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La crisi del capitalismo




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LA CRISI DEL CAPITALISMO


Con il primo trentennio di questo secolo il sistema capitalistico, ormai fortemente radicato nella società occidentale, vacilla: sembrava avverarsi la profezia di Marx sull'ultima fatale crisi del capitalismoche invece non crollò, piuttosto si trasformò.

Protagonista di rilievo di questa trasformazione è certamente J.M.Keynes. Egli era fermamente convinto che anche l'economia fosse un mezzo buono per migliorare le condizioni di vita degli uomini e delle nazioni

Come si spiegava che paesi economicamente progrediti si trovassero in situazioni di prolungato ristagno e di disoccupazione di massa?

La teoria economica allora dominante, basata sul potere di autoregolamentazione dei mercati fondato sulle reazioni ottimizzanti dei singoli operatori e sulla flessibilità dei prezzi, non riusciva a reagire adeguatamente alla depressione.

"L'approccio macroeconomico è caratterizzato dall'abbandono di quello che è stato chiamato individualismo metodologico E' proprio svincolandosi da quest'obbligo, e quindi studiando direttamente le relazioni tra le grandezze economiche aggregate -ad esempio la relazione tra consumo e reddito di una nazione- che Keynes riesce a dare dignità scientifica all'idea che il livello e le fluttuazioni dell'attività economica complessiva dipendano dalla maggiore o minore pressione esercitata dalla domanda di beni sul sistema produttivo."[2]

Keynes dimostra che nel sistema economico capitalistico la 'piena occupazione' si realizza raramente: la norma delle economie moderne è l'equilibrio in uno stato di 'sottoccupazione'.

La prolungata crisi depressiva e di disoccupazione strutturale non era risolvibile con i mezzi teorici della tradizione di pensiero economico ortodosso:

"Abbiamo cambiato la filosofia della nostra vita economica, la concezione di ciò che è 'ragionevole' e di ciò che è 'accettabile': la trasformazione è stata impercettibile e si è verificata mentre conservavamo immutate le nostre tecniche e le nostre massime da sussidiario. Da qui i nostri guai e i nostri pianti".

La teoria economica non aveva mai negato la validità della legge degli sbocchi del Say, né l'efficacia equilibratrice insita nella variazione dei prezzi, dei salari e del saggio di interesse: la 'Teoria dell'occupazione, dell'interesse e della moneta' è la prima critica sistematica a questa concezione.

Keynes vuole dimostrare che nel sistema economico non esistono forze spontanee capaci di assicurare la piena occupazione delle risorse produttive: per raggiungere questo stadio particolare è necessario assegnare un ruolo attivo allo stato.

Egli ripropone il problema morale che la teoria del laisser faire - laisser passer aveva messo in secondo piano: [4] la composizione armoniosa di interessi in conflitto non è automatica e scontata.

In realtà approva il sistema capitalistico nell'insieme, ma contestualmente cerca di migliorarlo e renderlo più efficiente anche 'socialmente'. Lo stato di sottooccupazione tipico dei sistemi regolati dal mercato viene affrontato mediante gli strumenti dell'analisi macroeconomica.

La proposta keynesiana di politica economica verte soprattutto su un ruolo attivo dello Stato, che con interventi di spesa pubblica, può aumentare consumi e investimenti per arrivare a livelli di piena occupazione. Tuttavia: 'L'intervento statale non deve abolire la mano invisibile, ma aiutarla a funzionare, E' l'origine della nuova filosofia del mercato amministrato'[5]

Così l'impegno dello Stato per regolare l'economia e migliorarne gli andamenti, sono divenuti parte integrante dell'attività di governo.

A sua volta lo stato rappresentativo a suffragio universale si è inserito nella realtà economica e le politiche di molti paesi hanno assunto una veste inedita, sono divenute 'politiche sociali': è il preludio al Wellfare-state.

Nel periodo 1950-1973 la crescita economica non ha conosciuto significative interruzioni (l'età dell'oro) in un contesto di alta occupazione, di elevata stabilità monetaria e di politiche sociali. Nel 1973-74 lo 'shock petrolifero' getta il primo seme di dubbio.

L'età dell'oro, in effetti, fu un periodo di grandi successi economici per i paesi industrializzati e in particolare per l'Europa. Ma la definizione che caratterizza, a ragione,  questo periodo non può nascondere che questi successi si distribuirono in modo non equilibrato all'interno dei diversi paesi e tra paesi diversi.

La causa di questa particolare crescita economica è forse la compresenza di alcune condizioni favorevoli: un insieme di relazioni internazionali collegato  ad un "ben congegnato pacchetto di interventi di politica economica interna"; "una felice integrazione di intervento pubblico, relazioni sociali e incentivi economici".

Ma il "forte deterioramento  nelle modalità di gestione della cosa pubblica ed il progressivo trasformarsi, in molti paesi, del keynesismo responsabile in quello che è stato definito il keynesismo delinquenziale impedirono alla politica di correggere le disfunzioni dell'economia di mercato."

La seconda metà degli anni settanta, segnò in Occidente un declino della politica keynesiana, che considerava la spesa pubblica come il volano della propensione agli investimenti ed ai consumi e quindi alla crescita economica 

La crisi dello stato sociale, che esploderà solo più tardi, taluni la fanno risalire alla "contraddizione di fondo implicita nel modello (che) è rimasta più o meno nascosta fino a che il reddito nazionale ha continuato a crescere  a ritmi sostenuti e il sistema ha trovato conveniente finanziare la pacifica convivenza della parte garantita della popolazione con la parte assistita, e accrescere, attraverso l'assistenzialismo, il potere di acquisto della popolazione stessa; essa (la contraddizione) è divenuta manifesta quando i ritmi di crescita si sono ridotti o sono del tutto caduti, e i prelievi dello Stato sono divenuti insostenibili per le imprese e le famiglie."





L.Bruni Città Nuova n° 12/96

B.Gui, op. cit. p.82

J.M.Keynes citato da L.Barca in Da Smith con simpatia Ed. Riuniti '96 Roma p.99 F.Vicareli:Keynes, l'instabilità del capitalismo, il Mulino BO 1989

J.Robinson Ideologia e scienza economica p.122/24

Screpanti-Zamagni, Profilo di storia del pensiero economico, NIS 1995

AAVV, Manuale di Storia  Contemporanea Ed. Donzelli. p.472 e succ.

id.

L.Barca op. cit. p.68

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