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LA CRISI DEL 1929 E IL NEW DEAL
INDICE
Introduzione
La crisi del 1929 e la grande depressione
-Dal Boom al 'grande crollo'
-Storici, economisti, politici di fronte alla crisi
-La società americana e la crisi
Il New Deal negli Stati Uniti:
-Gli storici e il New Deal
-La teoria di Keynes
-Il New Deal non è sufficiente a far uscire
Gli Stati Uniti dalla depressine
-Le caratteristiche della crisi in Italia
-The Wall Strett Crash and the New Deal
Bibliografia
Introduzione
La crisi del 1929 colpì in pari tempo gli Stati Uniti e praticamente tutti gli altri paesi, ad eccezione forse della Russia (questo aspetto non è stato ancora studiato approfonditamente).
Non fu la prima a coinvolgere l'economia mondiale, ma fu la crisi più dura, più drammatica. Storici ed economisti hanno cercato di dare una risposta ai tantissimi interrogativi sulla causa della depressione mondiale, sul perchè fu così estesa, sul luogo di origine (Stati Uniti o Europa).
Quanto più numerosi sono stati gli studiosi che vi sono applicati, tanto maggiore è stata la varietà delle risposte, perciò è indubitabile che siamo tuttora lontani da una spiegazione.
Il breve periodo, sei anni in tutto, in cui Roosevelt applicò il New Dea!, riveste una parte importante nella storia degli Stati Uniti, dal momento che a molti storici è apparso come generatore di nuovi orientamenti nella politica del governo federale, quali un più marcato intervento del potere esecutivo nella vita economica e sociale e l'instaurarsi del 'welfare state'.
Pur non essendo la prima volta nella storia americana che un governo lanciava un programma (New Frontier con John Kennedy, Great Society con Lyndon Johnson ), il New Deal è quello più esemplare, più discusso, finendo per risultare punto di riferimento costante per le esperienze successive.
La crisi del 1929 e la grande depressione:
Dal Boom al 'grande crollo'
Dopo il primo conflitto mondiale gli Stati Uniti conobbero una crescita economica senza precedenti, infatti si andava sempre più affermando per capacità produttiva e finanziaria come Stato-guida del mondo capitalistico.
I contadini americani avevano realizzato notevoli guadagni rifornendo l'Europa durante gli anni di guerra e del primo dopoguerra senza tener conto di eventuali arresti del commercio internazionale.
Le banche maggiori e minori incoraggiarono questa elevata produzione sia agricola che industriale aprendo crediti a chiunque volesse dare vita a nuove iniziative
La speculazione contribuiva largamente ad esaltare questa euforia di affari di ogni genere, infatti sulla fine del 1929 spinse il corso dei titoli industriale dell'80% rispetto l'anno precedente. L'Europa, riprendendosi economicamente, cominciava a produrre per i suoi bisogni così , per proteggere le sue industrie rinascenti, si copri di una corazza di protezioni commerciali che ostacolavano seriamente le esportazioni americane.
Di fronte a questi sintomi di crisi il sistema economico americano cominciò a scricchiolare, ma tutti erano convinti che si trattava di una crisi passegera e che non vi sarebbe stata nessuna catastrofe. Prima a esserne colpita era l'agricoltura i cui raccolti sovrabbondanti non si riuscivano a vendere e seguivano le crisi nell'industria automobilistica ed edile.
I prezzi si contraevano del 25%, i profitti di altrettanto e le azioni industriali, che nel 1928 si erano gonfiate enormemente, cominciavano a precipitare.
Cumuli di titoli furono portati in Borsa per la vendita, ma gli acquirenti non si
trovavano. Il 24 Ottobre 1929 crollava la Borsa di New York con sede in Wall Strett, con la vendita di 13 milioni di azioni a corso ribassato.
DATA PUNTI DI PERDITA MEDIA
28 Ottobre 1929 29
29 Ottobre 1929 43
05 Novembre 1929 chiusura della borsa 06 Novembre 1929 37
11 Novembre 1929 50
12 Novembre 1929 50
Gli sforzi dei banchieri e degli agenti di cambio per contenere il crollo vennero vanificati dalla catastrofe: gli Stati Uniti piombarono di colpo in una crisi che, secondo tutte le apparenze, era di origine borsistica.
