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Economia e problemi dell'italia unita e inizio dello sviluppo capitalistisco




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ECONOMIA E PROBLEMI DELL'ITALIA UNITA E INIZIO DELLO SVILUPPO CAPITALISTISCO


Si è accennato alla sostanziale arretratezza dell'economia italiana all'indomani dell'unificazione. L'Italia era fondamentalmente un paese agricolo: sono nelle regioni padane , tuttavia si era avuto in questo settore un processo di modernizzazione, avviato dai proprietari delle terre, con un sviluppo ed una produzione più consistenti. Nel resto d'Italia la situazione si presentava molto meno progredita; nel meridione, in particolare , continuava a dominare il sistema dei latifondi, vastissime estensioni di terre sulle quali lavoravano, per compensi estremamente bassi, molte migliaia di contadini, il rendimento di queste terre era minimo, soprattutto per lo scarso interesse da parte dei proprietari ad introdurre nuove tecniche o ad investire nuovi capitali per migliorare la produzione. L'alimentazione e le condizioni igieniche dei contadini erano dovunque molto precarie ed ampia era la diffusione di malattie come la pellagra e la malaria. Lo squilibrio esistente fra Nord e Sud era confermato anche dalla situazione delle industrie. In Piemonte, Lombardia, veneto erano da tempo avviate manifatture tessili di una certa importanza e l'industria pesante era quasi inesistente. Se nel centro si era sviluppata attorno a Prato una discreta attività tessile, accompagnata, nell'isola d'Elba, dell'estrazione del ferro, nel sud il settore industriale era pressoché assente. I primi governi, guidati dalla destra, dovettero cimentarsi con il problema dell'organizzazione amministrativa dell'Italia. Fu deciso di trasferire al nuovo stato unitario gli ordinamenti e la struttura amministrativa del regno di Sardegna. Lo statuto Albertino era diventato la costituzione dell'Italia e la legge elettorale piemontese era stata estesa a tutto il paese. Venne unificato il codice civile e venne inoltre istituito il servizio militare obbligatorio e che suscitò un forte malcontento perché sottraeva alle famiglie contadine forze più giovani indispensabili al lavoro, la durata era di 5 anni. Nel tentativo di sanare il bilancio dello stato fu inoltre deciso un aumento delle tasse, la più celebre di questa imposta e la più odiata, fu la tassa sul macinato che venne introdotta da Quintinio Sella nel 1868. Si verificarono disordini e insurrezioni, repressi con le armi delle forze dell'ordine. Nel 1876 venne raggiunto il pareggio del bilancio. I problemi del sottosviluppo nelle regioni del mezzogiorno , definito nel suo complesso "questione Meridionale" suscitò un crescente interessamento fra i politici e gli studiosi che cercarono di analizzare le cause di questo fenomeno e di proporre rimedi.

