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Verso il disastro: le bombe su hiroshima e nagasaki




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VERSO IL DISASTRO: LE BOMBE SU HIROSHIMA E NAGASAKI


1 LA DECISIONE FINALE C'era da ritenere che l'Interim Committée, nuovamente convocato per consigliare il nuovo presidente (Truman), avrebbe mutato il suo giudizio, visto che le previsioni erano state notevolmente superate.


Harrison Brown [scienziato che lavorava a Oak Ridge]: Sapemmo della sfera di fuoco, della nube a forma di fungo e dell'intenso calore. Molti di noi firmarono una petizione indirizzata ad Almogrado, in cui si richiedeva che la bomba atomica non venisse impiegata contro il Giappone senza prima dare una dimostrazione invitando alla capitolazione. Pregavamo inoltre caldamente che il governo studiasse la possibilità di giungere ad un efficace controllo internazionale della nuova arma.


Ancora una volta la scarsa informazioni circa le reali condizioni del Giappone, nonché i numerosi bollettini di guerra sulle sanguinose battaglie contro i Giapponesi che facevano prevedere la perdita di numerose altre vite umane per la conquista del Giappone, ebbero il loro peso. E ancora una volta si cadde in errore quando chiedendosi se si disponesse di qualche altro mezzo capace di portare la guerra a una rapida fine, l'unica alternativa ad una guerra interminabile parve il lancio della bomba.


2 LA SITUAZIONE DEL GIAPPONE In realtà la resa del Giappone si sarebbe potuta ottenere con un'azione diplomatica dato che il Giappone, pronto per la capitolazione, era anche disposto alla capitolazione. Due diverse azioni giapponesi in tal senso vennero però bocciate da Washington (nonostante gli americani avessero anche già trovato la chiave del codice segreto giapponese e potessero in questo modo decifrare tutti i messaggi che circolavano tra le truppe giapponesi che dicevano tra l'altro: il Giappone è battuto. Dobbiamo guardare in faccia questa realtà e agire di conseguenza). C'era da temere che l'intero Manhattan Project, che aveva necessitato di più di 2 miliardi di dollari, venisse considerato un intenso spreco di denaro.



3 HIROSHIMA Il mattino del 6 agosto 1945 un Boeing B29 dell'aviazone americana [Enola Gay] sganciò la prima bomba atomica della Storia utilizzata a fini bellici sulla città giapponese di Hiroshima.


4 LA REAZIONE DEL GIAPPONE Non appena la notizia dell'esplosione della bomba raggiunse gli alti gradi dell'esercito giapponese si interpello lo scienziato Yoshio Nishina, che negli anni '20 aveva lavorato presso Bohr. Gli si chiese in particolare se sarebbe stato in grado di costruire un'arma analoga, con cui rispondere agli americani, in 6 mesi, periodo che le truppe giapponesi in un modo o nell'altro avrebbero comunque potuto reggere. La sua risposta fu inevitabilmente negativa.


Nishina: Nelle odierne circostanze non basterebbero neppure sei anni per costruire une bomba del genere in Giappone. Inoltre non abbiamo uranio.


L'unico metodo di difesa che consigliò lo scienziato fu di abbattere tutti gli aerei nemici che sarebbero comparsi sul Giappone. Proprio il fatto di aver partecipato alla ricerca atomica in Inghilterra sviluppò un senso di colpa in Nishina che non lo abbandonò più sino alla morte.


5 ALTRE REAZIONI Quando anche gli scienziati tedeschi catturati dall'operazione Alsos vennero a conoscenza di ciò che era accaduto, sorsero immancabilmente domande riguardanti soprattutto la questione che se la Germania avesse avuto la bomba avrebbe forse potuto chiedere condizioni di pace più favorevoli. La risposta comune fu che era una fortuna per la fisica tedesca potersi sentire libera da quella colpa che certamente gravava sugli scienziati atomici alleati. In realtà il senso di colpa non ebbe una diffusione così vasta.


Brode Certo, eravamo spaventati dall'effetto della nostra arma. Soprattutto perché non era stata rivolta, come pensavamo, contro gli impianti militari di Hiroshima, ma proprio contro il centro della città. Ma se devo dire tutta la verità, il nostro sollievo era ancora più grande. Finalmente le nostre famiglie sapevano perché eravamo scomparsi da anni. Ora era chiaro a tutti che anche noi avevamo fatto il nostro dovere. E noi stessi sapevamo infine che il nostro lavoro non era stato inutile. Io personalmente non provai alcun senso di colpa.


Costruttore Temevo che quell'altra bomba [su Nagasaki] venisse impiegata. Speravo che non la si sarebbe adoperata e tremavo al pensiero di quello che avrebbe potuto provocare. E tuttavia, se devo proprio essere sincero, smaniavo di sapere se questa bomba avrebbe giustificato le aspettative in essa riposte, insomma se avrebbe funzionato. Pensieri terribili, lo so bene, eppure non riuscivo a scacciarli.



6 NAGASAKI Il 9 Agosto dello stesso anno un'altra città giapponese fu rasa al suolo: Nagasaki.


Al secondo attacco atomico parteciparono anche tre scienziati con il compito di misurare se effettivamente questa seconda bomba (al plutonio e non più all'uranio) - il cui nome Fat Man (Uomo Grasso), contrapposto a quello dell'altra bomba, Thin Man (Uomo Magro), già sottolineava la sua natura maggiormente distruttiva - sarebbe stata più potente della precedente. Con una quantità minore di materiale ci si aspettava infatti un'esplosione notevolmente maggiore: assieme alla bomba si sganciarono così degli strumenti che avrebbero avuto il compito di trasmettere dati riguardo l'esplosione. Gli scienziati allegarono però ai 3 strumenti di misurazione sganciati sull'obiettivo una lettera indirizzata allo scienziato giapponese Sagane, con il quale avevano precedentemente lavorato, per metterlo in guardia sui futuri sviluppi della guerra.


