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Metalli pesanti, impatto pesante
I metalli si differenziano dalle altre sostanze tossiche, perché la loro presenza nella crosta terrestre, sia pur in tracce, è di origine prevalentemente naturale: dunque, non possono essere creati né distrutti. I fenomeni naturali (eruzioni vulcaniche, incendi boschivi e maree) contribuiscono al ciclo naturale dei metalli, ma le emissioni antropogeniche giocano un ruolo altrettanto importante e talvolta maggiore di quello naturale (Adriano, 1986). Alterando il tasso di rilascio e di trasporto dei metalli pesanti nell'ambiente e modificando la dimensione dei processi biochimici in cui sono coinvolti, l'uomo ha determinato un aumento di alcuni ordini di grandezza sia delle emissioni che dei fattori di esposizione.
Il caso del piombo è un esempio che dimostra chiaramente le proporzioni della contaminazione, dei problemi ambientali e sanitari che ne derivano, la difficoltà di governarne il rilascio e, soprattutto l'enorme giovamento che salute e ambiente ne trarrebbero se si arrivasse a una riduzione delle emissioni. Le emissioni di piombo risalgono a più di ottomila anni fa, cioè ai primi tentativi di fusione, ma è il XX secolo a segnare un grande cambiamento. In generale fra il 1900 e il 1998 il consumo di metalli negli Stati Uniti è aumentato di sedici volte (United States Office of Air Quality EPA-454/R-00-002). Al momento del loro picco massimo, negli anni '80, le emissioni atmosferiche antropiche superavano quelle naturali di un rapporto di 28:1 per quanto riguarda il piombo e di un rapporto di 1,4:1 per il mercurio.
L'uso di benzine contenenti piombo, che ha caratterizzato
il secolo scorso, ha portato l'inquinamento da piombo a livelli molto elevati,
sebbene le prime tracce di questo elemento risalgano a circa 3000-3500 anni,
con un picco intorno allo d.C. durante il periodo Greco-Romano (Shotyk et al., 1998; Bränvall et al., 2004). Dati di background,
relativi al nord Europa, evidenziano un range di concentrazioni nei sedimenti dei
laghi di circa 2-18 μg g-1 risalenti al
Nei primi anni venti negli Stati Uniti venne prodotto e lanciato sul mercato piombo tetraetile, un additivo che durante la combustione ha la funzione di antidetonante e che avrebbe dovuto migliorare la performance complessiva del motore. Già prima che l'additivo fosse lanciato sul mercato, tanto i produttori quanto i funzionari governativi erano al corrente della pericolosità del composto, ma partirono dalla ottimistica previsione di poterne controllare il rilascio nelle fabbriche per proteggere i lavoratori (fonti World Meteorological Organization: https://www.wmo.int/ ). A partire dagli anni '70, con la riduzione del contenuto di piombo nelle benzine, le emissioni di questo metallo pesante sono diminuite di circa il 60-70% (Pacyna et al., 2007).
L'elenco dei Paesi che hanno bandito la benzina "rossa" si è allungato negli anni costantemente e, benché siano ancora un centinaio quelli che continuano a usarla, alcuni hanno comunque provveduto a ridurre il contenuto di piombo o hanno cominciato a vendere la benzina "verde" (senza piombo). Nel complesso circa l'80% della benzina oggi utilizzata nel mondo è "verde" (Denier van der Gon & Appelman, 2009).
Il problema dell'inquinamento legato al traffico veicolare rimane comunque elevato. Infatti al posto dell'utilizzo del piombo come additivo antidetonante si è passati all'utilizzo dell'additivo a base di manganese, l'MMT (metilciclopentadienilmanganese tricarbonile) in grado anch'esso di aumentare il numero degli ottani del carburante. Benché l'US-EPA (Environmental Protection Agency) si fosse dichiarata contraria al suo uso fino a che non fossero emersi dati sugli effetti sanitari questa venne commercializzata ugualmente (Davis et al, 1998).
Nonostante siano trascorsi quindici anni da quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità descrisse l'avvelenamento da piombo come "uno dei peggiori problemi ambientali del mondo" (Tong et al., 2000), questa valutazione rimane ancora di attualità.
Ai fini di indagare nell'ambito di questo inquinamento, il monitoraggio della deposizioni atmosferiche umide e secche costituisce uno dei metodi più immediati per ottenere informazioni sui meccanismi di rimozione delle sostanze inquinanti presenti in atmosfera e correlabili con i processi ambientali ed antropici che vi intervengono.
La deposizione umida di inquinanti (Bonanni et al., 2000) si verifica anche in zone lontane dalla sorgente e consta essenzialmente di due fasi: un processo di trasferimento degli inquinanti in fase acquosa o di inglobamento delle particelle nelle goccioline che costituiscono la nube per nucleazione, e la successiva rimozione per impatto diretto (rainout) o per trascinamento degli inquinanti sottostanti la nube durante l'evento meteorico (washout).
Il processo di deposizione secca consiste nella rimozione degli inquinanti atmosferici in assenza di precipitazione ed è dovuto al trasferimento dell'inquinante, dallo strato turbolento sovrastante la superficie recettrice, allo strato immediatamente in contatto con essa. Gli effetti aerodinamici e, in generale, la velocità di deposizione, che aumenta all'aumentare della turbolenza e dipende dalle caratteristiche della superficie, sono responsabili del trasporto di gas e particelle in prossimità della superficie.
Dal compartimento aria dove si formano i fenomeni di precipitazione il problema si sposta al compartimento acqua. I metalli sono introdotti nei sistemi acquatici (oltre che dalle deposizioni dirette sulla superficie) come conseguenza dell'erosione dei terreni e delle rocce, dalle eruzioni vulcaniche, e dalle diverse attività umane che coinvolgono estrazione mineraria, trattamento, o uso di metalli e/o sostanze che li contengono.
Quando il pH dell'acqua, che nella maggior parte degli ecosistemi acquatici è compreso fra 6 ed 8, diminuisce, la solubilità del metallo aumenta e le particelle del metallo diventano più mobili, motivo per cui sono più tossici in acqua dolce, come ad esempio il caso dell'alluminio. Inoltre, a differenza di altre sostanze tossiche quali ad esempio alcuni antiparassitari organici, i metalli non subiscono processi di degradazione biologica e pertanto mantengono la loro tossicità nel tempo.
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