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La cinetica chimica




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La cinetica chimica


Quando si studia una reazione chimica, se ne determina dapprima la stechiometria; ma quando l'equazione simbolica che usiamo è equilibrata, non sappiamo ancora nulla sul suo effettivo andamento.

Da una parte, la termodinamica chimica esamina le condizioni che devono essere soddisfatte perché una certa reazione avvenga spontaneamente, da un'altra parte la cinetica chimica esamina i fattori che influiscono sul tempo necessario perché una reazione giunga a completezza.


Per esempio, la reazione di ossidazione del diossido di zolfo (anidride solforosa) a triossido (anidride solforica)

2 SO2 (g) + O2 (g) →  2 SO3 (g)


a T ambiente non dà risultati apprezzabili neanche dopo molti giorni; ma se aumentiamo la temperatura o se introduciamo un catalizzatore (per esempio V2O5), la reazione è velocissima.


Analogamente la reazione di formazione dell'acqua dagli elementi


2 H2 (g) + O2 (g)   2 H2O (g)


è veloce a T alta, ma a T ambiente non lo è affatto.


E' ovvia perciò l'importanza di studiare le velocità delle reazioni, i fattori che le influenzano, il meccanismo che esse seguono.

Tra i fattori che possono influenzarle, possono essere, per esempio:

. la natura dei reagenti (durante la reazione si debbono rompere dei legami)

. la concentrazione dei reagenti (con la concentrazione varia il numero di collisioni possibili)

. la temperatura (con la T varia il numero di urti efficaci, dato che cambia l'energia cinetica)

. i catalizzatori (fanno aumentare la velocità)

. l'area di contatto tra le fasi (nel caso di reazioni eterogenee)

. l'agitazione della miscelaetc


La velocità di reazione v può essere determinata dalla variazione della quantità di un componente nell'unità di tempo: normalmente ci si riferisce alla concentrazione C


v = |d C / d t|


v è espressa come valore assoluto (simboleggiato dalle due barre verticali) poiché, se si controlla la variazione di concentrazione di un reagente, la variazione sarà negativa (-dC/dt), se si controlla quella di un prodotto, sarà positiva (+dC/dt); ma la velocità che misuriamo deve essere sempre positiva.


Poiché generalmente i prodotti possono reagire dando la reazione inversa, ciò che noi misuriamo effettivamente è la differenza fra le velocità della reazione diretta e di quella inversa; per fare in modo che la velocità misurata sperimentalmente sia il più possibile uguale a quella diretta dobbiamo perciò effettuare la misura all'inizio della reazione, quando cioè il contributo della reazione inversa è nullo o trascurabile.


Per la reazione generale:    a A + b B  D   c C + d D


esprimeremo la velocità come variazione nel tempo di uno qualsiasi dei componenti della reazione (sia uno dei reagenti sia uno dei prodotti); la velocità, determinata sperimentalmente, è proporzionale, secondo la costante di velocità 'specifica' K (corrispondente alla velocità della reazione per concentrazioni unitarie: solo in quel caso, infatti, v=K), al prodotto della concentrazione di A elevata alla m per la concentrazione di B elevata alla n.


E' evidente che la K dipende dalla natura dei reagenti A e B oltre che dalla temperatura.

Gli esponenti m e n possono essere sia interi sia frazionari; rappresentano l'ordine della reazione: m rispetto ad A, n rispetto a B; (m+n) rappresenta l'ordine totale della reazione.


Gli ordini di reazione possono essere dedotti solo sperimentalmente e non coincidono necessariamente con i coefficienti stechiometrici della reazione a e b (in taluni casi possono essere anche zero).


Possiamo considerare, invece delle derivate, differenze finite di concentrazione e di tempo ΔC/Δt:


Fig.20.1 Diagramma concentrazione contro tempo, C/t, per una reazione.


Si può notare che la concentrazione C di un reagente cala nel tempo con andamento asintotico verso un valore limite.


Si può notare inoltre che, al procedere della reazione, il ΔC diminuisce progressivamente, tendendo a zero, a partità di intervallo di tempo Δt considerato.

Oppure che, al procedere della reazione, per avere la stessa variazione di concentrazione ΔC, occorrono tempi sempre più lunghi.


