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LA 'VITTORIA ' DEL MERCATO E LE DOMANDE DELLA SOCIETA'
"Dopo la seconda guerra mondiale, si diffonde la convinzione che la stabilità dei nuovi regimi democratici dipenda dalla capacità dello stato di fornire ai propri cittadini servizi che soddisfino i loro principali bisogni sociali e -dalla capacità- di redistribuire per via politica la ricchezza, che viene allocata in modo diseguale dall'operare dei meccanismi di mercato"[1]
Ma, precisa lo stesso Regini, la storia dello sviluppo in Occidente e della organizzazione del sistema economico che ne è conseguita convalida la tesi del prevalere dei principi di competitività e scambio sui principi e valori delle altre sfere della vita sociale (prima regolate da altri principi quali la solidarietà, la gerarchia, la lealtà).
Una volta crollato nell'Est europeo il sistema comunista, dove
l'uomo veniva considerato nella sola dimensione economica di produttore, dove lo stato, unico punto di riferimento, inghiotte nella sua macchinosità ogni individualità, l'economia di mercato è apparsa come l'unico sistema in grado di avere un futuro.
Ma quale futuro hanno gli uomini in un sistema che sembra ridurli a semplici consumatori e li soggioga alla logica della concorrenza, che inevitabilmente schiaccia i più deboli?
"Neuhaus e Novak richiamano (.) al rispetto della verità dei fatti, che dimostra la capacità del capitalismo di sopravvivere alle proprie crisi, la sua capacità di adattarsi e trasformarsi."[2]
Ma lo stesso autore del brano sopra citato così continua: "Ai due autori è necessario però ricordare che le trasformazioni interne alle società capitalistiche sono state spesso condotte da uomini e movimenti animati da ideali e prospettive non capitalistici: se dunque la forza delle istituzioni liberal-democratiche, e del sistema economico che loro corrisponde, è appunto quella di potersi mantenere attraverso il cambiamento, il motore di questo è però non solo il capitalismo stesso, ma anche la reazione che esso suscita."[3] l fenomeno dell'uomo alienato, emarginato dal sistema, schiacciato dalle strutture e divenuto anonimo ingranaggio della macchina economica si è verificato all'EST come all'OVEST, nel capitalismo come nel comunismo: dall'una parte si è radicato nel materialismo edonistico e dall'altra in materialismo storico.
"Non c'è più alternativa, per quanto discutibile, al capitalismo
della tradizione occidentale. Avere la prova che ogni diverso
tentativo è destinato a fallire non può rallegrare affatto.
Anzi, è disagevole sapere che non c'è altra scelta verosimile
rispetto allo stato delle cose, poiché non c'è nessuna società di contestazione. () L'empirico successo del capitalismo va
riconosciuto, ma può essere anche idoleggiato?"[4]
Quali contenuti, dunque, devono assumere i progetti economici per fornire soluzioni concrete, eppure eque, giuste, sostenibili?
Quali i tratti essenziali, gli elementi costitutivi di una
sistemazione teoretica che coniughi esigenze di produzione e di consumo in un contesto planetario; lo sviluppo del Nord e quello del Sud; il progresso tecnologico con la responsabilità ecologica; la meccanizzazione con la domanda di occupazione; interesse personale con interesse generale?
In realtà, uomini politici, economisti, ed altre eminenti
personalità, già da un trentennio si sono fatti carico di questi interrogativi, perché sensibili alle problematiche moderne, connaturate al sistema capitalistico e alle scelte politiche dell'Occidente.
"Si pone il problema dell'adattamento delle istituzioni all'era tecnologica. Ora che l'uomo dovrebbe liberarsi, grazie ad una tecnologia che gli permette dei progressi considerevoli nella produzione dei beni materiali, non si avvia a diventare schiavo di questa tecnologia al punto da subirne gli effetti disastrosi e da minacciare l'equilibrio naturale? Si potrebbe citare, fra molti altri, l'esempio di questa nuova servitù dei consumi che opprime i paesi civilizzati, contaminando i loro dintorni."[5]
Inoltre è rilevante in questo contesto affermare che le 'rivoluzioni tecnologiche' possono permettersele in pochi e lo sviluppo nelle società tecnotroniche sembra a volte avvenire in modo pilotato da parti sociali ristrette, che lo utilizzano con funzione di leadership: questo confluisce a rafforzare il carattere di non democraticità dello sviluppo dell'economia mondiale.
