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L'economia di comunione e le sue origini




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l'economia di comunione e le sue origini



INTRODUZIONE


l'Economia di Comunione affonda le sue radici nella straordinaria esperienza spirituale e sociale del Movimento dei Focolari, di cui Chiara Lubich è fondatrice ed attuale presidente.

Da lei è stata lanciata, nel 1991, in occasione di un suo viaggio in Brasile. L'E.d.C. può essere considerata 'l'espressione matura della Spiritualità del Movimento nel sociale'.[1]



Par. 1 Chiara Lubich e il Movimento dei Focolari: alcuni

ELEMENTI DI SPIRITUALITA'



Chiara Lubich: cenni biografici


La Lubich stessa racconta: ' Sono nata a Trento nel 1920. Mio padre e mia madre quando si sono conosciuti lavoravano al quotidiano 'Il Popolo', organo dei socialisti trentini, diretto da Cesare Battisti, che ha sempre rispettato

la fede di mia madre.

Dalla mamma, una donna molto pia, intelligente e forte, ho ereditato una fede solida e la dirittura morale; dal papà, uomo magnanimo, con idee larghe, socialista ho imparato la coerenza nella vita.

Siamo quattro figli: Gino, il maggiore, io la seconda e altre due sorelle'.[2]

Gino 'fu comunista, di quei comunisti attratti all'idea rivoluzionaria più che altro per amore verso i poveri e gli oppressi. Fu medico, poi giornalista prima come condirettore del quotidiano del CNL trentino 'Liberazione Nazionale' e poi all' 'Unità di Milano.

I fatti di Ungheria del 1956 credo abbiano provocato in lui una profonda crisi di coscienza. In seguito ha prestato la sua esperienza di giornalista al Movimento dei Focolari, di cui è diventato un grande sostenitore. E' per lui che è nata 'Città Nuova', il nostro periodico (del Movimento dei Focolari, ndr.

Nel 1930 la famiglia Lubich, come molte altre, conosce un periodo di crisi economica. Chiara stessa, pur proseguendo gli studi, dai tredici anni in poi, contribuisce al sostentamento, dando lezioni private. Conseguito il Diploma Magistrale, si iscrive a Filosofia, ma la guerra le impedisce di continuare gli studi.


Nascita e diffusione del Movimento dei Focolari: la spiritualità

dell'unità


Siamo a Trento, durante la II guerra mondiale. Tutto crolla sotto le bombe -

le case, le officine sono distrutte; molte persone muoiono o rimangono mutilate; anche gli ideali più belli, come quello di farsi una famiglia o di proseguire gli studi, vengono spezzati: i fidanzati cadono sul fronte, le scuole non esistono più.

Chiara Lubich, allora ventitreenne, e alcune sue compagne, a causa dei continui bombardamenti, sono costrette a ripararsi nei rifugi. Lì si chiedono: 'Ci sarà un ideale per il quale spendere la nostra esistenza? Un ideale che nessuna bomba può far crollare?'. E aprendo il piccolo Vangelo che hanno con sé, trovano la risposta: 'E' Dio; e Dio è Amore (1 Gv 4,8) e Padre, che ama ciascuno personalmente e immensamente

E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli si trattino da fratelli, si vogliano bene, si amino'.   

E' una scoperta folgorante che trasforma la loro vita.

Vengono colpite da altre parole di Gesù: 'Ama il prossimo tuo come te stesso' (Mt 22,39)[6]; 'Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come vi ho amati (Gv 15,12) . ' 'Come te stesso' dunque, non di meno, andava amato ogni prossimo; e come l'ha amato Gesù bisognava amarlo, cioè fino a dare la vita'.

Scoprono che il dolore è la dimensione dell'amore, il rovescio della medaglia. Dirà Chiara Lubich all'assemblea dell'O.N.U.:

'Questo amore reciproco, questa unità, che tanta gioia dà a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio.

E qui appare, per i cristiani, in tutta la sua luminosità e drammaticità una parola che il mondo non vuole sentire pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso. Questa parola è: croce.

Non si fa nulla di buono, di utile, di fecondo al mondo senza conoscere, senza saper accettare la fatica, la sofferenza, in una parola senza la croce'.


Anche il dolore diventa per loro un valore.

E cominciano ad attuarlo lì nei rifugi stessi e fuori, nella città bombardata e piena di gente afflitta, affamata, ferita, senza tetto.'C'era una mamma con tanti bambini da portare al sicuro, una vecchietta che non riusciva a correre.: ecco il prossimo da amare; si prendevano in braccio i bambini, si sosteneva quella vecchietta, anche se si metteva a rischio la vita.'