Di fronte a questo crollo le banche cominciarono ad esigere il rimborso del denaro prestato all'interno e soprattutto all'estero, ma si trattava ormai di denaro non restituibile.
Una siffatta situazione, da un lato favoriva la ripresa o lo sviluppo dell'economia nei Paesi beneficiari, dall'altro dava luogo ad una così stretta interdipendenza tra i diversi paesi determinando una situazione di estremo pericolo in caso di crisi.
La produzione industriale aveva superato la domanda di beni di consumo, perciò inevitabile erano i fallimenti di banche e imprese e di conseguenza un elevato tasso di disoccupazione.
Storici, economisti, politici di fronte alla crisi
Hebert Hoover, presidente degli Stati Uniti , credeva che la fase iniziale della crisi corrispondeva alla periodicità dei cicli, ma le ragioni dell' ampiezza e della gravità si dovevano cercare in Europa perché, tra i due paesi, dopo la guerra, si erano trasformati i rapporti economici su due punti essenziali.
Anzitutto, sul piano finanziario, gli Stati Uniti vantavano crediti rilevanti nei confronti di certi paesi europei, ma su tale problemi si avevano punti di vista divergenti: per gli americani tali debiti erano esigibili in ogni caso mentre, per gli europei essi erano collegati ai rimborsi dei danni di guerra tedeschi.
Si era formato un circuito che si fermava se uno degli anelli si spezzava, proprio come avvenne nel 1931 quando le banche tedesche cessarono la loro attività e la Germania sospese i pagamenti. In secondo luogo, sul piano produttivo, gli Stati Uniti, si trovavano a dover affrontare in misura crescente la concorrenza europea e quindi erano stati costretti a rivolgersi verso altri mercati per collocare la loro produzione. Questa tesi venne considerata da Roosevelt un argomento sostanzialmente politico che aveva lo scopo di far ricadere la responsabilità su altri così , a sostegno della propria opinione, utilizza un argomento di natura commerciale e uno monetario-bancario.
Appena apparvero i primi_ sintomi della crisi i produttori reagirono chiedendo l'aumento della protezione doganale, ma non avevano capito che il pagamento dei debiti da parte degli europei era collegato al presupposto di una bilancia commerciale favorevole e che il modo migliore per ottenerli era di lasciare aperto il mercato e non di chiuderlo come fece Hoover.
Il secondo argomento di ordine monetario e bancario, si riferisce alla politica seguita dal Federal Reserve Board, il comitato incaricato di sorvegliare la circolazione monetaria mediante le riserve bancarie. Scoppiato il panico in borsa ne seguì una contrazione del credito, cui sarebbe stato necessario rispondere sia riducendo il tasso di sconto, che allora era del 6%, sia con una politica di open market.
Il tasso di sconto subì sei riduzioni tra il 1929 e il giugno 1930, ma per quanto riguarda le operazioni di open market le banche restavano indecise probabilmente perché gli esperti non avevano valutato adeguatamente l'ampiezza della crisi.
In un saggio pubblicato nel 1934 dall'economista Lionel Robbins si attribuisce un influsso decisivo all'abbandono del tallone aureo da parte della Gran Bretagna considerato l'ultimo elemento d'unità fra le grandi potenze perché garantiva il funzionamento del commercio e dei pagamenti internazionali. Difficile da sostenere è che l'abbandono del tallone sia stato responsabile della crisi mondiale, mentre più conforme alla realtà è l'affermazione di Gaalbraith che considerava l'economia malsana.
Questa situazione economica è evidente nei seguenti sintomi:
1) Una buona ripartizione dei redditi, caratterizzata dalla loro concentrazione nelle mani di un piccolo numero di persone le cui decisioni influenzavano l'economia.
2) La legislazione americana aveva favorito il moltiplicarsi di banche nominalmente indipendenti, ma quando una ditali banche era in difficoltà i depositanti si precipitavano a ritirare il denaro, mentre i depositi presso le altre banche venivano congelati dando luogo ad una reazione a catena.