Se v aumenta proporzionalmente al crescere della concentrazione C del reagente X, si dice che la reazione è del primo ordine rispetto a X; la K di velocità è del I° ordine ed è data dalla pendenza della retta v = K C

Fig.20.2 Grafici V/C e ΔC/C contro il tempo, per una reazione del I° ordine.

a) i punti rossi rappresentano dati ottenuti sperimentalmente, misurando la velocità a concentrazioni diverse di X; la K è data dalla pendenza della retta che si ottiene ottimizzando (generalmente col metodo dei minimi quadrati) la retta individuata dai punti sperimentali; i punti non giacciono tutti esattamente sulla retta dato che sono soggetti a errori sperimentali.

b) C rappresenta la concentrazione attuale ed è perciò variabile nel tempo; ma in questo caso l'andamento del grafico ΔC/C contro il tempo è lineare e costante.


Se consideriamo la reazione              A → prodotti


V = K [A] = -d[A]/dt     da cui     -d[A]/[A] = Kdt


Cioè il rapporto tra la variazione di concentrazione di A d[A], rispetto alla sua concentrazione attuale [A] è costante se si considerano intervalli di tempo costanti; che è quanto appare dal grafico b.

La K ha anche delle dimensioni; in questo caso (I° ordine): K (sec-1), poiché, ricavandola dalla espressione precedente è K = -d[A]/[A] dt.


Nella valutazione della velocità si usa spesso anche un altro parametro, il tempo di dimezzamento t1/2 che è il tempo necessario perché la concentrazione iniziale di un reagente sia ridotta a metà (con 2 t1/2 si avrà 1/4 della concentrazione iniziale, con 3 t1/2   1/8 etc.; dopo 7 t1/2 la concentrazione è ridotta a meno dell'1% dell'iniziale).


Se integriamo la precedente equazione differenziale avremo che


ln [A]/[A]0 = -K (t-t0)


(ln = logaritmo naturale) e se in questa poniamo [A] = 1/2 [A]0, (se vogliamo cioè che la concentrazione sia la metà dell'iniziale, come definito per il tempo di dimezzamento), e dato che t0 = 0 (inizio della reazione), avremo:


Fig.20.3 Grafico ln C contro t per una reazione del I° ordine.


E' possibile capire se una reazione è del I° ordine calcolando i logaritmi delle concentrazioni misurate a tempi definiti e riportando in diagramma le coppie di valori.

Se i punti stanno su una retta, allora la reazione è del I° ordine, la K è l'inverso della pendenza della retta e la concentrazione iniziale è calcolabile dall'intercetta sull'asse delle ordinate.


Una osservazione importante: per reazioni del primo ordine t1/2 non dipende dalla concentrazione del reagente (vedi l'espressione del tempo di dimezzamento riportata subito prima della figura 20.3); un esempio di applicazione di questo concetto è quello della datazione dei reperti archeologici con la misura del 14C (t1/2 = 5730 anni) già ricordata nel capitolo della radioattività (14C, per decadimento b, dà 14N).

Esaminiamo ora una reazione del II° ordine che può essere, per esempio,


2 A  → prodotti


V = K [A]2 = -d[A]/dt     da cui     -d[A]/[A]2 = K dt


Se integriamo questa equazione differenziale otteniamo che


K è espressa in (sec-1 mol-1 dm3)

Un'altra reazione del II° ordine può essere:


A + B  → prodotti


V = K [A] [B] = -d[A]/dt = -d[B]/dt


(le concentrazioni iniziali dovrebbero essere dello stesso ordine di grandezza).

Nelle reazioni del II° ordine sarà 1/[X] che è lineare rispetto al tempo.


Fig.20.4 Grafico 1/[A] contro t per una reazione del II° ordine.

I puntini rossi rappresentano coppie di misure di concentrazione a dati tempi di reazione.

Anche in questo caso si utilizza un sistema matematico di ottimizzazione dei dati (spesso il metodo dei minimi quadrati), che permette di definire la retta migliore individuata dai punti sperimentali; 'migliore' significa, generalmente, che la sommatoria degli errori per ogni punto è la minima possibile.

Se i punti sperimentali stanno ragionevolmente sulla retta, allora la reazione è del II° ordine rispetto ad A.

La parola 'ragionevole' vuole significare che i punti devono scartare dalla retta in modo assolutamente statistico: infatti anche punti che giacciano su una curva regolare, come un'iperbole, se trattati con i minimi quadrati, individuerebbero una retta.


Del II° ordine è, per esempio, la reazione      H2 (g) + I2 (g)      →   2 HI (g)


Per essa infatti la velocità di reazione è        V = K [H2] [I2]


Ma nel caso della reazione analoga                 H2 (g) + Br2 (g)    →    2HBr (g)


la velocità sperimentale è                V = K' [H2] [Br2]1/2


Perciò l'ordine totale di reazione è 3/2 e la K sarà espressa in C-1/2  t-1. Evidentemente le due reazioni, apparentemente analoghe, avvengono in modo diverso.