'Si dava quanto si aveva e quanto ci veniva donato da molti'.[10]

Ma 'date e vi sarà dato', dice il Vangelo. (Lc. 6,21).[11] E quanto davamo tornava moltiplicato. Le promesse evangeliche si realizzavano veramente. Molti, vedendoci agire così, restavano colpiti e si univano a noi. Dopo pochi mesi eravamo già più di cinquecento'.

Un giorno si imbattono nel testamento di Gesù e nella sua preghiera 'che

tutti siano uno' (Gv. 12,21). 'Ci è sembrato di intuire che per quella pagina

eravamo nate; che lì era la Magna Charta del Movimento che stava nascendo'.[13]

L'amore vissuto si è rivelato, nell'esperienza dei Focolari, un linguaggio comprensibile a tutti e ha permesso di sviluppare profondi dialoghi, con credenti di altre religioni cristiane e non, e anche con non credenti, i quali sono attratti dall'amore all'uomo sofferente, dai valori della giustizia, della pace e della fratellanza universale.

Costruire un mondo unito, come un'unica famiglia che ha per legge l'amore è, la ragion d'essere di chi aderisce a questa spiritualità. Da qui il nome di Movimento dei Focolari o dell'Unità

Oggi il Movimento è presente in 198 Paesi (perfino in Mongolia, nella Terra del Fuoco e in Polinesia) e vi aderiscono persone di tutte le razze, lingue, religioni, e non credenti.[14]



Par. 2.: PREMESSE E FONDAMENTO


La comunione dei beni


La spiritualità dell'unità, per sua natura comunitaria, ha fatto sì che nel Movimento, fin dagli inizi, si vivesse una singolare esperienza: la pratica della comunione dei beni, sull'esempio dei primi cristiani che 'erano un cuor solo e un'anima sola' e 'ogni cosa era fra loro in comune', perciò

'nessuno fra loro era bisognoso' (At 2, 42-45; 4, 32-34).[15]

Questa comunione dei beni non si limitava ai membri del Movimento, ma coinvolgeva molte altre persone esterne, in un continuo dare e ricevere ogni genere di beni e servizi, a favore di chi più era stato colpito dalla guerra.

'Ed era una comunione completa, nel senso che anche chi era indigente metteva in comune le proprie necessità'.[16]

'E' stato fin dall'inizio un uso in qualche misura attivo dei beni: non un disfarsene, non un darli e basta, ma una condivisione continua, sistematica e organizzata.che puntava sull'impegno a fare di essa la base concreta per una vita comunitaria con un profondo, esplicito <<desiderio di maggior equilibrio sociale>>'.[17] 'C'era l'attenzione viva alla questione sociale e la tensione a contribuire a risolverla'.

Essa ha continuato a caratterizzare la vita delle comunità nate nelle varie parti del mondo e ha portato alla costituzione di una diramazione del Movimento - Umanità Nuova -, alla quale è stato affidato il compito di coordinare tutte le attività di promozione dell'ideale dell'unità nel sociale - mondo del lavoro, della scuola, dell'arte, della medicina, della scienza -. Tali attività si sono tradotte in molte 'azioni e opere sociali', a raggio più vasto, sviluppate nei contesti più disparati, in risposta alle esigenze più urgenti dei poveri, degli emarginati, dei sottosviluppati. 'Tra le 'azioni' vi sono l' 'Operazione Africa' condotta per alcuni anni dai giovani europei del Movimento; l' 'Operazione Libano' sostenuta in particolare dalle famiglie e l' 'Operazione Sahel'. Tra le 'opere sociali' più significative il complesso di strutture sanitarie, scolastiche e artigianali a Fontem (Camerum), aziende di riforma agraria come il 'Magnificat' in Brasile, iniziative per la promozione sociale (Bukas Palad) o per l'addestramento professionale (falegnameria) a Manila.

Le sue realizzazioni, di varia portata per numero e consistenza, hanno costituito materia valida perché l'ONU riconoscesse 'Umanità Nuova' nel maggio 1987 come Organizzazione Non Governativa che gode dello status consultivo di tipo B presso l'ECOSOC (Consiglio Economico Sociale dell'ONU), al quale partecipa attraverso il Bureau Internazionale dell'economia e del lavoro.

A sostegno delle attività di Umanità Nuova, si sono costituiti - secondo le legislazioni dei vari stati - enti morali ed associazioni quali:

l'AMU[20] (Azione per un Mondo Unito) in Italia (1987), esplicitamente rivolta verso le aree del Terzo Mondo, con l'utilizzo anche di fondi pubblici;

il SERCOM (Servicio Comunitario) a Belem in Brasile (1980);

la 'New Umanity,  Inc.' in U.S.A. (1990).

