
risaie sono la loro ricchezza. Vengono preparate con un enorme dispendio di
lavoro, sono limitate in superficie e appartengono a una classe di uomini
ricchi Con un sistema di usura, i ricchi diventano piú ricchi e i poveri piú
poveri. Tuttavia, i poveri non sono completamente indigenti. I giardini di
ignami per definizione non sono una 'ricchezza' e non possono
divenire proprietà permanente (di una famiglia). Ciascuno può piantarvi quanti
ignami vuole e può dunque ricavarvi una fonte di sussistenza » 136.
Lo sviluppo del modo di produzione capitalistico implica la generalizzazione
della produzione di merci per la prima volta nella storia dell'umanità. Questa
produzione non riguarda piú solo i prodotti di lusso, i surplus di viveri o di
beni di consumo correnti, i metalli, il sale e altri prodotti indispensabili al
mantenimento e all'allargamento del sovrapprodotto sociale. Tutto ciò che è
oggetto della vita economica, tutto ciò che viene prodotto, e d'ora innanzi
merce: tutti i viveri, tutti i beni di consumo, tutte le materie prime, tutti i
mezzi di produzione e cosi pure la stessa forza-lavoro. Non esistendo altra via
d'uscita, la massa dei diseredati che non dispongono piú dei loro strumenti di
lavoro, sono obbligati a vendere la loro forza-lavoro per acquistare i mezzi di
sussistenza. Tutta l'organizzazione della società è costruita in modo da
assicurare ai proprietari del capitale un rifornimento regolare e costante di
manodopera salariata per permettere l'impiego produttivo ininterrotto del
capitale stesso.
Nel corso del processo della sua formazione, il capitale industriale ha
ottenuto, con i procedimenti descritti sopra, la formazione parallela del
proletariato moderno. Ma quando il modo di produzione capitalistico si è esteso
nel mondo, ha avvertito il bisogno di manodopera salariata prima ancora che le
società primitive contro cui si scontrava, fossero sufficientemente dissolte da
permettere la normale costituzione di questo proletariato. L'intervento dello
Stato, della Legge, della Religione e della Morale, se non quello della forza
pura e semplice, consentí di reclutare gli sventurati schiavi del nuovo Moloch.
I colonizzatori dell'Africa nera e dell'Oceania ripresero alla fine del XIX
secolo i procedimenti con cui i loro antenati negrieri avevano riunito una
manodopera servile. Ma questa volta non si trattava piú di spedirli al di là
degli Oceani, nelle piantagioni del Nuovo Mondo. Questa manodopera veniva impiegata
sul posto, in imprese capitalistiche, agricole, minerarie o industriali, per
produrre il plusvalore indispensabile alla vita del Capitale *.
L'azione dissolvitrice dell'economia monetaria sulle comunità primitive ha
favorito in tutte le civiltà l'accumulazione primitiva del capitale usurario e
del capitale mercantile. Ma di per se stessa non assicura lo sviluppo del modo
di produzione capitalistico, del capitale industriale.
Al contrario, l'azione dissolvitrice dell'economia monetaria sulle comunità primitive
già messe a confronto con il modo di produzione capitalistico, diviene nelle
colonie la principale forza di reclutamento di un proletariato indigeno.
L'introduzione di una capitazione - imposta individuale in denaro - nelle
regioni primitive che vivono ancora in condizioni di economia naturale, ha
sradicato, in Africa e altrove, milioni di indigeni dai loro centri
tradizionali e li ha costretti a vendere la loro forza-lavoro - sola risorsa
che possiedono - per ottenere denaro. Quando la vendita della forza-lavoro non
era imposta dalla necessità di procurarsi i mezzi di sussistenza, lo Stato
capitalista ha fatto ricorso a questa forma moderna di costrizione per
rifornire di proletari le borghesie che si costituivano nelle colonie: poiché
il capitalismo e la borghesia senza proletariato sono inconcepibili. Secondo
Alexander Hamilton, la libertà è libertà di acquisire ricchezze 137. Ma questa
libertà non può venire affermata per una piccola parte della società se non a
condizione di venire negata all'altra parte, che pure è maggioritaria.
NOTE
1 Mong Dsi (Mon Ko tradotto da RICHARD
WILHELM), pp. 51-52.
2 BOISSONADE: Le travail dans l'Europe chrétienne du moyen age, pp. 99-100-107.
3 TH. MORGAN: Hawaii, a Century of Economic Changes, p. 25.
4 B. I. T.: Les populations aborigènes, p. 368.
5 TH. MORGAN: Hawaii, a Century of Economic Changes, p. 25.
6 YOSHITOMI: Etudes sur l'histoire économique de l'ancien Japon, pp. 139-140.
7 BRATIANU: Etudes byzantines d'histoire économique et sociale, p. 133; A.
SEGRÉ: Essays on Byzantine Economic History, p. 402.
8 F. HEICHELHEIM: Vormittelalterliche Geschichtsepochen, pp. 163-64; J. C. VAN
LEUR: Eeinige beschouwingen betreffende den Ouden Aziatischen Handel, passim.
9 GORNDON CHILDE: What Happened in History, p. 193.
10 SCHREIBER: Die Vortswirschaftlichen Anschauungen der Scholastik seit Thomas
v. Aquino, p. 23.
11 POSTAN: Chronology of Labour Services, in Transactions of the Royal
Historical Society, quarta serie, XX, 1937, pp. 192-93.
12 KOSMINSKY: Services and Money Rents in the 13th Century in Economic History
Review, vol. V, 1934-35, p. 43.
13 GHÜNTER DESSMAN: Geschichte des Schlesischen Agrarverfassung, p. 58.
14 H. PIRENNE: Le mouvement économique et social au moyen age, p. 60.
15 TH: MORGAN: Hawaii, a Century of Economic Changes, p. 26.
16 GLOTZ: Le travail dans
17 HITTI: History of the Arabs, p. 626.
18 DIEHL: Les figures byzantines, I, pp.147-48.
19 TAKIZAWA: The Penetration of Money Economy in Japan, pp.71-79; BARTON:
Peasant Uprising in Japan of the Tokugawa Period, pp. 8-26.
20 Handwörterbuch der Staatswissenschaften, voce Geschichte des Zinsfuss (v.
BELOW), vol. VIII, p. 1017.
21 Jacques gernet: Les aspects économiques du bouddhisme dans la société
chinoise du V-ème siècle, p. 171.
22 HAUSER: Les débuts du capitalisme, p. 19.
23 MAHABARATA: XII, pp.62-69.
24 ROSTOVTZEFF: Social and Economic History of Roman Empire, p. 2.
25 LOPEZ: in Cambridge Economic History of Europe, vol. II, p. 266.
26 KULISCHER: Allgemeine Wirtschaftsgeschichte, I, p. 41.
27 LOKKEGAARD: Islamic Taxation in the Classic Period, pp. 66-68; YOSHITOMI:
Etude sur l'histoire économique de l'ancien Japon, pp. 78-82, 131-135.
28 Handwörterbuch der Staatwissenschaften, voce Geschichte des Zinsfuss, pp.
1026-27; KULISCHER: Allgemeine Wirtenschaftsgeschichte, I, p. 336.
29 RADIN: Social Anthropology, p. 115; JACQUES GERNET: Les aspects économiques
du bouddhisme dans la société chinoise du V-ème au X-ème siècle, p. 131.
30 W.SOMBART:
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