Abbiamo visto così che si può capire di che ordine è una reazione dalle leggi integrate.

Per ordini superiori le leggi possono essere molto complesse, ma si può, giocando sulle reciproche concentrazioni dei reagenti, trasformarle in reazioni del pseudo primo-ordine, pseudo-secondo ordine riducendo le difficoltà dei calcoli (se, per esempio, la concentrazione c di uno dei reagenti è 100 volte quella dell'altro, al procedere della reazione la concentrazione c non cambia sensibilmente e la possiamo considerare costante).


Nella figura che segue si riporta un esempio di indagine spettrofotometrica applicata allo studio cinetico di una reazione; si possono usare, a seconda del sistema studiato, tecniche diverse; la scelta da parte del ricercatore è basata fondamentalmente sulla possibilità di evidenziare le variazioni di concentrazione di uno dei componenti della reazione evitando interferenze da parte di altri componenti. Si sfruttano le proprietà fisiche di uno dei componenti, perciò indagini cinetiche possono essere effettuate anche con misure di conducibilità, di tempo di ritenzione mediante gascromatografia o cromatografia liquido-liquido, mediante spettroscopia nmr (risonanza magnetica nucleare) ecc.


Fig.20.5 Esempio di sequenza di spettri di assorbimento sovrapposti relativi ad una soluzione in cui avviene una reazione del II° ordine (in particolare l'idrolisi dell'acido 2-idrossi-5-nitrobenzensolfonico).

I circoletti in rosso evidenziano i cosiddetti 'punti isosbestici', che corrispondono a lunghezze d'onda in cui i 2 componenti A e B della reazione A B hanno un coefficiente di assorbimento molare ε (epsilon) uguale.

Questo è valido perciò solo se la reazione è del tipo A B e solo per le l in cui le ε di assorbimento di A e B sono eguali.

Il vantaggio della presenza di questi punti è che permette di evidenziare l'assenza di reazioni parallele o consecutive


Nelle due reazioni precedenti, apparentemente simili, è evidente che esiste una differenza sostanziale nel modo di procedere delle reazioni, cioè nel loro meccanismo; (ma se la velocità fosse stata dello stesso ordine non avremmo comunque potuto affermare con certezza che il meccanismo è lo stesso!).


Che cosa si intende per 'meccanismo di una reazione'?

E' una successione teorica di processi elementari, in ognuno dei quali si forma un composto intermedio, fino a raggiungere il prodotto finale.

Normalmente questi intermedi sono instabili e non rivelabili sperimentalmente: si può solo dedurne l'esistenza dal 'modello meccanicistico' proposto (e che deve, ovviamente, concordare con i dati sperimentali).

Abbiamo parlato anche di 'ordine di reazione', abbiamo visto che la somma degli esponenti delle concentrazioni che compaiono nella espressione della velocità di reazione è l'ordine totale di reazione e che questi esponenti si possono ricavare solo sperimentalmente da misure cinetiche.

Quando si parla però di meccanismo di reazione, non si può parlare di ordine di reazione, bensì di 'molecolarità', che indica il numero di molecole coinvolte in ogni singolo stadio intermedio o processo elementare in cui si pensa, modellisticamente, di suddividere il processo totale di reazione.

stadio

reazione

monomolecolare

X →  S

bimolecolare

X + X →  S


X + Y →  S

trimolecolare

X + X + X → S


X + X + Y →  S


X + Y + Z →  S


Fig.20.6 Tipologia generale delle possibili molecolarità ipotizzabili in un modello di meccanismo di reazione.


Molecolarità superiori a 3 sono assolutamente improbabili, dato che già è molto improbabile un urto triplo (che esige l'incontro contemporaneo di 3 unità diverse e spesso secondo una geometria molto precisa).

La molecolarità non è un dato sperimentale (come è invece l'ordine di reazione), ma un concetto teorico mediante il quale viene proposto uno stadio del meccanismo di reazione.


Per chiarire concretamente la differenza tra ordine di reazione e molecolarità, vediamo un esempio.