Ed altri in altri paesi, tutti con l'intento anche di usufruire dei benefici legali, compresi quelli fiscali, nella raccolta ed erogazione di fondi a scopi sociali.

Sono state e sono attività mai intese come puramente assistenziali, né fine a se stesse. Sono sempre condotte dalle nostre comunità del luogo in collegamento con altri punti del Movimento nel mondo, e vivono sempre come particolari di un disegno molto più ampio'.[21]

Alla base di tutto ciò sta la vita di comunione: 'spirituale e di beni materiali, di intenti, di tempo, di competenze, in uno scambio costruttivo e fraterno fra tradizioni, culture, tecniche diverse - magari agli antipodi -; scambio dal quale è emerso il contributo peculiare e insostituibile dei singoli e dei gruppi e dove ogni paternalismo, ogni senso di superiorità o di inferiorità sono usciti sconfitti.

La spiritualità dell'unità è andata così esprimendosi, incarnandosi in una tensione alla comunione dei beni sia locale che planetaria e in una cultura della disponibilità e della solidarietà, nell'esercizio alla condivisione e alla ricerca comune per trovare - nel limite del possibile - risposte da un lato ad esigenze settoriali immediate e dall'altro a problemi di vasta portata socio-economica'.[22]

' Tale esperienza di autentica comunione dei beni(.), iniziatasi a Trento e

dilatasi nel tempo in tutto il Movimento nel mondo, è premessa e

fondamento al 'progetto Brasile' '. (cioè al progetto di E.d.C., n.d.r.

La Dottrina Sociale Della Chiesa (D.S.C.)


In questo paragrafo intendo analizzare alcuni insegnamenti della D.S.C.[23] che riguardano l'economia e il lavoro e stanno alla base dell'E.d.C.

Principio fondamentale dell'etica cristiana è la 'dignità eminente della persona umana, che si fonda sull'essere dell'uomo 'creato a immagine e somiglianza di Dio' [24], chiamato a partecipare alla stessa vita divina e a rispondere liberamente a questa vocazione. L'uomo, che 'in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa' , ha il diritto e il dovere di svilupparsi come persona umana, in tutti gli aspetti della sua vita individuale e sociale. Il suo autentico sviluppo, pertanto, non si colloca solamente sul piano materiale e quantitativo, ma deve essere integrale, nel senso di riguardare tutto l'uomo e tutti gli uomini'.[26]

Da tale dignità, riconosciuta come base di ogni diritto, deriva l'inviolabilità dei diritti fondamentali dell'uomo, compresi quelli economico-sociali.

Scopo della D.S.C. è la difesa e la promozione della dignità di ciascuna persona in tutti gli aspetti della sua vita; per questo si giustifica il suo intervento per indicare principi e norme morali a fondamento della vita economico-sociale.

La D.S.C. afferma il primato della persona rispetto a qualsiasi altro valore, per cui l'economia deve essere al servizio dell'uomo.

Le attività economiche sono necessarie; attraverso di esse l'uomo utilizza e trasforma le risorse della terra per la sua necessità e per quelle della comunità. L'agire economico, però, non può fermarsi alla soddisfazione dei bisogni materiali dell'uomo, ma deve riconoscere e rispettare la natura complessa della persona come essere ragionevole, spirituale e sociale.

Rischio dell'economia è quello di sconfinare nell'economicismo che assegna il primato a tutto ciò che è materiale, a detrimento degli altri aspetti.

L'economia auspicata dalla Chiesa ha come fine il pieno sviluppo delle dimensioni dell'uomo, fisiche, morali e spirituali: 'L'uomo è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale'.(GS, n.63)

Uno dei nodi tra economia ed etica riguarda il rapporto tra 'proprietà privata' e 'destinazione universale dei beni'.


PROPRIETA' PRIVATA E DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI


Il rapporto tra proprietà privata e destinazione universale dei beni è emerso con carattere innovativo nell'Enciclica Rerum Novarum, emanata da Papa Leone XIII. Vi si afferma che 'la proprietà privata è pienamente conforme alla natura' (RN, n. 5) e che 'l'uomo è anteriore allo Stato: così che prima che si formasse la società civile, l'uomo dovette avere da natura il diritto di provvedere a se stesso'.(RN, n. 5). Innata nella persona è la proprietà privata, che va ,però, mitigata dal fatto che 'Dio ha dato la terra a uso e godimento di tutto il genere umano(.) Egli non ha assegnato nessuna parte del suolo determinatamente ad alcuno, ma ha lasciato ciò all'industria degli uomini e al diritto speciale (le istituzioni) dei popoli'. (RN, n. 5)

La natura ha concesso all'uomo non solo 'l'uso semplice dei beni della terra', ma 'il diritto di proprietà stabile in modo che possa provvedere alle sue necessità e a quelle della sua famiglia'. (RN, n.5)

D'altra parte 'il necessario al mantenimento e al perfezionamento della vita umana la terra ce lo somministra largamente, ma ce lo somministra a questa condizione, che l'uomo la coltivi e le sia largo di provvide cure.