Quartier generale, comando bombe atomiche                                                               9 Agosto 1945


A: Professor R. Sagane

Da: Tre scienziati (Alvarez, Agnew, Penney) già suoi colleghi durante il suo soggiorno negli USA


Le inviamo questo messaggio personale perché Ella voglia adoperare la sua influenza di illustre fisico nucleare per convincere lo stato maggiore giapponese che il Suo popolo soffrirà terribilmente se continua questa guerra. Lei sapeva da anni che era possibile costruire una bomba atomica, solo che una nazione fosse stata disposta ad affrontare le enormi spese per il materiale necessario. Ora lei sicuramente si è reso conto che noi abbiamo costruito le fabbriche necessarie, e non può dubitare che il prodotto di queste fabbriche, che lavorano ventiquattr'ore al giorno, verrà fatto esplodere sulla sua patria.

Nel giro di 3 settimane abbiamo sperimentato una bomba nel deserto americano, ne abbiamo fatta esplodere un'altra a Hiroshima e ne abbiamo lanciata una terza stamani.

La scongiuriamo di far presente questa situazione alle autorità e di fare quanto è in Suo potere per arrestare la distruzione e la perdita di vite umane: se questa distruzione continuasse non potrebbe che portare all'annientamento di tutte le sue città. Come scienziati ci rammarichiamo per l'uso che è stato fatto di una splendida invenzione, ma dobbiamo dirLe che questa pioggia di bombe atomiche diverrà sempre più spaventosa, se il Giappone non si arrenderà immediatamente.


Uno di questi messaggi fu rinvenuto e consegnato al destinatario. Quanto abbia contribuito alla resa giapponese non è chiaro, certo è che l'11 Agosto '45 si annunciò che il Giappone aveva offerto la resa incondizionata. Con il lancio della terza bomba ci si proponeva soprattutto di dare l'impressione che gli USA possedessero un intero arsenale di bombe atomiche. Questo bluff fu inconsapevolmente appoggiato dai 3 scienziati che stilarono la lettera in taluni punti alquanto ambigua. In realtà gli USA non avrebbero potuto avere nuove bombe prima di alcuni mesi.


7 I PILOTI Dopo il termine del conflitto, i militari che parteciparono ai 2 attacchi atomici furono contattati e intervistati da diverse testate giornalistiche che desideravano ottenere delle impressioni dirette da chi aveva partecipato personalmente alle importanti operazioni dell'esercito statunitense. Se qualcuno giunse al suicidio in preda ai rimorsi di coscienza, il pentimento non fu invece un sentimento universalmente condiviso.


Claude Eatherly [pilota che aprì la formazione di aerei su Hiroshima]: Ho volato su Hiroshima per 15 minuti per studiare i gruppi di nuvole; il vento le spingeva allontanandole dalla città. Mi pareva il tempo e il luogo ideale, così trasmisi il messaggio in codice e mi allontanai in fretta come mi era stato detto, ma non abbastanza. La potenza della bomba mi terrorizzò. Hiroshima era sparita dentro una nube gialla.


Tibbets [pilota che lanciò la bomba su Hiroshima]: Personalmente non ho rimorsi. Mi fu detto - come si ordina a un soldato - di fare una certa cosa. E non parlatemi del numero delle persone uccise. Non sono stato io a volere la morte di nessuno. Guardiamo in faccia alla realtà: quando si combatte, si combatte per vincere, usando tutti i metodi a disposizione. Non mi posi un problema morale: feci quello che mi avevano ordinato di fare. Nelle stesse condizioni lo rifarei.


Fred J. Olivi [co-pilota del bombardiere Bockstar di Nagasaky]: Non mi sono mai pentito di aver buttato la bomba su Nagasaki, obiettivo su cui abbiamo ripiegato non avendo potuto radere al suolo Kokura. Solo un secondo prima di sganciarla ho pensato che stavamo per uccidere vecchi, donne, bambini. Poi mi sono venuti in mente quei bambini e quelle donne giapponesi che andavano incontro ai soldati americani con bastoncini avvelenati nascosti per ucciderli. No, non mi dispiace aver tirato la bomba. Anche perché con questa operazione abbiamo fatto finire la seconda guerra mondiale. Senza l'atomica forse oggi molti bambini americani non ci sarebbero: in caso d'invasione del Giappone i loro nonni sarebbero morti e i loro padri non sarebbero mai nati. E quindi nemmeno loro sarebbero nati.


8 UN PRELUDIO ALLA GUERRA FREDDA? Il premio nobel M.S.Blackett afferma nel libro Military and Political Consequences of Atomic Energy che Truman ordinò di lanciare la bomba per prevenire l'intervento dei russi nella guerra contro il Giappone. Se le cose stanno così vuol dire che la guerra fredda era cominciata ancora prima che finisse la guerra calda e gli abitanti di Hiroshima non furono quindi le ultime vittime della seconda guerra mondiale, ma le prime vittime della lotta alla supremazia tra USA e URSS.



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