3) Insufficienza delle conoscenze economiche infatti il principio dell' equilibrio del mercato era considerato un dogma dato che il mantenimento ditale equilibrio significava un aumento delle imposte e una riduzione delle spese dello stato.
Sempre secondo Galbraith, il crac non fu la causa principale della crisi, ma ne fu il 'catalizzatore'. Il contesto economico era già deteriorato senza che ce ne fosse la percezione e per questo il disastro, una volta scatenato, prese forme così allarmanti.
Molto importante è il dibattito tra due economisti americani che ebbero in seguito entrambi il premio Nobel, Paul Sarnuelson e Milton Friedman.
Mentre il primo sostenne che la spiegazione della crisi era offerta da una catena di accidenti storici, il secondo utilizzava una spiegazione monetaria. Per Friedman la crisi derivava dalla contrazione senza precedenti della massa circolante che scendeva di un terzo e che si può spiegare con tre fattori: la moneta avente potere moltiplicatore, il rapporto tra depositi e la liquidità delle famiglie, il rapporto tra depositi e le riserve bancarie.
Per Friedman la crisi si presentava come una successione di mini-crisi monetarie e bancarie tali da deteriorare ogni volta di più la fiducia dei depositanti i quali convertirono le loro disponibilità in contanti.
La contrazione dei depositi determinò una diminuzione degli utili delle banche le quali, per mantenere il credito, furono obbligate a liquidare in perdita il loro portafoglio ; di qui il moltiplicarsi dei fallimenti.
L'interpretazione monetaria è stata messa in discussione da Petert Temin perché a suo parere, non esiste alcuna prova di una 'pressione deflazionistica' da parte delle banche nel periodo che intercorre tra il crac di Wall Strett e l'abbandono del tallone aureo da parte della Gran Bretagna nel 1931.
Se ci fosse stata una pressione monetaria, sarebbe stata possibile rilevarla sui mercati finanziari tramite una crescita del tasso d'interesse a breve periodo il che non accadde in alcun momento nel corso di quei due anni. In secondo luogo, è vero che la disponibilità monetaria si ridusse, ma ciò avvenne meno rapidamente in confronto ai prezzi.
La crisi, secondo Temin, è il riflesso e non la causa della depressione infatti i possessori di azioni, i cui profitti diminuirono contemporaneamente all'assottigliarsi dei loro capitali, ridussero i consumi proprio come reagirono gli agricoltori i quali dovettero far fronte alle conseguenze del cattivo raccolto del 1929. Nonostante ciò, l'interpretazione monetaria non deve essere ritenuta superata in quanto Temin si riferiva al periodo compreso tra il 1929 e il 1931, mentre Friedman aveva preso in considerazione il complesso della crisi.
Soltanto lo storico Kindleberger restituisce alla crisi le sue dimensioni internazionali e storiche anche se poco convincenti per gli economisti.
Kindleberger cerca la spiegazione della crisi nello spostamento del centro stabilizzatore dell'economia infatti, prima del 1914 esisteva solo a Londra, dove la City garantiva 1' equilibrio fra i flussi economici dei diversi paesi, ma dopo il 1918 questo centro si sposta verso New York senza che Londra rinunci alle sue funzioni. Negli anni venti Londra e New York si fanno concorrenza in un sistema bipolare che è incapace di controllare l'economia mondiale , infatti secondo questa interpretazione, la crisi è la principale manifestazione.
La società americana e la crisi
Per quanto riguarda l'aspetto sociale, i dati numerici sono molto incerti per la mancanza di un censimento complessivo.
Tuttavia i disoccupati si possono attestare a 14-15 milioni anche se la disoccupazione appare differenziata in ragione dell'età, del sesso e della razza.
Riguardo all'età, almeno nell'industria, i giovani ne furono i più colpiti come gli anziani, mentre più stabile restò il tasso di occupazione tra i dipendenti nella piena età lavorativa.