(.) Fondamentale è il lavoro, come 'mezzo universale per provvedere alla vita, (.) impiegato o nel coltivare un terreno proprio o nell'esercitare un'arte'. (RN, n.7). Chi non possiede beni propri esercita un lavoro, la cui mercede serve per acquistarli. Mercede che deve essere giusta: essa permette al lavoratore non solo di soddisfare i suoi bisogni e quelli della sua famiglia, ma di acquistare altra proprietà.

La proprietà privata è sì un diritto naturale, ma non assoluto e intoccabile; essa ha una funzione sociale: condividere parte della ricchezza con chi si trova nel bisogno.

Con la Quadragesimo Anno (1931), Pio XI rimarca la destinazione della proprietà privata al bene comune. Fermo restando il suo carattere individuale, essa deve essere 'circoscritta dalle necessità della convivenza sociale'.(QA, n.20). Non basta 'non nuocere' agli altri, osservando le relative leggi, ma è necessario che ognuno senta la responsabilità morale di guardare all'utilità sociale. Pur indicando il ruolo sussidiario dello Stato, Pio XI ammette l'intervento dello Stato per far rispettare le esigenze di interesse generale, senza mettere in discussione la proprietà stessa: 'Quando, poi, la pubblica autorità mette così d'accordo i privati dominii con le necessità del bene comune non fa opera ostile, ma piuttosto amichevole verso i padroni privati, come quella che in tal modo validamente impedisce che il privato possesso dei beni (.) generi danni intollerabili e così vada in rovina; né abolisce i privati possessi, ma li assicura; né indebolisce la proprietà privata, ma la invigorisce'.(QA, n.21)

Il principio della universale destinazione dei beni emerge - maggiormente rispetto le precedenti Encicliche - dal Radiomessaggio del 1°giugno 1941, durante il quale Pio XII afferma la subordinazione della proprietà privata alla comune destinazione dei beni materiali. 'Senza dubbio l'ordine naturale, derivante da Dio, richiede anche la proprietà privata e il libero reciproco commercio dei beni (.) Tutto ciò nondimeno rimane subordinato allo scopo naturale dei beni e non potrebbe rendersi indipendente dal diritto primo e fondamentale, che a tutti ne concede l'uso; ma piuttosto deve servire a farne possibile l'attuazione in conformità con il suo scopo' (n. 8)

Nel 70°anniversario della Rerum Novarum, Giovanni XXIII emana la Mater Magistra. Con essa, il Papa ribadisce i principi delle precedenti Encicliche ed 'enuclea il pensiero della Chiesa in ordine ai nuovi e più importanti problemi del mercato' (MM, n.38) La situazione storica-economico-sociale è cambiata!

Egli riafferma la proprietà privata come diritto naturale e sottolinea che a tale diritto 'è intrinsecamente inerente una funzione sociale'. (MM, n.106)

Nuova è l'affermazione secondo la quale 'più che a diventare proprietari di beni, si aspira ad acquistare capacità professionali; e si nutre maggior fiducia sui redditi che hanno come fonte il lavoro o diritti fondati sul lavoro, che sui redditi che hanno come fonte il capitale o diritti fondati sul capitale. Ciò del resto è in armonia con il carattere preminente del lavoro quale espressione immediata della persona nei confronti del capitale, bene di sua natura strumentale'. (MM, n.91)

Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes del 1965, dà un contributo importante al principio della comune destinazione dei beni:

'Dio ha destinato la terra, e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio affluire a tutti, essendo guida la giustizia e assecondando la carità. Pertanto, quali che siano le forme concrete della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli, secondo circostanze mutevoli e diverse, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono giovare non unicamente a lui ma anche agli altri'. (GS, n.69)

Paolo VI, nella Populorum Progressio del 1967, in linea con quanto affermato dal Concilio Vaticano II, pone come condizione per un autentico sviluppo - che definisce 'volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo' (PP, n.14) - la subordinazione della proprietà privata al bene comune: 'Tutti i diritti, (.) devono facilitarne la realizzazione, ed è un dovere sociale grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria (PP, n.22). La proprietà privata, dunque, 'non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando altri mancano del necessario'. (PP, n.23)

L'attuale Papa, Giovanni Paolo II, interviene spesso sulla questione sociale.