Fra i primi e più prestigiosi meridionalisti va citato Pasquale Villari, che riteneva un dovere, per la nuova classe dirigente, il tentativo di sottrarre alla miseria e all'arretratezza le regioni del sud, anche per evitare il rischio di rivolte a sfondo sociale. La questione della terra costituiva un aspetto fondamentale del complesso problema dell'arretratezza del mezzogiorno, un problema che aveva ragioni storiche precise, precedenti all'unificazione del paese: la struttura sociale ancora tipo feudale, il predominio della grande libertà latifondista, il dominio plurisecolare del baronaggio, geloso detentore di tutti i privilegi e le miseria estrema dei contadini. D'altro canto, con la nascita del nuovo regno d'Italia, la situazione non conobbe sostanziali miglioramenti. Le terre rimasero nelle mani dei signori e i braccianti non migliorarono le loro povere condizioni. La gente del sud   deve ancora sopportare le ingiustizie e lo strapotere dei più forti, ma comincia a prendere coscienza della propria funzione sociale dando vita alle prime forme di contestazione sociali. Il brigantaggio non è altro che protesta selvaggia e brutale contro antiche e secolari ingiustizie, delusioni che seguirono alle speranze accese dalla rivoluzione Garibaldina in conseguenza dei pesanti carichi fiscali imposti dal nuovo governo. Il brigantaggio non è soltanto una reazione alla repressione statale contro i gravami imposti dallo stato unitario, ma anche violenza armata per vendicare le sopraffazioni e i tradimenti dei galantuomini. Indubbiamente, tra i briganti non pochi furono quelli che la miseria, l'ignoranza, la mancanza di lavoro certo e anche gli istinti perversi li spinsero a malfare e a porsi fuori dalla legge comunemente accettata per soddisfare ciechi impulsi di vendetti e di rapina. Molti altri furono posti dalle circostanze e dalla società in cui vissero, dinanzi all'alternativa di vivere in ginocchio o di morire in piedi. Il fenomeno del brigantaggio diviene il problema principale del meridione e del regno, i diversi governi che si susseguono fanno di tutto per abbatterlo, vennero perfino redatte delle leggi speciali. Il fatto più significativo è che nel 1865 vennero impiegati 1200.000 uomini contro il brigantaggio. L'operazione militare cancellò ogni residua traccia dei briganti, ma non risolse il problema agrario e sociale del mezzogiorno, al contrario servì a confermare e consolidare l'egemonia economica e politica della borghesia agraria e la soggezione dei contadini. L'annessione del sud al regno d'Italia non è da considerarsi perciò una grande impresa se inquadrata sotto certi aspetti, infatti lo storiografo meridionalista NITTI dimostrò con i fatti che l'annessione al regno d'Italia non risolvette i problemi del meridione, anzi li aggravò, poiché i soldi del sud erano sempre stati usati a favore del nord. Anche Antonio Gramsci mette in primo piano il ruolo dei contadini meridionali osservando come le scelte operate dalla classe dirigente siano state le componenti essenziali che hanno dato spinta di sviluppo economico al Nord, fossilizzando sempre di più il sud. Anche dopo la caduta del fascismo, la giovane repubblica italiana si trova di fronte ad un importantissimo problema ancora irrisolto: lo sviluppo del mezzogiorno e la questione contadina. Gli interessi per i problemi e la gente del mezzogiorno sono sempre vivi, lo stanno a dimostrare le inchieste parlamentari o i saggi di importanti personaggi del mondo culturale e politico e non solo anche opere di carattere letterario che volsero il loro interesse al mondo dei poveri e dei diseredati del sud. Nel primo periodo del nuovo regno unitario era stata impostata l'unificazione politica e amministrativa del paese, raggiungendo il alcuni importanti risultati fra i quali il pareggio del bilancio dello stato. Le elezioni del1876 videro la vittoria della sinistra che si presentava con un programma basato su un piano di riforme sociali. Con DEPRETIS venne abolita l'impopolare tassa sul macinato; fu istituita una riforma scolastica che prendeva 2 anni di scuola elementare gratuiti e obbligatori e fu approvata la riforma elettorale che portò ad un sensibile aumento del numero dei votanti. Nel primo periodo dei governi della sinistra si avviò anche in Italia un processo di industrializzazione che partì in evidente ritardo dal resto d'Europa. Lo sviluppo industriale fu agevolato anche dall'atteggiamento protezionista assunto dal governo; l'industria locale veniva protetta dall'applicazione dei dazi sulle merci provenienti dall'estero, rendendo più conveniente l'acquisto dei prodotti nazionali- nel settore dell'industria siderurgica, l'intervento dello stato fu massiccio: esemplare fu il caso delle grandi acciaierie di Terni fondate nel 1884. Sempre lo stato venne in aiuto ai cantieri navali. Negli anni 80 assistiamo alla crisi agraria con l'arrivo del grano americano sui mercati europei con un basso costo determinando la scomparsa rapida della piccola proprietà contadina. Il rapporto tra il nord ed il sud si precisa sempre più come un rapporto di tipo coloniale fondato sullo scambio ineguale. L'Italia insomma era effettivamente agli inizi del suo sviluppo capitalistico moderno, sia pure con ritardi e contraddizioni.


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