La durata dei periodi di disoccupazione è più breve per le donne che per gli uomini in quanto le prime venivano impiegate maggiormente part-time.
Dovunque la percentuale di disoccupati è maggiore per i neri che per i bianchi.
L'uomo d'affari, che aveva precedentemente prodotto la prosperità, veniva ritenuto responsabile della crisi . Il presidente Hoover, deluso al vedere che le sue formule non sanavano l'economia, sollecitò nel 1932 un'inchiesta senatoriale su Wall Strett che mandò in frantumi la tradizionale immagine del finanziere. Il prolungarsi della depressione faceva sorgere dei dubbi non solo degli uomini d'affari, ma sullo stesso capitalismo soprattutto nel modo in cui il sistema distribuiva i beni.
Mentre la gente era affamata, i raccolti marcivano nei campi, mentre numerosi bambini si trascinavano a scuola con scarpe di cartone, i calzaturifici erano costretti a restare chiusi. Questa situazione spinse gli agricoltori all'azione violenta: bloccarono le strade statali con tronchi e pali telegrafici abbattuti, bucarono i pneumatici con i forconi. Fra le più importanti attività di questi battaglieri agricoltori vi fu la 'penny sales' cioè ogni volta che uno sceriffo poneva in vendita la proprietà di un agricoltore fallito, i suoi amici sbarravano il passo a tutti gli eventuali acquirenti e acquistavano loro ogni cosa a prezzi bassissimi per poi restituirli.
Nonostante questi movimenti, la maggior parte dei disoccupati accettavano supinamente il proprio destino: c'era in loro un qualcosa di morto, nessuna voglia di lottare. Molti americani finirono col perdere la fiducia nell'intero sistema tanto che la gente cominciò a domandarsi se non si stesse assistendo al tramonto di un'era.
Il New Deal negli Stati Uniti
Gli storici e il New Deal
New Deal è il nome dato dal presidente Franklin D. Roosevelt al 'programma' che egli ideò, sviluppò e applicò dopo la sua elezione alla presidenza degli USA avvenuta nel 1933.
Questa esperienza si può considerare conclusa nel 1939 con l'inizio della seconda guerra mondiale, che portò un diverso orientamento politico.
L' interpretazione del New Deal da semplice, come agli inizi, è diventata sempre più complessa e critica.
Da una parte, Roosevelt e New Deal, suscitarono fiducia e speranza; dall'altro, invece prevalsero atteggiamenti di avversione che ebbero libero sfogo negli anni dell'immediato dopoguerra. La critica contro il New Deal raggiunge una dimensione storica nell'opera di Edgar E Robison il quale riflette le idee conservatrici del periodo considerandolo responsabile della rovina del sistema capitalistico e dell'instaurazione del Welfare State causando la crisi dell'iniziativa individuale. Lo sviluppo della burocrazia e il controllo dell'economia da parte dello Stato costituendo le due piaghe maggiori di questa politica che si oppone a tutta la tradizione americana.
Tuttavia quella di Robinson resta una voce isolata nel panorama della storiografia degli anni cinquanta, in cui prevalgono posizioni di consenso.
A rendere grande il New Deal è proprio l'ampiezza di queste concessioni fatte a tutti i settori della società, in particolare ai più sfavoriti dalle amministrazioni precedenti, ad un'abile politica di conciliazione verso i sindacati riconosciuti e invitati a discutere con i rappresentanti del mondo degli affari . Nessuno esperimento analogo era stato prima tentato.
Lo storico Schlesinger mostra interesse per le grandi riforme come il National Recoveru Act, la legge sul risanamento industriale, la determinazione dell'orario di lavoro e del salario minimo, la rinuncia al lavoro infantile, la lotto contro il lavoro nero. Tutto ciò era fino ad allora sconosciuto nella giungla del capitalismo americano come anche i provvedimenti sociali presi nel 1936: lavori pubblici, assistenza sociale, provvedimenti antimonopolistici riconoscimento della libertà sindacali, primi passi nell'assistenza sociale.