In occasione della III Conferenza dell'Episcopato Latino-Americano, durante il suo primo viaggio in America Latina, ha affermato 'l'urgente insegnamento della Chiesa secondo cui su tutta la proprietà privata grava un'ipoteca sociale

Nell'Enciclica Laborem Exercens del 1981, sottolinea che la proprietà privata 'si acquista mediante il lavoro perché essa serva al lavoro. Ciò riguarda in modo particolare la proprietà dei mezzi di produzione. (.) Essi non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono neppure essere posseduti per possedere, perché l'unico titolo legittimo al loro possesso - e ciò sia nella forma della proprietà privata sia in quella pubblica o collettiva - è che essi servano al lavoro, rendano possibile la realizzazione del primo principio di quell'ordine che è la destinazione universale dei beni e il diritto al loro uso comune' (LE, n.14).

Conseguente è il principio di solidarietà, introdotto nella Sollecitudo Rei Socialis del 1987; termine inteso come 'proprio dei rapporti tra persone e popoli'.[28] 'L'interdipendenza deve trasformarsi in solidarietà, fondata sul principio che i beni della creazione sono destinati a tutti: ciò che l'industria umana produce con la lavorazione delle materie prime, col contributo del lavoro, deve servire ugualmente al bene di tutti'. (SRS, n.39)

Nella sua ultima Enciclica Centesimus Annus del 1991 (in occasione del centenario della Rerum Novarum), G. Paolo II analizza i due principi della proprietà privata e della destinazione universale dei beni nella loro origine: 'Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno. E' qui la radice dell'universale destinazione dei beni della terra'.(CA, n.31)

'Ora, la terra non dona i suoi frutti senza una peculiare risposta dell'uomo al dono di Dio, cioè senza il lavoro: è mediante il lavoro che l'uomo, usando la propria intelligenza e la sua libertà, riesce a dominarla e ne fa la sua degna dimora. In tal modo egli fa propria una parte della terra, che appunto si è acquistata col lavoro. E' qui l'origine della proprietà individuale. E ovviamente egli ha anche la responsabilità di non impedire che altri uomini abbiano la loro parte del dono di Dio, anzi deve cooperare con loro per dominare insieme tutta la terra'. (CA, n.31)

Risulta chiaro che la proprietà privata non può essere solo l'espressione di un diritto alla libera iniziativa, ma anche contributo alla promozione dell'utilità collettiva.

La ricchezza fa derivare a chi la possiede una grande responsabilità verso gli

altri e, in particolare, verso chi non la possiede o non può possederla. Infatti 'la proprietà privata dei mezzi di produzione (.) diventa illegittima quando non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro'. (CA, n.43)

Dal mio breve excursus storico emerge che secondo la D.S.C. la proprietà privata è necessaria alla persona poiché contribuisce alla sua realizzazione e le dà occasione di esercitare il suo responsabile apporto nella società e nell'economia. La ricchezza, cioè il possedere dei beni, l'AVERE, 'non costituisce una vera ricchezza, ma la possibilità effettiva di godere e di usare i beni necessari ai propri bisogni e alla propria crescita, la quale si realizza in assoluta connessione, in rapporto profondo con gli altri esseri umani'.[29] La ricchezza, quindi, è anche il mezzo per poter condividere, dare. Dio ha dato la terra all'uomo; questi - creato a immagine di Dio - per sua intima natura è un essere sociale, per cui il suo sviluppo e quello della società sono interdipendenti: 'poiché la vita sociale è qualcosa di esterno all'uomo, egli cresce in tutte le sue doti e può rispondere alla sua vocazione mediante i rapporti con gli altri, i mutui doveri, il colloquio con i fratelli'. (GS, n.25) Poiché attraverso la comunione l'essere' dell'uomo si realizza, anche l'avere' acquista senso in una dimensione sociale. Infatti, la persona è - per natura -

portata al dono e i suoi beni - sempre per la loro natura - sono strumenti.

'La conseguenza è che la dignità, l'autonomia, la libertà e la responsabilità della persona non sta tanto nell' avere per avere per accaparrare, per accumulare. La dignità della persona esige la proprietà per avere la possibilità di disporre di una certa quantità di beni (.) al momento in cui si evidenziano i bisogni'.[30] La dignità, però, viene completamente raggiunta se la dignità di tutti, e non solo di alcuni, è costantemente rispettata; per questo il mio 'avere' dovrà tener sempre presente la destinazione comune dei beni.


L' ECONOMIA DI MERCATO E LA D.S.C.


La D.S.C. non intende formulare un nuovo modello economico; essa valuta quelli già esistenti, in quanto 'i modelli reali e veramente efficaci possono solo nascere nel quadro delle diverse situazioni storiche, grazie allo sforzo di tutti i responsabili che affrontino i problemi concreti in tutti i loro aspetti sociali, economici, politici e culturali che si intrecciano tra loro'. (CA, n. 43)

Il sistema economico dominante oggi nel mondo occidentale è quello di mercato. Suoi principi-base sono la proprietà privata e la libera iniziativa di chi agisce al suo interno, e il suo scopo è di raggiungere la massima efficienza, attraverso il coordinamento di tutte le attività.