La reazione globale di formazione del diossido di azoto da monossido e ossigeno ha, come si vede dalla definizione della velocità v, in rosso, ordine di reazione 3. La reazione in effetti ha un meccanismo in due stadi:

1) stadio di formazione di una molecola di triossido da una di monossido e una di ossigeno, con molecolarità 2

2) stadio di formazione di due molecole di diossido da una di triossido e una di monossido, con molecolarità 2



Se la reazione di formazione del triossido fosse isolabile (se, cioè, il triossido in quelle condizioni potesse essere individuato come tale e non fosse un intermedio instabile), allora potremmo determinare la velocità di reazione (e anche il suo ordine) del primo stadio; ma questo non succede. In effetti ogni processo elementare avrebbe una sua velocità di reazione: ma solo quando ognuna di esse è misurabile si può pensare ad una coincidenza della molecolarità con l'ordine di reazione (poiché, in tal caso, potremmo considerare reazioni separate e potremmo perciò determinarne le velocità sperimentali separatamente).

Ma spesso non si può misurare la velocità di uno stadio elementare: infatti di solito misuriamo la velocità globale della reazione, che è sempre condizionata dallo stadio più lento (rate determining step). Nel caso specifico della reazione mostrata sopra, il secondo stadio è evidentemente molto più veloce del primo, dato che non è possibile 'vedere' il triossido: questo, appena si forma, reagisce col monossido per dare il diossido.


La ragione della diversa velocità delle reazioni risiede, in base al modello adottato, nell'energia coinvolta nel processo.

Se consideriamo l'energia totale del sistema iniziale (cioè dei reagenti) ER e l'energia totale del sistema finale (cioè dei prodotti) EP, per passare da una situazione all'altra è necessario superare una barriera di potenziale, relativa alla formazione di un intermedio di reazione detto complesso attivato, anch'esso caratterizzato da una sua energia detta energia di attivazione Ea o E*.


Per capire questo, possiamo presentare il processo energetico con un grafico, detto profilo di reazione.


Fig.20.7 Schema di profilo di reazione.

L'ascissa si chiama 'coordinata di reazione', ma non ha un significato fisico preciso, benché, per la reazione

       reagenti → prodotti

essa possa avere una certa affinità con il tempo di reazione (o, quantomeno, ne ha la stessa direzione).

Il complesso attivato è lo stesso, sia per la reazione diretta, sia per la reazione inversa; cambia invece l'energia di attivazione poiché cambia la situazione di partenza: nel caso della reazione reagenti ® prodotti l'energia di attivazione corrisponde a ΔE1; nel caso della reazione inversa, prodotti → reagenti  l'energia di attivazione corrisponde a ΔE1+ ΔE2


E' facile da intuire che la velocità della reazione è proporzionale, in qualche modo, al numero di molecole che hanno energia sufficiente per superare la barriera di potenziale; ogni molecola possiede una energia che non è necessariamente eguale a quella delle sue simili se non a livello statistico: esisterà cioè una distribuzione della E (e perciò della velocità) tra molecole dello stesso tipo, distribuzione espressa dalla legge di Maxwell-Boltzmann (Maxwell, Scozia, 1831-1879), Boltzmann (Austria, 1844-1906).


Fig.20.8 Legge di distribuzione di Maxwell-Boltzmann.

Ogni curva di distribuzione ha la forma di una campana irregolare.

E' una legge sperimentale che rappresenta il numero di particelle che possiedono una certa energia, in funzione dell'energia stessa: cioè ad ogni valore di energia (a una data T) corriponde un numero definito di particelle con quella energia.

A T1 < T2 la maggior parte delle molecole è distribuita in un intervallo più ridotto di E: poche molecole perciò potranno avere E sufficiente per superare la barriera energetica.

All'aumentare della T (curva T2) aumenta il numero di molecole con E sufficiente, perciò aumenta la velocità della reazione.

Le aree sottese dalle due curve sono eguali poiché rappresentano lo stesso numero totale di molecole N


Fig.20.9 J.Jacob Berzelius (1789-1848), chimico svedese

Jöns Jakob Berzelius (Wäfversunda 1779 - Stoccolma 1848), chimico svedese, è considerato uno dei fondatori della chimica moderna. Compì studi di medicina all'università di Uppsala e nel 1807, dopo aver esercitato la professione medica, divenne professore di botanica e farmacia a Stoccolma. Nella stessa città fu poi docente di chimica presso la Scuola di medicina e membro dell'Accademia delle scienze.

I suoi studi, prevalentemente condotti su basi empiriche e sperimentali, coprirono praticamente ogni branca della chimica, distinguendosi per precisione e accuratezza. Scoprì il selenio e il torio, e isolò diversi elementi tra cui silicio, zirconio e titanio; introdusse nella chimica il termine 'catalizzatore', e per primo definì la natura e l'importanza della catalisi.