Fino ad allora il governo rappresentava strettamente gli interessi dei bianchi anglosassoni e protestanti, mentre con Roosevelt nuovi gruppi sociali raggiunsero posizioni di rilievo, non solo perchè ottennero dei vantaggi, ma anche perchè la loro posizione nella società venne riconosciuta.
In questo modo il New Deal è presentato come un'esperienza profondamente originale e innovativa, il cui successo fu parziale perchè nel 1941 vi erano ancora milioni di disoccupati, le classi medie ne uscirono rinforzate sia nel potere che nel numero, ma restarono ancora molti emarginati: i neri, i contadini poveri, gli operai non specializzati.
E' un'abitudine consolidata parlare di un primo New Deal, dal 1933 al 1935, di un secondo dal 1935 al 1937 e anche secondo alcuni di un terzo, successivo alla recessione del 1937.
Il primo blocco di provvedimenti ebbe l'obiettivo di portare gli Stati Uniti più rapidamente possibile fuori dalla depressione, ripristinando il credito, rilanciando la produzione industriale (National Inustrial Recovery Act), ridando fiducia ai coltivatori (Agricultural Adjustement Administration), sviluppando una politica di grandi lavori (tra cui la Tennensse Valley Authority) e ridando lavoro ai disoccupati.
Alcuni di questi provvedimenti erano di facile applicazione a differenza di quelli relativi alla produzione i quali richiedevano un minimo di consenso tra gli imprenditori e i lavoratori, cosa che il governo federale era scarsamente attrezzato. La politica industriale si risolse in un completo fallimento e la politica agraria, caratterizzata dalla distruzione di stock, era difficile da far comprendere ai disoccupati che continuavano a patire la fame.
Il secondo New Deal consiste nella risposta politica a questi problemi e a questa diffuse scontentezze. Dal 1935 il governo rilanciò l'attività riformatrice secondo una triplice direttiva: un miglior uso delle risorse nazionali; sicurezza della vita contro la disoccupazione (Work Progress Administration e la legge Wagner che riconosceva i diritti sindacali); la vecchiaia e la malattia (legge che istituiva la sicurezza nazionale, ma che escludeva la salute); lotta contro le cose malsane e miglioramento dell'ambiente. Si trattava della prosecuzione di ciò che era stato realizzato precedentemente. Con la recessione del 1937, che rimise in causa tutti gli sforzi compiuti, si parla di terza tappa del New Deal. In quell'anno il governo, ritenendo che fosse assicurato il ritorno alla prosperità, abbandonò la politica di rilancio della produzione e dei consumi. In realtà, la convalescenza non era ancora stata raggiunta e questo spiega il ritorno alla crisi. I rimedi utilizzati furono un intreccio di politiche precedenti completata da una ripresa dell'azione contro i monopoli, unica innovazione di questa terza fase.
La teoria di Keynes
Le idee di Keynes incontrarono difficoltà e diffidenza negli ambienti conservatori, ma anche favorevole accoglimento presso quegli economisti che, nella cerchia di Roosevelt, si era no scostasti dai sacri principi della tradizione classica e avevano avviato una politica economica pragmatica. Keynes nello scritto 'La fine del laissez-faire ' afferma che non è vero che gli individui possiedono una 'libertà naturale' ne è vero che l'interesse egoistico sia generalmente illuminato.
Keynes non proponeva l'abolizione della libera impresa, ma un capitalismo 'saviamente governato' dallo stato mirante a guidare il mercato. Questo intervento non deve sostituire i privati nelle attività che possono compiere, ma assumere le decisioni che nessuno vuole prendere. Nel 1930 Keynes pubblicò il 'trattato sulla moneta', rivoluzionando concetti economici che erano pacificamente accettati da tutti. Mentre secondo la teoria tradizionale, risparmio e investimenti coincidono, secondo Keynes tale coincidenza, se c'è, è del tutto casuale in quanto, nel capitalismo avanzato, le decisioni sono prese da soggetti diversi in base a motivazioni diverse e indipendenti le une dalle altre. Per Keynes il risparmio non dipende dal saggio d'interesse essendo condizionato dal livello del reddito. L'errore della teoria classica è nel riconoscere che una diminuzione di consumi possa condurre, anzichè a un aumento degli investimenti, a una riduzione della domanda complessiva e alla conseguente disoccupazione. Perciò, la teoria classica non riconosce che vi possa essere un 'disoccupazione strutturale' come quella che in realtà si ebbe su larghissima scala a partire dal 1929. Le osservazioni di Keynes ponevano con forza l'esigenza che l'economia non venisse lasciata al libero gioco degli interessi privati, ma regolati da una provvidenziale 'mano invisibile'. In una lettera del 1933, Keynes sollecitava il presidente Roosevelt a porre un enorme rilievo all'aumento del potere di acquisto nazionale risultante da spese di governo finanziate da prestiti.