'Il libero mercato è lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò tuttavia vale solo per quei bisogni che sono 'solvibili', che dispongono di un potere d'acquisto, e per quelle risorse che sono 'vendibili', in grado di ottenere un prezzo adeguato'. (CA, n. 34)

Esso, quindi, - per la D.S.C. - riveste una notevole importanza, e necessari sono gli strumenti di cui il mercato consta e le forme in cui si esplica.

Tuttavia G. Paolo II nella Centesimus Annus ricorda che 'esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato (bisogni morali, di affetto, di amicizia, di rispetto, di sicurezza, di fiducia, e spirituali); per cui è stretto dovere di giustizia e di verità impedire che tali bisogni rimangano insoddisfatti'. (CA, n. 34)

Risulta chiaro il pericolo dell'economia di mercato: di rivolgere l'attenzione prevalentemente alla proprietà privata dei mezzi di produzione, dimenticando che 'prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, esiste qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo. Questo qualcosa di dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità'. (CA, n.34)

Diritto primo, e 'ancora più importante di quello della destinazione universale dei beni è il diritto alla vita , continuamente messa in pericolo dalle sperequazioni che un sistema economico, troppo spesso contro giustizia, suggella e dalla ricerca esclusiva dell'interesse e del profitto individuale quale motore di tutta l'attività economica.

In tale ottica, 'la solidarietà sociale è il risultato della sola iniziativa individuale e non già quale scopo e criterio più vasto'[32]da porre alla base dell'organizzazione della vita economica.

La D.S.C., infatti, ammette la legittimità dell'interesse personale e della ricerca del guadagno (condizioni del progresso economico), ma condanna la libertà assoluta sganciata dalla legge morale, che porta inevitabilmente al primato del profitto e allo sfruttamento dei più deboli.

G. Paolo II - come i suoi predecessori - pone l'accento sull'esigenza di superare la mentalità individualistica, attraverso un impegno di solidarietà e di carità: principi che devono essere posti alla base di tutta l'attività economica.

La Chiesa non si oppone al mercato, ma chiede venga controllato da forze sociali e dallo Stato al fine di garantire la soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutta la società.

Il mercato non riesce, però, a soddisfarli tutti, in quanto esistono beni che, per loro natura, non sono né possono essere semplici merci.

Emerge, quindi, che la D.S.C. non discute il sistema di mercato ma il sistema culturale che lo anima.

Esso spesso si caratterizza in rapporti fondati su relazioni interessate, sul successo, sul prevalere dell'uno sull'altro, tali da non favorire l'accoglienza, il dialogo, l'incontro, l'apertura all'altro, beni questi necessari alla realizzazione dell'uomo e al tempo stesso importanti risorse economiche.

Quello che più manca all'economia di mercato è una concezione che le permette di cogliere l'uomo nella sua polidimensionalità, non solo quindi come soggetto di bisogni economici.

La Chiesa auspica un intervento a livello culturale - volto a recuperare la verità integrale sull'uomo -, in quanto 'il primo e più importante lavoro si compie nel cuore dell'uomo; ed il modo in cui questi si impegna a costruire il proprio futuro dipende dalla concezione che ha di se stesso e del suo destino'. (CA, n.51)


IL LAVORO


La D.S.C. considera il lavoro come dimensione fondamentale dell'esistenza dell'uomo sulla terra. Esso è 'personale perché espressione della persona, e necessario perché il frutto del lavoro serve all'uomo per il mantenimento della vita; mantenimento che è imprescindibile dovere imposto dalla natura'. (RN, n.27) Lo stesso Gesù di Nazareth viene descritto come un lavoratore nella bottega del padre.

Dal carattere 'personale' deriva che anche il più semplice e il più umile dei lavori ha pari dignità di qualunque altro, proprio perché è un'attività dell'uomo.

Il Concilio Vaticano II ribadisce il valore superiore del lavoro umano a tutti gli altri elementi della vita economica: esso, 'sia svolto indipendentemente che subordinatamente da altri, procede immediatamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi un sigillo e la sottomette alla sua volontà' (GS, n.67)

Non è, quindi, il contenuto oggettivo del lavoro a determinare il suo valore, ma la dignità della persona che lo esegue.

