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Le caratteristiche della crisi del '29 in Italia




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Le caratteristiche della crisi del '29 in Italia



La catastrofe economica degli Stati Uniti si propagò in tutto il mondo e perciò anche in Europa dove il ritiro dei capitali statunitensi e l'arrivo sui mercati di prodotti a prezzi bassissimi determinarono l'arresto della produzione.


In una prima fase parve che l'Italia potesse reggere bene ai contraccolpi della crisi. Quando le banche austriache e tedesche decretarono la chiusura degli sportelli, l'Italia fu scarsamente danneggiata dal provvedimento dato i pochi immobilizzi in questi paesi. Anche i debiti a lunga scadenza, che non raggiungevano i 190 milioni di dollari, si contenevano entro cifre sopportab iii.


Si diceva che il fatto che l'Italia avesse pochi debiti con l'estero fosse dovuto alla diffidenza che le banche straniere avevano verso il fascismo, ma ciò venne diffusamente interpretato come una grande fortuna. La povertà, lo scarso sviluppo del nostro sistema capitalistico ci metteva al sicuro dai riflessi della grande crisi che faceva traballare le più salde economie industriali.


Erano ragionamenti da populismo, ma che pure erano diffusi nell'opinione pubblica.


Mentre ci si congratulava del fatto che il nostro paese avesse pochi investimenti e pochi debiti con l'estero, si scopriva che qualcosa non funzionava più nel rapporto banche-industrie. La crisi aveva portato un aumento impressionante di fallimenti con un'inevitabile contrazione delle esportazioni, un aumento della disoccupazione, un aggravamento del debito statale interno, una valutazione delle riserve auree e una drastica riduzione dei salari e degli stipendi.


E' importante conoscere la storia della nostra organizzazione bancaria per capire quanto successe negli anni trenta nella nostra economica. Le grandi banche italiane erano sorte quando l'industria italiana aveva in cominciato a svilupparsi cioè tra l'ultimo decennio dell'ottocento e i primi anni del novecento. Le banche finanziavano le industrie con impegni che richiedevano lunghe scadenze, ma i depositi cui attingevano le banche erano invece esposti al rischio che i depositanti chiedessero da un giorno all'altro il rimborso.


Lo Stato era più volte intervenuto per tamponare questa situazione critica o emettendo carta-moneta o accollandosi il carico delle industrie deficitarie che erano legate alle banche.


Questo tipo di banca, definita mista, ispirata a modelli tedeschi, durò fino a quando la crisi non assunse le proporzioni di un fenomeno generale che minacciava di travolgere le nostre più grandi banche: dalla Banca Commerciale al Credito Italiano al Banco di Roma. Costretta a ridurre la propria produzione e a licenziare gli operai, le industrie continuarono a rivolgersi alle banche per avere nuovi crediti. A loro volta le banche incontravano crescenti difficoltà ad acquistare nuove azioni industriali, data la politica deflazionistica cioè di contrazione della circolazione monetaria perseguita dal fascismo. In questo clima di incertezze e di confusione, maturò la trasformazione del sistema bancario italiano.


Nel 1931 venne creato l'LMIL (Istituto mobiliare italiano), un consorzio bancario pubblico avente il fine primario di erogare presiti a medio termine alle imprese affinché procedessero a sviluppare gli investimenti. L'attività delle banche fu sottoposta alle regole e ai criteri dell'Istituto di liquidazione, ma nemmeno con questo aiuto le banche riuscirono a liberarsi dei forti indebitamenti con le industrie. Nel 1933 fu costituito l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRJ), che assorbì l'Istituto di liquidazione.


L'IRI incorporò tutte le partecipazioni delle banche nelle aziende industriali e assunse in proprio i debiti delle banche nelle aziende industriali e quelli delle banche di credito ordinario verso la Banca d'Italia.


Acquistando tutte le attività delle banche l'IRI veniva anche in possesso delle società che detenevano il controllo, nasceva 'lo Stato imprenditore'.


L'IRI fu l'ente destinato a realizzare la conversione da banca mista a banca di credito ordinario (tipico dei paesi economicamente più progrediti presso i quali tende a realizzarsi una netta separazione tra finanziamenti a breve termine con quelli a medio- lungo termine.



Attraverso il rilievo delle partecipazioni bancarie nelle industrie, l'IRI tra il 1936 e il 1942 riuscì a controllare un insieme di società pari al 44% del capitale azionario italiano. In questo grafico sono evidenziate le società che, alla vigilia della seconda guerra mondiale concorrevano alla produzione nazionale.


A questo punto possiamo chiederci quale differenza può stabilirsi tra l'IRI, fattore centrale nella dinamica dello sviluppo industriale nel nostro paese, ela politica americana del New Deal. Anzitutto in quest'ultimo éinscindibile la connessione tra una politica tendente a rimettere in moto i meccanismi economici e i programmi di rinnovamento sociale, sostenere dalle forze democratiche e sindacali. L'operazione IRI non ebbe nessun interesse socio-sindacale anche perchè non sarebbe stato possibile sotto il fascismo che aveva abolito i sindacati tradizionali.


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