Egli era convinto che la depressione in corso non fosse un evento congiunturale, un delle solite crisi che il sistema avrebbe prima o poi assorbito spontaneamente con la riduzione dei salari per rilanciare l'economia.
L'idea che la riduzione dei salari avrebbe accresciuto l'occupazione diminuendo i costi di produzione, così come l'idea che la disoccupazione derivasse dalla scarsa propensione al risparmio, erano 'concezioni rozze'.
Sovvertendo l'impianto classico, Keynes sosteneva invece che il male maggiore fossero proprio l'eccessiva propensione al risparmio e la compressione dei salari, che sottraevano i capitali agli investimenti produttivi e quindi alla ripresa, al risparmio della domanda e al riassorbimento della disoccupazione. Era necessario accrescere la domanda globale attraverso l'impiego da parte del governo di risorse finanziarie contraendo prestiti anche se ciò comportava la caduta di un altro 'mito' dell'economia classica, la parità del bilancio statale.
Ciò mise in moto il cosiddetto moltiplicatore degli investimenti proprio come è descritto nel seguente schema.
Nel momento in cui lo Stato interviene mediante la spesa pubblica, i percettori di nuovi o maggiori redditi spenderanno tali introiti di beni di consumo che dipende dalla loro propensione marginale al consumo.
Più elevata la propensione al consumo, maggiore sarà la percentuale di reddito che 'rientra' nella produzione e il processo moltiplicativo del reddito conseguente a un incremento negli investimenti.
Il New Deal non è sufficiente a far uscire gli Stati Uniti dalla depressione
Quanto alla grande depressione, il New Deal non la risolse: disoccupazione e stagnazione economica continuarono per tutti gli anni trenta, anche se gli effetti negativi di esse furono mitigati dall'azione del governo. Nel 1937 i disoccupati erano ancora il 10% della popolazione e soltanto con l'ingresso degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale determinò la vera e propria ripresa economica del paese.
I progressi furono lenti infatti l'indice generale della produzione del 1939 era di poco superiore a quello di dieci anni prima con posizioni di vantaggio delle industrie di prodotti di consumo (alimentari, tessili) sull'industria pesante.
Si tratta di dati globali che nascondono grandi discrepanze: gli agricoltori migliorarono le loro posizioni più degli operai non qualificati e i bianchi più dei neri.
Gli errori, tanto politici quanto economici, accumulati da Roosevelt, furono la conseguenza di un pragmatismo che a volte sfiorava il dilettantesimo, ma li compensò con un uso magistrale e senza precedenti dell'azione psicologica e dei mass media.
Con i suoi discorsi, le apparizioni in pubblico, Roosevelt sviluppò l'arte di trasformare la malinconia degli americani in speranza, inculcò l'immagine di un paese che stava ritrovando la prosperità proprio quando gli indici economici restavano su livelli insoddisfacenti. Dopo tutto, più che la realtà stessa, ciò che conta ~ la rappresentazione che della realtà si fanno coloro che la stanno vivendo. Il New Deal non costituì un successo, ma i contemporanei americani e non la concepirono come un'esperienza riuscita, capace di generare modelli e imitazioni.
Le caratteristiche della crisi in Italia
La catastrofe economica degli Stati Uniti si propagò in tutto il mondo e perciò anche in Europa dove il ritiro dei capitali statunitensi e l'arrivo sui mercati di prodotti a prezzi bassissimi determinarono l'arresto della produzione.