Il lavoro è anche 'necessario': questo deriva dal valore sacro della vita, che l'uomo ha il diritto e il dovere di preservare, essendo dono di Dio. Tale adempimento è svolto mediante l'attività lavorativa che assume, perciò, la più alta dignità. Dignità che si esprime nella libera attività dell'uomo, nel diritto al lavoro, nel giusto salario (adeguato al mantenimento del lavoratore e della sua famiglia), nel rispetto dell'ambiente di lavoro, nel rispetto di orari 'umani', ecc.

'Al dovere personale del lavoro imposto dalla natura corrisponde e consegue il diritto naturale di ciascun individuo a fare del lavoro il mezzo per provvedere alla vita propria e dei figli'. (Radiomessaggio del 1°giugno 1941, n. 11)

Il lavoro, dunque, è visto come 'bene dell'uomo perché con esso l'uomo non solo trasforma la natura, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso diventa più uomo'. (LE, n. 8)

L'attività lavorativa ha anche un carattere sociale, in quanto serve a soddisfare le esigenze di altri individui. 'Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno.

Il lavoro è tanto più fecondo e produttivo, quanto più l'uomo è capace di conoscere le potenzialità produttive della terra e di leggere in profondità i bisogni dell'altro uomo, per il quale il lavoro è fatto'. (CA, n. 31)

'L'uomo lavora per sovvenire ai bisogni della sua famiglia, della comunità di cui fa parte, della Nazione e, in definitiva, dell'umanità intera'. (CA, n. 43)

Da tutto questo emerge che 'prima di tutto il lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro. (.) Difatti in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più di 'servizio', più monotono, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso'. (LE, n. 6)

Ciononostante, 'il pericolo di trattare il lavoro come una 'merce sui generis' o come una anonima forza necessaria alla produzione esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell'economicismo materialistico'. (LE, n. 7)

Dalla superiorità dell'uomo consegue il primato del lavoro sul capitale. Il capitale rappresenta un elemento fondamentale della vita economica: esso 'gli (=all'uomo) facilita il lavoro, lo perfeziona, lo accelera e lo moltiplica' (LE, n. 5), ma costituisce pur sempre un elemento, avendo 'solo natura di mezzo'. (GS, n. 67)

La D.S.C. insiste sul rispetto della superiorità dell'uomo, affinché si evitino tutte le gravi conseguenze di una sua strumentalizzazione.


L'OPZIONE PREFERENZIALE PER I POVERI E LA D.S.C.


Da duemila anni è evidente la predilezione della Chiesa per i 'poveri'[33]:


Gesù stesso è venuto sulla terra per i minimi, per i piccoli, per prendere su di sé la sventura dell'umanità.

Una delle tante tematiche del Concilio Vaticano II si occupa di 'Chiesa povera' e di 'Chiesa dei poveri': 'la miseria della maggior parte del mondo è così urgente che sembra quasi di intendere nei poveri l'appello di Cristo che reclama la carità. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia, da ogni sorte di miserie'. (GS, 88)

Questa nuova spinta viene assunta, espressa nella III Conferenza Episcopale latino-americana (Puebla, 1978), dove nasce l'espressione 'opzione preferenziale per i poveri'. Essa significa innanzitutto comprendere chi sono i poveri, ricercare le cause della povertà e impegnarsi a sopprimere queste cause.

I destinatari di tale appello non sono solo gli operatori politici e sociali, ma anche quelli economici.

E nella Sollecitudo Rei Socialis, il papa dopo aver analizzato la situazione del sottosviluppo, incita tutti a collaborare per un autentico sviluppo che sia non solo nella sua dimensione materiale, ma anche in quella spirituale.

Ma in che modo?

Il papa indica la necessità di un cambiamento nelle strutture che riflettono i mali sociali; ma sottolinea che non si possono cambiare le strutture, senza convertire il cuore dell'uomo che tali strutture crea

E' dalla consapevolezza dell'interdipendenza tra le persone che nasce la solidarietà.

'Questa non è un sentimento di vaga compassione, non è un intenerirsi delle miserie, ma è un prendersi cura concretamente dei bisogni delle persone e impegnarsi per il bene comune, ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti' (cfr. SRS, n. 38)

L'accettazione della solidarietà è un dovere morale, in quanto virtù umana - in relazione con la giustizia - e virtù cristiana - in relazione con la carità .

L'opzione preferenziale per i poveri 'esige, quindi, un preciso ridimensionamento dei fini e dei mezzi in rapporto al vero fine dell'attività economica, che è l'uomo, tutto l'uomo e tutti gli uomini, nessuno escluso, a cominciare dagli <<ultimi>>; (..) tale scelta ha una valenza non solo personale, ma anche sociale e politica; non è semplice appello etico, bensì una fondamentale esigenza di giustizia.