La fame, la povertà, le carestie, aumenti della mortalità, sono fenomeni persistenti nella storia. Ma tali realtà nel mondo contemporaneo sono meno tollerabili che nel passato, perché con le tecnologie e le conoscenze di oggi possono essere più facilmente sconfitte.
"L'enorme espansione della capacità produttiva, conseguita durante i secoli più recenti e gli ultimi decenni, permetterebbe di garantire a tutti una quantità di cibo adeguata. Adesso più che nei secoli precedenti le carestie sono una conseguenza dell'operato degli uomini e quindi possono essere evitate. Adesso più che un tempo le condizioni macroeconomiche di un paese (inflazione, occupazione, spesa pubblica, bilancia dei pagamenti) sono fondamentali nel prevenire una carestia."
"Le problematiche racchiuse da una carestia sono molto complesse e, per poter avere un quadro generale di riferimento, richiedono spesso un approccio intradisciplinare. Anche se questa vuole essere un'analisi economica, non si può non considerare i suoi aspetti politici e sociale; e sarà proprio una prospettiva che cerca di mettere l'uomo e i suoi diritti al centro delle relazioni economiche a offrire inaspettate vie da percorrere" .
Dello stesso problema di sviluppo e prevenzione delle carestie si è occupato Amartya Sen che promuove una riflessione più attenta sul momento della distribuzione, cioè sul passaggio dalla produzione al consumo: la sua analisi procede da una particolare prospettiva, cioè il modo in cui la persona accede al consumo, l'agente economico viene considerato all'interno di un contesto sociale e vengono analizzate le sue possibilità di espressione.
Oggi queste osservazioni e le proposte pratiche di rinnovamento delle teorie economiche, hanno assunto importanza e consistenza tale da essere definite con il termine comprensivo di 'Economie Alternative', cioè, come sopra accennato, quelle proposte di metodo che pur conservando gli assunti essenziali della scienza economica (teoria della domanda e dell'offerta), la arricchiscono di elementi e prospettive che sembrano esulare la sua specificità, per rientrare più propriamente nella tradizione di studi filosofici, politici, socio-antropologici o religiosi.A tal proposito è illuminante un passo di J. M. Keynes: "..L'economista d'alto livello deve avere una rara combinazione di doti. Deve attingere un livello elevato in più direzioni diverse, combinare capacità che non si trovano spesso assieme. Deve essere, in certo modo, matematico, storico, statista, filosofo; maneggiare i simboli ed esprimersi in parole; vedere il particolare alla luce del generale e toccare l'astratto e il concreto con lo stesso colpo d'ala del pensiero. Deve studiare il presente alla luce del passato ai fini del futuro. Non c'è parte della natura e delle istituzioni umane che possa sfuggire al suo sguardo. Deve essere, contemporaneamente, risoluto e disinteressato; distaccato e incorruttibile come un artista, eppure a volte vicino alla terra come l'uomo politico" .
Il suggerimento di Keynes viene raccolto, ed oggi ne prendiamo atto, da una generazione di economisti e studiosi che provano a dare soluzioni inedite, ma concrete, alle problematiche economiche odierne, inserendole in un contesto più ampio, sia a livello disciplinare, che a livello geografico, riconoscendo l'economia come una delle espressioni della più complessa persona umana.
"la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o come un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla"[8]
E proprio questo sembra essere il punto di partenza: nello sviluppare queste tematiche si è giunti alla considerazione che è essenziale distinguere l'uomo-individuo, dall'uomo-persona.
L'uomo individuo è un soggetto che afferma se stesso distinguendosi da altri soggetti: ' io sono in quanto non sono te'. In questo senso le relazioni intersoggettive tra individui hanno la forma del contratto, come coordinamento di volontà che perseguono interessi distinti.