In una prima fase parve che l'Italia potesse reggere bene ai contraccolpi della crisi. Quando le banche austriache e tedesche decretarono la chiusura degli sportelli, l'Italia fu scarsamente danneggiata dal provvedimento dato i pochi immobilizzi in questi paesi. Anche i debiti a lunga scadenza, che non raggiungevano i 190 milioni di dollari, si contenevano entro cifre sopportab iii.
Si diceva che il fatto che l'Italia avesse pochi debiti con l'estero fosse dovuto alla diffidenza che le banche straniere avevano verso il fascismo, ma ciò venne diffusamente interpretato come una grande fortuna. La povertà, lo scarso sviluppo del nostro sistema capitalistico ci metteva al sicuro dai riflessi della grande crisi che faceva traballare le più salde economie industriali.
Erano ragionamenti da populismo, ma che pure erano diffusi nell'opinione pubblica.
Mentre ci si congratulava del fatto che il nostro paese avesse pochi investimenti e pochi debiti con l'estero, si scopriva che qualcosa non funzionava più nel rapporto banche-industrie. La crisi aveva portato un aumento impressionante di fallimenti con un'inevitabile contrazione delle esportazioni, un aumento della disoccupazione, un aggravamento del debito statale interno, una valutazione delle riserve auree e una drastica riduzione dei salari e degli stipendi.
E' importante conoscere la storia della nostra organizzazione bancaria per capire quanto successe negli anni trenta nella nostra economica. Le grandi banche italiane erano sorte quando l'industria italiana aveva in cominciato a svilupparsi cioè tra l'ultimo decennio dell'ottocento e i primi anni del novecento. Le banche finanziavano le industrie con impegni che richiedevano lunghe scadenze, ma i depositi cui attingevano le banche erano invece esposti al rischio che i depositanti chiedessero da un giorno all'altro il rimborso.
Lo Stato era più volte intervenuto per tamponare questa situazione critica o emettendo carta-moneta o accollandosi il carico delle industrie deficitarie che erano legate alle banche.
Questo tipo di banca, definita mista, ispirata a modelli tedeschi, durò fino a quando la crisi non assunse le proporzioni di un fenomeno generale che minacciava di travolgere le nostre più grandi banche: dalla Banca Commerciale al Credito Italiano al Banco di Roma. Costretta a ridurre la propria produzione e a licenziare gli operai, le industrie continuarono a rivolgersi alle banche per avere nuovi crediti. A loro volta le banche incontravano crescenti difficoltà ad acquistare nuove azioni industriali, data la politica deflazionistica cioè di contrazione della circolazione monetaria perseguita dal fascismo. In questo clima di incertezze e di confusione, maturò la trasformazione del sistema bancario italiano.
Nel 1931 venne creato l'LMIL (Istituto mobiliare italiano), un consorzio bancario pubblico avente il fine primario di erogare presiti a medio termine alle imprese affinché procedessero a sviluppare gli investimenti. L'attività delle banche fu sottoposta alle regole e ai criteri dell'Istituto di liquidazione, ma nemmeno con questo aiuto le banche riuscirono a liberarsi dei forti indebitamenti con le industrie. Nel 1933 fu costituito l'Istituto per la ricostruzione industriale (IRJ), che assorbì l'Istituto di liquidazione.
L'IRI incorporò tutte le partecipazioni delle banche nelle aziende industriali e assunse in proprio i debiti delle banche nelle aziende industriali e quelli delle banche di credito ordinario verso la Banca d'Italia.
Acquistando tutte le attività delle banche l'IRI veniva anche in possesso delle società che detenevano il controllo, nasceva 'lo Stato imprenditore'.
L'IRI fu l'ente destinato a realizzare la conversione da banca mista a banca di credito ordinario (tipico dei paesi economicamente più progrediti presso i quali tende a realizzarsi una netta separazione tra finanziamenti a breve termine con quelli a medio- lungo termine.