In tal senso la scienza economica e soprattutto la pratica dell'economia devono, per molte e gravi ragioni, prendere in seria considerazione l'estensione e la qualità della povertà come irrinunciabili parametri di confronto per i modelli di sviluppo e per la loro sostenibilità'.[35]

La Centesimus Annus sostiene la necessità di 'abbandonare la mentalità che considera i poveri - persone e popoli - come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti

più prospero.

L'elevazione dei poveri è una grande occasione per la crescita morale, culturale ed anche economica dell'intera umanità'. (CA, n. 28)

'Il povero ha bisogno che gli siano offerte condizioni realisticamente accessibili. Creare tali occasioni è il compito di una concertazione mondiale per lo sviluppo, che implica anche il sacrificio delle posizioni di rendita e di potere, di cui le economie più sviluppate si avvantaggiano.

Ciò può comportare importanti cambiamenti negli stili di vita consolidati, al fine di limitare lo spreco di risorse ambientali ed umane, permettendo così a tutti i popoli ed uomini della terra di averne in misura sufficiente'. (CA, n. 52)

Non si tratta di 'distruggere strumenti di organizzazione sociale che han dato buona prova di sé, ma di orientarli secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia'. (CA, n.58)





EDITORIALE, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag.7

C.LUBICH, L'avventura dell'unità, Edizioni Paoline, Milano, 1991, cfr. pag. 31-36.

Ibid., cfr. pag. 31-36

Ibid., pag. 46.

In La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1991.

Ibid.

Ibid.

C.LUBICH, L'avventura dell'unità, Edizioni Paoline, Milano, 1991, pag.54.

C. LUBICH, Verso l'unità delle nazioni e dei popoli, al Simposio nella Sede delle Nazioni Unite, New York - 28 maggio 1997, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1998, n. 115, pag. 6

C.LUBICH, L'avventura dell'unità, Edizioni Paoline, Milano, 1991, pag. 54.

In La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1991.

C.LUBICH, L'avventura dell'unità, Edizioni Paoline, Milano, 1991, pag. 54.

CHIARA LUBICH, L'avventura dell'unità, Edizioni Paoline, Milano, 1991, cfr. pag. 50.

I membri del Movimento sono circa 111.000, ai quali si aggiungono circa 2.200.000 aderenti. Si contano 30.000 fra ebrei, musulmani, taoisti, buddisti, sihks, animisti e circa 7000 non credenti.

In La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1991.

C. LUBICH, in AA.VV., 'Il lavoro e l'economia oggi nella visione cristiana', Atti del convegno, Roma - 3 giugno 1984, Città Nuova Editrice, Roma, pag. 12-1

C.LUBICH, Tutti siano uno, 1968 (in Scritti spirituali/3, Città Nuova, 1979), in T.SORGI, La cultura del dare, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag. 61.

PINO QUARTANA, L'E.d.C. nel pensiero di Chiara Lubich, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag.11.


Organo collegiale di Umanità Nuova, che si occupa di temi economici e del lavoro. Dal 1991 è responsabile del coordinamento del progetto E.d.C. a livello mondiale.

L'AMU è stata riconosciuta come ONG dal Ministero degli Esteri italiano, con il quale collabora.

Cfr. T.SORGI, La cultura del dare, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag. 62.

PINO QUARTANA, L'E.d.C. nel pensiero di Chiara Lubich, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag.12

Per D.S.C. si intende l'insieme dei principi etici e norme morali racchiusi in diversi documenti redatti dal magistero pontificio attraverso i quali la Chiesa intende accompagnare il cammino dell'uomo in tutti i suoi aspetti e nella complessa rete di relazioni che egli instaura con gli altri uomini.

AA.VV., I documenti del Concilio Vaticano II, ed. Paoline, Milano, 1968, Gaudium et Spes, n. 12.

Ibid., GS, n.24.

Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro - CEI, Democrazia economica, sviluppo e bene comune, Ed. Paoline, Milano, 1994.

V.ARAUJO, Dottrina Sociale della Chiesa ed Economia di Comunione, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag. 37.

Ibid., pag.38.

Ibid., pag.41.


Ibid., pag.42.

V.ARAUJO, Dottrina Sociale della Chiesa ed Economia di Comunione, in 'Nuova Umanità', Città Nuova Editrice, Roma, 1992, n.80/81, pag.44.

Lettera apostolica di Paolo VI Octagesima Adveniens, n. 26

I 'poveri' sono sia le persone che non hanno sufficienti beni materiali per vivere degnamente, sia le persone che appartengono alla cosiddetta 'nuova povertà', cioè quella povertà strutturata che nasce dal modo in cui è organizzata la società.


Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro - CEI, Democrazia economica, sviluppo e bene comune, Ed. Paoline, Milano, 1994, n.16, pag.17.

Ibid., pag.17


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