La persona invece è essenzialmente un essere in relazione, che si apre agli altri; il rapporto tra persone è del tipo: 'io sono ciò che sono in quanto messo in relazione con altri io'.
La persona attua dunque rapporti umani al di là e al di dentro dei differenti interessi, coniugando individualità e universalità. Sotto questo punto di vista la solidarietà diventa un elemento essenziale nella società degli uomini: se caratteristica fondamentale della persona è la sua componente relazionale, ne consegue che chi vive nel benessere materiale non può realizzarsi con pienezza finchè altri ne sono esclusi.
Oggi, da più parti, è avvertita l'esigenza di considerare l'uomo nella sua dimensione personale anche in economia: e dalla sua prospettiva assumono contenuto nuovo e positivo concetti quali interdipendenza, solidarietà, comunione.
L'esigenza di considerare l'uomo nella sua dimensione personale, anche in economia, ha condotto ad una apertura verso 'interferenze' di altre discipline: il processo di autonomia della scienza economica da qualsiasi altro sapere, giunto al suo culmine con i marginalisti, trova nelle Economie Alternative una valida critica. Il problema ambientale, l'affacciarsi di nuovi paesi sulla scena economica mondiale, il persistere e l'aggravarsi di sacche di povertà, anche in paesi ricchi, mette in crisi i metodi e i fini dell'analisi economica, ponendo il dubbio che l'economia si stia allontanando dalla realtà umana.
"La scienza economica può avere notevoli difficoltà (di analisi, di tecnica analitica) a compiere determinate valutazioni, per es. mediante l'analisi costi-benefici, o la VIA (valutazione d'impatto ambientale) applicate agli investimenti pubblici; essi sono però indispensabili, (.). Il 'bene comune' (che è, con la 'persona', il termine di riferimento più consueto della dottrina sociale della Chiesa) non è un dato, è , di volta in volta un problema. La sostanza della scienza economica normativa (in quanto distinta dalla positiva o interpretativa, che è tuttavia preliminare alla prima) ha per oggetto e scopo proprio la valutazione (mezzi e risultati) di ogni forma di comportamento privato e di intervento pubblico, si parli o no di solidarietà, in rapporto a problemi come povertà, disoccupazione, disparità sociali, discriminazioni ed emarginazioni; tanto che potrebbe essere designata con qualche aulicità!, come la scienza dell'amore per il prossimo (come G. Pecchio e poi il conte di Cavour la definivano nell'800 la scienza dell'amore della patria!)"
Ci si chiede allora se la discrepanza che c'è tra teoria economica e realtà umana sia da ricollegarsi alla distanza che c'è tra sfera dell'economia e sfera dell'etica.
A tal proposito il professore Giusso prosegue nel brano sopra citato:
".il mio punto di vista è, se si vuole, quello tradizionale. () (L'economista) qua economista, non ha nessun bisogno di ampliare il suo orizzonte conoscitivo ed operativo[10] per tener conto anche delle finalità più nobili, morali ed altruiste (per fare un esempio molto in auge: generazioni future).
La scienza economica, autonoma dalla morale come ogni conoscere, 'neutrale' rispetto ai fini, non soffre di per sé di 'vizio economicistico'."
Precisamente Giusso dissente da quella linea di pensiero economico che parla di comportamenti motivati "dall'altruismo, dall'attaccamento ai valori etici, dalla preoccupazione per l'interesse pubblico () Il mio dissenso è motivato dalla convinzione che, si tratti di preferenze 'etiche', o di preferenze 'personali', il problema da risolvere è sempre un problema economico di massimizzazione vincolata."
E proseguendo: "La mia opinione è che le insufficienze del mercato non trasformano il criterio economico né 'ampliano' i compiti dell'economista () Un certo 'orientamento universalistico all'azione sociale', come oggi si dice, non è necessariamente etica in un senso cristiano e nemmeno Kantiano."
L'autonomia della scienza economica dunque ha cristallizzato il dibattito sulla crisi del sistema economico sul rapporto mezzi-fini: l'economia non discute dei fini ma può solo indicare l'uso più conveniente per raggiungere i fini scelti.
L'economia è una scienza positiva "del tutto neutrale rispetto all'etica"[11]
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