Attraverso il rilievo delle partecipazioni bancarie nelle industrie, l'IRI tra il 1936 e il 1942 riuscì a controllare un insieme di società pari al 44% del capitale azionario italiano. In questo grafico sono evidenziate le società che, alla vigilia della seconda guerra mondiale concorrevano alla produzione nazionale.
A questo punto possiamo chiederci quale differenza può stabilirsi tra l'IRI, fattore centrale nella dinamica dello sviluppo industriale nel nostro paese, ela politica americana del New Deal. Anzitutto in quest'ultimo éinscindibile la connessione tra una politica tendente a rimettere in moto i meccanismi economici e i programmi di rinnovamento sociale, sostenere dalle forze democratiche e sindacali. L'operazione IRI non ebbe nessun interesse socio-sindacale anche perchè non sarebbe stato possibile sotto il fascismo che aveva abolito i sindacati tradizionali.
L'operazione IRI non rivestì i caratteri specifici di una scelta di regime, infatti la dirigenza dell'IRI dovette con molte abilità difendersi da tutti i tentativi che vennero fatti per subordinarla alla disciplina delle corporazioni fasciste.
The Wall Street crash and the New Deal
During the first World War, American business interests flourished. Weapons and food were sold to the Allies and there was a great increase in exports to world markets at that time when an exhausted Europe could offer little competition in world trade. All American banks, in order to encourage the agricultural and industrial production opened credit to anybody.
The mania to 'get rich quick'spread among the whole population. One way was to buy the shares of money to be able to take part in the gamble, without thinking about the true value of what they were buying. The Europe started again to produce enough for its necessity so that some commercial prohibition impeded the American business. The over production had hed to a fall-off in trade and company profits, the warkers were laid off.
The banks called on their clients to sell their shares but there were no buyers, this produced panic and on October 24, 1929 there was 'the Wall Street Crash'.
America was plunged in to the Great Depression. The president Hebert Hoover could take no drastic action and his democratic opponent, Franklin D. Roosevelt argued that the depression had been aggravated by Republican policies. American bankers and financiers lent vast sums to France, Britain and Germany. Germany had to refund war damages to the Allies but Hoover didn't understand that the payment of debts was conneted to a favourable commercial balance of the Europeans countries. In 1933, Roosevelt was elected President after having promised the American people a 'New Deal' . He wanted to give relief to the suffering brought on by the depression and helped firms and businessmen to get back to work providing them with financial aids. In agriculture the Congress passed an act providing that the government should give money to formers who would be devote to Roosevelt's political party, the new Act likewise provided loaris on surplus craps, insurance for wheat.
Soon, prices of agricultural commodities rose and economic stability for farmers began to seem possible.
The federal government spent thousands of million of dollars on rerlief of the unemployed, on public work and the conservation of national resources. The economy slowly began to improve, but by the end of 1937 business began to flounder once again since the first War World. Great Britain was one of the countries that less suffered the 'Wall Street Crash' because it had got the resources coming from the biggest colonial empire of the world and colonies formed a market for the British manufact. This privilege was the cause of weakness because Great Britain did not invest capitals for the renovation causing the technical backwardness of the old base industry to favour of Germany, Japan and United States.
In spite of the big colonial empire, recession struck Great Britain causing a decrease of 30% of the production and three million of unemployment in 1930. James Ramsay Mac Donald's labour government acted a deflationary politics in order to avoid the devalutation of the pound (whose conversion in gold was stopped in 1931) and replaced the free commerce with the protectionism.
Bibliografia
L'argomento è così vasto che non è pensabile che si possa offrire una descrizione esaustiva delle fonti. Le fonti sono di natura varia e comprendono fra l'altro i seguenti documenti:
'La crisi del 1929' e il New Dea! negli Stati Uniti'di Claude Foblen; 'La crisi del'29 e la grande depressione' di Giambattista Picinali; 'Le trasformazioni sociali' di Gabriele De Rosa;
'Crisi e recessioni economiche' di Dionisia Cazzaniga;
'Storia 1789-1989' di Antonio Brancati;
'Target' of Maurizio Gotto;
'ON Britain and The States tasks' of Mariella Moretti;
'Snapshots' of Margherita Cumino;
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