È merito suo l'attuale sistema di notazione, che prevede che ogni elemento sia rappresentato da una o due lettere dell'alfabeto, e la determinazione dei pesi atomici degli elementi, uno dei risultati fondamentali della sua attività di ricerca. Contribuì inoltre allo sviluppo della teoria dei radicali e di un'elaborata teoria elettrochimica.

(da Enciclopedia Microsoft Encarta)



Berzelius si interessò di molti campi della chimica di allora; per esempio dei fenomeni elettrici scoperti da Volta e della scala di elettronegatività per gli elementi allora conosciuti.

Inoltre si interessò anche della velocità delle reazioni, per la quale definì 'catalizzatori' le sostanze che permettono di accelerare una reazione, cosa che si può ottenere anche con un aumento di temperatura.

L'azione dei catalizzatori consiste nel ridurre la barriera di potenziale cioè, in pratica, l'energia di attivazione del processo; poiché alla fine della reazione i catalizzatori (almeno quelli ideali) risultano non modificati, si può dedurre che agiscano sul meccanismo di reazione, dando luogo a qualche stadio intermedio nuovo o diverso o ancora ad uno stato attivato diverso ad energia minore di quello della reazione base.


Abbiamo detto che la velocità di reazione aumenta se aumenta la temperatura T. Ma come è possibile sapere di quanto aumenta?

Questo problema è molto interessante (oltre ad altri fattori) anche per determinare le condizioni operative più adatte in un processo chimico industriale; in effetti si cerca di accelerare le reazioni con catalizzatori specifici piuttosto che con l'aumento di temperatura (dato che aumentare la T costa molto economicamente e può facilitare anche reazioni collaterali dannose). E' comunque importante sapere quale relazione matematica esista tra velocità e temperatura.


Fig.20.10 Un ritratto di Svante Arrhenius

Svante August Arrhenius (Uppsala 1859 - Stoccolma 1927), chimico e fisico svedese, contribuì a porre le basi della chimica moderna. Compì gli studi superiori presso l'università di Uppsala e ancora studente approfondì le proprietà di conducibilità elettrica delle soluzioni elettrolitiche. Nel 1887 formulò la teoria della dissociazione elettrolitica, in parte già esposta nella sua tesi di laurea, secondo cui nelle soluzioni elettrolitiche i composti chimici presenti in soluzione si dissociano in ioni, anche quando non vi sia corrente che attraversa la soluzione. Arrhenius postulò inoltre che il grado di dissociazione aumenta quanto più viene diluita la soluzione, ipotesi che successivamente si rivelò esatta solo per gli elettroliti deboli. La teoria di Arrhenius, inizialmente ritenuta errata, fu poi accettata a livello generale, e divenne una delle pietre miliari della chimica fisica e dell'elettrochimica moderne.

Nel 1889 egli osservò che la velocità delle reazioni chimiche aumenta al crescere della temperatura con ritmo proporzionale alla concentrazione delle molecole attivate. Nel 1895 Arrhenius divenne professore ordinario di chimica all'università di Stoccolma e nel 1905 presidente dell'Istituto Nobel per la chimica e la fisica. Tra i riconoscimenti dei quali fu insignito ricordiamo il premio Nobel per la chimica, ottenuto nel 1903. Scrisse opere di chimica fisica, chimica biologica, elettrochimica e astronomia.

(da Enciclopedia Microsoft Encarta)

L'equazione di Arrhenius (Svezia, 1859-1927, Nobel 1903) mette in relazione la T con l'energia di attivazione Ea (cioè la minima energia che le molecole debbono possedere perché la reazione proceda).


L'equazione è:            


lg K = lg A - Ea/2,303 R (1/T)

in cui:

K rappresenta la costante specifica di velocità; A la costante specifica della reazione; Ea l'energia di attivazione; R la costante universale dei gas; T la temperatura assoluta.


Fig.20.11 Diagramma lg K contro 1/T per applicare l'Equazione di Arrhenius (e per ricavare l'energia di attivazione di una reazione).

Portando in diagramma il logaritmo decimale della K di velocità contro 1/T (determinando perciò le K di velocità a diverse temperature), è possibile determinare l'energia di attivazione Ea di una reazione mediante il calcolo del coefficiente angolare (pendenza della retta).


Δy / Δx = - Ea/2,303 R





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