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La crisi del 1929 (il crollo di Wall Street)
Introduzione alla crisi
Tra le due guerre mondiali, il capitalismo parve crollare sotto il peso
di una disastrosa crisi economica che si manifestò in maniera improvvisa ma non
inattesa. Ancora alla fine dell'estate del 1929 la
borsa di New York attraversava una fase di grande euforia e speculazione. Il
Le cause storico- politiche della crisi
La crisi esplosa aveva origini lontane, sicuramente derivanti dallo sconvolgimento che la prima guerra mondiale aveva causato, ma principalmente fu causata da un accentuato squilibrio tra la domanda e l'offerta. La crescita economica che si ebbe negli anni precedenti aveva allargato la sproporzione tra i salari e i profitti industriali. In realtà, i redditi della maggior parte della popolazione non erano sufficienti ad allargare la sfera dei consumi e quindi ad assorbire in maniera adeguata il flusso di merci e di prodotti immessi sul mercato. Di conseguenza, la crisi fu prima di tutto una crisi di sovrapproduzione perché le merci restavano invendute nei magazzini e le fabbriche furono costrette a ridimensionare gli impianti.
Conseguenze della crisi
La conseguenza diretta del crollo della borsa fu la caduta dei prezzi agricoli, delle materie prime, dei prodotti industriali e la rapida contrazione dei salari, ma soprattutto un aumento impressionante della disoccupazione. Secondo i dati della Società delle Nazioni, la disoccupazione superò nel 1932 i 25 milioni di unità cui bisognava aggiungere i milioni di lavoratori agricoli e di contadini che, se non disoccupati, erano occupati quasi ovunque solo parzialmente. Maggiore fu quindi la disoccupazione in quelle nazioni a forte tasso di industrializzazione (Stati Uniti e Germania).
La disoccupazione fu aggravata dalle politiche deflazionistiche adottate per evitare conseguenze sul bilancio statale:
riduzione degli stipendi;
i profitti industriali si contennero;
aumento della tassazione diretta anche sui salari, provocando l'immediata riduzione dei prezzi;
drastica riduzione della spesa pubblica;
Il
grande spazio globale del mondo unificato dalla seconda rivoluzione industriale
si frammentò in tanti compartimenti stagni, ognuno dei quali, per difendersi
dagli effetti della crisi e dal crollo dei prezzi, puntò all'autosufficienza
economica: l'autarchia.
Oltre che borsistica, industriale, agricola e commerciale, la crisi fu anche bancaria. Il fatto che le industrie non producessero, e che quel che producevano dovesse essere venduto a prezzi bassi, con minori profitti, e che gli agricoltori fossero costretti ad abbandonare la terra, o ad accontentarsi di un guadagno minimo, ebbe notevoli conseguenze sul sistema bancario. Sia l'industria che l'agricoltura erano seriamente indebitate con le banche. Nel periodo di boom, che aveva preceduto lo scoppio della crisi, queste banche avevano ecceduto nei prestiti, confidando in una restituzione regolare.
La crisi mise in difficoltà molte banche perché un numero crescente di imprese non fu in condizione di pagare i debiti alle scadenze, e intanto le banche erano premute dai loro depositanti che volevano la restituzione di tutto o parte delle somme depositate. Così molte di queste banche furono costrette a chiudere i battenti trascinando nel fallimento altre banche collegate.
Primi rimedi
Alcune misure anticrisi furono così comuni a tutti gli Stati, per esempio la difesa della moneta attraverso una serie di restrizioni della spesa pubblica, del credito e delle importazioni. Le dimensioni delle industrie erano ormai tali che la loro produzione non poteva essere assorbita dal mercato. Si capì che per consentire all'economia di risollevarsi sarebbe stato decisivo l'intervento dello Stato sia come sostegno alla domanda dei prodotti industriali, sia come ammortizzatore del disagio sociale. Lo Stato provocò così una ripresa dell'economia finanziando grandi opere pubbliche e aumentando i posti di lavoro.
Sul piano internazionale, la crisi si manifestò con la contrazione del commercio che comportò, come prima conseguenza, l'adozione di dazi doganali nei confronti dei prodotti esteri, soprattutto dei cereali con la conseguente caduta delle esportazioni cerealicole per i paesi più poveri.
Negli Stati Uniti, per far fronte alla crisi, il Presidente Herbert Hoover prevedeva consistenti aiuti statali alle imprese in difficoltà, mentre la tutela dei milioni di famiglie ridotte in povertà fu affidata alle istituzioni filantropiche. Si rialzarono i dazi protettivi e si avviò un'opera di sostegno finanziario che privilegiava i grandi istituti di credito. La politica di Hoover spaccò in due il Paese e rilanciò il conflitto sociale. Fu così che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti del novembre 1932 portarono alla sconfitta di Hoover e alla vittoria di Franklin Delano Roosevelt.
Il 1933: il New Deal, la ripresa e Hitler
Roosevelt si pose come obiettivo quello di creare un clima di collaborazione nazionale allo scopo di riorganizzare l'economia. Il suo intervento si sviluppò così su tre livelli:
il risanamento finanziario;
il riassetto dei settori portanti dell'industria e dell'agricoltura;
il miglioramento delle condizioni economiche delle classi più povere.
Risanamento
finanziario: per dare competitività alle merci
americane sui mercati mondiali, fu avviata una svalutazione del dollaro
che alla fine risultò del 60%. Contemporaneamente si ridussero gli aiuti alle
banche, lasciando sopravvivere solo quelle finanziariamente sane e ponendo
l'intero sistema bancario sotto il controllo dello Stato attraverso
Riassetto dei settori portanti
dell'industria e dell'agricoltura: per disciplinare la
concorrenza tra i vari settori industriali fu poi varato il National Industrial
Recovery Act (
Miglioramento delle condizione economiche delle classi più povere: molte delle misure prese da Roosevelt ebbero larghissimi consensi popolari e furono gestite con i sindacati. Nacquero così i primi elementi dello Stato sociale (Welfare State, "Stato del benessere"): un sistema assicurativo per i disoccupati, per i vecchi e per gli invalidi; nuova organizzazione della previdenza sociale; limitazione dell'orario di lavoro a otto ore giornaliere. Ai lavoratori e ai sindacati fu inoltre consentito il diritto di organizzarsi, di eleggere propri rappresentanti e di stipulare contratti collettivi di lavoro.
Altro fatto del 1933, non meno importante, soprattutto per le conseguenze che avrebbe prodotto, fu l'ascesa di Hitler al potere in Germania. La crisi economica gli era stata, come si è accennato, decisamente favorevole. Le quattro elezioni che si svolsero tra il settembre 1930 e il marzo 1933 videro il numero dei suoi deputati crescere dal 18% a circa il 54% dell'intero numero di seggi del Reichstag.
Il 1933 segnò l'inizio della ripresa. Negli anni seguenti, la produzione continuò a crescere, e con essa l'occupazione e gli investimenti. Questa fase di ripresa culminò nel 1937, facendo ritenere che si fosse di nuovo di fronte a un boom. Tuttavia, già sul finire di quell'anno, si poterono rilevare qua e là segni indubbi di recessione. E se questa recessione non si estese e non si aggravò, trasformandosi in una nuova drammatica crisi, questo avvenne perché il mondo aveva imboccato chiaramente la strada del riarmo e della guerra.
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